LA
GUERRA DEI MONDI
DISCLAIMER: Vegeta, Bulma,
Crilin e Yamcha sono personaggi del manga Dragon ball di Akira Toriyama. Gli
altri protagonisti della storia sono invenzione della fantasia dell'autrice. La
presente storia non persegue scopo di lucro, e ogni riferimento a fatti o
persone realmente esistenti è puramente casuale.
Non
si dichiara intesa nessuna violazione delle norme riguardanti il diritto
d'autore.
E'
possibile utilizzare personaggi, trama o parti del testo solo con il consenso
dell'autrice.
CAPITOLO
1- INDIETRO
Le
fiamme lambiscono il terreno divorando piante e arbusti. Il quinto sole splende
alto e sembra voler mostrare all'universo l'accaduto.
Due
cadaveri riversi in terra, con le code tagliate che ancora si agitano
debolmente, fissano la città verso cui erano diretti quando il colpo li ha
raggiunti.
Riverso
in terra ma ancora vivo, Vegeta chiude gli occhi nel tentativo di pensare.
I
rumori gli giungono alle orecchie propagandosi nel terreno e sono rumori di
passi deboli.
Uno
scienziato si avvicina e lo prende per i capelli. Gli solleva il volto in
posizione innaturale.
-Respira
ancora- Vegeta lo sente dire, in direzione di altri passi che ora si avvicinano
anche loro.
Lo
scienziato è giovane ma ha mani esperte, lascia ricadere il volto in terra e
col lo stesso gesto gli solleva un braccio. L'arto ricade con un tonfo e Vegeta
vorrebbe urlare ma ha la bocca paralizzata.
Solo
un gemito strozzato gli esce dalla gola imprigionata nel corpo immobile e
impotente.
-Il
disgregatore di particelle ha funzionato perfettamente- dice ancora lo
scienziato. -E' cosciente ma il corpo non dà segno di potersi muovere.
Vegeta
vorrebbe alzarsi e strappargli la testa con un morso. Con un ultimo tentativo
prova a issarsi sulle gambe, ma è come se il corpo fosse fatto d'acqua. Niente
risponde ai suoi comandi.
Lo
scienziato dice ad altri uomini di sollevarlo e portarlo dentro.
Dentro
dove ha paura di saperlo.
Sente
le voci gentili ma fredde come il ghiaccio.
-Potrebbe
sempre tornarci utile.
---
La
macchina del tempo non era per niente lo scherzo che pensavo quando Trunks mi
aveva portato la copia del progetto.
-Mia
madre me l'ha dato prima di partire- aveva detto allungandomi un cilindro nero
di quelli per i progetti delle case -ha detto che ci ha messo anni a capire
come costruirla e risparmiarti la fatica poteva essere una buona idea.
Avvitai
l'ennesimo ingranaggio e uno schizzo d'olio mi colpì in centro al petto.
Il
progetto era ben chiaro, il metterlo in pratica lo era meno.
Fuori
dal laboratorio il sole splendeva nel cielo limpido di un nuovo inizio maggio.
Dalla finestra alle mie spalle la luce entrava come a voler illuminare
quell'invenzione degli dei.
Mi
sedetti sul poggia piedi della scala e mi scostai con il polso una ciocca di
capelli dalla fronte.
-Uff...
Guardando
quella macchina dalle fattezze familiari, il pensiero volò a Trunks e alla sua
impresa come un passaggio logico e necessario.
Riconoscevo
che l'essere felice mi aveva resa meno altruista della me stessa del futuro.
Avevo
aspettato anni prima di costruire quella macchina, presa com'ero dall'abituarmi
al pensiero che in un'altra dimensione sarei stata sola dopo lo scontro con i
cyborg, e invece Vegeta e i miei amici erano tutti sani e salvi.
O
meglio, quasi tutti.
Ma
un giorno di pochi mesi prima, scartabellando nell'archivio per cercare non so
più che cosa quel foglio dall'alto di uno scaffale mi era caduto in testa.
L'avevo preso con noncuranza per ricacciarlo nuovamente nell'armadio ma quando
l'occhio mi era caduto sulla dicitura del titolo "macchina del tempo"
mi ero fermata.
Guardai
fuori dalla finestra una rondine che passava.
Già,
per anni mi ero dimenticata di quel progetto.
E
il ricordo di Trunks mi aveva riscossa come una folata di vento gelido.
Gli
occhi dell'altro Trunks erano così tristi e così pieni di speranza che il solo
pensiero bastava a intenerirmi.
Non
fosse stato lui a darmi quel progetto, riconobbi che mai avrei costruito una
macchina per salvare un mondo che non era il mio.
Ma
il non ricambiare quel gesto d'amore era così meschino che persino io non
potevo esservi indifferente. Il nostro mondo era ancora in piedi grazie a una
me stessa che aveva imparato a vedere più in là della propria casa.
Della
propria dimensione, persino.
Quindi
a febbraio di cinque anni dopo la partenza di quel mio figlio che mio non era,
mi ero chiusa in quella stanza con il progetto e la determinazione di chi sa di
star facendo la cosa giusta.
E
quel giorno era la fine dell'avventura.
O
per lo meno della costruzione.
-Finalmente...
Dalla
tasca della tuta estrassi una sigaretta e l'accesi guardando fuori.
Il
giardino silenzioso diceva che non era ancora l'una e mezza. Avrei sentito
Trunks chiedere cosa c'era da mangiare, se fosse già stata l'ora della pausa
pranzo prima del pomeriggio di dopo scuola.
Scesi
dalla scale e uscii dal laboratorio.
Un
leggera sensazione mi fece voltare poco prima che lui parlasse.
-Devo
ripeterti per la millesima volta che quella roba ti distruggerà i polmoni?-
disse Vegeta passandosi un asciugamano sui capelli bagnati che avevano sempre
rifiutato phon e pettine.
Guardai
la sigaretta e mi resi conto della stanchezza che avevo in corpo dal poco
entusiasmo che provavo.
-Questa
me la devi far passare. Sto festeggiando la fine dell'impresa.
Vegeta
si avvicinò fermandosi sulla soglia del laboratorio. -L'hai finita?
Anuii
continuando a guardare la sigaretta che fumava. -Già...finalmente...
Il
mancato sonno dei tre giorni precedenti mi stava calando addosso come il
sipario di un teatro.
Smisi
di guardare la sigaretta solo quando sentii due braccia forti cingermi fianchi
e gambe per sollevarmi dal pavimento.
-Che
fai?-domandai con voce flebile.
Vegeta
si incamminò nel corridoio e riconobbi l'umido della asciugamano sulla sua
spalla sotto la mia testa. Piccole gocce d'acqua mi cadevano sulle braccia. La
sigaretta cadde in terrà e lì restò.
-Ti
porto a letto. Sembri un cadavere che cammina.
Mi
stava portando in braccio fino in camera da letto. Era una scena che poteva
essere di un film. Ancora più improbabile pensarla su di noi.
Se
l'altro Trunks ci avesse visto non avrebbe creduto ai propri occhi.
Ed
era grazie a lui e a un'altra me se tutto ciò stava accadendo.
-Il
cavallo bianco dove l'hai parcheggiato?-mormorai.
Immaginai
lo sguardo di Vegeta chinarsi su di me. -Cosa?
Appoggiai
la testa contro il suo petto. Con l'orecchio destro sentii il cuore battere.
-Niente,
era una battuta stupida.
Abbandonata
a quel suono dolce, mi addormentai tranquillamente.
---
Trunks
posò la cartella di scuola sul divano urlando un -Mamma! Sono a casa!- in
direzione della cucina. Si sfilò la giacca leggera dalla vita e l'appese ad una
sedia.
-MAM...
-Zitto
Trunks!
Trunks
si zittì vedendo Vegeta comparire all'improvviso sulle scale.
-Rimettiti
la giacca- disse Vegeta, infilandosi la maglia di una tuta. -Tua madre è di
sopra che dorme e sono tre giorni che non chiude occhio. Andiamo fuori a
pranzo.
Vegeta
uscì all'aperto senza aspettare il figlio. Giunto in cortile si fermò e guardò
l'albero cui stava appoggiato il giorno in cui aveva salutato l'altro Trunks.
La
macchina era finita.
E
lui era ancora lì.
Gli
sembrava passato un secolo da quei giorni, forse perchè nella tranquillità di
sapere di avere ancora tutto il tempo a disposizione le giornate erano scorse
un po' più lente. Per contro i tre anni in attesa di C17 e C18 erano stati
lunghi un giorno, scanditi da orari massacranti e giornate tutte uguali. Non
ricordava nulla di quei tre anni, a parte le parentesi del tempo passato in
compagnia di Bulma, mentre di quei 5 anni ricordava molte cose. Infinite gite
al mare, in montagna, giri alle giostre. Persino un giro per negozi, che non
avrebbe ripetuto.
Con
un moto di finta stizza Vegeta scacciò il pensiero delle vacanze con la
famiglia.
In
quel momento Trunks uscì saltellando e si chiuse alle spalle la porta a vetri.
-Andiamo
allo zoo?-chiese avvicinandosi, con aria speranzosa.
Vegeta
pensò a quanto quel bambino sembrasse un altro rispetto a Lui.
-Va
bene. Ma non pensare di entrare nella gabbia dei leoni come l'altra volta.
Padre
e figlio si avviarono nel vialetto.
Un
consueto ritratto familiare.
---
Il
locale in cui mi sveglio è buio e asettico come solo una prigione di Eos può
essere.
Sono
coricato su qualcosa che sembra acciaio. Caviglie e polsi fermati da quattro
anelli impernati nel piano grigio. Sul mio corpo avverto delle fasce, ma la
luce che ho puntata dritta in faccia mi impedisce di vedere.
Nel
locale sono solo.
Le
ossa sembrano rispondermi.
Ma
adesso il problema non sono loro.
Sono
davvero incatenato.
---
Quel
pomeriggio dormii profondamente e feci dei sogni che non ricordo.
Erano
le sette e mezza quando il torpore mi abbandonò e aprii gli occhi vedendo il
soffitto della camera da letto.
Indossavo
la canottiera e un paio di pantaloncini di quelli che Vegeta utilizzava per
allenarsi. Doveva avermi svestita e rivestita con quel che c'era in giro, nel
timore di svegliarmi col rumore delle ante dell'armadio.
Mi
stiracchiai sbadigliando con un sorriso sulle labbra.
Era
davvero bella, la mia vita.
Ero
tentata di non alzarmi ma il pensiero di rimanere sveglia per la notte intera
mi spinse a trascinarmi giù dal letto e buttarmi sotto la doccia.
Lasciai
che l'acqua calda lavasse via ogni residuo di sudore, stanchezza e sonno. Sotto
il getto dell'acqua bollente sollevai il viso e chiusi gli occhi.
Chi
ci avrebbe mai scommesso, che dopo sette anni saremmo stati ancora lì?
Probabilmente
nemmeno io ci avrei scommesso, quando ero rimasta incinta, infatti, non avevo
neanche considerato l'idea di chiedere a Vegeta quale fosse il suo cognome.
Era
chiaro che quel figlio sarebbe stato solo mio.
E
il tempo aveva deciso che il mio pensiero era un errore.
Mi
vestii con calma già sapendo che Vegeta doveva aver portato Trunks in giro. In
casa non si sentiva alcun rumore. Pensare a Vegeta con Trunks al parco mi
faceva ridere e sorridere al tempo stesso.
Una
scena così assurda che era troppo bella per non pensarci.
La
macchina del tempo era ancora lì, con la scala montata al lato e il mozzicone
di sigaretta nel corridoio dell'entrata.
Mi
avvicinai a piedi scalzi.
Vista
da sotto non c'è che dire, era quanto di più bello la mentre umana potesse mai
pensare. E saperne le potenzialità la rendeva davvero la macchina degli dei.
Gohan
si era proposto di utilizzarla al più presto una volta ogni 6 mesi, l'avrebbe
fatto più spesso ma quelli erano i tempi di ricarica. Chichi non aveva
acconsentito, ma su quella storia il figlio non aveva accettato nè ma nè se.
Decisi
di chiudere il portello e dare una pulita all'abitacolo, cosicchè fosse pulita
e pronta già per l'indomani.
Lasciandomi
scendere sul sedile presi uno straccio e una soluzione lucidante per il vetro.
Non
mi accorsi della macchia d'olio che aveva lasciato sul bordo della chiusura un
residuo nero e scivoloso. Solo quando il mio piede perse aderenza e caddi in
avanti aggrappandomi al portello circolare, mi resi conto della macchia.
Ma
in quel momento tutto divenne buio e svenni.
--
Jasper
stava attraversando la landa verde verso la città del Blu, quando la macchina
apparve dal nulla e si schiantò a terra con un tonfo sordo.
Dopo
alcuni secondi di silenzio, Jasper si avvicinò sperando che non fosse un altro
Sayan.
Ne
aveva già visti troppi un giorno solo.