cap 1
Prologo
"In her fairy-tale world she's a
lost soul singing
in a sad voice nobody
hears.
She waits in her castle
of make-believing
for her white knight to
appear"
Jethro Tull, "Pussy
Willow"
Ariana era irrequieta – lo era stata fin dalle prime ore del
mattino.
Tuttavia dato che la sua inquietudine non si esprimeva in paura o
aggressività, ma solo in un'allegria infantile, quello era
da
considerarsi uno dei giorni migliori.
Niente era andato in fiamme, niente era crollato o esploso. Solo alcune
ante d'armadio si erano alzate in volo, mentre i cassetti del
comò vicino erano schizzati via dai loro supporti, come se
vi
fosse nascosto un malvagio Poltergeist. Ma tali bazzecole non
spaventavano più da tempo gli abitanti del numero 3 di Peverell's Path.
Il disagio generale, non solo di Ariana, era causato dalla luna piena
ormai prossima e soprattutto dal tempo: ormai da giorni regnava un
caldo opprimente, e da settimane non era più caduta una sola
goccia di pioggia.
Certo, un incantesimo di frescura manteneva temperature piacevoli in
casa, ma non si potevano aprire porte e finestre senza che entrasse un
fiotto d'aria calda e soffocante, come da un forno.
Aberforth aveva giocato tutto il giorno con Ariana, per dirigere le sue
energie su binari meno distruttivi. Con una carampana – i cui
riquadri erano stati disegnati sul parquet del soggiorno con della
fuliggine dal camino – e un giro di Acchiappa-il-Grifone,
durante il quale si erano inseguiti su e giù per le scale di
mezza casa, alla fine era riuscito a stancare così tanto la
sua
sorellina che Ariana era già pronta ad andare a letto senza
fare
storie.
Mentre lei era nel suo piccolo bagno personale a lavarsi e cambiarsi,
Aberforth la aspettava nella sua stanza, che confinava direttamente col
bagno.
Sedeva su una delle graziose seggiole rosa vicino al letto, e fissava
assente il grandioso panorama fuori dalla finestra che si offriva allo
sguardo dell'osservatore: il sole al tramonto brillava sulle facciate
color pastello delle piccole case che sembravano stringersi le une alle
altre. Dietro, i fianchi della montagna coperti di ginestre formavano
un unico mare di fiori gialli, e la superficie dell'acqua del vero mare
del porto dava l'impressione di essere oro liquido. Gabbiani a chiazze
si libravano sulla banchina, beccacce di mare dal lucente piumaggio
nero pece zampettavano sulla spiaggia, nella sabbia bagnata, e
smuovevano le alghe con i loro becchi lunghi e rossi. Il vento gonfiava
le vele di una barca da pesca fra le onde, facendo sventolare
allegramente la bandiera bianca e verde col drago sulla torre del
municipio e i numerosi gagliardetti colorati sugli alberi delle barche
ormeggiate.
In un vento fresco di cui a Godric's Hollow non si sentiva nemmeno un
alito.
Se si fosse aperta la finestra si sarebbe spezzato l'incantesimo
d'illusione e non si sarebbe visto oltre il grigio e nudo granito delle
pietre con cui era stata murata la finestra della stanza di Ariana. Per
proteggere gli abitanti del villaggio e loro stessi, nel caso in cui
Ariana avesse forzato la finestra durante una crisi notturna e fosse
fuggita, confusa e spaventata, prima che qualcuno si rendesse conto di
cos'era successo.
Aberforth si pulì assente la fuliggine dai vestiti, quella
fuliggine che gli era rimasta attaccata sulle dita dal disegno della
carampana, e voltò le spalle alla finestra. La scena, per
quanto
bella potesse essere, lo rendeva triste e arrabbiato, perché
sapeva che era solo un'illusione e lei non si sarebbe mai
più
potuta godere il panorama reale. Anche se avesse potuto portarcela un
giorno, non sarebbe più stato lo stesso. Ariana non poteva
più sfrecciare fra i vicoli con scope giocattolo, seguita
dal
padre che rideva e le correva accanto a lunghi passi e falde
svolazzanti, stando attento che non scivolasse a terra. E non avrebbe
mai potuto volare su una vera scopa.
Troppo pericoloso.
Senza volere, Aberforth lasciò correre lo sguardo attraverso
la
stanza, su bambole, animali di pezza, scaffali di libri e sui quadri
con unicorni che pascolavano e cuccioli di kneazle che giocavano. Tutto
sembrava in qualche modo... logoro.
Un Reparo
ben eseguito non lasciava alcun vero danno come strappi e crepe dietro
di sé, ma se veniva usato troppe volte le cose perdevano il
loro... spirito,
diventavano opache, consumate, o come le si voleva definire. Apparivano
semplicemente logore.
Ariana venne correndo dal bagno nella sua camicia da notte preferita
con delle puffole ricamate, in un balzo fu a letto e spinse una
spazzola in mano ad Aberforth.
Seguendo un rituale che portavano avanti da sempre, le
spazzolò
i capelli come ogni sera. Il tocco e il ritmo regolare della spazzola
tranquillizzavano Ariana.
Quando i suoi capelli biondo-rossicci e lunghi fino ai fianchi furono
infine pettinati e raccolti in due trecce per la notte, si
voltò
verso Aberforth.
"Mi leggi qualcosa?" chiese.
"Cosa?"
Ariana scostò la coperta, saltò su e corse allo
scaffale
dei libri. Tornò con un sottile libro babbano e lo
ficcò
in mano a suo fratello.
"Questo qui!"
Tornò gattonando a letto e si premette impaziente un cuscino
sul petto, come fosse un animale di pezza.
Il libro era rovinato da macchie di marmellata, alcune pagine erano
incollate e i bordi superiori erano un'unica orecchia.
"Questa storia devi averla sentita almeno mille volte, e saperla a
memoria da un pezzo" osservò Aberforth.
Inoltre sei troppo
grande ormai,
pensò, senza però dirlo. Quella era una storia
per
bambini piccoli. Alla sua età avrebbe dovuto leggere storie
di
cavalli, unicorni, amicizia tra ragazze e... ma sì, tutto
ciò di cui si interessavano normalmente le ragazze di
quattordici anni.
"Oh, per favooooore, Abe!" si lamentò lei.
"Va bene" acconsentì lui, e si schiarì la voce in
modo
teatrale "Allora. C'era una volta una vecchia capra, che aveva sette
giovani capretti. Li aveva tanto a cuore, come ogni madre ha a cuore i
suoi bambini. Un giorno..."
La strofa alla fine della favola, Ariana la recitò a voce
alta
con lui e si lanciò infine nella cantilena: "Il lupo
è
mo-orto, il lupo è mo-orto", il suo cuscino nell'aria.
Aberforth lo acchiappò e glielò infilò
dietro la testa.
"Allora puoi dormire tranquilla" spiegò facendole
l'occhiolino, si chinò e la baciò sulla fronte.
"Notte, piccola. Dormi bene."
"Buona notte, Abe."
Aberforth si alzò, chiuse piano la porta dietro di
sé e
passò la mano sul pomello d'ottone, che al suo tocco
baluginò di rosso e attivò l'incantesimo che
avrebbe
segnalato forte in tutta la casa se la porta si fosse aperta
dall'interno.
* * *
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