~
I mostri nell'armadio ~
Ci
sono voci, intorno a lei. Leziose, stucchevoli, come una torta
coperta di troppa glassa rosa e fiorellini di zucchero. La sua vista
è offuscata, una macchia indistinta di colori innaturalmente
vivaci
ed effimeri sfavillii. C'è una persona alla sua sinistra, un
concentrato di viola, argento e oro. Ha l'odore forte e in qualche
modo sgradevole dei fiori macinati, e sta parlando; le
sta parlando.
«Come
ti senti, cara? Meglio? Hai dato davvero di matto, tesoro. Siamo
stati costretti a metterti KO per un po'.» Le parole le
rotolano
fuori dalle
labbra
come un boccone amaro risputato nel piatto.
Katniss
non dovrebbe avere paura -lo sa
che non dovrebbe-, ma non può impedire a un brivido di
correrle
lungo la schiena. Ci impiega qualche secondo per rendersi conto di
dover formulare una risposta:
la donna al suo fianco le rivolge un'occhiata preoccupata. I suoi
occhi, nota con un minuscolo spasmo di disgusto, non hanno la
pupilla. C'è solo un azzurro uniforme e opaco,
pericolosamente
inespressivo.
Sente
le labbra incollate, e quando prova a dire qualcosa le esce solo un
rantolo poco convincente. Respira profondamente, preparandosi
a un secondo tentativo, ma si rende conto, all'ultimo, che non
saprebbe cosa dire. Eppure, razionalmente, avrebbe tante domande da
chiedere. Cosa sia successo, ad esempio. Dove sia Peeta. Dove siano i
bambini. Il cuore le si riempie di angoscia. Dove
sono i
bambini?
«Dove
sono loro?» Non sa neanche, si accorge con un sussulto, che
posto
sia quello. Le altre persone, alla periferia del suo campo visivo,
rimangono nel più completo silenzio. Le ricordano i disegni
scarabocchiati sul muro di un asilo.
La
donna accanto a lei inarca le sopracciglia violacee punteggiate di
cristalli. Su una, vicino alla tempia, sfavilla un grande piercing a
forma di farfalla dorata. «Loro
chi, tesoro?» domanda, ma
non sembra davvero interessata.
Al
contrario, pensa Katniss: ha l'espressione di qualcuno che si ritrova
ad affrontare una conversazione prevista e non particolarmente
gradita.
«La
mia famiglia. Mio marito. I miei bambini.» Adesso parlare
è più
facile. Forse perché ha davvero qualcosa da dire.
«Oh.
Mia cara, non ti ricordi?» Le labbra dipinte della donna
assumono
una piega studiatamente compassionevole. A Katniss non piace la
compassione. E neppure i nomignoli affettuosi. «Non
ci sono più.»
È
una botta
fredda all'altezza
dello stomaco; la lascia disorientata e nauseante. Non
ti
ricordi? Non ci sono più. «Cosa
significa? Che vuol dire che non ci sono più?» Si
accorge di essere
bloccata a un lettino d'ospedale solo quando cerca di alzarsi.
Alzarsi per fare cosa, poi, non lo sa bene: forse per prendere a
pugni la donna che continua a sorriderle.
«Tesoro,
cosa può significare? Sono morti. Negli Hunger Games. Questo
i tuoi
bambini, almeno. Tuo marito... Bé, lui dev'essersi
suicidato. Era un
uomo così debole... una condotta riprovevole, la
sua.»
No.
No. No no no. Katniss
si rende conto di essersi messa a urlare solo quando la gola comincia
a farle male. Bugiarda. È una bugiarda, quella donna: ha
visto ieri
la sua famiglia. Ha baciato i suoi bambini sulla fronte, si
è
addormentata tra le braccia di Peeta. Adesso è qui: e sa che
qui
è Capitol City. Pensava che non esistesse più,
Capitol City.
Anche
questo l'ha detto ad alta voce. Lo sa quando gli angoli della bocca
dipinta si piegano all'ingiù. «Capitol City
è sempre
esistita, cara, e sempre esisterà. È il fulcro
stesso di Panem.
Puoi
chiederlo al
Presidente.»
Il
Presidente Snow? Lui è morto.
«Oh,
no che non è morto! Che idea sciocca. Davvero un'idea
sciocca,
Katniss.»
Le
fa male la testa. Snow è morto. Snow deve
essere morto. Lo sa. E Capitol City è caduta. Lei era
lì, quando è
successo. Il pensiero le fa stringere lo stomaco. Ma i suoi bambini
sono vivi. Peeta è vivo. E se anche -ingoia un nodo di terrore-
quella riguardo ai suoi figli non fosse una bugia, lui non si sarebbe
suicidato. Avrebbe continuato a lottare. Li avrebbe vendicati. Ma
lo avevamo già fatto una volta. Lei
era stata la Ghiandaia Imitatrice.
«È
una cosa che dici spesso, sai, quando sei sotto anestetici. Questa
bizzarra storiella sulle ghiandaie. È solo una favola per
bambini,
proibita tra l'altro. La raccontano nei Distretti. Una sciocchezza
riguardo a un uccellino che potrebbe rovesciare Capitol City. Non
è
mai successo.»
Katniss
scuote la testa. D'improvviso è stanca di urlare.
«Non è vero. È
successo. Io ho vinto gli Hunger Games. Sono la Ghiandaia
Imitatrice.»
«Tu
non sei mai stata agli Hunger Games, Katniss. I tuoi figli
sì, per
una sfortunata combinazione del destino. Sono stati il maschietto e
la femminuccia sorteggiati. Considerato il vostro Distretto di
provenienza, a quel punto non potevi aspettarti davvero di non
perderli, no? Ma a quanto pare nessuno di voi due ha retto il colpo.
Dopo che lui è morto, tu sei impazzita. Per questo sei qui,
per
arrivare all'esecuzione come una persona corretta.»
L'odore
è più forte, adesso, soffocante. L'ha
già sentito, ricorda a un
tratto: è lo stesso fetore di Snow. È da quando
l'ha incontrato per
la prima volta che ha il suo tanfo incollato alle narici. È
così
concentrata a cercare di respirare che si accorge in ritardo che la
donna ha finito di parlare e si sta aspettando una reazione da lei.
Suo
malgrado, la accontenta
prontamente.
«Esecuzione?»
Apparentemente
soddisfatta dal suo sgomento, lei annuisce gravemente. «Oh,
sì. Tu
sei una criminale, Katniss. Hai ucciso tua sorella. So che eri
distrutta dal dolore, ma-»
«Io
non ho mai fatto del male a Prim.» La voce le trema, e sa che
sta
per spezzarsi. «Lei è morta
perché...» Non
può continuare. Nessuno di loro merita di saperlo. La vista
le si
sta sfocando di nuovo, ma non è per colpa dei farmaci.
«Perché
tu l'hai uccisa. Dopo la morte di tuo marito, lei è venuta a
controllare come stavi, e tu l'hai aggredita. Mi dispiace
così
tanto.»
Inaspettatamente,
ciò che la ferisce di più è
l'ipocrisia che avverte nella sua
voce. Le
mani le formicolano,
ansiose di stringersi intorno alla sua gola e stringere, stringere
forte, e desidera di non essere legata.
«In
questo periodo hai seguito un programma di correzione studiato
appositamente per te, ma non ha sortito gli effetti desiderati.
Continui ad avere amnesie e attacchi isterici. Ieri hai quasi
strangolato un'infermiera. Per questo non ci lasci altra scelta che
condurti così
davanti al
Presidente.»
Compaiono
mani sulle sue braccia: la tengono ferma mentre le cinghie che la
bloccavano vengono slacciate, e la
trascinano attraverso un corridoio impossibilmente lungo. I
muri sono costellati di ritratti.
Anche nella penombra, Katniss non può non riconoscerli. E
non può
evitare un'ondata di nausea e di lacrime -non le lascerà
scendere,
comunque. Finnick. Boggs.
Prim. Con la vernice rossa (non vuole prendere in considerazione la
possibilità che sia sangue) su ogni immagine è
tracciata una grande
X. Procedendo, altri volti le sorridono, tutti dolorosamente
familiari. La pittura fresca gocciola sulla moquette. Annie. Johanna.
I suoi bambini. Peeta. Quando,
in fondo al corridoio, incontrano una porta, lei è quasi
sorpresa.
Sopra l'architrave è appeso un grande stendardo con il
simbolo della
Ghiandaia Imitatrice. È squarciato, i lembi inzuppati di
quella che
si ostina a credere sia vernice.
Si
chiede perché le facciano vedere questo, dopo il teatrino
del
manicomio, ma non ha davvero bisogno di rispondersi: confondere e
sbriciolare le menti altrui è sempre stato nello stile di
Capitol
City. Il loro gioco preferito.
La
piazza in cui sbucano è affollata: gremita di persone
accomodate su
alte gradinate, troppo nuove per essere lì da sempre. In
realtà,
tutto sembra appena ricostruito. In
mezzo allo spiazzo, accomodato pomposamente su un trono, sta un
ometto coi capelli bianchi. La
portano davanti a lui, e Katniss incrocia il suo sguardo. Le stesse
fattezze del rettile. La stessa puzza di sangue e fiori. Ma non
è
Snow.
Quando
le ombre anonime che l'hanno portata fin qui le lasciano le braccia,
lei sa cosa fare. Le tre dita della mano sinistra sono familiari
contro le sue labbra, come se l'impronta digitale fosse rimasta
stampata lì per tutto quel tempo.
Non le
sfugge il brivido che
scuote la folla silenziosa.
Il
Presidente non si scompone. Le
sorride, scoprendo denti affilati da carnivoro. Fa
un cenno elegante
con la
mano, ed
è una pioggia di
fuoco diretta su di lei. La
Ragazza di Fuoco.
Katniss
se ne accorge con spaventosa, sconcertante chiarezza: gli Hunger
Games non sono mai finiti. Ed
è allora che apre le ali.
Quando
si sveglia, Peeta è vicino a lei. Dove si aspetta che sia.
Inquadra
i due capini ricciuti affondati nel suo guanciale, e per la prima
volta è contenta che i bambini li abbiano raggiunti nel
lettone -ci
è voluto così tanto per convincerli che i mostri
dei loro incubi
non si nascondono nell'armadio della loro cameretta.
«Ti
senti bene?» le chiede lui. La sua voce è dolce,
come al solito.
«Ho
fatto un incubo.» Non parlano mai dei loro sogni,
perché entrambi
li conoscono fin troppo bene.
La
mano di Peeta si stringe con delicatezza sulla sua. Anche quando non
sta cucinando, il profumo dei dolci e del pane fresco lo circondano
come una seconda pelle. «Adesso va tutto bene.»
E
Katniss è felice di sapere che è vero.
Angolo
dell'autrice:
Hi
~
Innanzitutto,
grazie per essere arrivati fin qui: spero che la fic, per quanto
prolissa, vi sia piaciuta. Come ho scritto nell'introduzione,
è la
prima che pubblico su questo fandom, e... diciamo che non leggo i
libri da un po', quindi mi scuso se qualche particolare va contro la
trama originale.
Piccola
nota: la parte in corsivo è un'aggiunta. Inizialmente
pensavo di
lasciare il Bad Ending implicito ma
neanche tanto,
poi però ho pensato: “La Collins ha già
fatto una strage: chi
sono io per impugnare la falce contro quei pochi
sopravvissuti?”
Di
nuovo, spero che l'abbiate apprezzata; vi sarei gratissima se
lasciaste una recensione (siate pure spietati) ~
Cium
♥
Ukki
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