We carry the dead
in our hands.
There is no other way.
The dead are not carried in our memories. They died
in another age, long before this moment.
We shape them from the wounds
they left on the inanimate,
ourselves, as falling water
will turn stone into a bowl.
There is no room in our hearts
for the dead, though we often imagine that there is,
or wish it to be so,
to preserve them in our warmth,
our sweet darkness, where their fists
might beat at the soft contours of our love.
And though we might like to think
that they would call out to us, they could never do so,
being there. They would never dare to speak,
lest their mouths, our names, fill
quietly with blood.
We carry the dead in our hands
as we might carry water - with a careful,
reverential tread.
There is no other way.
How easily, how easily their faces spill.
[John Glenday - Portage]
La prima cosa che fai appena nasci è piangere e nessuno
prova
pena per te in quel momento; è un buon segno, il pianto di
un
neonato, significa che sta bene, perchè se piange respira,
se
respira tutto è come dovrebbe essere. Nessuno ti dice di
smetterla, nessuno si arrabbia. Sono tutti felici.
Tu piangi e loro ridono.
Poi cresci. Hai le coliche e piangi, hai sonno e piangi, hai fame e
piangi, caschi e piangi. Il primo giorno di accademia piangi, ti fanno
male i denti e piangi, ti sbucci un ginocchio e frigni. Piangi per te
stesso, tu sei il centro del tuo mondo, i bambini sono così,
sono il centro del loro piccolo universo fino a quando, un bel giorno,
si accorgono che non hanno mai smesso di crescere dal momento in cui
hanno pianto per la prima volta.
L'adolescenza.
E tu sei maschio. I maschi non piangono. I maschi sono forti per
definizione, chi è forte non piange, non ne sente il bisogno.
Hai il tuo team, hai i tuoi amici, hai il tuo sensei. Hai un padre con
tendenze masochiste che però ti batte sempre a shoji, non
gli
serve neanche guardare la scacchiera per stracciarti, non ha neanche
bisogno di esultare quando ti batte perchè nel profondo -- in
quell'angolo che ogni buon genitore tiene nascosto per vergogna e che
ogni tanto esce fuori con perle di saggezza che per le orecchie di un
dodicenne non hanno nessun significato a parte 'che noia'
-- spera di
venire battuto, almeno una volta, per sapere che qualcosa di buono
nella sua vita l'ha fatto a parte sposare tua madre.
Hai una madre, una
di quelle dure da morire, toste da morire, severe da morire, ordinate
da far schifo, così quadrate da far vergognare chiunque, ma
che
ogni tanto -- in quei
giorni buoni quando ti alzi senza che lei sbraiti
il tuo nome dalle scale, quei giorni lì che c'è
il sole
accompagnato da un venticello piacevole che smuove l'erba e le foglie
sugli alberi con una dolcezza quasi materna, in quei giorni
lì
che sei contento di esserti alzato dal letto -- sorride.
E un giorno ti trovi a piangere davanti ad una sconosciuta. Non piangi
perchè ti sei fatto male cadendo, piangi di vergogna, ed
è una cosa che non augureresti a nessuno. La vergogna di non
essere abbastanza, di essere fondamentalmente un codardo, una di quelle
persone che mette a rischio la sicurezza del prossimo; e tuo padre
è lì che te lo sbatte in faccia. Oltre al
desiderio di
voler sparire dalla faccia della terra non sai
che fare. Lo
superi quel momento, è così che si dovrebbe
andare avanti. Le cose
si superano, ti rialzi tutte le volte che cadi, indipendentemente dal
motivo che ti ha fatto finire per terra, ti dai due pacche sulle
spalle, giuri e spergiuri che non accadrà mai più
e vai
avanti.
Fa sempre più male ogni volta che cadi, ma non piangi come
quando eri bambino perchè non sei più
un bambino. I
bambini, se piangono, vengono consolati, vengono coccolati, vengono
presi da sotto le ascelle e rimessi in piedi perchè da soli
non
lo sanno fare. Gli adolescenti, quelli come te che sanno combattere e
che sanno quanto poco ci vuole per uccidere un altro essere umano, se
piangono vengono chiamati immaturi.
Immaturo, in sintesi, significa non avere il senso di
responsabilità -- che col piangere non c'entra assolutamente
nulla
se ci pensate. Non ha senso definire immatura una persona che piange,
però al solo pensarci ti vengono i brividi, scoppiare in
lacrime
solo perchè le cose non vanno come vuoi tu, solo
perchè
ti hanno buttato a terra di nuovo. E' inconcepibile.
E poi, anni
dopo, il tuo
sensei muore, ti muore tra le braccia e non ce la fai. Non
ce la fai.
Hai la sensazione che tutta la tua vita fino a quel momento possa
essere riassunta nella scacchiera che scaraventi dall'altra parte della
stanza perchè Asuma ha creduto in te, perchè
Asuma ha
perso molto più della sua vita e tu non sai cosa fare. Tu
eri
lì.
Eri. Lì.
L'hai visto cadere, l'hai sentito morire e non hai potuto fare niente.
Ed ora cos'hai?, hai la mano dolorante per la forza che hai usato
mentre spingevi via la scacchiera, hai la fronte così
aggrottata
che ti fa male e tuo padre non l'hai mai guardato così, non
hai
mai provato la voglia di scaraventare lontano anche lui, di spingerlo
via, di fargli male. Invece piangi. Scoppi a piangere quando tuo padre
va via e cadi consapevolmente
stavolta perchè è lì
che vuoi stare, per terra, impotente, indifeso, piccolo.
Non lo superi quel momento, non del tutto, ci sono cose che ti restano
attaccate addosso. Non ti liberi da quella sensazione d'impotenza fino
a quando non sotterri l'assassino di Asuma e ripensandoci lo rifaresti
mille e mille volte, procurandogli più sofferenza ogni
volta,
umiliandolo ancora e ancora e ancora.
Non dimentichi quel momento, Asuma è sempre lì
che
ridacchia, ma lo lasci andare. Apri gli occhi, le mani, la testa e lo
lasci andare,
ogni tanto vai a riprendertelo, qualche volta torna tutto
da solo e sei tu a lasciarlo entrare fino a quando non fa
più
così male.
Non un ragazzo, non un uomo. Stai in mezzo, nè qui
nè lì, ci stai bene, ci stai comodo.
Vai in guerra. Tutto cambia.
Cambia la tua vita, cambia tutti.
Tuo padre -- che aveva
un modo strano di bere il sake, che sbadigliava
senza coprirsi la bocca, che guardava tua madre senza fiatare ma le
parlava così,
che ti ha sempre battuto a shoji, che ti ha
insegnato l'onore nel piangere per qualcuno, che non ti ha mai aiutato
ad alzarti ma ti ha fatto vedere come andava fatto --
muore. Tu non eri
lì.
Non. C'eri.
E' diverso, stavolta. Ti stava parlando, tuo padre, ed eri consapevole
che quelle sarebbero state le sue ultime parole. Non eri lì,
l'hai sentito morire comunque. Te
lo sei sentito morire dentro tuo padre.
Hai continuato a combattere, non ti sei lasciato cadere, non hai
permesso a niente e a nessuno di buttarti a terra, ed è
stato in
quel momento che hai capito.
Che le ginocchia da bambino non le hai mai veramente smesse, che se
tremano non è perchè hai paura, che tutte le ore
passate
per terra non te le sei realmente lasciate alle spalle; ti hanno
accompagnato per tutta la tua vita, ti hanno -- lentamente ma con una
sicurezza travolgente -- preparato a momenti
più difficili, a
momenti diversi e ti hanno dato la forza di sopportarle quelle
ginocchia tremanti -- di
sopportare il peso di te stesso sulle ginocchia che tremano.
Stavolta sai esattamente cosa fare.
Stavolta non sei solo, non proprio.
E piangerai, dopo, ti dispererai per te stesso, per chi hai perso, per
tua madre, per le cose, i gesti, le parole che non ritroverai una volta
tornato a casa.
Non sei pronto per aprire gli occhi, le mani e la testa, non sei pronto
per lasciarlo andare come non eri pronto per sentirli andare via.
Gli uomini della tua vita.
E se cadi ora chi ti riprende, mh?, chi ti si metterà muso a
muso, eh? Chi ti dirà la verità in faccia senza
preoccuparsi di quello che senti? Come riuscirai ad alzarti stavolta se
ti lasci cadere consapevolmente?, per cosa? Per chi? Perchè?
Non se ne vanno mai via certi momenti, te li ricorderai a vita, ti
resteranno addosso finchè campi. Non è una brutta
cosa,
pensandoci.
Perciò non piangerai, non ancora, non piangerai fino a quasi
affogarti, e non penserai a tua madre che chissà cosa sta
facendo, chissà se l'ha capito, chissà cosa
farà
quando lo saprà.
Combatterai perchè è così che si fa.
Ringrazi tuo padre perchè sei riuscito a crescere mentre lo
guardavi, hai smesso di essere immaturo giocando con lui a shoji, puoi
solo ringraziarlo. Dopo -- dopo
-- quando potrai solo ricordarlo -- e
sperare di farlo nel modo giusto, non dimenticando le cose veramente
importanti che facevano di tuo padre la persona che era, cercandolo
sempre nelle piccole cose, quelle che da quando non c'è
più ricordi con più chiarezza e che prima non
avevano la
minima importanza perchè c'era lui che le
faceva e tu eri troppo
impegnato a guardarlo
per prestare attenzione alle piccole, minuscole, cose che le sue spalle
e le sue mani portavano avanti -- non
sai cosa farai e come la farai, ma non è ancora tempo per il
dopo.
Ora si combatte, ora si va avanti.
Ora si sta in piedi.
[E un giorno, quando avrai la possibilità di sapere cosa
vuol
dire essere padre, proverai ad imitarli entrambi, gli uomini della tua
vita, e non ci riuscirai perchè è così
che
funziona il futuro di cui tutti si riempiono la bocca senza realmente
sapere di cosa stanno parlando. Non c'è mai una persona
uguale
ad un'altra, tu non sei Asuma, non sei tuo padre, e va bene così.
Te le ricorderai sempre le piccole cose che fanno di un uomo un uomo
perchè certe impronte
ti crescono dentro, maturano insieme a te e non te ne accorgi subito,
come quando, dal bambino che eri, ti sei trasformato senza neanche
volerlo o prevederlo in qualcos'altro.
Qualcuno, realizzerai dopo,
che non ha mai strisciato, che non si è mai veramente
piegato,
che ha perso e che, una volta davanti il conto, ha vinto].
N/A
E l'ho fatto di nuovo. Stavolta però ho scritto
più a me stessa, certe volte fa bene darsi degli immaginari
schiaffi in faccia per rimettersi in piedi, per cui spero di non essere
caduta troppo nel banale e spero davvero che vi sia piaciuta almeno un
po' nonostante la tetrosità.
Angela.
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