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{ Bottone
dopo bottone
In quanto presidente del club di
cucito era anche normale, per lui, che ogni tanto arrivasse qualcuno in cerca
d’aiuto per rimediare a qualche guaio strappatosi sulle trame di abiti che non
fossero necessariamente delle Goku Uniforms.
Certo, il fatto che arrivassero persone non significava
che ShiroIori avesse tempo
per ognuna di loro: proprio perché su di lui gravavano determinate
responsabilità non poteva permettersi di perdere tempo davanti ad affari di
poco conto, specie se coloro che glieli presentavano non erano degni di
particolare considerazione.
C’erano degli individui, però, per cui era praticamente
costretto a fare delle eccezioni, sebbene comunque lo ritenesse un onore e non certo un onere: se solo Lady Satsuki
o qualunque membro della sua Elite fosse venuto a richiedere i suoi servigi era
pressoché ovvio che non glieli avrebbe mai negati, anche davanti alla richiesta
più semplice e sciocca.
Ecco perché non si era potuto permettere di tirarsi indietro
quando, senza nemmeno sentirlo arrivare, aveva sentito alle proprie spalle la
voce di HoukaInumuta: non
capiva se la propria mancanza di attenzione fosse dovuta ad
un eccessivo zelo nei confronti del lavoro che stava cercando di portare a
termine in quel momento o se, al contrario, la responsabilità fosse del passo
felpato e pressoché impercettibile di quell’altro, ma in ogni caso questo non
importava. Ciò che era rilevante era che uno dei fidatissimi uomini di Lady Satsuki era lì davanti a lui, e sebbene intrattenesse nei
suoi confronti contatti vagamente più frequenti rispetto agli altri tre (più
volte gli era capitato di dipendere da lui per informazioni necessarie al
proprio lavoro, così come la maggior parte degli esperimenti che aveva fatto
per verificare coi propri occhi le potenzialità della Biofibra erano stati possibili grazie alla sua
collaborazione) non poteva certo dire di esservi in completa confidenza: doveva
pertanto rivolgersi a lui con lo stesso atteggiamento rispettoso e quasi servile che riservava
anche agli altri, chinando leggermente la testa come in una rapida reverenza
prima di ripetere mentalmente la domanda che gli era stata appena fatta.
- Hai un minuto per rammendarmi un bottone? –
Aggrottando le sopracciglia sottili sull’espressione già
corrucciata squadrò il più alto per tutta la sua figura, trovando insolita la
sua scelta di vestiario per quel giorno: raramente l’aveva visto con qualcosa
che fosse diverso da una felpa o da un cappotto o la sua specifica uniforme, motivo per cui la camicia che invece quel giorno indossava
sembrava quasi inutilmente fuori luogo su qualcuno come lui - specie se
associata a quella sciarpa che troneggiava come un bavaglio attorno al collo
fino alla bocca. Ma non era nessuno, in fondo, per giudicare: non lo conosceva
da così tanto tempo, e poteva benissimo essersi fatto
le idee sbagliate sul suo abbigliamento tipo. Doveva solamente limitarsi ad eseguire quanto richiesto e così fece, afferrando da un
puntaspilli un ago sottile con un filo bianco già infilato nella cruna,
prendendo poi dalle mani dell’altro ragazzo il bottone mancante.
Fu un gesto breve, un affare da qualche minuto. Il biondo si
assicurò che il bottone fosse ben fissato, dopodiché Inumuta
se ne andò, forse senza dire niente, forse borbottando
una qualche parola di ringraziamento che però rimase strozzata dietro la stoffa
della sciarpa.
Ognuno tornò silenziosamente alle proprie mansioni, senza che
questo gesto intaccasse in alcun modo il ritmo dei due.
- Potresti ricucirmi un altro bottone? –
Stavolta, se non altro, quell’altro aveva avuto la grazia di
farsi sentire prima di irrompere improvvisamente nelle percezioni del piccolo
sarto, che si voltò non appena sentì dei passi leggeri avvicinarsi lentamente a
lui. Sbatté le palpebre, perplesso, non resistendo ad
esaminare ancora una volta la figura del ragazzo a capo del settore informativo
e strategico: aveva la stessa camicia che aveva indossato l’altro giorno, non
faticava a riconoscerla, ma quando quella mattina l’aveva incrociato
casualmente nei corridoi dell’Honnouji era sicuro di
averlo visto con un altro vestiario. Per quale motivo si era cambiato, per
giunta insistendo nel mettersi una camicia che non solo aveva un bottone
staccato, ma la cui fattura contribuiva inoltre a renderla terribilmente
fragile? Le palpebre gli si sbarrarono da sole, appesantite dal dubbio e dal
sospetto che qualcosa non quadrasse, ma quando alzò gli occhi per cercare di
leggere un qualsiasi indizio nel viso del ragazzo tutto quello che incontrò fu
uno sguardo indecifrabile, celato dietro a un paio di occhiali che riflettevano
come specchi la luce soffusa dei monitor che sbucavano qua e là come funghi per
l’intero laboratorio. Non c’era altro che gli consentisse di intuire i suoi
pensieri, la sua bocca ancora coperta dalla solita sciarpa: tutto quello che poté fare fu obbedire in silenzio, concentrandosi col capo
chino sul piccolo bottone mentre lesto lo riagganciava laddove sarebbe dovuto
rimanere. Non c’era niente di strano in tutto ciò, a chiunque poteva capitare
di perdere un bottone; poteva addirittura capitare che la stessa camicia
perdesse per coincidenza un paio di bottoni nel giro di una settimana, eppure
non poteva fare a meno di sentire una strana sensazione di sospetto mentre dava
gli ultimi punti per assicurarsi che il proprio operato
fosse impeccabile come al solito. Ma forse era solo la sua fantasia, o forse
era Inumuta stesso a infondergli quello strano
presentimento: non amava particolarmente avere a che fare con persone che non
fossero chiare e trasparenti, come se fosse perennemente immerso in un’atavica
avversione nei confronti dell’’incomprensibile’ e del ‘diverso’,
e il fatto che tutte le volte che cercava di capire cosa ci fosse oltre la
palese mania di analizzare chiunque e qualsiasi cosa del suo occasionale
compagno di lavoro trovasse solo uno specchio d’acqua torbido e impenetrabile
di certo non lo rassicurava. Sembrava sempre che stesse nascondendo chissà
quale intenzione, anche se fino ad ora non si era mai comportato in modo che
fosse palesemente sospetto o degno di segnalazione: era semplicemente un
personaggio ambiguo, e Iori non era sicuro di voler
davvero svelare tutti i segreti che si celavano dietro quegli occhiali
azzurrognoli e quei colletti rialzati fino al limite.
Non era nel suo interesse, pensava, ma più si ripeteva di
esserne convinto, più si rendeva conto di non esserlo affatto:
finì il suo lavoro, ma mentre l’altro tornò senza apparenti turbamenti ai suoi
impegni, il più piccolo non riuscì a concentrarsi minimamente su ciò che
avrebbe dovuto fare, la mente ancora impegnata dal rimuginare ancora e ancora
sulla strana sensazione che insistente finiva per coprire con arroganza ogni
altro pensiero.
Sguardo cupo e braccia conserte, quella volta ShiroIori non aveva intenzione
di farsi trovare impreparato.
Aveva già pronti ago e filo stretti
nella mano, ma non appena per la terza volta nel giro di così pochi giorni Houka si fece vedere nel suo laboratorio con l’ennesimo
bottone della solita camicia da risistemare, il biondo si diresse di buona lena
verso di lui, impedendogli addirittura di prendere la parola tanto il suo
impeto fu disarmante.
Presa la stoffa chiara tra le mani gli
bastò lasciar scorrere rapidamente lo sguardo prima di individuare, prima che
gli fosse detto, il punto da cui era presumibilmente ‘caduto’ il bottone: risistematisi
gli occhiali vicini alle attente iridi ambrate si accorse che non solo i fili
sembravano lacerati da uno strappo, ma che la stoffa era ancora particolarmente
tesa –segno che, di fatto, qualunque fosse il motivo di una simile azione
quel bottone era stato strappato via da poco.
Non mancò di riempire il proprio sguardo di rimprovero mentre
silenzioso alzava gli occhi verso il viso dell’altro ragazzo, deciso a non
farsi intimorire da quel muro di silenzio: anche se era un membro dell’Elite non aveva intenzione di continuare a giocare al suo
misterioso gioco, non aveva il tempo materiale di continuare a concedere così
tanto tempo a mansioni che fossero diverse dai compiti specifici che doveva
portare a termine!
- Non so perché tu lo sti facendo, – iniziò, severo,
sforzandosi di incatenare gli occhi a quelli del giovane informatico – ma
per quanto tu sia uno dei fidatissimi uomini di Lady Satsuki non sono disposto a continuare a far parte di
questo tuo futile divertimento. Ho altro da fare, sai, piuttosto che rammendare
bottoni! –
E mentre parlava, sentiva come una
piccola punta di orgoglio crescere dentro di sé sempre di più via via che le
parole uscivano da sole dalla propria bocca: la sensazione di essere riuscito
per una volta a leggere dietro gli schemi segreti di quel misterioso individuo
era sorprendentemente piacevole, al punto che se solo fosse stato un poco più
sfacciato non avrebbe esitato a sfoderare un’espressione molto più fiera di
quella che già a fatica nascondeva dietro l’inseparabile mascherina arancione.
Da parte del suo interlocutore, però, non arrivò alcuna
risposta immediata.
Iori sgranò leggermente gli occhi,
sentendo l’orgoglio venir sostituito di nuovo dal
dubbio: perché quell’altro non si era smosso neanche di un centimetro? Tutto
tutto quello che vide fu solo un rapido battito di
ciglia, seguito quasi immediatamente dopo da un lungo sospiro e da un arreso
scrollare di spalle. Cos’aveva da sbuffare?!
- Vuoi davvero che faccia una cosa così tanto anticlimaticacome dirti a chiare lettere perché sono qui?
– la voce leggermente nasale di quell’altro gli
martellò fastidiosamente le orecchie, facendo crollare anche l’ultima certezza
che pensava di aver costruito. Si era davvero illuso di riuscire a capire
quell’enigma vivente? – Perché continuo a indossare e martoriare questa
terribile camicia, perché ogni volta è proprio il tuo aiuto che chiedo, anche
se perfino io sono capace di ricucire un bottone? Dovresti essere in grado di
arrivarci da solo- o mi sono sbagliato? –
Non mancò, l’altro, di lanciargli un’occhiataccia risentita
all’ascoltare quelle parole di fredda sufficienza: abbassò lo sguardo sui fili
strappati, e silenzioso ripercorse ogni parola di quel breve discorso.
Perché diavolo si ostinava a venire lì, tanto, se per sua
esatta ammissione non amava indossare quel tipo di vestiario? E perché sprecava
il suo tempo- no, il tempo di entrambi in quel modo così disdicevole? Avrebbe voluto
semplicemente dirgli di andarsene e di smettere di porre tutte quelle inutili
domande, quando un singolo, quasi assurdo sospetto si
accese nella sua mente come una lampadina, così improvviso che lasciò d’istinto
la presa sulla stoffa leggera della sua camicia come se scottasse per
avvicinarsi i pugni chiusi al petto.
Era un’ipotesi a dir poco surreale, ma
possibile che tutto quello fosse solo una scusa mal costruita per riuscire a
vederlo? E che lui non ci fosse arrivato subito solo perché paradossalmente,
troppo impegnato a capire cosa stesse macchinando quell’altro nella propria
testa, aveva tralasciato degli indizi tanto evidenti?
Deglutì, destabilizzato davanti a
quella realizzazione che diventò una sicurezza inattaccabile non appena trovò
il coraggio di alzare gli occhi a quelli di Inumuta:
sorprendentemente, stavolta la sua espressione era limpida come il mare di
mattina presto, e in essa poteva leggere senza difficoltà tutte le conferme di
cui aveva bisogno.
Non aggiunse altro: mentre il viso gli si dipingeva di una
palese sfumatura di imbarazzo prese il bottone dalle
mani di quell’altro e lo ricucì al suo posto, senza commenti, senza sguardi e
senza repliche.
Ognuno tornò ai propri impegni, anche se probabilmente,
stavolta, non era solo lui a ritrovarsi totalmente incapace di mantenere i
propri pensieri ancorati ai suoi doveri per sentirli divagare senza sosta, alla
ricerca del ricordo così fresco dello sguardo fugace che si erano
lanciati quando la verità era silenziosamente e inevitabilmente arrivata a
galla.
- Giuro che questa è l’ultima volta. –
Il suo arrivo non sorprese minimamente il capo del club di
cucito, che con tutta la calma del mondo posò l’abito su cui stava lavorando
per voltarsi verso di lui.
Quella sciocca scusa del bottone aveva solo a malapena ragione
di esistere adesso che era riuscito a svelare i suoi veri intenti, senza
contare, inoltre, che aveva espressamente detto che non avrebbe più partecipato
alla sua ‘farsa’.
Ma, dopotutto, voleva davvero mettere
fine a quell’abitudine? Voleva davvero chiudere bruscamente quello spiraglio
che si era aperto tra di loro, eliminando quell’unico, breve rapporto che per
adesso potevano permettersi di intrattenere al di là
del lavoro?
Sorrise per un attimo dietro la plastica arancione della sua
maschera, recuperando i soliti ago e filo mentre
ammetteva a se stesso che no, non aveva nessunissima intenzione di farlo.
Era davvero strano, pensava mentre adempieva
alla sua richiesta, come la concezione che aveva di Inumuta
fosse cambiata con così tanta spiazzante facilità. Non lo considerava più,
adesso che aveva lasciato intendere il suo implicito
interesse, una palude torbida o uno
specchio d’acqua dimenticato dai raggi del sole: più ci pensava, più sentiva
che il mistero che lo avvolgeva non era altro che un velo da squarciare lentamente,
senza fretta, così che ciò che vi era celato dietro ne rimanesse completamente
intatto.
Non sapeva ancora quali fossero le sue vere intenzioni, o cosa
gli passasse per la testa: quello che sapeva era che non provava più
inquietudine nei suoi confronti, e che i segreti che nascondeva
erano diventati qualcosa che suscitava in lui più curiosità che spavento. Non
aveva, però, nessun bisogno di finirvi in contatto così presto: avrebbe aspettato
che l’accenno di rapporto che si era instaurato tra di loro si rafforzasse col
tempo, e che bottone dopo bottone quella nebbia di
segreti si diradasse da sola, permettendogli finalmente di ammirare il panorama
da essa nascosta con i suoi stessi occhi.
Alzò solo per un attimo lo sguardo al viso di Houka, rendendosi conto solo allora che non c’era nessuna
sciarpa a coprire quel mezzo sorriso che lasciava intendere la piena
consapevolezza di ciò che il biondo stava per dirgli.
“Non che in ogni caso
non sia prevedibile.” pensò semplicemente, tranciando con delicatezza il
filo bianco tra i denti prima di rivolgersi, finalmente, direttamente a lui.
- … non deve per forza essere l’ultima volta, potrai sempre
tornare da me quando ti servirà. –
Oddio l’ho fatto davvero sono
seriamente finita a scrivere una InuIori
e la sto seriamente postando qui hahaha probabilmente tra cinque minuti me ne pentirò.
Ad ogni modo, buonasera popolo!
Quando ho iniziato KlK avevo
fatto il silenzioso voto di attenermi quanto più possibile al canon se proprio dovevo decidere di shippare
qualcosa, ma dopo cinque puntate ero già lì che bam.
InuIori.
Che dire? Volevo scrivere una ff che non fosse troppo esplicita
e neanche troppo melensa, soprattutto perché non ho abbastanza confidenza con
‘sti due quattrocchi per permettermi di giocare un po’ con i loro sentimenti.
Il problema è che temo mi sia uscito qualcosa di
troppo inutilmente patetico, sebbene fossi partita con l’idea di scrivere
qualcosa di veloce e poco impegnativo giusto per scaldarmi.
È anche vero che mi sento
arrugginita come non mai e che tirare fuori queste parole è stato più o meno facile come scavare un tunnel nel monte bianco
con un cucchiaino, ma alla fine qualcosa ne è uscito… e spero che non faccia
completamente schifo.
Al solito ringrazio chiunque
leggerà/commenterà/etc, ogni recensione è sempre bene accetta e cercherò al
solito di rispondere a tutti se già non l’ho fatto in separata sede------- e se non lo faccio o sono stata già inglobata
dai COVERS, o pensavo di aver già risposto, oppure ho posposto così tanto che
alla fine rispondere mi sembrava poco appropriato.