34 chap
Narnia's
Rebirth 50th Chapter
Calls
Me Home - Shannon LaBrie
. .
._
._
A
quella meraviglia della Kiks,
allo
splendore che è Chica,
alla
mia fantastica muirnín.
_
_
Sul
limite esterno del promontorio su cui sorgeva il castello di Telmar,
ad un soffio dallo strapiombo che si gettava nel Grande Fiume
accarezzato dal sospiro di libeccio che spirava da est, Aslan
rifletteva.
La
folta criniera s’intrecciava ai capricci del vento, giocoso e
frizzante, ma nient’altro in lui si muoveva. Il suo sguardo,
attento e profondo, seguiva con interesse le minuscole figure delle
persone che, lentamente, si stavano assiepando nella piazza
principale della cittadella, invisibile ai loro occhi almeno quanto
l’aria fresca del mattino.
-Che
cos’hai in mente, Aslan?-
La
voce pacata di Mirime non turbò la profonda meditazione in cui
era assorto il Grande Leone; tutt’altro. Il suo volto
imperscrutabile si distese in un sorriso sereno quando si volse per
accogliere l’arrivo, non del tutto inaspettato, della più
antica delle sue Figlie.
Mirime
aveva rinunciato in fretta all’abito di impalpabili sete
argentee che era stato confezionato per lei dai sarti di corte in
occasione del ballo – suo padre sapeva bene che lei non
apprezzava affatto le occasioni mondane e l’inevitabile
scomodità dei vestiti richiesti, eppure l’aveva trovata
estremamente elegante in quel modello semplice, dalle maniche
voluttuose e spiraleggianti quanto i venti onnipresenti che
s’intrecciavano ai suoi capelli altrimenti lisci e immoti. In
quel momento, infatti, l’Ancella dell’Aria era avvolta in
una delle tuniche incrociate che tanto apprezzava e, stranamente, un
paio di stivaletti le calzavano i piedi solitamente nudi, fasciando
la calzamaglia sino alla caviglia sottile.
Aslan
non le rispose subito, preferendo seguirne lo sguardo ambrato che,
dopo avergli scoccato una lunga occhiata, si volse in direzione delle
grandi porte del castello: erano apparsi due cavalieri sul ponte
levatoio e, immediatamente, la pleiade riconobbe la scapigliata
chioma fulva del più minuto fra i due.
-Li
hai convocati tu.- rifletté, scorgendo Siria illuminarsi
quando si voltò verso Caspian che, sereno, le cavalcava
accanto.
Aslan
tacque ancora, immerso in se stesso, mentre il Sole procedeva
pigramente lungo il suo ciclico sentiero, tracciato in quel pallido
cielo migliaia di anni prima – ed era stato proprio lui,
allora, a disegnare il cammino di quell’eterno viandante.
Spazientita,
la pleiade abbandonò il sostegno delle sue correnti e posò
i piedi a terra, affiancando il padre su quell’altura baciata
dal tepore della timida alba settembrina.
Le
giornate tornavano ad accorciarsi in quel continuo mutare, e
l’autunno aveva già cominciato a tingere gli alberi
d’oro e di scarlatto: la foresta che si stendeva attorno alla
cittadella telmarina era uno spettacolo di sfumature e d’audaci
giochi di colori nel bagliore del mattino, e Mirime avvertì il
sospiro che fremette nelle chiome, raccolto dai venti, quando la
Custode della Terra fece capolino dall’eterna penombra del suo
amato bosco.
Anche
Talia era fuggita dal ballo,
notò Mirime con un mezzo sorriso, distinguendo l’imponente
figura di Caleb e quella minuscola di Tara apparire dal buio poco
dopo la comparsa della mezz’elfa. Anche loro, come Siria e
Caspian, si avviarono in direzione della piazza centrale; due alberi,
intrecciati l’uno all’altro sin dalla nascita e maestosi
nella loro semplicità, erano perfettamente distinguibili anche
da lì, a ridosso dello strapiombo che si affacciava sul fiume.
Poco
dopo, uno scintillio conosciuto attirò l’attenzione
della ninfa su quelle acque perennemente tumultuose: la corte della
Sovrana delle Naiadi emerse dalle correnti, assumendo gradualmente le
fattezze umane a cui ormai, probabilmente, si era abituata. Shaylee –
cupa in volto come Mirime non credeva di averla mai vista –
fu la prima a toccare terra e a terminare la mutazione; si rassettò
la semplicissima tiara – un semplice cerchio d’oro ornato
da uno zaffiro centrale – sulla fronte, impugnò lo
scettro e rizzò le spalle, ostentando una calma che
probabilmente non possedeva.
Aysell
non aveva passato la notte con le sue simili, ma questo non sorprese
affatto la pleiade; la scorse inciampare sui ciottoli della salita
che conduceva alla piazza e ridacchiò, incapace di
trattenersi, quando la profonda irritazione della Guardiana increspò
appena i suoi pensieri, tanto abituati a cogliere ogni sfumatura
dell’umore della bionda.
Aysell
non era contenta di essere stata svegliata presto e lo fu ancora meno
quando, superata la folla che si stava lentamente assiepando,
raggiunse gli alberi intrecciati e si trovò davanti i Pevensie
al completo accompagnati da Cornell, Trumpkin, Tartufello e
Reepecheep.
“Stai
buona”,
le sussurrò, e vide la piccola naiade sobbalzare quando un
soffio di vento le arruffò giocosamente i capelli,
distraendola dal sanguinario proposito di porre fine all’esistenza
di un Peter Pevensie evidentemente già tormentato abbastanza,
a giudicare dalla sua espressione funerea.
Anche
Aaron, il fratello di Siria, era già là. Teneva lo
sguardo fisso sull’orizzonte lontano e le braccia rigidamente
incrociate sul petto mentre Susan Pevensie, non meno tesa, quasi non
respirava nel tentativo di mantenere l’espressione impassibile.
Mirime,
turbata, si strinse le mani affusolate sulle spalle. “Quanti
amanti costretti a dirsi addio…”
Come
se avesse udito quel pensiero, Aslan prese un profondo respiro e
socchiuse gli occhi nella luce opalescente del mattino. -Ogni
avventura ha una fine, Mirime.- le ricordò, paziente, ma la
pleiade scosse la testa e gli scoccò l’ennesima
occhiataccia.
-Questa,
però, li ha cambiati troppo perché tu possa
semplicemente rispedirli indietro.- obiettò, anche se sapeva
quanto quella si sarebbe rivelata l’ennesima discussione
sterile ed irritante: Aslan seguiva regole che lei, seppur tanto
saggia e antica, non avrebbe mai potuto comprendere né
conoscere appieno – regole che non approvava e che non aveva
alcun interesse a fare proprie, oltretutto.
-Non
appartengono a Narnia, e tu lo sai bene.-
Bugia.
I
Pevensie appartenevano a Narnia forse più di qualunque altro
essere umano avesse mai messo piede in quella terra – forse
persino più di Digory e Polly. I due Figli di Adamo e le due
Figlie di Eva avevano combattuto più volte per quel regno,
portando ai suoi abitanti pace e prosperità per quindici anni;
erano tornati per Narnia, perché il loro aiuto era
stato richiesto e loro, come già una volta avevano fatto, non
si erano tirati indietro.
Lei
c’era stata, e non avrebbe mai potuto dimenticare la gioia e la
bellezza della Narnia dei Pevensie.
-Non
sono d’accordo.- replicò, senza dar voce ai propri dubbi
e alla propria frustrazione. Aveva parlato più volte ad Aslan,
implorandolo di riportare Peter e i suoi fratelli a Narnia quando i
telmarini avevano cominciato a sterminare il popolo magico e avevano
costretto la magia a celarsi in se stessa pur di sopravvivere, ma ciò
che aveva ottenuto in risposta a quelle suppliche erano sempre stati
silenzi e frasi criptiche che, dopo tanti secoli, lei non era più
disposta ad accettare.
I
silenzi di suo padre avevano portato le pleiadi al sacrificio
supremo.
Per
proteggere la scintilla di coscienza e di magia nel cuore dei
narniani sopravvissuti e per impedire che gli animali regredissero e
trascinassero con sé – nell’incoscienza della loro
essenza più primitiva – la speranza di una rinascita, le
ninfe dei venti montani avevano rinunciato alla propria vita e
avevano compiuto un atto di profondo eroismo nei confronti della
terra che avevano protetto dall’alba dei tempi: Mirime non
avrebbe mai potuto dimenticare il dolore che, ancora oggi, portava
nel cuore nel sapere che non avrebbe mai più rivisto nessuna
creatura della sua specie… perché se avesse potuto,
allora, avrebbe preferito andarsene con loro piuttosto che rimanere e
soffrirne la perdita per l’eternità – ma no, lei
era rimasta in vita secondo il volere di Aslan: era sopravvissuta,
intrappolata nella protezione di suo padre ma distante dalla vita che
scorreva rapidamente dinanzi ai suoi occhi, nell’abbraccio dei
suoi venti in cui l’essenza delle pleiadi si era perduta per
sempre.
Amore.
Il
sacrificio delle ninfe era stato un gesto d’amore… lo
stesso amore che aveva intrecciato i destini delle persone che, ora,
Aslan sembrava intenzionato a dividere per sempre.
Un
moto di rabbia – una rabbia profonda, ancestrale, con cui
Mirime aveva ormai imparato a convivere da tanto tempo – le
fece stringere i pugni, vibrando nel sospiro di tramontana che tremò
visibilmente attorno alla sua figura snella.
Aslan
aveva chiesto ai suoi diletti più impegno, dedizione e fiducia
di quanti lui ne avesse mai dimostrati in cambio; con che coraggio,
adesso, voleva imporre le sue stupide leggi con quella calma
innaturale che lei trovava tanto intollerabile?
Era
stanca, stanca di seguire le regole di Aslan: aveva passato
un’eternità in solitudine, si era ritrovata separata da
tutti coloro che le erano stati cari – aveva potuto soltanto
guardare da lontano il mondo che amava sgretolarsi e
rivoltarsi contro se stesso, le sue sorelle rischiare la vita più
e più volte, soffrire e piangere lontano da lei…
ed ora lui voleva costringere anche altre persone a vivere il suo
stesso tormento, la sua medesima agonia?
Se
il sentimento era sincero, dettato dal cuore, chi era suo
padre per porre fine ai legami che si erano creati durante quel lungo
anno che i Pevensie avevano passato a Narnia?
Lei
li aveva osservati durante quel periodo, più attentamente di
quanto in realtà avrebbe potuto fare secondo gli ordini di
Aslan – aveva anche tentato di intervenire, per quanto le
fosse possibile da quella distanza immensa, quando le sue amiche si
erano trovate in pericolo – e non riusciva a comprendere
come quel gattaccio rognoso fosse diventato tanto cieco da non vedere
quanto i destini dei suoi protetti si fossero irrimediabilmente
intrecciati l’uno all’altro.
Il
suo guerriero più fidato aveva trovato qualcuno da amare e che
lo contraccambiava, ed Aslan sapeva quanto questo fosse un
avvenimento poco lontano dall’avverarsi di un miracolo. Portare
Peter via da Narnia, strapparlo alle braccia della donna che aveva
sconfitto se stessa e le proprie paure pur di rimanergli accanto, le
sembrava un affronto troppo spudorato nei confronti di colui che era
stato il Magnifico Re dell’Età dell’Oro.
Anche
i cuori acerbi di Edmund e Tara meritavano almeno la possibilità
di nascere, di fiorire nell’affetto e, chissà, forse in
qualcosa di più profondo e duraturo: il più Giusto dei
Re aveva trascorso tanti anni a rimproverarsi gli errori compiuti da
bambino e, Mirime ne era convinta, aveva diritto di trovare un poco
di serenità e di spensieratezza – magari proprio con
quella ragazzina che, in mezzo alle brutture e allo squallore dei
bassifondi che l’avevano partorita, era riuscita a mantenere
intatta la propria spensieratezza di fanciulla.
Persino
Susan – “la Dolce dal cuore freddo” l’avevano
cantata i fauni, secoli addietro – era stata in grado di
aprire il proprio cuore all’amore! Lei, che da tempo immemore
si presentava tanto algida e terrorizzata dall’idea di perdere
il controllo delle proprie emozioni… come poteva essere tanto
crudele, Aslan, dal volerla dividere da Aaron? Allontanarla da lui
avrebbe significato infliggerle una ferita tale da spezzare per
sempre ogni speranza e serenità nella sua anima…
Si
costrinse a respirare, cercando in sé quella calma che,
tuttavia, sembrava mancare all’appello.
Lei
aveva trascorso secoli e secoli in quel modo indegno che Aslan voleva
imporre a quei poveri ragazzi – no, era sbagliato, era
dannatamente sbagliato! Con quale coraggio si proclamava
giusto e amorevole, lui, per poi decidere di infliggere tanto
dolore a__
“Va
tutto bene.”
Quasi
sobbalzò, la pleiade, quando le voci di Talia, Siria ed Aysell
sfiorarono la sua coscienza in tumulto.
Chiuse
gli occhi, scoprendosi scossa da un tremore furibondo che non aveva
avvertito strisciarle dentro con l’infida eleganza di una
serpe, cercando disperatamente il contatto, a lungo negato, con
quelle anime piene d’amore e d’amicizia; il calore del
Sole sembrò nascerle dentro nell’istante in cui
l’affetto di Siria la toccò, avvolgendola nell’abbraccio
caldo e pieno d’amore che Mirime riconobbe per quello della
bambina che tante volte aveva cullato per proteggerla dagli incubi.
In
quel tiepido vento di fine estate, che spirava incessantemente dentro
di lei, il profumo delle montagne e dei fiumi s’intrecciò
delicatamente alle sue normali percezioni con tanta familiarità
da farle salire le lacrime agli occhi: Aysell, più dolce di
quanto potesse sembrare ad un primo sguardo, aveva nell’anima
lo stesso profumo dei monti fra cui Mirime l’aveva cresciuta e
fra cui avevano vissuto molti anni di serenità; udire per
qualche attimo il canto dei ruscelli e delle fonti d’acqua le
strappò un sorriso – tremulo, incerto, ma pur sempre un
sorriso.
I
petali delle stelle alpine, che mai sarebbero potute nascere in quel
clima mite, le solleticarono le caviglie attraverso la stoffa sottile
della calzamaglia e le s’attorcigliarono giocosamente ai
polpacci snelli. Sentì il volto scaldarsi quando l’ironia
e la giocosità di Talia la travolsero, spazzando via le nubi
dai suoi occhi di topazio e riempiendole l’anima del profumo di
quei fiori che Mirime conosceva e amava da tantissimo tempo.
Avevano
capito.
La
furia che la ninfa provava svaporò nello stesso attimo in cui
comprese che le sue amiche avevano colto il vero motivo della sua
rabbia, il significato celato dei suoi pensieri.
Con
una semplicità commovente le sue sorelle le avevano trasmesso
la consapevolezza che mai più sarebbe stata allontanata da
loro – che condividevano la sua rabbia e la capivano come mai
nessuno aveva potuto fare, che le erano accanto e che nessuna di loro
sarebbe più rimasta sola.
Le
sue sorelle.
Mille
volte mille anni sarebbero potuti passare, ma Mirime non avrebbe mai
potuto perdonare Aslan per averla tenuta lontana tanto a lungo dalle
sue sorelle.
-Tu
credi troppo fermamente nell’amore per permettere tutto questo,
Aslan.- mormorò, dando le spalle al paesaggio mozzafiato che
si stendeva ai loro piedi per fronteggiare apertamente quel padre
sempre tanto criptico, sempre infinitamente silenzioso.
Aslan,
difatti, tacque. Si limitò a sorridere mentre si alzava sulle
zampe, scuotendo un poco la criniera nell’aria tiepida che
spirava dal fiume, rivolgendole un cenno e allontanandosi prima che
Mirime potesse protestare.
Lei
sbuffò, spazientita: era stanca dei silenzi, dopo una vita
passata a tesservi la propria esistenza solitaria, ma sapeva che il
padre non sarebbe mai cambiato; si limitò quindi a
massaggiarsi le tempie, esausta da quella lotta di misteri e di
verità sbocconcellate, prima di decidersi a seguirlo per
raggiungere la piazza e le sue sorelle.
.
.
.
Caspian
strinse con forza la mano sulla spalla di Siria quando, in un
fruscio, sua zia Prunaprismia ed il padre sparirono, assieme al
cuginetto infante, al di là del portale che Aslan aveva aperto
fra i due alberi apertisi ad arco.
Un
coro di esclamazioni sorprese, attutite dal timore reverenziale che
il Grande Leone sembrava incutere nei telmarini, serpeggiò fra
i cittadini; qualcuno, più coraggioso degli altri, alzò
la voce per esprimere il dubbio che sembrava accomunare tutti quegli
spettatori ignari della correttezza quasi maniacale di Aslan.
-Come
facciamo a sapere che staranno bene?- domandò e, in seguito a
quella richiesta, altre voci si levarono per esprimere i propri
timori e la propria diffidenza.
-E
se fosse solo un tranello?-
-E
se fossero già morti?-
Il
giovane Re avvicinò a sé la propria compagna quando, in
risposta all’astio e alla paura che sentiva vibrare negli animi
dei telmarini, la avvertì irrigidirsi e tentare di nascondere
un brivido che lui, tuttavia, riuscì a cogliere.
Siria,
grata, si accoccolò nell’incavo del suo braccio,
respirando profondamente e tentando di sottrarsi all’istintivo
terrore che le era nato dentro nell’udire il vociare della
folla – troppe volte, nella sua vita, quell’ostilità
era stata preludio di dolore e di sofferenza –; non vide,
così, lo sguardo angosciato che Caspian rivolse a Peter, ma
percepì il suo tocco delicato fremere appena mentre le
accarezzava i capelli.
Peter,
dal canto suo, sospirò e scosse la testa, stringendosi nelle
spalle in un gesto che trasudava tutto il senso d’impotenza che
era germogliato dentro di lui nello stesso istante in cui Aslan aveva
spiegato a lui e a Susan il motivo che li avrebbe tenuti lontano da
Narnia, una volta tornati a casa – ma poi, che casa sarebbe
stata quella in Inghilterra, lontano da tutti coloro che avevano
imparato ad amare?
Scoccò
un’occhiata in tralice ad Aslan, ma il leone teneva gli occhi
fissi in lontananza; lo vide però annuire impercettibilmente e
seppe, all’istante, che opporsi alla sua scelta sarebbe stato
completamente vano.
-Credo
che tocchi a noi.- affermò quindi, sconsolato, costringendosi
a non guardare in direzione della corte delle naiadi – in
direzione di Shaylee che, con tutto il contegno di una vera lady,
aveva deciso di presenziare a quell’addio in prima fila,
nonostante il lacerante dolore che, lui lo sapeva, la stava
dilaniando.
Dilaniando
quanto aveva squarciato lui, da dentro, al pensiero di doverle dire
addio.
Un
silenzio attonito accolse le sue parole, sedando le proteste del
popolo e strappando alle Figlie e ai suoi fratelli uno sguardo
sbigottito; fu la voce di Siria, insolitamente stridula, a spezzare
l’attimo una manciata di secondi più tardi.
-Cosa?-
sbottò infatti la rossa, sollevando il volto dalla camicia di
Caspian e rivolgendogli uno sguardo torvo e per nulla rassicurante.
-È
giunto il momento che i ragazzi tornino a casa.- intervenne Aslan,
forse cogliendo il turbinio di rabbia e confusione che aveva animato
la Paladina del Fuoco nel sentire Peter pronunciare quella che poteva
essere classificata solamente come pura follia.
-No!-
replicò lei, incredula, serrando le dita sulla tunica di
Caspian per impedire a se stessa di dilaniarsi i palmi con le unghie.
-Aslan, ma sei impazzito? Non puoi mandarli via!- protestò,
girandosi di scatto per guardare Shaylee – certa di trovare
sdegno e indignazione sul volto altero della ninfa, sicura di
trovarla d’accordo con lei e pronta a ribellarsi a quella
decisione; la Sovrana delle Naiadi, però, socchiuse gli occhi
senza ricambiare la sua occhiata, stringendosi fra le proprie braccia
e scuotendo lievemente la testa con mesta rassegnazione.
…Shay
non avrebbe fatto niente?
Fu
solo grazie al tempestivo intervento delle sue sorelle che Siria non
balzò giù dal terrapieno sopraelevato per tirare un
meritatissimo schiaffone alla sua amica naiade; a dire il vero,
Aysell dovette piantarle le unghie nel braccio per fermarla, ma la
strega era talmente arrabbiata che nemmeno si accorse delle mezzelune
violacee che apparvero sulla sua pelle diafana quando la Guardiana la
lasciò andare.
-Non
li sto cacciando, Siria.- spiegò Aslan, pacato come sempre,
accostandosi alla giovane con quella che a tutt’e quattro le
sue Figlie sembrò proprio una rispettosa e prudente
circospezione. -Edmund e Lucy potranno tornare.- aggiunse,
piano; e Siria, comprendendo finalmente dove quel suo padre
sconosciuto voleva andare a parare, raggelò lì dov’era,
avvertendo la rabbia svaporare in puro sgomento.
…ecco
perché Shay non stava facendo niente.
-Perché?-
intervenne Lucy, stupita, avvicinandosi al Grande Leone per guardarlo
con quegli occhioni azzurri che non avevano ancora perso il fulgore
abbacinante dell’infanzia. -Loro hanno fatto qualcosa di male?-
domandò; fu Peter, però, a chinarsi e a passarle un
braccio intorno alle spalle, sorridendole con quella che alla sua
sorellina parve un’infinita tristezza.
-Non
abbiamo fatto nulla di male, Lu. Abbiamo solo imparato tutto ciò
che dovevamo imparare da Narnia, e__-
Fu
lo strillo esasperato di Siria, ancora una volta, ad interromperlo.
-Oh, ma fammi il piacere! Tu non hai imparato proprio niente!-
Un
istante di cristallino silenzio accolse l’esplosione della
strega; pochi attimi più tardi, tuttavia, la fragorosa risata
di Talia e quella a stento trattenuta degli altri Pevensie riempirono
l’aria, mentre Aysell si ficcava le nocche in bocca per non
imitarli e Mirime, sconsolata, scuoteva la testa.
Peter,
però, si concesse solamente un breve sorriso che svanì
nello stesso attimo in cui la guardò: gli sarebbe mancata
l’irriverenza di Siria, esattamente come gli sarebbe mancata
Narnia.
-Può
essere, ma è comunque giunto il momento di andarsene.-
mormorò, sapendo che lei lo avrebbe comunque sentito, incapace
di guardarla negli occhi. L’attimo di ilarità fu
spazzato via dalle sue parole, e la consapevolezza di essere dinanzi
ad un addio colpì tutti quanti con una freddezza inattesa.
Il
biondo si alzò in piedi, tirandosi nervosamente indietro i
capelli; Siria non si era mossa – era ancora lì, con i
pugni stretti ed un’espressione ribelle in volto, che lo
fissava come se non avesse voluto altro che prenderlo a pugni.
Sapere
che non l’avrebbe rivista mai più era assieme un
indicibile sollievo e la più odiosa delle agonie.
Abbassò
appena la testa, rivolgendole l’accenno di un inchino che
sarebbe per sempre rimasto incastrato lì, fra le parole che
avrebbe voluto dirle e quelle che non sarebbe riuscito a pronunciare
nemmeno davanti a se stesso.
Siria
trasalì, ferita. Non riuscì nemmeno a parlare dinanzi
agli occhi di ghiaccio di Peter che, senza nemmeno toccarla, la
colpirono con la stessa stilettata silenziosa che l’indifferenza
del giovane aveva immerso nelle sue carni più e più
volte in quelle settimane.
“Dimmi
qualcosa, ti prego. Qualunque cosa.”
Chinò
a sua volta il capo, dedicandogli il medesimo saluto freddo e
distaccato che lui aveva riservato per lei; Peter sussultò,
stringendo le labbra davanti a quella brusca replica, ma si morse un
labbro ed ignorò le proteste che erano appena salite a
bruciargli in gola.
“Non
farmi andare via senza averti detto addio.”
Fu
lei a spezzare quell’istante, incapace di sopportare ancora la
sua vista.
Aggrappandosi
convulsamente al braccio di Caspian si volse verso Susan, muovendo
qualche passo verso lei ed Aaron; non ebbe però il tempo di
farne altri perché, prima che potesse anche solo capire che
cosa fosse successo, la Regina l’aveva raggiunta e l’aveva
stretta a sé in un abbraccio convulso, sincero – un
gesto che stupì Siria più di qualunque altra cosa fosse
successa in quell’anno.
-Susan…-
mormorò, arrossendo, ma la bruna scosse la testa e nascose con
più forza il volto nella sua spalla.
-Non
permettergli di vedermi piangere.- sussurrò, piano, la Regina
– e Siria la strinse all’istante quando percepì un
fremito di dolore attraversarne il corpo tornito, chiudendo gli occhi
e avvertendo il profumo tanto particolare di Susan in quel folti
boccoli castani.
Rimasero
lì, abbracciate, condividendo in quella stretta silenziosa più
parole e più affetto di quanto se ne fossero dimostrate
reciprocamente in tutto quel tempo. L’amore che entrambe
provavano per Aaron le accomunava e le univa come mai nulla le aveva
avvicinate sino a quel momento, e Siria – Susan lo sapeva –
era l’unica persona, in quel luogo, che avrebbe potuto
permetterle qualche istante di dolore senza distruggerla nel suo
orgoglio di regnante ma, soprattutto, di donna.
Si
scoprì a tremare, Susan, stretta al corpo caldo e solido della
guerriera.
Aveva
trascorso la notte con Aaron – parlando, amandosi,
paventando l’alba che, inesorabile, sarebbe giunta a separarli
– ma lì, dinanzi a tutti, lei non avrebbe mai potuto
permettersi di lasciarsi andare al dolore lacerante che sentiva
artigliarle lo sterno.
Aveva
imparato ad apprezzare la sorella del suo amato, Susan: aveva
imparato a rispettarla e a comprenderla, scoprendo nella rossa quegli
stessi tratti di orgoglio e testardaggine che anche lei aveva
coltivato con costanza dentro di sé per proteggersi dal mondo.
Siria
non le avrebbe permesso di crollare.
Ed
infatti la strega la strinse sino a che non avvertì i suoi
singhiozzi placarsi, la Regina riguadagnare il controllo sulle
proprie emozioni; solamente allora la lasciò andare,
sorridendole e stringendole affettuosamente le mani fra le proprie.
-Grazie.-
sussurrò Susan, prendendo un profondo respiro e trovando
finalmente la forza di alzare lo sguardo verso Aaron, che si era
avvicinato alle due donne e che, senza dire nulla, le accarezzò
amorevolmente una guancia col dorso della mano – inseguendo una
lacrima fuggita dall’autocontrollo della sua amata Regina,
nascondendola al mondo dove solamente lui avrebbe potuto scorgerla e
conservarne la purezza in eterno.
-T-Tara!-
Tutti
e tre si voltarono di scatto, stupiti, quando una voce stridula –
che solo dopo un secondo riconobbero per quella di Caleb –
esclamò il nome della ragazzina… appena in tempo per
vederla porre fine al bacio che aveva schioccato con decisione sulle
labbra di un Edmund più sconvolto di quanto nessuno lo avesse
mai visto.
Susan
sgranò gli occhi, ma Siria ed Aaron sorrisero; anche Lucy,
Caspian, Aysell e Mirime ridacchiarono davanti a quella scena che, in
fondo, tutti si aspettavano già da molto tempo – tranne,
forse, proprio Edmund…
La
ragazza si ravviò i lisci capelli biondi dietro la spalla,
soddisfatta, replicando all’espressione stravolta del bruno con
determinazione ed assoluta tranquillità. -Vedi di tornare
presto, Pevensie.- gli intimò soltanto, ammiccando appena
prima di raggiungere Talia per aiutarla ad impedire che Caleb
saltasse alla gola del più giovane dei Re Pevensie.
Edmund,
incapace di pronunciare alcunché, si limitò ad annuire
lentamente e a seguirla con lo sguardo fino a che non la vide
allontanarsi insieme al fratello, parlargli piano, prenderlo in giro
– “Tara…”
Prese
fiato, cercando di riordinare le idee che quel rapido bacio aveva
mandato all’aria; e arrossì quando, guardandosi intorno,
si rese conto di essere al centro dell’attenzione di quel
branco di pettegoli che, se non se ne fosse andato alla svelta, lo
avrebbero di certo fatto morire d’imbarazzo.
Solamente
Peter, stranamente, sembrava non essersi unito all’ilarità
generale che il gesto di Tara aveva provocato.
Il
più grande dei Pevensie era rimasto immobile, fissando
insistentemente le naiadi che, protettive, si erano chiuse attorno
alla propria Sovrana per sottrarla allo sguardo dell’uomo che
amava e che, assieme al suo amore, possedeva anche tutte le armi per
distruggerla – semplicemente esistendo.
-Shaylee…-
sussurrò, sentendo un moto d’ira accendersi dentro di
lui quando comprese che lei era lì, a pochi metri –
eppure lontana ed intoccabile com’era stata tanto a lungo…
come lui non poteva sopportare di vederla di nuovo.
…no.
Si
voltò verso il Grande Leone, rimasto seduto accanto agli
alberi del portale.
-Aslan,
io… no.- ripeté, incerto, ma non rimase ad attendere la
risposta del felino; balzò dalla piattaforma e si diresse,
determinato come non si era mai sentito prima di quel momento, verso
la corte delle ninfe, scostò con ferma gentilezza le guardie
personali della Sovrana e afferrò Shaylee, stupefatta, per un
polso, tirandola a sé ed inginocchiandosi al suo cospetto.
-Peter…?-
esalò la naiade, arrossendo furiosamente quando avvertì
decine di sguardi puntarsi su di loro. -Che cosa stai facendo?-
sibilò, sentendosi letteralmente andare a fuoco quando il
biondo le prese una mano e ne baciò dolcemente il dorso,
sorridendole e guardandola con quell’ardore che, nonostante
tutto, era in grado di farle dimenticare ogni cosa.
-Resto.-
rispose lui, semplicemente, ed il suo volto si rischiarò come
il cielo dopo un temporale. -Vuoi sposarmi, Shaylee?-
Fu
fragoroso il silenzio che seguì quella proposta, e tante
furono le bocche aperte e le espressioni sorprese; persino Siria, che
taceva raramente, boccheggiava davanti a quella scena surreale –
“Oh, no, non di nuovo i piccioni in amore! Qualcuno mi vuole
davvero male, qui!”
-…eh?-
fu il commento educatamente sorpreso di Mirime, che ben esprimeva lo
sconcerto della solitamente imperturbabile pleiade, spezzò la
tensione venuta a crearsi e permise a tutti di prendere fiato, ancora
sconcertati.
-Ma
chi mai vorrebbe sposarlo quel coso, lì?- esclamò
Talia prima che qualcuno potesse impedirle di parlare e fu Caspian,
stavolta, a zittire Siria per impedirle di scoppiare a ridere davanti
a tutti all’uscita sarcastica della sua amica.
La
reazione di Aysell fu la più coerente: la naiade, infatti, si
limitò a sventolare teatralmente una mano dinanzi al volto
deliziosamente impallidito, allungando voluttuosamente l’altro
braccio per cercare l’appoggio della spalla di Mirime.
-…sto
per svenire.- declamò, profondamente turbata, guadagnandosi
un’occhiata piena di rispetto e di ammirazione da parte delle
sorelle, di Caspian e di almeno tre quarti della popolazione.
“Qualcuno
la fermi prima che dica di sì!”
la
sentirono strillare le altre Figlie e fu arduo, per loro, continuare
a respirare senza permettere all’ilarità di prendere il
sopravvento.
Shaylee,
tuttavia, per una volta riuscì ad ignorare il palese disprezzo
che sua sorella non mancava mai di reiterare nei confronti di
quell’uomo meraviglioso che le stava innanzi – Peter, il
suo amato Peter… che la stava chiedendo in sposa.
-Shay,
non o__mmph!-
Ancora
una volta, il commento di Aysell – prontamente soffocato dagli
infallibili riflessi di Mirime – non fu in grado di strapparla
a quei due splendidi, cristallini occhi celesti colmi d’amore e
di speranza.
Con
delicata grazia, si abbandonò al peso dell’emozione che
il suo corpo non era in grado di sostenere, scivolando in ginocchio
dinanzi a lui. Piangeva: stille di incommensurabile gioia si
raccolsero fra le dita di Peter quando il giovane vi racchiuse il
volto di Shaylee – e lei vi s’aggrappò con dolce
impeto, mentre un sorriso estatico le sbocciava sulle labbra.
-Sì.-
Un’ovazione
di gridolini eccitati ed esultanti coprì il rumoroso pensiero
di Aysell – “Ecco! Il danno è fatto!”
– quando, di slancio, Peter Pevensie trasse a sé la sua
amata e la baciò con passione e trasporto.
Un
sospiro generale, invece, fu l’unica reazione che si permisero
le Figlie di Aslan: Talia, comprensiva, si avvicinò alla
bionda per consolarla dopo quella proposta strappalacrime che Aysell
proprio non aveva gradito; Mirime, come le era ormai di
abitudine, rivolse ad Aslan un’occhiata storta, mentre Siria
ridacchiava un po’ istericamente a causa delle emozioni
discordanti che le attraversavano la mente.
I
restanti Pevensie e Caspian scesero per congratularsi con la coppia,
sebbene tutti quanti fossero dolorosamente consapevoli di quanto
quella gioia non sarebbe potuta durare a lungo. Fu Lucy, incapace di
credere che non potesse esistere un modo per far trionfare l’amore,
a voltarsi verso Aslan con lo sguardo lucido.
-Aslan…
Peter deve restare!- implorò, accorata – e Siria,
accanto al leone, sentì il cuore incrinarsi quando cominciò
a comprendere quale, fin dall’inizio, fosse il piano che Aslan
aveva pazientemente ordito.
Il
mastodontico felino annuì, muovendo qualche passo per
accostarsi alla piccola.
-Sono
d’accordo con te, mia diletta, ma la Grande Magia non lo
permette.- le fece notare dolcemente, prima di dirigere la propria
attenzione verso Aaron e Siria. -In quattro sono giunti ed in quattro
dovranno tornare.-
Un
gelo innaturale parve emanare dalle parole pacate del Signore di
Narnia: Aaron lo avvertì ghermirgli le vene, serpeggiandogli
nel sangue nell’istante in cui anche lui capì.
La
Grande Magia non permetteva eccezioni.
Zaira,
che lo aveva cresciuto ed amato come la madre che lui non aveva mai
conosciuto, aveva spesso spiegato a lui e a Siria l’importanza
di quell’immenso dogma che regolava lo scorrere della vita a
Narnia e in tutti i mondi toccati dalla magia.
Se
qualcosa veniva donato, qualcos’altro doveva essere sottratto.
Lanciò
un’occhiata angosciata a sua sorella, accorgendosi
immediatamente di quanto fosse impallidita alle parole di Aslan:
anche lei aveva scorto il collegamento… anche lei aveva
capito.
La
ragazza scosse la testa, costringendosi a non ricambiare lo sguardo
tormentato di Aaron.
-E
quattro saranno.- sussurrò, tanto piano da non riuscire quasi
ad udire le proprie parole.
Aslan,
però, la sentì.
La
strega prese fiato, ignorando l’espressione sbigottita comparsa
sul viso di Aysell e facendosi coraggio – fosse stato
facile… -Aaron può… può prendere il
posto di Peter, se è permesso.- pigolò, serrando
convulsamente le mani sulle proprie braccia – perché
il dolore, lo sapeva, sarebbe presto arrivato.
Tutti,
stavolta, colsero distintamente la sua voce… eppure tacquero,
chi sorpreso, chi sconvolto, chi dilaniato dalla sofferta
consapevolezza di dover scegliere tra un amore ed un altro.
-Lo
è.- annuì, grave, il Signore di Narnia.
Susan
e Peter, a quella risposta, sussultarono. Esisteva davvero una
possibilità, una strada alternativa da percorrere, un sentiero
che non li avrebbe divisi da coloro che amavano – ma dalla
loro famiglia.
Il
volto di Aaron, di solito sempre attento a non lasciar trapelare
alcuna emozione, ora parve a Siria dilaniato da un’angoscia e
da un’incertezza che lei non vi aveva mai colto prima d’allora.
Suo fratello fece un passo verso di lei ma, prima che potesse
raggiungerla, la rossa si sottrasse al suo tocco – rinunciando
inconsciamente a quel conforto che, lo sapeva, non avrebbe avuto più.
Distinse
qualcosa spezzarsi in lui, nei suoi occhi, nella sua espressione;
nello stesso attimo una coscienza profonda e rassicurante sfiorò
il suo animo dolente, riscaldandola là dove il gelo
dell’abbandono già accarezzava i suoi pensieri.
“Ne
sei certa, mia cara?”
le
domandò la voce pacata di Aslan.
Lei
annuì, ricacciando indietro il pianto che sentiva già
pungerle il viso. “Voglio solo che mio fratello sia felice.”
La
strega chiuse gli occhi, costringendosi ad allontanare da sé
la presenza del padre – non voleva sentire, non voleva vedere,
sapeva che cosa sarebbe successo e non era certa di avere la forza di
assistervi.
-Aaron,
Peter.- sentì chiamare, i passi dei due allinearsi per
rispondere all’appello. -Desiderate davvero tutto questo? Il
prezzo da pagare per questa scelta è molto alto.-
Sì,
concordò Siria fra sé: il
prezzo era un fratello…
-Sue…-
udì boccheggiare Peter e, detestandosi, provò un
immediato trasporto nei confronti della stupida acciuga bionda
– come amava definirlo Aysell –: quella scelta, per lui
come per lei, implicava un sacrificio non indifferente.
Un
lungo silenzio parve dilatarsi in quel ventoso pomeriggio di fine
estate. Poi dei passi, uno schiocco secco e, in un qualche modo,
definitivo; Siria sbirciò, ansiosa, in tempo per vedere Peter
ed Aaron scambiarsi una stretta di mano.
-Se
puoi rendere felice mia sorella, allora non posso che darti la mia
benedizione.- declamò il biondo, sorridendo con quello che a
tutti sembrò uno sforzo titanico – e lo era, diamine
se lo era!
Rivolse
un cenno ad Aaron prima di separarsi da lui, avvicinandosi al resto
della sua famiglia: Edmund stava lottando contro se stesso per non
permettere al sorriso forzato che aveva in volto di sbiadire mentre
Lucy, emotiva come sempre, piangeva.
S’inginocchiò,
accarezzando i capelli soffici della piccola. -Lucy… questo
non è un addio, sorellina.- le ricordò, scostandole un
ciuffo dalla fronte.
-Lo
so ma…- la ragazzina tirò su col naso, guardandolo con
gli occhioni pieni di lacrime. -Sono felice per te, davvero, ma…-
Il
fratello annuì, capendo. -Non sarai sola, Lu.-
Edmund,
alle spalle della sorella minore, annuì con fare solenne.
Lucy, cogliendo il gesto e il muto scambio di promesse fra i due
uomini della sua vita, si morse il labbro nel tentativo di
trattenersi… e fallendo miseramente, gettandosi al collo di
Peter e scoppiando in un pianto a dirotto.
Peter,
per nulla sorpreso, la cullò fra le braccia che tante volte
l’avevano protetta dagli incubi e dal suono incessante delle
sirene d’emergenza e degli aerei tedeschi, accarezzandole la
folta chioma rossiccia.
-Mi
mancherai tanto…- singhiozzò la bambina e lui, toccato,
non poté far altro che affondare il viso nell’incavo
della sua spalla sottile, riempiendosi i polmoni e la memoria del
profumo familiare dei capelli di Lucy.
-Anche
tu, piccoletta.- mormorò soltanto, perché un doloroso
nodo di commozione gli impedì di aggiungere altro.
Rimase
stretto a Lucy per quella che gli parve un’eternità, ma
fu comunque con dispiacere che si sciolse dall’abbraccio per
alzarsi in piedi e rivolgersi a Edmund.
-Toccherà
a te fare l’uomo di casa, adesso.- gli ricordò,
accostandoglisi e stringendogli brevemente una spalla – se
solo, qualche anno addietro, gli avessero detto che Edmund sarebbe
cambiato così tanto… -Fatti onore, pivello.- aggiunse,
strappando una risata incerta al fratello prima di tirarselo addosso
in un ruvido abbraccio che Edmund, impacciato almeno quanto lui,
ricambiò con sincero trasporto.
Dopo
qualche attimo un tocco delicato gli sfiorò la spalla; girando
lo sguardo, con gli occhi gonfi di commozione, trovò Susan
che, separatasi da Aaron, reclamava l’addio del suo fratello
maggiore.
Non
avevano mai avuto bisogno di troppe parole per capirsi, loro due –
né per detestarsi, ovviamente –, e nemmeno in
quell’occasione si smentirono. Bastò uno sguardo, un
mezzo sorriso, per dirsi tutto ciò che non si erano mai detti,
prima che il biondo attirasse lei e Lucy nell’abbraccio.
.
Aveva
perso Peter.
Avrebbe perso
lui.
Siria
sentì gli occhi riempirsi di lacrime quando Aaron, insicuro,
le si avvicinò, ma le ricacciò indietro e contrasse il
volto in un sorriso tirato – celando lo sguardo con un gesto
secco della mano e ringraziando, fra sé, il fastidio che le
provocava la luce vivida e intensa di quel Sole pomeridiano.
Aveva
perso Peter.
Avrebbe perso
lui.
-Siria,
non…- cominciò il fratello, ma lei scosse la testa.
Aaron
non avrebbe voluto andarsene, non voleva lasciarla sola… ma
amava Susan e lei ne era così felice, e sapeva che la cosa
giusta da fare era incoraggiarlo a seguirla – non sarebbe mai
stato felice senza di lei, così come lei non avrebbe mai
potuto trovare pace lontana da Caspian.
-Vai.-
con uno sforzo terribile – uno sforzo che solamente Caspian,
al suo fianco, comprese appieno – Siria alzò gli
occhi sul fratello e gli sorrise: era un sorriso che trasudava
lacrime, un sorriso umido ma terribilmente sincero.
Siria
rabbrividì quando, con una delicatezza fin troppo misurata,
abbracciò suo fratello. Tutto quello che non gli aveva mai
detto, tutto ciò che lui significava per lei, lo avvertì
bruciare in quella stretta forte ed un poco disperata.
Padre,
confidente, amico: Aaron era stato la sua famiglia quando il mondo
stesso l'aveva rifiutata, era stato tutto… ed ora se ne
sarebbe andato – era la cosa più giusta per tutti
quanti, ma questo non lo avrebbe mai reso meno doloroso…
Aaron
avrebbe seguito la donna che amava. Aaron sarebbe stato felice.
Continuare
a ripeterselo era un buon modo per impedirsi di piangere.
Sapeva
di aver fatto la scelta giusta, Siria, così come sapeva che
Aaron la stava stringendo così forte perché non voleva
lasciarla lì, lontana dal proprio sguardo di fratello, dove
lui non avrebbe più potuto proteggerla.
Pareva
non volerla lasciare. Pareva non volersene andare.
Le
sue braccia erano forti intorno a lei. La stringeva con forse anche
troppa irruenza, come se volesse strapparle via il dolore dell’addio,
come se avesse voluto dividersi in due per restare con entrambe le
donne che amava.
Ma
Siria sapeva: sapeva di dovergli permettere di andare.
Poteva
godere ancora un po’ di quell’abbraccio, però;
poteva affondare per l'ultima volta il viso nel collo di lui e
inspirare il profumo di selvatico che lei stessa portava sulla pelle,
che li avrebbe sempre accomunati: loro erano i figli di
quell’impenetrabile foresta che aveva fatto loro da casa per
tanti anni, e niente – nemmeno un universo di mezzo –
avrebbe potuto cambiare quella realtà.
Rimasero
stretti a lungo mentre i rumori intorno a loro si riducevano ad un
brusio indistinto, insignificante.
-Ti
voglio bene.- sussurrò Siria, sulla gola di lui, strusciando
appena il viso per meglio nascondersi in quell'incavo – lo
aveva sempre fatto, fin da piccolissima...
Una
miriade di dettagli, di particolari di lei, improvvisamente invasero
la mente di Aaron.
Il
piccolo vezzo di tormentarsi le mani quando era agitata; la
dolcissima vanità con cui sistemava i suoi lunghi capelli in
una treccia; il sorriso birbante di quando era bambina e combinava
una marachella; la sua passione per il cioccolato, la gioia nel
vederla sgranare gli occhi quando – con diversi sacrifici –
riusciva a procurarle quel dolce tanto costoso.
Ricordò
quando da bambini loro due e Gwaine giocavano con dei bastoni,
immaginandoli spade e fingendo di essere i grandi guerrieri del
passato; ricordò i pomeriggi passati a pescare, le notti a
contare le stelle. Ricordò la prima volta che la aveva portata
con sé a cavallo, l'emozione della sua sorellina con quelle
due trecce rosse e quegli occhioni pieni di vita.
Ricordò
il tormento che non le aveva dato pace dalla morte della madre.
Ricordò di aver temuto per la sua incolumità, che quel
qualcosa che la Strega Bianca aveva impiantato nel suo cuore
riuscisse a distruggerla, a portargliela via. Ricordò con
quanto sollievo l'aveva vista ricomparire dalla foresta, con Talia al
suo fianco e un'ombra negli occhi, specchio di quelle cicatrici
candide sui polsi.
E
ricordò di quando era arrivato quel principe. Ricordò
di averlo visto distruggerla, spezzarla... e di averla vista
rinascere da quella devastazione, ricordò che l'amore di quel
ragazzo era riuscito a farle trovare se stessa – in lui.
-Ti
voglio bene anch'io. Sempre.- sussurrò, stringendosi più
forte a quel corpo di donna che, per lui, sarebbe per sempre rimasto
quello di una bambina – della sua bambina, della
ragazzina allegra che si arrampicava sugli alberi.
Fu
Siria a sciogliere quell'abbraccio.
Fu
Siria a sorridere, di nuovo, con quelle lacrime negli occhi che
brillavano alla luce del Sole.
Fu
Siria a guardare Susan solo per un istante, ricevendo in cambio un
sorriso e un deciso cenno di assenso.
Restagli
accanto, Susan. Resta con lui. Rendilo felice.
Gli
alberi gemelli sospirarono nel vento lieve che, silente, sfiorò
le chiome di coloro che si accingevano a partire: il tributo della
pleiade fu quell’ultimo sospiro denso dei profumi di Narnia,
che li avrebbe per sempre accompagnati anche a universi di distanza.
I
saluti erano stati fatti e più nulla poteva trattenerli ancora
in quel luogo. Fu senza guardarsi indietro che, insieme, i Pevensie
ed Aaron valicarono quella soglia misteriosa, sparendo là dove
nessuno di loro avrebbe potuto seguirli.
Siria
tremò, avvertendo una fitta rassegnazione avvolgerla in un
bizzarro senso di straniamento.
Era
successo davvero? Aaron era davvero andato via?
Per
un istante fu sicura di aver sognato. Aveva trascorso l’intera
vita sapendo che Aaron sarebbe stato un porto sicuro a cui tornare,
una certezza incrollabile che non l’avrebbe mai abbandonata…
che adesso, tuttavia, non c’era più.
Che
non sarebbe tornata.
Il
peso schiacciante di quel pensiero le diede, per un attimo, la
sensazione di barcollare: non sapeva che cosa le avrebbe riservato il
domani, ma capire che Aaron non ci sarebbe stato fu un colpo
durissimo e difficile da accettare.
…ma
non sarebbe stata sola.
Come
mai prima d’allora – mai con quella chiarezza
luminosa, abbacinante – la presenza delle sue sorelle le
sbocciò nel petto, dandole la forza di alzare una mano per
cancellare le lacrime che le avevano rigato le guance.
Aaron
sarebbe stato felice, ne era certa; ma sapeva anche, con la certezza
indissolubile che solamente l’affetto delle sue compagne poteva
darle, che ciò non avrebbe significato la sua solitudine e la
sua sofferenza.
Talia,
Mirime, Aysell: loro erano lì e ci sarebbero sempre state.
Erano
la sua famiglia.
Il
tocco di Caspian, la sua mano nella propria, le strappò un
sorriso. Lo sguardo che le rivolse fu una promessa che, ne era
sicura, lui non avrebbe mai mancato di mantenere.
C’erano
tante cose da fare e mille altre da progettare: il castello di Cair
Paravel da ricostruire, il regno da consolidare, l’esercito
narniano da amalgamare a quello umano – una vita intera, per
loro, in quella nuova Narnia che sarebbe diventata più bella e
forte di quanto si sarebbe mai potuto immaginare.
Una
vita insieme.
Caspian
era lì, con lei… e, adesso, il futuro non la spaventava
più.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
Aysell: ...ci eravamo vicine tanto così!
E invece NO, nemmeno stavolta siamo riuscite a liberarci di Peter!
Non è possibile! *tic nervoso*
Peter: ma... ma!
. E così,
anche stavolta, ho terminato ciò che avevo iniziato.
È servito più tempo di quello che
avevo immaginato, e sono cambiate mille e mille cose nel frattempo:
qualcuno se n'è andato, qualcuno è tornato, qualcuno è
arrivato a cambiare per sempre la mia vita. Assieme a me è
cresciuta, maturata, anche Rebirth, come tutte le creature che si
creano e si crescono con amore, dedizione e pazienza.
Questa storia era nata per gioco, ma è
diventata molto di più. Dopotutto, succede sempre così,
no?
Vorrei ringraziare le tantissime persone che hanno
sempre seguito questa storia, i lettori anonimi e chi ha voluto
lasciare una traccia di sé nel corso di questi anni che hanno
portato Rebirth alla sua ultimazione. Tutti, dal primo all'ultimo,
siete stati una forza che mi ha spronata a migliorare la mia
scrittura e tutto ciò che ne consegue... e, di conseguenza,
anche me stessa.
Le peripezie di questo branco di matti narniani
non sono finite: sto già lavorando da tempo al secondo
capitolo di questa saga, "Narnia's Redial", e
anche "Narnia's Memories" non è finita
nel dimenticatoio! Inoltre ho alcuni altri progetti molto simpatici
relativamente a questi personaggi... quindi non disperate (?),
non vi libererete delle mie ragazze, di Caspian e di Peter!
Aysell: che gioia!! -.-
.
E... niente, sono pessima nei saluti. Ma,
dopotutto, questo non è un addio ma soltanto un arrivederci,
no? :)
Quindi... a presto!
.
Sempre vostra,
B.
|