apnea
Avete presente
quando vi viene a mancare l’aria sott’acqua?
Ero a
casa, non stavo facendo nulla di particolare.
Ah, sì,
stavo leggendo. Un thriller.
E mi
ricordo anche l’ultima frase che ho letto, ora che ci penso, sì!
“Lei disse ‘Non stavo facendo nulla
di male!’”
Ecco.
Alla
parola “MALE” il cellulare suonò.
E io
risposi perplessa: non conoscevo il numero che mi stava chiamando.
“…Pronto?”
La voce
insicura di un ragazzo mi rispose.
“Ehm…
Pronto, Silvia?”
“Sì?”
“Emh, sì,
ciao… sono Andrea”.
Ma io conoscevo
tanti Andrea. È un nome così comune, Andrea.
“Andrea…
Andrea chi, scusa?” chiesi, confusa, mentre cercavo di fare mente locale.
“Andrea…
sai, che studio a Pisa… quello pugliese…”
Una fitta
mi attraversò la testa, fulminea.
L’avevo
riconosciuto.
Ma lui
terminò lo stesso quella sorta di identikit.
“L’amico
di Christian” concluse, mentre io già mi sentivo un’accetta spaccare l’osso del
collo.
Deglutii.
Ero
contenta di sentirlo.
Ero anche
disgustata.
“Andrea,
ciao…” dissi con tono amichevole “Scusami, dalla voce proprio non riuscivo a…”
“No, no,
figurati… Come stai, tutto bene?”
“Io sto
bene, sì…”
Non avevo
motivo di stare male. Stavo bene sul serio, a parte quell’ammaccatura che mi
era stata procurata alla pronuncia di quel nome. Maledetto.
“Ma tu
stai bene? Come sta la tua ragazza?”
“Sì, sì,
Lucia sta bene, io pure…” mi rispose lui, sempre incerto nel parlare.
E
quell’accento non lo aiutava.
I suoi
discorsi mi sembravano una cantilena.
“Mi hai
chiamato per qualcosa in particolare? Dimmi pure…” lo incoraggiai, sorridendo
lievemente per suonare più amichevole.
“Sì, in
effetti sì…”
Il suo
tono di voce si fece più sicuro.
Continuò,
con cautela.
“Ho
pensato di chiamarti, anche se non so quanto ti potrà interessare la cosa… era
giusto per fartelo sapere… si tratta di lui, sai…”
Senza
esitare, ribattei: “Vai avanti, Andrea. Ti ascolto, tranquillo”.
Che voce
autoritaria. Non me lo sarei mai aspettato da me stessa.
Mi stavo
facendo coraggio o cosa?
Sentii
Andrea sospirare.
Lo
lasciai fare e sopportai quel silenzio che mi stava mettendo solo ansia
addosso.
Poi lo
disse.
“Christian
è morto, Silvia.”
Restai
con il fiato sospeso.
Probabilmente,
avevo anche gli occhi spalancati in quel momento.
Morto.
Quella
parola aveva creato una eco spaventosa nella mia testa, ma non mi aveva
convinta.
Dovevo
vederlo morto. Con i miei occhi spalancati.
Con i
miei occhi che avrebbero parlato per me.
“Andrea”
chiesi con un filo di voce “Dimmi come e quando…”
“L’ha
ammazzato un pirata della strada mentre stava tornando a casa a piedi, dalla
facoltà… è successo l’altro ieri… era quasi sera…” rispose quel povero ragazzo.
Aveva la
voce rotta dal pianto e stava cercando disperatamente di trattenersi.
Io invece
non avevo proprio nulla da trattenere.
“L’hanno
ammazzato…” ripetei, quasi sussurrandola, quella frase. Gli occhi fissi davanti
a me, sul muro bianco.
“Sì…”
replicò lui “Si sono messi sulle sue tracce, dovrebbero riuscire a prenderlo… e
a farcelo marcire, in galera… scusami…”
Si mise a
piangere, finalmente.
Sentii i
suoi singhiozzi fare tenerezza al mio timpano.
“Non fare
così, Andre, no, no… ssshhh, dài… lo prenderanno, vedrai…” cominciai a dire con
voce triste, addirittura alzandomi dal divano nel quale mi sembrava di essere
affondata.
Andrea si
ricompose e mi disse: “Sì, lo prenderanno. Perché non si può lasciare un
criminale così in giro, no no… che pezzo di merda, Silvia…”
Chiacchiere.
Chiesi
subito: “Ha sofferto?”
Ancora
qualche altro secondo di silenzio, a parte il respiro affannato di Andrea dopo
aver pianto.
“L’hanno
trovato che era ancora vivo, in mezzo alla strada…”
Immaginai
un ragazzo come Christian, vestito di nero e con le braccia forti, sull’asfalto
sporco e tutto imbrattato di sangue.
Un lago
di sangue, che gli stava inzuppando i vestiti, i capelli.
Quei suoi
santissimi capelli.
“E’
riuscito a chiamare il 118, però non poteva muoversi… li ha chiamati dal
cellulare, poi è passata una macchina che si è fermata… per aiutarlo…”
E certo.
Forte
fino all’ultimo.
Aveva
chiamato l’ambulanza da solo.
Determinato
e sofferente.
Nel suo
lago di sangue, tutto sporco e infetto.
Senza
speranza.
“E poi… è
morto poco dopo essere arrivato in ospedale… un’emorragia interna lo ha
stroncato…”
Non me ne
intendo per niente di medicina, non so in che cosa consiste precisamente
un’emorragia interna.
In quel
momento, mi venne in mente solo un’immagine.
Il sangue
che scoppiava all’interno del cervello di Christian, mandandolo in tilt.
Quella
roba rossa che usciva dalle vene spaccate e che invadeva ogni angolo delle sue
viscere.
Forse gli
è uscito anche dagli occhi.
Forse era
diventato tutto blu, o viola, o nero.
Avrà
strinto i pugni prima di morire?
Avrà
sentito dolore?
Avrà
creduto semplicemente di perdere conoscenza o si sarà reso conto che la vita lo
stava abbandonando?
“Silvia…
sei sempre lì?” mi chiese Andrea.
Mi
riscossi e risposi balbettando: “Cos… sì,
sì, ci sono… è che… non so cosa
dire…
sono un po’ tanto… sconvolta, sì…”
Vero, ero
sconvolta.
Andrea
continuò: “Bè, i dottori hanno fatto il possibile per salvarlo… ma purtroppo
non ce l’ha fatta…”
Non ce
l’aveva fatta anche altre volte, Christian.
“Era un
ragazzo forte…” dissi io, soprappensiero.
“I
funerali ci saranno domani, dov’è nato… non è che vorresti venire?”
Sì,
volevo venire. Mi sarebbe piaciuto molto venire al funerale di Christian.
“Certo
che vengo” risposi, come se la cosa fosse ovvia come le leggi della natura.
“Sono
alle due e mezza”
“Sarò
puntuale…”
Andrea
stette zitto ancora una volta, lasciandomi per niente sorpresa.
Anzi, mi
stavo cominciando a preoccupare per quello che non mi aveva ancora chiesto.
“Silvia”
mi domandò “Come ti senti?”
Sorrisi,
come per dire “Era ora, cosa stavi aspettando?”
“Molto
strana” replicai con semplicità.
“So
quanto male ti ha fatto…” ribadì lui, con tono comprensivo “Ma sarebbe meglio
se tu rispettassi al meglio il dolore di questo momento… E’ morto, Silvia…”
“E io
sono viva e sto bene, Andrea. Lo so. Stai tranquillo, so che un lutto va
rispettato e lo farò”.
Che tono
solenne.
Mi stupii
di nuovo di me stessa.
“Ti ringrazio…”
fu la replica finale di andrea.
Una voce
così grata non l’avevo mai sentita.
“Allora…
ci vediamo domani…” mi ripeté.
“Sì, va
bene. Ci sarò. Ciao, Andrea. Cerca di stare su…”
“Anche
tu… Ciao…”
Tu tu tu tu tu tu tu tu…
Rimasi
col telefono in mano.
Tu.
Tu che ti
vestivi sempre di nero.
Tu.
Tu che mi
mettevi sempre qual braccio forte intorno alle spalle.
Tu.
Tu che
volevi sempre essere forte, più forte di tutti e di tutto.
Tu.
Tu che
con quegli occhi piccoli e penetranti mi hai perforato l’anima.
Tu.
Tu che mi
hai presa e poi scartata.
Tu.
Tu che mi
hai resa ciò che non vorrò più essere.
Tu.
Tu per il
quale io mi addosso colpe ancora oggi. Dopo anni.
Tu.
Tu che
hai segnato, marchiato, ustionato me.
Tu.
Tu che ti
vuoi fare rispettare anche da morto.
Chiusi il
cellulare con uno scatto e lo appoggiai sul tavolo.
Poi
sentii qualcosa salire su, arrampicarsi di nascosto su per il mio stomaco, poi
lungo l’esofago, infine su per la gola…
Birichino,
zitto zitto.
E
inopportuno.
Uno
scoppio d’ilarità incontenibile uscì dalla mia bocca e spaventò a morte anche i
muri di casa mia.
Quasi mi
sembrò di vederli diventare più bianchi del solito.
Risi,
risi e risi, tanto da piegarmi in due, accucciata sul pavimento.
Mi
reggevo a fatica a una sedia, espandendo la mia risata sguaiata, che ora stava
probabilmente giungendo anche alle orecchie del Padreterno, scandalizzatissimo.
Per un
istante, anch’io mi terrorizzai.
Cos’era
quella risata impazzita, isterica, FELICE?
Ma poi
lasciai perdere quella domanda e continuai a ridere, incurante di tutto.
Non mi
ero mai sentita così raggiante in vita mia.
Ecco.
E ora,
ditemi.
Avete presente
quando riemergete dall’acqua e respirate a pieni polmoni?
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