[Moon]light.

di cormac
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[Moon]light.



La luce della luna è pallida e fioca, dei timidi raggi color latte filtrano birichini attraverso i vetri e le tende tirate, ma il loro chiarore è così soffuso e smorto che non basta più; interviene solo una candela solitaria e tremolante a rischiarare l’oscurità. In realtà, Thoth non ha davvero bisogno di quella luce, sono i sensi e l’esperienza a guidarlo: conosce il corpo che giace sotto di sé così bene, lo ha esplorato così tante volte che ormai la vista è diventata niente più che inutile, un impiccio.
Sa perfettamente che tipo di espressione alberga sul volto di Anubis, i suoi stessi gemiti a malapena soffocati glielo suggeriscono. Entrambi, quando quella finora tacita richiesta è stata comunicata espressamente, sapevano come sarebbe andata a finire; “resta con me, stanotte” aveva detto il dio della conoscenza, ed il cuore di Anubis aveva preso a martellare nel petto.
Anche in quel momento, quando si china su di lui, Thoth riesce a sentirlo battere all’impazzata.  
Fa caldo ora nella stanza, un calore bruciante che assieme al sesso contribuisce  ad imperlare di sudore la fronte di Anubis ed i muscoli di Thoth, ma gli dei sono incuranti, perché quella scena si ripete da secoli. Anzi, forse non ha mai avuto un vero e proprio inizio, come non avrà una vera e propria fine, quell’intrecciarsi di corpi e di anime.
Ingabbiato dalla braccia di Thoth, Anubis non può che godere in silenzio, perché sa che l’indomani il dio tornerà ad indossare la sua maschera, tornerà ad essere quello di sempre, e solo in frangenti come quello il dio dei morti ha l’opportunità di scorgere quelle sfumature di sé che l’altro tiene celate. E lo farebbe, starebbe davvero in silenzio, se ad un affondo più violento, che gli strappa un gemito, non seguisse un bacio sulle labbra, concesso con un’inaspettata dolcezza.
E le mani di Thoth che lo stringono a sé sono l’ultima cosa che sente prima di addormentarsi. 





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