L'Ynem

di pearlmoon
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Erano ormai passati due mesi, due mesi di pura agonia per Anise, una ragazza di appena diciotto anni che il destino aveva voluto punire togliendole ciò che di più caro aveva al mondo, i genitori. E con loro, la sua casa.
Ogni giorno si ritrovava a passare davanti a quella che una volta era la sua umile villetta, dimora di anni di spensieratezza e felicità. Tutto andato in fumo in un attimo. Ricordi bruciati e attimi che il tempo non le avrebbe più restituito.
Sua zia Margareth era tutto ciò che le era rimasto, e di questo Anise ne era felice. Oltre ad essere una zia modello, era anche la sorella della sua amata mamma che ora – da due mesi, oramai – la guardava dall’alto e vegliava su di lei con suo marito affianco. Quale peggior tortura, per una giovane donna che si trova a dover affrontare un’intera vita, sola con se stessa e i suoi dolorosi ricordi. Ma a strapparle un sorriso c’era appunto lei, la zia Margareth, che con la sua simpatia, la sua perenne allegria e il suo fare spumeggiante,  continuava ad irradiare solarità anche in una situazione terribile come era la loro. Anise aveva perso una madre, ma quella signora bassina e grassottella, aveva perso per sempre la sua sorellina. Amava ricordare così Hellen, la madre di Anise, e non smetteva mai di raccontare a quella povera ragazza, aneddoti sulla mamma e la zia da piccole; Margareth era più grande di una quindicina d’anni e si era sempre presa cura della più piccolina, nonché unica fra sorelle e fratelli. Si divertiva a crescerla facendola divertire e strappandole un sorriso anche nei momenti più bui, cosa che ora doveva fare con la piccola Anise.
Anise sorrideva, ma con un sorriso malinconico che non riesce mai ad espandersi in una risata, anche se leggera, anche se minima. Non riusciva ancora a farlo, il dolore prendeva il sopravvento su quelle labbra sottili, rosse come la rosa più bella, che si ritraevano sempre non appena un sorriso prendeva forma su di esse. E Margareth lo sapeva, lo sapeva bene quanto fosse dura per la giovane donna che si trovava a dover accudire e consolare quando quegli occhi chiari, nascosti sotto ad una frangetta ordinata che tendeva verso destra, volevano esplodere in un pianto incontrollato. Margareth era sempre lì, a fermarli.
“Piccola, buongiorno! Sono le sette e trenta e mi auguro di non svegliarti nel bel mezzo di un sogno, ma anche se così fosse, credo che mi perdonerai!”
Queste le parole della zia che si introdusse nella stanza che era ormai diventata la camera di Anise, mentre la ragazza era ancora in dormiveglia.
“Zia, buongiorno.” Rispose Anise sollevandosi e appoggiandosi alla spalliera del letto; la voce assonnata, gli occhi stanchi, ma le orecchie ben pronte ad ascoltare Margareth che sembrava così felice da poter scacciare quelle nuvole nere che caratterizzavano Londra. “Dimmi tutto, ti ascolto.” Solita educazione e solito sorriso di chi tenta di star bene, o di chi prova a mostrarlo.
“Ma guarda che buio micidiale che c’è qui dentro! Apriamo, figliola, apriamo! Le finestre sono state create per poter far entrare la luce del giorno nei cuori dove regna lo scuro del passato. Basta buio, basta scuro! E soprattutto, basta passato!”
Un’allegria ed una positività come poche, quella della zia sorridente che cercava di infondere speranza con persistenza e tenacia a quella che sembrava essere una ragazza rassegnata al suo destino, infame e crudele. Si accomodò sul letto vicino ad Anise e le mostrò un biglietto aereo.
“Dunque, figliola, sappiamo entrambe che hai bisogno di una svolta. Di una svolta, chiaro? Non come quelle che ti cambiano la vita, ma una di quelle che te la migliorano!”
“Zia, non ti seguo.” La voce tremante di Anise faceva trasparire chiaramente la paura che stesse per arrivare una proposta troppo esagerata, che era sicuramente nello stile della sua cara zia.
“Ti spiego subito, tesoro. Lo vedi questo? È un biglietto aereo, e questa non è la svolta, è solamente la chiave. Parigi è la porta che dovrai aprire per immergerti in un mondo nuovo, in una vita diversa! Tu as compris, mademoiselle?”
Anise la guardò in un primo momento senza fiatare, poi iniziò a chiedersi come facesse a sapere che quello era sempre stato il suo sogno, negli anni precedenti. Aveva addirittura seguito dei corsi per apprendere il francese poiché desiderava trascorrere in quella splendida città molti anni, se non tutta la vita.
“Allora, smettila di dialogare con i tuoi pensieri e parla con me.” Ordinò Margareth fingendo un tono autoritario verso la ragazza, persa tra sé e sé.
“Sì zia, scusami. Io non so… Non so cosa dire. Ho sempre sognato questa città, ma quando ho perso la mamma e papà, sai, non ci pensavo più.”
“Ed è normale!” Rispose prontamente col suo solito tono di voce squillante.
“Normale e giusto. Ma ora, figliola, sei nel fior fiore della tua età. Sei bella, intelligente e non butterai al vento la tua vita! La tua mamma non me lo permetterebbe mai. Chiaro?” Margareth provò a giocarsi la carta dei genitori angeli custode che vogliono il bene per la figlia che continua a vivere, anche se senza loro. Banale, ma efficiente.
“Grazie zia, davvero! Non so come farei senza di te!” Fu la risposta di Anise, piena di un sorriso, forse per la prima volta dopo mesi, vero e felice. 




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