CAPITOLO
2
“Dentro
l’orrore”
Purtroppo la speranza, da parte
di Sara, di trovare dentro il fabbricato un ambiente migliore rispetto a ciò che
aveva trovato fuori, fu subito spazzata via. Infatti, dentro si presentava
ancora più cupo ed orrendo, con ragnatele che decoravano l’ingresso
dell’edificio, che all’interno sembrava ancora più grande.
La nostra protagonista, tutta
infreddolita per il clima presente lì dentro, che pareva arrivarti fino alle
ossa, continuava a maledirsi per essersi imbarcata da sola in quest’avventura,
senza neanche un oggetto contundente con cui potersi difendere da qualcuno… o
qualcosa.
Mentre scrutava con occhi
spalancati da tutte le parti, notò la scritta sopra una porta, “IL DIRETTORE”,
e, incuriosita, si avviò verso questa seconda entrata.
Le due parole non erano
sicuramente stampate ma, anzi, sembravano scritte da qualcuno con la mano non
certo fermissima e, soprattutto, erano scritte sulla superficie un cartone da
pacchi.
Sara vi s’introdusse dentro,
trovandovi il buio più totale. L’unica cosa che si riusciva a vedere era una
massa informe, ma Silvestri pensò che fosse soltanto un inganno ottico
dell’oscurità stessa e non ci fece caso inizialmente.
Quasi senza pensarci, la ragazza
si mise a cercare con la mano sinistra nella parete qualcosa che assomigliasse
ad un interruttore e, dopo tanto tastare, lo trovò, premendolo subito.
Un attimo per abituarsi alla
luce, che non aveva certo una luminosità irresistibile, e si trovò davanti,
nello stesso punto in cui prima aveva intravisto una forma anomala, vi era ora
una montagna pelosa e parecchio puzzolente, che, appena accesa la lampadina,
iniziò ad emettere degli orrendi versi.
La povera fanciulla era
terrorizzata e completamente appiattita al muro, nel contempo non aveva la forza
di tirare uno dei suoi urli, limitandosi a tenere la bocca semi aperta e gli
occhi sbarrati mentre assisteva a quel nauseabondo spettacolo.
Ad un tratto, quella cosa
cominciò a girarsi e, dietro a quella che si rivelò essere un’enorme gobba,
comparì una testa umana, altrettanto enorme, anch’essa piena di peli scuri e
aggrovigliati tra loro. Dopo un attimo di silenzio, quell’essere chiese, alzando
il voluminoso sopracciglio, “Buonasera signorina, posso esserle d’aiuto?”
Sara, dopo un attimo di silenzio,
trovò il coraggio, per rispondere ironica “Mi perdoni ma… penso di avere
sbagliato ufficio… arrivederci!” e nel pronunciare quest’ultimo saluto, la
ragazza si stava voltando verso l’uscita.
Ma, si sa, nelle situazioni
assurde le cose non vanno mai come si vorrebbe e, proprio dietro le spalle della
bella bionda, la voce della bestia tuonò “Dove crede di andare
signorina!!!!!”.
Alla povera Sara toccò fare
dietrofront ed aspettare che l’orrenda creatura parlasse di nuovo: “Come mai è
qui nel Fabbricato?”.
“Fabbricato? È così che chiama
questo posto?” si chiedeva mentalmente la ragazza, mentre escogitava anche una
risposta accettabile per quella follia.
alla fine scelse di dire
solamente le cose come stavano “Beh… a dir la verità sono qui per visionare
l’impianto…”.
“Ah, capisco”, l’orco era più
ragionevole di quanto sembrasse “Lo vuole sapere come siamo arrivati qui io ed i
miei colleghi?” chiese infine.
Altri pensieri comparivano nella
psiche di Sara: Che significa questa domanda? Che intende con “suoi colleghi”?
Perché non sono rimasta a casa?!
Senza neanche aspettare la
risposta della giovane donna, l’energumeno iniziò “Vede signorina, deve sapere
che noi creature della notte, fino a poco più di un secolo fa, dominavamo
incontrastati in questo territorio, tutti ci temevano e stavano alla larga da
questa zona” a questo punto Sara, inspiegabilmente, cominciò ad interessarsi al
racconto “Poi la… come si chiama? Ah sì, la scienza rese più sicuri e cattivi
gli uomini. E noi, povere creature, fummo costrette ad abbandonare i nostri
domini per rifugiarsi nei boschi o in qualunque altro posto dove poter stare al
sicuro”.
Nel terminare questa frase,
l’orco rimase immobile con gli occhi chiusi, quasi a rimembrare ciò che aveva
appena descritto. Fu allora che Sara commentò “Però… signore… vedo che a lei non
è andata molto male, per quanto riguarda il rifugio”.
L’interpellato riaprì gli occhi,
mostrando le sue pupille scure, e rispose “Beh… sì, devi sapere che io e gli
altri abbiamo lasciato giusto una settima fa il nostro bosco-rifugio, venuti a
sapere dell’esistenza di questo paradiso incontaminato, anche perché il nostro
bosco-rifugio stava venendo a poco a poco distrutto dall’uomo, senza che noi
sapessimo perché”.
A questa rivelazione, la ragazza
ricordò tutte le lezioni scolastiche in cui venne affrontato, come argomento
principale, il disboscamento, le gravi conseguenze che esso crea e le cause
idiote che hanno portato a questa situazione. Ma quello non era il momento di
pensare a tali argomenti, visto che stava affrontando un’incredibile avventura
proprio ora.
“Ma perché allora non vi siete
difesi come ai vecchi tempi?” chiese lei.
“Perché l’uomo usava contro di
noi oggetti che facevano molto male!”.
“Ma certo! Le armi! Perché non ci
ho pensato prima!” rifletté tra sé e sé.
Dopo un momento di pausa, a Sara
tornò in mente la scritta sopra la porta e domandò “Perché allora lei è “Il
Direttore”?”.
“Semplice, perché l’ho deciso
io!”.
Stupefatta da quella risposta
ingenua, la testa di Sara era ora un enorme uragano, con una moltitudine di
domande da poter fare a quello scherzo della natura, ma la giovane temeva
l’innervosirsi di quell’energumeno ad una di queste domande e tentennò.
La creatura, in cuor suo, se ne
accorse e pronunciò la sua prima domanda rivolta alla bionda “Tu invece chi sei?
Come ti chiami?”.
Dopo un attimo di smarrimento lei
rispose “Ah… io mi chiamo Sara e… beh ero venuta qui perché mi avevano detto che
questo posto era abbandonato ed io… insomma… volevo farlo diventare il mio
negozio…”.
Una delle cose più difficili in
natura è forse spiegare qualcosa ad un orco, poiché ad un enorme testa, causata
più che altro dallo loro intera fisionomia, non è collegato un cervello di
altrettante dimensioni: questa sarà la prossima lezione imparata da
Silvestri.
“Quindi tu tagli i capelli delle
altre persone per mangiarli!”.
“No le taglio e basta!”.
“E per farci cosa?”.
“Niente! Li butto via!”.
“E questo ti fa sentire
felice?”.
“Beh… sì, in un certo senso sì.
Poi se aggiungi il fatto che vengo pagata per questo, mi da ancora più
soddisfazione…”.
“E perché ti devono pagare per
farsi tagliare i capelli?”.
“Perché sono una parrucchiera
all’ultimo grido!” ogni tanto la piccola Sara era presa da questi lampi di
superbia, seppur in maniera umoristica.
La discussione andava avanti da
un buon quarto d’ora. La ragazza si era ormai abituata alla compagnia di
quell’essere, di cui aveva sentito parlare solo nelle favole della buonanotte
per bambini.
Ad un tratto, si cominciò a
sentire un lamento disumano per tutta la stanza e Sara si ritrovò di nuovo
appiattita al muro ad urlare “Che cos’è questo verso?”.
“Non avere paura” la
tranquillizzò il mostro “è solo mio figlio…” e, detto questo, si girò con grande
lentezza, ad afferrare qualcosa con la sua enorme mano.
Sara provò a sbirciare, ma era
una cosa quasi impossibile, visto che la gigantesca figura dell’orco occupava la
maggior parte dei metri quadrati della stanza e, rinunciatovi, aspettò il
ritorno del “Direttore”.
Mentre era ancora in fase di
rotazione verso la sua ospite, portò la sua mano sinistra vicina alla ragazza
che, una volta aperta, vi trovò dentro un batuffolo di pelo rossiccio, come
quella dello stesso orco, che si rivelò essere il figlio dell’interlocutore con
cui aveva parlato finora.
Il piccolo, che poi era alto
qualche centimetro più di Sara, assomigliava parecchio al padre, odore compreso,
ed emetteva solamente dei versi disumani.
“Ti presento Grim, mio figlio!”
disse entusiasta la figura gigante.
“Ciao piccolo!” provò ad avere un
primo dialogo con l’essere, Sara.
Il bimbo salutò a suo modo la
ragazza, ma con delle parole che la giovane, pur con tutto l’impegno del mondo,
non riuscì a comprendere.
“Mi sa che gli sei simpatica,
signorina…” disse l’orco, per poter far ritornare Sara il più possibile a
proprio agio, anche dopo questa ulteriore raccapricciante scoperta.
“Beh… è carino, a me piacciono
molto i bimbi piccoli. Pensa che mi è capitato anche di fare da baby sitter,
ogni tanto…” questa affermazione, spudoratamente falsa, era la prima che era
venuta in mente a Silvestri per mostrarsi falsamente felice, alla conoscenza di
quell’orrenda cosa che ora le stava tirando una ciocca dei suoi capelli biondi e
lisci.
“Grim… comportati bene!” lo
ammonì suo padre per farlo smettere.
Il piccolo ubbidì subito senza
proteste al richiamo dell’ingombrante padre.
Così Sara aveva liberi i suoi
capelli, che controllò velocemente, una volta l’orchino ebbe mollata la presa, e
aggiunse “Grim… che bel nome! Simpatico e breve…”.
“Non lo devi temere, sai? Grim è
un bravo figlio, forse un po’ esuberante alcune volte ma, in fondo, lo eravamo
tutti alla sua età…” questo discorso ricordava a Sara i soliti discorsi fatti
dai genitori per scusare il loro figlio monello.
Poi, guardandoli giocare insieme,
la ragazza si accorse della mancanza di un membro fondamentale per qualsiasi
famiglia, forse anche per quella specie, e non resistette alla curiosità “E sua
madre dov’è in questo momento?”
Al sentire questa domanda, il
bestione si incupì di colpo, mentre Sara pensava che avrebbe fatto molto meglio
a tenere la bocca chiusa per una volta. L’energumeno guardò un attimo il
piccoletto, per poi rispondere “Vedi lei è da un po’ che non c’è più…”
Sara, visibilmente rattristata,
si scusò “Oddio scusami. È colpa della mia curiosità, molte volte parlo prima di
pensare”.
“Non ti preoccupare. La cosa che
mi fa stare sereno è il fatto che, mentre moriva, dava alla luce il piccolo
Grim. Mi chiese di promettergli che mi sarei preso cura di nostro figlio. Il suo
ultimo regalo per me e per il
mondo…” e mentre narrava questo commovente racconto, qualche lacrimona scendeva
dai suoi enormi occhi scuri.
Anche la nostra protagonista
riuscì a stento a trattenere le lacrime, che spingevano agli angoli dei suoi
occhi castani, mentre Grim, a cui suo padre aveva provveduto a tappare le
orecchie, continuava beatamente a giocare con pezzi di materiali vari raccolti
dal pavimento.
Dopo altri attimi di silenzio
Sara ebbe un ironico, vista la situazione in cui si trovava, pensiero che volle
condividere con la creatura che le stava accanto e, sorridendo, gli disse “Ed io
che credevo che gli orchi mangiassero i bambini…” mentre ancora stava osservando
i divertimenti del piccolo Grim.
“Infatti li mangiamo!”.
A questa risposta secca la
giovane sgranò gli occhi e, con una puntina di terrore che si era rifatta viva
nel suo cuore, si voltò chiedendo spiegazioni “Come?”.
Il mostro, che non aveva
minimamente intuito il nuovo stato di agitazione in cui aveva sprofondato la
ragazza, si chiarì “Cioé li mangiavamo…”.
“In che senso li mangiavate?”
chiese l’altra, alquanto incuriosita.
“Devi sapere che i bambini…” nel
pronunciare queste parole, avvicinò ulteriormente il suo enorme capo, come a
rivelarle un grande segreto, in modo tale che in pochi venissero a sapere tale
informazione, “Hanno cominciato a lavarsi!”.
Questa scoperta sconvolgente
lasciò Sara con un’aria sbigottita in volto ma pronta a replicare “Sul
serio?”.
L’orco, totalmente ignaro
dell’ironia che Sara aveva messa in quest’ultima frase, continuò “Sì. Una volta,
i ragazzini erano tutto tranne che puliti; Erano impregnati di fango, sudore e
libertà… quelli di oggi invece… PUAH!”
Quest’ultimo verso dell’orco fu
talmente forte che rimbombò per tutto la struttura.
Una volta terminato l’eco, Sara
continuò ad ironizzare “Sono i tempi che cambiano…”.
“Già!” scosse la testa in maniera
affermativa la creatura.
La ragazza provava sempre più
tenerezza per lo scherzo di natura che aveva davanti, mentre il suo unico figlio
proseguiva nel suo divertimento personale.
“Nonostante questo, noi orchi
siamo ancora abbastanza sparsi in giro per il mondo…”
“Vuol dire che qualche suo
“parente” lo posso trovare anche in altre nazioni?” chiese sorpresa la
bionda.
“Certo!”
“Beh, in effetti, di gente strana
in giro ce n’è tanta, ma francamente non ricordo proprio di aver mai incontrato
un altro orco in giro per la città…”.
“Forse perché non sono tutti
simili a me…”.
“Cioè?”.
“Per esempio, ci sono gli orchi
dei paesi freddi, loro si che sono davvero brutti…”.
“Ah! Loro sarebbero brutti…”
pensava dentro di sé Sara, cercando di non scoppiare in una fragorosa
risata.
“Dicono addirittura che
provengono direttamente dagli inferi. Devono mettere davvero paura se li
incontri…” proseguiva nella sua spiegazione la creatura.
“Un altro tipo, se non ricordo
male, sono gli orchi asiatici. Anche loro sono molto brutti ed hanno il viso
rosso, due corna sulla testa e indossano sempre degli abiti leopardati…”.
“Sono per caso quelli che
chiamano oni?” intervenne lei.
“Sì, esatto! Brava signorina! Mi
fa piacere che anche tu usi il cervello!”.
“Prendiamolo come un
complimento…” bisbigliò appena la Silvestri.
“Poi ci sono anche quelli
americani, che dovrebbero avere la pelle verde e delle antenne al posto delle
orecchie, ma purtroppo non ne so molto di questa specie…” sembrava aver concluso
l’orco, che era tornato ad osservare la sua prole che si trastullava con i suoi
balocchi.
Anche Sara tornò a squadrare
nuovamente il piccolo, se così si può chiamare. Poi gli tornò alla mente il
reale motivo per cui era giunta in quello stabilimento e, soprattutto, non
voleva di certo arrivare alla fine dei suoi giorni con quella particolare
compagnia.
“Beh… si è fatto piuttosto tardi
e visto che, da quanto ho capito, questa struttura non è per niente abbandonata,
mi secca ammetterlo ma devo rientrare a casa” spiegava con voce decisa la
bionda, mentre si affrettava a grandi passi verso la porta.
“Ooooh ma come? Te ne devi già
andar via?” chiese rammaricata l’enorme figura.
“Sì! Purtroppo ho ancora molte
cose da…” ma la ragazza non riuscì a terminare la sua scusa dato che, il piccolo
Grim, le si era avventato addosso cercando di stritolarla in quello che, per
lui, era semplicemente un tenero abbraccio di affetto.
“Lasciala Grim!” gli urlò contro
suo padre.
Ma il figlio continuava
imperterrito a ridere, sballottolando di qua e di là la povera Sara che, stretta
in quella morsa, non aveva nemmeno il fiato per gridare.
“GRIM!” tuonò ancora più forte e
minaccioso il genitore.
A quell’ultimo avvertimento,
l’orchetto lasciò andare la giovane che, per un attimo, rischiò anche di
collassare al suolo.
“Non ci si comporta così con gli
ospiti!” lo ammonì severo l’orco.
Il colpevole stava tornando al
suo angolo, con gli occhi sempre più lucidi e la bazza che traballava
pericolosamente, minacciando un pianto a dirotto.
“Non lo tratti così, è solo un
bimbo…”.
La creatura ruotò nuovamente il
suo enorme capo in direzione della bionda.
“Stai bene?” domandò
preoccupato.
“Sì certo! Mi piego ma non mi
spezzo!” rispose lei che subito raggiunse Grim.
Una volta che gli fu davanti,
accarezzandogli dolcemente la manona, gli disse “Mi ha fatto piacere conoscerti,
Grim”.
Dopo ciò, tornò ad avviarsi verso
l’uscita. Girandosi indietro mentre era ancora in moto, salutò anche il padrone
di casa “Sono felice anche di avere parlato con te!”.
“Anch’io Sara! Torna a trovarci
quando vuoi!” esclamò l’orco, visibilmente commosso da quell’inaspettata
visita.
“Certo, volentieri! Ciao alla
prossima!” concluse sorridendo ai due, mentre chiudeva la porta.
Ora era di nuovo da sola.
Ripensando a tutto quello che le era capitato, la ragazza era quasi tentata di
riaprire nuovamente l’entrata, per controllare se tutto ciò apparteneva alla
realtà.
Ma subito vi rinunciò, scuotendo
vigorosamente la testa. Ora più che mai doveva riuscire a venire fuori dal
quell’assurdo ambiente. Immediatamente però si accorse di una cosa: non riusciva
più ad identificare l’uscita di quel capannone.
Per assurdo, uno strano pensiero
prendeva vita dentro la sua mente: Il Fabbricato la voleva ancora dentro di
lui.
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