Titolo: Two
is (not) better than one.
Coppia:
Destiel ( Dean and Castiel ) + """"accenni""""" di
Balthagab ( Balthazar and Gabriel )
Raiting:
Giallo ( solo a causa delle cose awkard )
Avvertenze: ambientata
dopo la 9x18, Spoiler, per capire al 100% l'ultimo pezzo è
consigliabile la lettura della mia altra fanfiction "Raison d'Etre" (
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2568919&i=1),
linguaggio non sempre fine e delicato a causa del signor Dean
Winchester ( "don't swear dnEA it's not very LADYLIKE" cit. ),
l'autrice chiede scusa agli ornitologi di tutto il mondo per
l'ignoranza dei suoi personaggi a riguardo, demenza ESTREMAMENTE
gratuita ( ma razionale ), awkard!Sam, awkard!Destiel, awkard!Balthagab
e soprattutto awkard!tappeto. Spero che nessuno abbia paura dei
volatili.
Two is (not!) better than one.
Era una settimana
morta. Non capitava spesso che nella vita dei Winchester ci fossero la
bellezza di ben quattro giorni senza casi, morti, spariti, rapiti da
cercare o casi, morti, spariti e rapiti che li venivano direttamente a
cercare. Solitamente anche le festività erano dense di
“avventure”, se così le si voleva
chiamare, come ad esempio il Natale in cui i due fratelli avevano
rischiato di essere mangiati al posto dell’arrosto da due
amabili signori. Durante quelle novantasei ore, però, non
era accaduto nulla e la cosa era ancora più incredibile a
dirsi visto che erano nel bel pieno di quello che si poteva definire
come un colpo di stato all’Inferno e al Paradiso.
Avrebbero dovuto essere seduti nell’Impala, diretti verso
chissà dove e con i distintivi finti pronti da
mostrare. Invece Dean e Sam Winchester avevano passato tutta
la giornata nel bunker e si erano coricati nelle loro rispettive camere
intorno all’una di notte.
“ E’
incredibile. Dormiremo più di otto ore e non sarà
un coma.” Aveva commentato il maggiore dei due,
lasciando Sam a sbuffare una risata, stringendo tra le mani un libro
che suggeriva che, a differenza di Dean, lui ci avrebbe messo un bel
po’ prima di chiudere gli occhi, troppo abituato alle vecchie
abitudini per non addormentarsi se non esausto.
A Dean infatti erano
bastati pochi trucchi per cadere in un sonno degno di questo nome:
togliersi i vestiti, grattarsi una chiappa da sopra i boxer e infilarsi
sotto le coperte, la faccia lasciata a sprofondare nel guanciale. Per
un sacrosanto giorno i pensieri non lo stavano logorando. Per una,
dico, una notte avrebbe potuto dormire fino all’alb- no, a
dopo la stramaledetta alba!
Tutto questo era
estremamente probabile, certo. Almeno fino a che uno strano suono non
si era fatto largo nella camera intorno alle cinque e venti del
mattino.
Si trattava di un
verso cupo, abbastanza greve, ma con un ché di acuto,
fastidioso. Deve essere il mio inconscio, o qualunque altro nome abbia,
che mi sta facendo scherzi, aveva pensato, ricollegandosi al film
horror visto la sera prima –perché sì,
avevano avuto anche il coraggio di guardarsi un horror, dato che la
vita non li aveva resi gli allegri protagonisti di questo genere
più e più volte.
Però il suono si era fatto ancor più
fastidioso.
“ Hu-hu”
e Dean si rigirava su un fianco.
“ Hu-huuu”
e Dean rispondeva anche lui con un verso.
“ Hu-huuuu”
e Dean era definitivamente sveglio, okay, ma gli occhi non se ne
parlava di aprirli.
“Hu-huuu,
Hu-huuu” e « Cristo, Sam, se
è uno dei tuoi scherzi giuro che..»
“ Hu-huuu,
Hu-huuu” e la netta sensazione di avere un peso
sullo stomaco e non in senso metaforico.
Fu solo e unicamente
allora che Dean, spazientito, aprì il suo sguardo.
A quindici centimetri
circa dalla sua faccia, nel buio totale, lucenti e enormi, splendevano
due spalancati occhi azzurri.
«
Hu-Hu. »
«
FIGLIO
DI P-
»
La velocità
con cui Sam Winchester, tre stanze e due porte chiuse più in
là, era saltato fuori dal letto e aveva preso la pistola
poteva essere paragonata solo a quella di un leone che si lancia su una
gazzella grassottella dopo una settimana in cui non ha visto altro che
erbetta.
Non poteva andare
tutto bene. Ovvio che no. In quale misero angolo del loro cervello lui
e Dean avevano davvero pensato di poter passare tranquillamente la
notte!?
Un solo calcio dato
con forza e precisione e le giunture della porta della camera
del fratello saltarono, permettendo a Sam di fare irruzione, i denti
stretti e la pistola puntata.
« DEAN! COSA
STA SUCCENDEND- »
« STRONZO,
CHE SCHERZO DI MERDA SAREBBE QUESTO!? »
Sarebbe mentire dire
che Sam, al notare che suo fratello maggiore non era in piedi e pronto
a combattere, ma spalmato contro la testata del letto nella posa tipica
di qualcuno che si era ritrovato a saltare di colpo almeno
cinque centimetri buoni rimanendo seduto e subendo una spinta dal basso
verso l’alto detta “spavento”,
non lasciò che sul suo volto di dipingesse
un’espressione mista tra confusione, incredulità e
qualcos’altro già ben espresso dalle sue
sopracciglia aggrottatesi l’una contro l’altra.
Così come
lo sarebbe non ammettere che quando notò cos’era
che il braccio di Dean puntava, non poté non scoppiare in
una risata di pura derisione e cambiare espressione per la terza volta
nel giro di neanche due minuti.
Appollaiato sulla
collezione di porno cartacei del fratello, con gli occhi ancora fissi
su quest’ultimo e le piume arruffate, stava una delle
più peculiari delle creature della notte.
«
P… Perché hai un gufo in camera!?
»
« SECONDO TE
LO SO?! »
Dean non si trattenne
dall’urlare, imbestialito. Non era stato un caso a svegliarlo
l’unica mattina in cui avrebbe potuto dormire fino a tardi,
ma un maledetto uccellaccio che non si sapeva come e quando cazzo fosse
entrato nel bunker. Sam si asciugò gli occhi dalle lacrime
che le risate a crepapelle gli avevano provocato e, mollando la
pistola, fece per avvicinarsi alla bestiola, la quale non si
lasciò intimorire, ma guardò con attenzione
scrupolosa la fin troppo grande mano che gli si stava avvicinando.
« Questo
è strano. Nel senso- è un bunker sotterraneo,
è- assurdo che sia arrivato qui dentro! »
« Sei sicuro
che sia un gufo vero? »
Chiese Dean, cercando
di riassumere un’aria composta e, in parole povere,
“da figo”, cosa che fece tornare il minore a
soffocare ennesime risate. Peccato solo che anche questo tentativo
risultò vano nel momento in cui il naso di Sam si storse in
virtù di un odore molto poco piacevole e automaticamente
cercò nella scatola –non stiamo a ripetere cosa
essa contenesse- su cui il volatile si era appollaiato.
« Beh,
intanto abbiamo la certezza che svolge i suoi bisogni
fisiologici.»
«
… No. NO! LA MIA COLLEZIONE! »
« Bel colpo,
cucciolo. »
Alle ore 10.30 del
mattino tutti i test erano stati fatti: non si trattava di nessun
mostro di specie nordica o inglese o ancora teutonica, non un demone,
non un famiglio, non un mutaforma. Il gufo era, semplicemente, un gufo
e ora se ne stava a picchiettare il becco con entusiasmo contro un
pezzo di pane in cassetta e un po’ di foglie
d’insalata.
Sopra di lui, lo
sguardo di Dean Winchester lo giudicava.
« Ieri sera
c’era un tempo da lupi, ora che ci penso.»
Iniziò Sam, non badando alla faccia imbronciata che il
maggiore –sì,
il maggiore, ripetiamocelo un paio di volte che in certe occasioni
è parecchio difficile da tenersi a mente-
rivolgeva all’animale. « Molto probabilmente ha
sentito il calore del bunker ed è riuscito ad infiltrarsi in
qualche modo.»
«
Già. Ci è riuscito e ha cagato sopra la mia
collezione.»
A questo giro Samuel
non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sospiro; era
il- quanto? Ventesimo commento infantile che sentiva su quella povera
bestiola che altro non aveva fatto che cercare un po’ di
calore? Ormai aveva perso il conto.
«
C’è riuscito perché da qualche parte
c’è un buco. Quindi io ora vado a fare un bel
giretto e controllo. Tu resta qui.»
Dean si
voltò di scatto verso il fratello, ormai già con
i piedi sui primi gradini delle scale.
« Col
gufo!?»
« Col
gufo.»
«
Perché diavolo non puoi restarci tu e lasciare che sia io a
controllare? »
« In primo
luogo: controllerò subito i posti alti e per far
ciò io sono indubbiamente più adatto.»
«
Fottiti.»
« In
secondo: prima ho cercato di prenderlo e non ci sono riuscito, invece
da te si fa toccare. Gli resti simpatico, guarda, è davvero
interessato a te. Vuole starti vicino.»
Dean aprì
bocca per rispondere, ma non trovò le parole: doveva
veramente commentare sul fatto che suo fratello Sam ora capisse e
comprendesse i gufi? Ringhiò una qualche battuta sul tema
del Doc. Doolittle e tornò quindi a sedere composto
–per quanto si potesse parlare di postura nel suo caso,
certo.
«
Hu-hu.»
L’uccellaccio
era di nuovo a dieci centimetri dalla sua faccia.
« Senti, coso.»
Iniziò, ponendo le premesse di quello che pareva un perfetto
discorso in stile Dean Winchester. « Io ora vado a farmi una
doccia, prendo qualcosa da mangiare e guardo un film. In tutto questo
tu rimani lì, dove sei ora, a picchiettare la tua lattuga
esattamente come fa Sam a ogni pasto. Chiaro? »
«
Hu-Hu.»
«
Bene.» Disse quello che pochi minuti prima aveva dato al
fratello del Dottor Doolittle, prima di alzarsi facendo grattare la
sedia contro il parquet (
i tuoi avi, Uomini di Lettere che hanno costruito e speso fior di
denari nel bunker, ti ringraziano dalla tomba, o giovane
Winchester ) e dirigersi verso il bagno.
Ingenuo a pensare che
fosse finita lì? Abbastanza. Ma questo lo capì
soltanto quando, messo a tacere il doccino e asciugatosi la faccia, si
accorse di due occhi azzurri che lo spiavano dall’anta di
cristallo della doccia.
«
Hu-hu.»
« Cristo.»
Scacciarlo con una
frustata di asciugamano fu totalmente inutile. Anzi, dopo un breve
volo, la creaturina si posò, agitando le ali scure, sulla
spalla nuda dell’uomo.
«
Hu-hu.»
« Questa non
è una guerra che vincerai, bestia.»
Cinque stanze e sei
soffitte più tardi, Sam ancora non aveva trovato nessun
maledetto foro, non una cavità che avesse permesso al
cucciolo di gufo d’infilarsi nell’accogliente
bunker, anzi, direttamente nella camera di suo fratello e sfuggire alla
notte tempestosa. Colto dalla disperazione di chi non sapeva dove
andare più a sbattere la testa e con i vestiti sporchi di
polvere centenaria, Samuel aveva deciso di scendere, piuttosto che
salire, e controllare le tubature, per quanto l’ipotesi che
l’animale avesse strisciato per i condotti fino a sbucare
all’interno gli sembrasse più degna di un cartone
animato che d’altro. Peccato che avessero avuto esperienza
anche con quelli. Già.
Steso sul pavimento
freddo sotto un fior fiore d’intrecci di grossi tubi di
metallo grigio, Sam si rese conto che essi, oltre all’aria
calda, portavano notizie dalle altre stanze. Un tempo quello poteva
essere un ottimo stratagemma per controllare ciò che gli
altri Uomini di Lettere stavano facendo, se fosse in corso o no una
qualche trama cospiratoria…
In quel momento,
però, l’unica cosa che si sentiva era il continuo
imprecare di suo fratello Dean, il bubolare pacato del gufo e ancora
imprecazioni. Subito a seguire sbattere di porte e di finestre,
rifrullo d’ali piccole e “Cazzo,
esci, torna tra i boschi!” o “Staccati dalla mia
camicia!” oppure “Si può
sapere perché non te ne vai, oh?! Bestiaccia del..”,
per poi tornare ai classici “Adesso
mi hai veramente fatto…” e un
preoccupante
“Vuoi passare alle maniere forti!? Bene!”
Subito a seguire di
quella frase Sam udì con terribile chiarezza il rumore della
canna di una pistola. Non fece nemmeno in tempo ad aprire bocca che
l’eco dello sparo fece tremare ogni tubatura.
Con gli occhi e i
denti stretti, aspetto che il rimbombare del colpo cessasse e rimase in
silenzio per circa cinque minuti.
Silenzio.
Silenzio.
…
“
Hu-Huu! ”
“
Figlio di putt.. “
Con un lungo sospiro
di sollievo, Sam Winchester ricominciò a controllare.
Quando
finì la sua ispezione, l’orologio ormai batteva le
undici. Riemerso dalle profondità del bunker senza aver
trovato assolutamente nulla e con ancor più dubbi rispetto a
prima, il minore dei fratelli si passò una mano tra i
capelli, cercando di ridare a essi un aspetto quantomeno ordinato, e
raggiunse il salotto. Ad aspettarlo c’era quello che, a conti
fatti, si poteva definire un armistizio.
Suo fratello Dean
stava stravaccato sul divano, le braccia sullo schienale. A poca
distanza da lui, ben artigliato ad un inutilizzato portacenere sul
tavolo di mogano che il biondo usava principalmente come poggiapiedi,
il gufo taceva, formando una palletta di penne morelle.
«
Hey!»
«
Mh.»
« Tu e Cas
state facendo amicizia, allora.»
Ci vollero solo quelle
tre lettere per far sì che Dean distogliesse
l’attenzione dal film western e guardasse con aria
interrogativa ( un modo più elegante per definire uno
sguardo da
“cosa cazzo stai dicendo” ) il
fratellino.
« Scusa?
»
« Cas. Il
gufo!»
La locuzione implicita
di prima non si tolse dal viso di Dean, anzi, si accentuò
senz’ombra di dubbio. Sam, tuttavia, insisté,
indicando il piccolo volatile.
« Occhi blu
fin troppo grandi, mezzo spettinato, stranamente legato a te. E’ Cas.»
« No che non
lo è. L’unica cosa che hanno in comune
è essere dei pennuti.»
« Oh,
avanti, sii obbiettivo e guardalo! »
Dean ebbe dei seri
problemi a controbattere, questa volta. Il gufo, finito di picchiettare
col becco l’hamburger che il Winchester aveva abbandonato sul
tavolo, era tornato a guardare con comica e spietata attenzione il film
durante la scena in cui la giovane indiana e lo sceriffo che
l’aveva appena salvata si baciavano appassionatamente. Dean
non poté fare a meno di deglutire quando, sotto i suoi
occhi, l’animaletto strinse le palpebre e piegò il
collo tutto su di un lato.
In tutto questo, Sam
si limitò a proferire, con la solita faccia da stronzo che
si metteva addosso ogni qualvolta riusciva ad averla vinta contro
l’altro:
« Visto? Che
ti dicevo io, è Cas.
Comunque io ora vado a
farmi una doccia, vi lascio a divertirvi. »
E così
avrebbe dovuto essere, peccato che, senza volerlo, Sam avesse permesso
ai pensieri di tornare ad affollare la testa di Dean, che, in un gesto
secco e non premeditato, si ritrovò a estrare il cellulare
dalla tasca.
Sospirò,
cento e più sfumature di una preoccupazione che, se proprio
doveva, preferiva mostrare in una rabbia repressa sulla faccia, tra gli
occhi e le labbra tirate. Il gufo lo fissò con fare curioso.
Prima che potesse
rendersene conto, Dean aveva posato i gomiti sulle gambe e ricambiava
lo sguardo della creatura.
« Hey, Cas.
Tu al tuo omonimo ci somigli solo per gli occhi e perché non
capisci le scene d’amore nei film oppure anche a
bastardaggine? »
«
Hu-Hu.»
Mostrò lo
schermo del telefono al rapace, che strizzò un poco gli
occhi a causa della troppa luminosità.
« Dodici
chiamate senza risposta. Sette messaggi vocali. GPS
inesistente. Nemmeno lo straccio di una risposta.
Questo a casa mia
è essere dei bastardi.»
«
Hu-Hu.»
« E andiamo,
cazzo! Il cellulare per cosa lo usa, per le chiamate erotiche e giocare
a puzzlebubble-? Sa fare anche le foto, adesso, dai. Dove devo andare a
cercarlo, su
instagram!? »
«
Hu-Hu.»
« Hashtag: “coglioneconleali”.
Lo trovo subito. Che fa, sta su facebook a fare lo scapolo
d’oro? Ottimo, come se l’ultima persona che ha
tentato di abbordarlo non l’avesse pugnalato. E’
addirittura più sfigato di Sam in quanto a relazioni, non
credevo fosse possibile. »
«
Hu-Hu.»
«
L’ultima volta che ci siamo incontrati ho fatto in tempo solo
a farmi stritolare un braccio e “Dannazione
Dean”. “Dannazione,
Dean”! Come
se non avesse copiato questo modo di dire da me! Perché lui
fa “Dannazione,
Dean”, ma poi sparisce nel nulla. E allora
fanculo, “Dannazione” lo dico io a lui e basta, non
lui a me. Dannazione.»
«
Hu-Hu.»
« Quella sua
testa di merda ha intrecciato le peggiori strategie. Si può
sapere cosa non gli fa capire che mi sto preoccupando per-»
«
Hu-hu, Hu-HU!»
«
… cosa.»
Esattamente a sette
centimetri dal suo fianco destro, Dean notò ciondolare il
lembo di un’impermeabile.
«
… Dean. Perché stai parlando ad un
rapace?»
«
FIGLIO DI P- »
Per la seconda volta
nella giornata, il momento di relax di Sam venne interrotto dalle urla
del fratello. Ma questa volta aumentò
l’intensità del getto del doccino e fece finta di
non sentire.
Anche Dean si
ritrovò a fare qualcosa una seconda volta
all’interno dello stesso giorno, ovvero saltare cinque
centimetri buoni sotto lo sguardo impassibile di due pupille azzurre.
Certo, almeno questa volta aveva dei vestiti. Castiel, sempre
più confuso da quella situazione e dalle parole che aveva
sentito appena arrivato –che strami nomi andava
pronunciando?- continuò a fissare gli occhi verdi
dell’altro fino a quando a catturare la sua ancor
più dubbiosa attenzione non fu un bubolare.
« Scusa se
lo chiedo, ma perché c’è un..»
«
E’ entrato in camera mia questa mattina e non se ne
più andato. Sam gli ha dato anche un nome.»
«
Quale?»
«
…
Non importa. Tu
chiamalo gufo.»
« Non
è un gufo.»
Dean scattò
sul posto: lo sapeva! Lo sapeva che non era un semplice animale, che si
trattava di qualcosa di più, di-
«
E’ uno strix
aluco. Un allocco.»
Dean tornò
a sprofondare nel divano, la delusione dipinta in volto.
« Oh, questo
cambia proprio tutto.»
«
C’è differenza.»
Sì,
quello era un allocco e quello con l’impermeabile un
imbecille. Ecco dove stava la differenza. Castiel, al solito, non colse
il sarcasmo nelle parole di Dean e tornò a fissare il guf-
pardon, l’allocco. Si fissarono. Si fissarono. Si fissarono
ancora e ancora e ancora.
Senza alcuna logica
spiegazione, Dean si sentì a disagio.
« Dove hai
detto che l’avete trovato?»
« Non
l’abbiamo trovato. E’ lui che si è
intrufolato qui dentro.»
«
E’ che… non so. Più lo guardo e
più mi ricorda qualcuno.»
Dean rise, sardonico.
« Oh, prova a mettergli il tuo impermeabile.»
« Mh-? Oh- no. No, non sto
parlando dell’.. aspetto. E’ qualcosa di
più interno.»
« Ho
già saputo troppo su quel gufo, le sue interiora non
m’interessano.»
« Allocco,
non gufo.»
« Quello che
ti pare.»
Cadde il silenzio come
un elefante sui cristalli. Allora, Dean? Non eri tu quello
che poco fa raccontava al Cas pennuto di quante ne volesse dire al
Cas-un-po’-meno-pennuto? E adesso? Tacevi? O giovane Winchester, i tuoi avi
si vergognano di te per questa mancanza di coraggio nel loco che loro
hanno costruito. Ah, e anche per il parquet maltrattato.
Un grosso sospiro
gonfio il petto di Dean.
« Hey,
Cas.»
« Hu-hu.»
« Dimmi, Dean.»
Girarsi verso quella
duplice, agghiacciante, risposta fu la cosa più sbagliata di
tutte; lo capì nel momento in cui si trovò a
reggere lo sguardo ravvicinato e immobile di non due, ma ben quattro
paia d’occhi, due di quali stavano ora appollaiati con
nonchalance sul capo dell’angelo.
Lo sguardo verde
andò in alto, in basso, poi di nuovo in alto, per un momento
credé che le sue pupille avessero preso strade diverse.
Nuovamente, in un flusso bollente, sentì il nervosismo
salirgli fino al collo. A tutto c’era un limite e lo
strabismo era decisamente oltre.
« FATELA
FINITA!»
« Dean---!
»
«
Hu-huuu!!»
Lo scattò
che il braccio di Dean compié per colpire il gufo –l’allocco,
l’allocco!!- fu talmente forte da fargli perdere
totalmente l’equilibrio, e a nulla servì la mano
che aveva stretto intorno alla cravatta di Castiel per farlo rimanere
fermo, se non a trascinare l’angelo, sempre più
sbigottito, nel suo atroce destino. In tutto questo,
l’allocco Cas si levò in volo e, sbattute le ali
un paio di volte, planò via, sparendo dalla stanza. Sparendo
dalla casa.
Sam Winchester lo
incrociò mentre stava scendendo le scale. Lo vide entrare a
tutto spiano nella camera del maggiore; poi, silenzio. Okay, nuova spiegazione: in
camera di mio fratello c’è una sorta portale,
si disse, ma lasciò perdere, perché di
stramberie ne aveva avute anche abbastanza in una mattina sola.
Arrivò
in salotto e si ricredé.
In un arco di
silenziosi e disagiatissimi dieci secondi, Sam sbatté gli
occhi, arrossì, cercò di chiudere la mascella,
lasciatasi andare ad un cedimento volontario, la riaprì per
dire qualcosa e ne sentì uscire un rumore simile a quello
che fanno i gatti quando devono sputare un gomitolo di pelo.
Alzò quindi le mani sopra la testa, girò i tacchi
e tornò da dov’era venuto, badando di chiudere a
dovere la porta di camera sua. Nessun felino avrebbe mai potuto avere
la velocità che aveva avuto lui nel momento in cui aveva
visto suo fratello maggiore spalmato addosso a Castiel
–quello vero- sul divano del loro salotto.
Ulteriore rettifica:
era stato così veloce che nemmeno coloro che avevano
provocato tale scatto si erano effettivamente accorti della sua
presenza.
In tutta quella
ridicola situazione, Dean e Castiel altro non avevano fatto che
mormorare parole e mugolii in relazione alla testata che avevano
battuto, roba in grado di scindere gli atomi, e poi fissarsi da una
distanza non più breve di quelle che già si erano
ritrovati a condividere.
Com’era la
cosa? “Spazi
personali”, sì, giusto.
«
… Dean.»
«
… Eh.»
« Scusa se
non ho risposto alle chiamate. Devo aver fatto qualcosa al mio
telefono.»
« Questa
è la scusa più vecchia del mondo, Cas.»
« Non
è una scusa. Dice che devo chiamare Puk, ma non voglio.
Altrimenti mi fa chiamare solo il pronto soccorso.»
« Allora non
sei diventato un iphone-dipendente.»
« Dean.
Davvero. Mi spiace. Non volevo darti preoccupazioni maggiori di quelle
che già hai.»
«
… Ti sembra il momento giusto per dirlo?»
«
… non lo è?»
Il Winchester
sospirò; Iphone o Samsung, impermeabile nuovo e un
po’ più libertino, ma Cas era sempre il buon
vecchio Cas. Lo vide lanciare lo sguardo azzurrino un po’ in
là e in qua, per poi tornare a lui.
«
L’allocco è fuggito.»
« Meglio
così. Uno è abbastanza, due iniziano a essere
davvero troppi.»
« Non credo
di aver capito.»
« Non
importa.»
« Dean,
ascol-»
« Cas, dai,
ho detto che non importa.»
« Invece
sì che importa, Dean.
… Potresti,
emh,
togliere il tuo ginocchio dal mio-»
«
… Oh.
OH,
scusa-»
*
La prima cosa che
Balthazar fece, toccato piede in quella che ormai era diventata la
nuova base, ovvero un appartamento londinese appartenente al suo
tramite, fu sputare due penne nere. Qualcuno gliel’avrebbe
pagata molto cara per quello, carissima, e quel qualcuno, senza doversi
manco sprecare a trovarlo, era seduto a meno di due metri da lui, nel
bel mezzo del salotto, la tv accesa davanti e una busta di
caramelle praticamente vuota accanto.
« Hey,
già tornato?»
Esordì
Gabriel, rivolgendogli un sorriso smagliante. Avevano deciso d fare
coppia –coppia nel vero senso della parola, non come duo di
latinanti- da circa una settimana e mezzo e Balthazar se ne stava
già pentendo amaramente.
« Un
gufo.» Disse solo, lo sguardo ridotto a due fessure
sull’inferno. « Uno stramaledetto gufo.»
« Noo, un
alux stradis. Molto più carino.»
« Gabriel,
hai guardato la mia faccia? Non ti conviene scherzare.»
L’arcangelo,
trickster, Loki, Messaggero o come lo si voglia chiamare,
lasciò perdere il reality e
fece spallucce, cercando una precisa caramella
nell’assortimento.
« Hai detto
tu che volevi vedere cosa faceva Castiel senza farti notare. Quindi
trasformarti in un animale era l’unica opzione,
così come spedirti dai due fratelli porta-sfiga; mandarti
direttamente da Cassie sarebbe stato troppo evidente, non è
così tonto come sembra. E dato che Dean non sopporta
né cani né gatti ho dovuto ripiegare su
qualcos’altro.
Latte e miele??
Addolcisce.»
Balthazar non diede
considerazione al dolciume offerto e non demorse.
« Ma
perché un maledetto guf- NON IMPORTA se è un
allocco o quel che ti pare, io lo chiamo gufo. Dico, si può
sapere che hai fatto!? Ero totalmente incosciente.»
« Ammetto
che quello è stato un piccolo errore. Mentre ti trasformavo
mi sono distratto e ho pensato a Castiel e.. ops.
Sei sicuro di non
volerla, la caramella? E’ l’ultima, l’ho
conservata per te e mi è costato un certo sforzo. »
Balthazar
lasciò andare un lamento in quello che sembrò
inglese antico e si passò le mani sulla faccia con vigore.
« Come fa
Castiel a essere così in fissa con quel tipo. L’ho
seguito pure in bagno. Non mi toglierò l’immagine
dalla testa per un mese.»
Era bastata quella
fase perché la tv, improvvisamente, si spegnesse.
«
Beh,» fece Gabriel, mettendo da parte telecomando, caramelle
e quant’altro e liberando più spazio possibile sul
tappeto. « io scommetto che un modo per farti dimenticare ce
l’ho.»
Balthazar si tolse le
mani dalla faccia, decisamente interessato. Lo guardò, si
guardarono; i loro sorrisetti sardonici dissero tutto il resto.
Quella giornata stava
per avere dei risvolti interessanti.
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ps:
lo so che tutte avete invidiato quell'allocco.
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