Maureen
Di
cosa siamo capaci, pensò.
Crescere,
amare, fare figli, invecchiare –
e
tutto questo mentre anche siamo altrove,
nel
tempo lungo di una risposta non arrivata,
o
di un gesto non finito. Quanti sentieri,
e
a che passo differente li risaliamo,
in
quello che sembra un unico viaggio.
{Alessandro
Baricco | Mr. Gwyn}
Point
Pleasant, New Jersey
Di una cosa sono sempre
stato certo: non so dimenticare in fretta quanto la maggior parte del
resto del mondo. Le persone dimenticano sempre i dettagli che
arricchiscono le loro esistenze, per quanto importanti e vitali
possano sembrare ad un primo sguardo. È inevitabile: i ricordi si
fanno via via più vaghi, i dettagli sfumano, e nessun uomo può
ricordare con certezza, a distanza di anni, quale tipo di scarpe
indossasse la moglie la sera del loro primo appuntamento.
Vorrei somigliare alla
maggior parte degli uomini, e stare sdraiato accanto a mia moglie
senza ripensare ad una notte come questa, solo più calda e con meno
comodità, e alla donna che se ne stava distesa accanto a me a quel
tempo, profondamente immersa nel sonno e con i piedi freddi che
cercavano costantemente un po' di tepore tra i miei polpacci. Come
allora, non riesco a prendere sonno e me ne sto con gli occhi
spalancati a fissare l'altro lato del letto, voltandomi di tanto in
tanto per guardare la sveglia e stupirmi di quanto poco tempo
intercorra tra un'occhiata e l'altra. Quando il display arriva a
segnare l'una e cinquantotto, mi arrendo all'idea che passerò
un'altra notte in bianco – l'ennesima, da quando sono tornato dalla
Colombia.
Lascio
la stanza senza fare rumore, controllo che la bambina dorma
tranquilla e scendo in salotto, curandomi di saltare il penultimo
scalino, quello che scricchiola. Accendo una lampada e frugo
nell'ultimo scaffale in basso a sinistra, sicuro che quello che sto
cercando si trovi lì. Non riesco ad impedirmi di trattenere il fiato
quando le mie dita incontrano la familiare forma dell'album: è come
se il mio cuore anticipasse l'emozione che proverò nel rivedere
quelle fotografie. Non posso dargli torto: ho sfogliato queste pagine
così tante volte da averle ormai consumate, tanto da conoscere quasi
esattamente l'ordine in cui gli scatti sono disposti. Come sempre mi
siedo sul bracciolo del divano, con la raccolta in bilico sulle
ginocchia, pronto a metterla via al primo segno di disturbo: Linda sa
della mia esperienza in Colombia, ma per qualche ragione non voglio
che veda queste foto, o perlomeno non voglio che le guardi insieme a
me. Dopo mesi di sedute, il mio analista è giunto alla conclusione
che il mio rifiuto di sfogliare questo album insieme a mia moglie
rappresenti la mia volontà di mantenere intatto il ricordo di quei
mesi, e soprattutto di mantenerlo privato.
Non posso non dirmi d'accordo: nessun uomo vorrebbe guardare con la
propria moglie una raccolta di fotografie che lo ritraggono come non
sarà mai più, ovvero vergognosamente felice,
e soprattutto in compagnia del primo grande amore della sua
vita.
Quando
giungo alle pagine successive al mio arrivo in Colombia, vorrei che
Lara non mi avesse mai spedito questo dannato album. Non ho bisogno
delle sue note a margine per ricordare i luoghi in cui siamo stati
immortalati, o gli eventi che ci hanno portato a mostrarci sorridenti
o accigliati, o i nomi delle persone che stavano accanto a me.
Sorrido nel vedere Derek, inconfondibile con i suoi capelli rossi
come un tramonto sul Cumbal e i suoi sorrisi incredibilmente
contagiosi, e mi è impossibile dimenticare Beau, con la sua
espressione sempre un po' accigliata e in apparente conflitto con il
mondo. Certamente non ho bisogno di una fotografia per ricordare i
grandi occhi azzurri di Maureen, le linee magre e dritte del suo
volto, i capelli neri spesso raccolti in uno chignon in precario
equilibrio. Mi vedo seduto accanto a lei nella luce quasi paradisiaca
di un'alba di settembre, ripreso a tradimento dall'occhio allenato di
Lara. Non ho dimenticato nulla di quel mattino: posso ancora sentire
l'odore della terra zuppa di pioggia, ricordo le esatte parole
pronunciate da Maureen, con un minimo sforzo posso ancora percepire
il calore del suo corpo, seduto a meno di quindici centimetri dal
mio. Ogni volta ringrazio Lara di essersene andata in tempo, prima
che la mia mano salisse a cingere la spalla di Maureen, stringendola
forte contro di me, chiedendole di non reprimere la disperazione per
la tragedia che avevamo appena dovuto affrontare.
L'ultima fotografia, come
al solito, è quella che mi causa la maggior commozione: siamo seduti
uno accanto all'altra, nelle vicinanze di un fuoco da campo, ed
entrambi rivolgiamo uno sguardo carico d'amore incondizionato a
Esperanza, una neonata molto più forte della maggioranza delle
persone che conosco. Non ho notizie di lei da otto mesi, da quando
Lara mi ha spedito questo album – le comunicazioni sono difficili,
i lunghi silenzi della squadra non mi stupiscono. Calcolo che
Esperanza deve avere circa venti mesi: mi chiedo se abbia già
iniziato a dire le prime parole, e se il suo spirito sia ancora
combattivo come lo ricordavo.
Chiudo l'album, non senza
trovarmi costretto ad asciugarmi qualche lacrima, e in questo momento
prendo una delle decisioni più importanti della mia vita. Mi alzo,
torno al piano di sopra, agguanto i vestiti e torno in salotto. Mi
cambio velocemente, scarabocchio un biglietto per Linda ed esco,
portando con me le fotografie. Salgo in auto e lascio il vialetto
senza pensare nemmeno per un istante che sono le due e mezzo del
mattino, e che ogni uomo normale a quest'ora sta dormendo nel proprio
letto.
Ma c'è una cosa che devo
fare, e se non colgo quest'occasione forse non ci riuscirò mai più.
Middlesex,
New Jersey
Quando parcheggio davanti
al 1312 di Willow Drive, che costeggia il lago Creighton, sono appena
scoccate le quattro. Mi trovo a pregare come non facevo da un sacco
di tempo, ma lo faccio per un motivo molto più futile di quelli che
inventavo in passato: prego che nessun poliziotto mi affianchi
chiedendomi perché mai mi sia appostato in un quartiere così
tranquillo a quest'ora del mattino. Non sarebbe difficile da
spiegare, ma temo che nessuno crederebbe alla mia versione.
Mi rilasso contro il
sedile, aspettando che faccia giorno, pronto a fingere che l'alba di
Middlesex somigli anche solo vagamente a quelle colombiane. Ho con me
le fotografie di Maureen, dunque so che l'attesa non sarà così
insopportabile.
Non si vede anima viva fino
alle sei e mezza, quando dal fondo della strada spunta un ragazzo in
bicicletta – cerata gialla, tracolla d'ordinanza, ottimo equilibrio
– che lancia una copia del Washington Post verso il portico
di casa Corelli, centrando perfettamente lo zerbino. Alle sette
qualcosa inizia a muoversi oltre le pareti sottili: la madre di
Maureen esce per prendere il giornale, indossando una vestaglia
azzurra sopra un ampio pigiama dall'aria comoda. Impiego quasi un'ora
per decidere cosa fare, e quando alle otto meno dieci scendo
dall'auto, pronto ad attraversare la strada e dirigermi verso il
campanello, la stradina si sta popolando di padri che vanno al
lavoro, madri che accompagnano i figli a scuola, anziani che portano
a spasso pechinesi dall'arrabbiatura facile.
Suono e resto in attesa,
mentre il vicinato sicuramente si domanda chi sia lo strano uomo che
se ne sta in piedi davanti alla porta dei Corelli a quest'ora del
mattino. Viene ad aprire il padre di Maureen, un uomo sottile e agile
con un paio di baffi severi e l'aria di sapere come funziona il
mondo. «Buongiorno» esordisce
tranquillamente, quasi come se gli capitasse ogni mattina di trovarsi
uno sconosciuto alla porta. «Come posso aiutarla?»
La sua gentilezza mi
spiazza, al punto da impedirmi di preparare una risposta completa e
sensata. «Io... un paio d'anni fa sono stato in
Colombia, ho... collaborato al progetto di sua figlia Maureen. È
stata un'esperienza meravigliosa.»
«Ne sono lieto, ma se è
venuto per ringraziarla, non...»
«So che non si trova qui,
ma... in realtà volevo parlare con lei e con sua moglie, se
possibile.» Il padre di Maureen socchiude gli occhi per scrutarmi
meglio, come se stesse decidendo se fidarsi di me o no. In fondo non
mi conosce, non mi aspetto che mi inviti a entrare e magari mi offra
anche da bere. Mentre mi convinco che mi rispedirà a calci nel
sedere nel posto da cui arrivo lui mi sorprende, scansandosi per
lasciarmi passare.
Entro in casa quasi a testa
bassa, chiedendomi se questa visita ai genitori di Maureen non sia
una violazione alla sua intimità; so che è cresciuta in questo
villino in periferia, e anche se l'intero quartiere ha subito una
pesante opera di ristrutturazione, non fatico ad immaginarla mentre
muove i primi passi nel salotto accogliente nel quale sto entrando, o
mentre cena con la famiglia attorno al tavolo rettangolare sul quale
sua madre sta apparecchiando per la colazione. «Chiedo scusa per
l'intrusione» è la sola cosa che riesco a dire, mentre gli occhi
vagano qua e là senza sosta, indecisi sul dettaglio su cui fissarsi.
«Non volevo disturbare così presto, ma...» Non riesco a finire la
frase: la signora Corelli alza lentamente una mano, studiando i miei
lineamenti con la medesima attenzione che si presta ad una persona
che si è certi di aver già incontrato.
«Tu sei Lucas» sussurra
infine, dopo quello che sembra un tempo infinito. Non c'è la minima
traccia di incertezza nella sua voce: è certa di ciò che ha appena
detto. «Maureen mi ha parlato di te» aggiunge qualche istante più
tardi, forse cercando di giustificarsi nei confronti del marito. «Tu
sei Lucas» ripete ancora più decisa, mentre trovo il coraggio di
alzare la testa e guardarla negli occhi – castani anziché azzurri,
ma incredibilmente simili a quelli di sua figlia. «Diceva sempre che
non sarebbe mai riuscita a farti venire fino a qui, diceva... diceva
che non ti avremmo mai conosciuto.» All'improvviso mi ritrovo seduto
sul divano, le mani strette tra quelle della signora Corelli, che mi
guarda come se fossi un antico tesoro appena recuperato dal fondo di
un oceano. «Charlie, prendi le foto.» Impiego qualche istante per
realizzare che Charlie altri non è che il padre di Maureen, ma
capisco subito che l'album comparso sulle mie ginocchia è identico a
quello che Lara mi ha spedito otto mesi fa. «Ti aspettavamo prima, a
dire il vero. Ormai sono passati quasi due anni.»
Mi schiarisco la gola,
preda di un assurdo imbarazzo. «Non... non riuscivo a trovare il
momento giusto, credo. Non è stato facile riprendere i vecchi
ritmi.» Ripenso a tutte le cose che ho fatto nell'ultimo anno e
mezzo, e mai come in questo istante appaiono ai miei occhi come gli
errori più grandi della mia vita: il matrimonio, il nuovo lavoro, la
bambina... più guardo indietro e più mi sento in colpa per essere
andato avanti tanto in fretta. «Maureen vi ha parlato di me?»
«Era entusiasta di
te» risponde il signor Corelli, spostandosi in cucina per preparare
del caffè.
La signora Corelli mi
sorride, continuando ad accarezzarmi le mani. «La sentivamo poco
perché le comunicazioni erano difficili, ma durante l'ultima
telefonata non ha fatto altro che raccontarci di quanto fosse...
felice che tu fossi con loro. Che tu fossi con lei.»
Penso a Linda, che a
quest'ora si è sicuramente svegliata e ha letto il mio biglietto, e
penso a nostra figlia, che tra poco si sveglierà reclamando la
colazione, e poi ogni pensiero finisce spazzato via dal ricordo di
due grandi occhi azzurri e di un paio di piedi freddi che non
sopportavo, ma che in questo momento vorrei indietro ad ogni costo.
Sottraggo le mani alle carezze della signora Corelli e me le porto al
volto, coprendomi gli occhi. Serro le palpebre, ma questo non mi
impedisce di piangere, e la sola cosa cui riesco a pensare è che
vorrei morire anch'io: non merito un posto su questa terra – non
dopo aver lasciato andare Maureen. «Maureen è morta per colpa mia»
sussurro, sperando che questo induca i suoi genitori ad odiarmi. Non
voglio più essere trattato con i guanti di velluto, non voglio
essere visto come un eroe: voglio che mi riversino addosso la loro
rabbia, voglio che mi detestino e che mi caccino via dalla loro vita
a calci nel sedere.
«Non è stata colpa tua»
risponde la signora Corelli, riprendendo le mie mani tra le sue. «Le
hanno sparato un colpo di fucile, e sappiamo che non sei stato tu.»
«Non sono stato io a
premere il grilletto, ma non sono nemmeno stato in grado di
proteggerla. Lei contava su di me. Lei si fidava di me.»
«E le hai regalato un anno
meraviglioso. Era entusiasta di te, felice di averti accanto.
Credo... beh, lei non lo ha mai detto, ma credo che ti amasse. Che ti
amasse profondamente.» Alzo lo sguardo, confuso. Nonostante quello
che è successo tra di noi, nonostante il tempo trascorso insieme,
nonostante sia stata lei la prima donna a far crollare il solido muro
delle mie convinzioni, nessuno dei due ha mai osato una confessione
tanto violenta. «Credo che tu sappia del suo primo matrimonio, e
soprattutto del modo in cui è finito.»
Annuisco, ricordando la sua riluttanza nel parlare di quel rapporto
così instabile e deludente, vissuto come un vero e proprio
fallimento personale. «Dopo il divorzio, Maureen aveva giurato a se
stessa di non innamorarsi più. Peggio, diceva di non voler avere più
nulla a che fare con gli uomini. Diceva che al mondo c'erano cose più
importanti di cui preoccuparsi, e che l'amore non era una di queste.
Per anni le ho creduto, le ho creduto senza dubitare nemmeno per un
istante che le sue convinzioni sarebbero vacillate. L'hai conosciuta,
sai quanto valesse la sua parola.»
Annuisco ancora, sapendo bene che Maureen era una di quelle persone
incapaci di tradire le promesse fatte – in fondo, è anche per
questo motivo che è stata uccisa. «Avevo rinunciato all'idea di
saperla di nuovo felice accanto ad un uomo... poi sei arrivato tu.
Quando sei arrivato nel suo gruppo non ti sopportava: ti trovava
scomodo, saccente e ingombrante. Poi, con il passare dei mesi,
qualcosa è cambiato. Non so che cosa tu abbia fatto per farle
cambiare idea, ma qualunque cosa fosse sono contenta che tu l'abbia
fatta. Rimpiango di non averla potuta vedere un'ultima volta prima
che morisse, ma sono certa che se ne sia andata felice, perché tu
eri con lei.»
«Non ho fatto nulla di
straordinario» mormoro. «Non ho
fatto nulla, ho soltanto... ho solo...»
«Tu l'hai capita»
interviene il padre di Maureen, tornando in salotto con il caffè.
«Abbiamo sempre saputo che nostra figlia non era una persona
semplice, e purtroppo non siamo mai riusciti a capirla davvero. Tu lo
hai fatto. Tu sei riuscito a comprenderla, sei riuscito a guadagnarti
la sua fiducia e a mantenerla. Sei diventato una delle persone più
importanti della sua vita, e noi ti siamo grati per esserle stato
accanto, anche se per così poco. Se avesse avuto l'opportunità di
vivere più a lungo, sicuramente lei... lei sarebbe stata felice, con
te. Sarebbe stata finalmente felice.»
Improvvisamente la signora
Corelli si alza, lasciandomi solo sul divano. Scompare nella stanza
accanto e ritorna un minuto più tardi, reggendo una scatola quadrata
che appoggia sul tavolino di fronte a me. «Ci ha stupiti scoprire
che Maureen aveva fatto testamento, ma quando ci hanno spiegato che
viveva in una zona così pericolosa abbiamo capito il motivo che
l'aveva spinta a... sistemare tutto prima che fosse troppo
tardi. Non ci ha sorpreso che chiedesse di essere cremata, però. Ha
sempre respinto l'idea della sepoltura.»
Guardo la scatola con gli occhi spalancati, comprendendo che contiene
le ceneri dell'unica donna che abbia mai amato davvero.
«Non
era la sua unica richiesta, però»
aggiunge il padre, agitandosi un po' sulla poltrona. «Voleva essere
portata in Colombia. Sul Cumbal, per la precisione. E voleva che
fossi tu a portarla lì.»
«Avremmo dovuto chiamarti
tempo fa, ma volevamo restare con lei ancora un po'. Non tornava a
casa da molto tempo.» La signora
Corelli sorride appena, piegando soltanto un angolo della bocca. «Non
che si sia mai sentita veramente a casa, qui. La sua vita era
in Colombia, ormai. Viveva e respirava soltanto per quel campo.»
«Ci
hai risparmiato l'incombenza di telefonarti per chiederti di...»
Il signor Corelli ha un'esitazione, come se ancora non riuscisse ad
accettare l'idea che sua figlia sia morta. «Sappiamo che non è una
richiesta semplice, ma è una delle ultime volontà di Maureen.»
«Certo, lo farò»
rispondo all'improvviso, senza pensarci due volte. Nonostante tutto
il tempo trascorso, basta l'idea di Maureen per farmi scattare come
una molla, pronto ad andare anche in capo al mondo. Forse non lo
direi mai ad alta voce, ma sarei ancora pronto a fare qualunque cosa
per lei. «La porterò sul Cumbal.»
I genitori di Maureen si
scambiano un sorriso e una lunga occhiata. «Charlie, andresti a
prendere lo scatolone? È nella stanza di Maureen.»
«Lo scatolone?»
domando, sempre più confuso.
«Nel suo testamento,
Maureen aveva stilato una lista di cose che voleva fossero date a te.
Ci rendiamo conto che è passato un sacco di tempo... avevamo
intenzione di dartele, ma non riuscivamo ancora a separarcene. Ci
sembrava che non fosse ancora arrivato il momento.»
«Ma certo, capisco
perfettamente.»
Il signor Corelli scende
dal piano superiore reggendo una scatola dalla quale sbucano mille
ricordi di lei, oggetti di cui mi aveva parlato e cose di cui non
sospettavo nemmeno l'esistenza. Sorrido alla vista dei suoi dischi
dei Beatles, dei libri che aveva con sé in Colombia, e d'istinto mi
domando quali altri tesori scoprirò. «Questa probabilmente la
ricorderai» sorrise la signora
Corelli, prendendo dallo scatolone un minuscolo sacchetto di velluto.
Lo capovolse, e si lasciò scivolare nel palmo della mano la catenina
con la medaglietta di san Cristoforo dalla quale Maureen non si
separava mai. «Anche prima di leggere il testamento ero sicura che
questa l'avrebbe lasciata a te»
prosegue, sporgendosi in avanti per mettermela al collo. Le sue dita
mi sfiorano il petto, indugiando per qualche istante sulla
medaglietta. «Ha sempre avuto molti dubbi in materia di religione,
ma se c'è una cosa della quale sono certa non abbia mai dubitato, è
che ognuno di noi ha un santo protettore. Questa è una convinzione
che non l'ha mai abbandonata.»
Annuisco
per l'ennesima volta, tornando con la mente alle nostre antiche
discussioni. «Discutevamo spesso di religione»
ammetto. «O meglio, litigavamo spesso di religione. Lei aveva
le sue opinioni, e io le mie. Non sempre era facile metterci
d'accordo.» Stringo la
medaglietta tra le dita, sentendo che mai come in questo momento
Maureen mi è vicina. «Vi prometto che andrò in Colombia non appena
mi sarà possibile. Maureen riposerà in pace.»
Un'ora più tardi, dopo
aver accettato un caffè e aver soddisfatto alcune delle loro
curiosità, saluto i signori Corelli ed esco dalla casa che ha visto
crescere Maureen, ma che non è mai stata in grado di contenere il
suo straordinario cuore. Sistemo lo scatolone sul sedile accanto, e
dopo aver acceso il motore e allacciato la cintura lo guardo a lungo,
trattenendo a stento le lacrime. Inizio il mio viaggio verso sud-est,
e mi sento come se sul sedile accanto ci fosse davvero lei.
|