A Love Story
≈ Capitolo Uno ≈
Sharpay Evans fece
scorrere con gesto impaziente le dita sul bordo del bicchiere d’acqua che stava
bevendo, tamburellando le unghie perfettamente curate dell’altra mano sul
tavolo. Il suo gemello non era mai arrivato tardi ai loro incontri e non
avrebbe voluto iniziare ora quella tradizione.
Non fu delusa. Un
cameriere guidò un giovane uomo con capelli biondo miele e un semplice completo
marrone fino al tavolo e lo lasciò con un menù. Sharpay si tolse gli occhiali
da sole con gesto teatrale.
“Cosa ti ha
trattenuto?” Chiese con tono frizzante, stirandosi una ciocca di capelli.
“Veniva quasi da pensare che ti fossi perso nella metropolitana.”
“Sono stato
trattenuto.” Rispose brevemente, facendo correre gli occhi sul menù. “Lillian
aveva una riunione genitori-insegnanti.”
Sharpay roteò gli
occhi.
“Onestamente, Ryan; non
devi andare ad ogni singolo
incontro. È all’asilo, accidenti.” Lui si strinse
nelle spalle, mantenendo l’attenzione sul menù. “E perché sei così concentrato
su quello stupido menù? Come se potessi permetterti una qualsiasi delle cose
che stanno lì sopra.” Gli lanciò un’occhiata
calcolatrice. “E pensare che una volta ti saresti vergognato di indossare
scarpe nere e giacca marrone…Sono sorpresa che i tuoi gusti si siano abbassati
fino a questo punto.”
Ryan lasciò cadere il
menù sul tavolo.
“Oh, piantala, Shar.”
La rimbrottò. “Sai che questo è il
massimo che posso fare in questi giorni… con le… cose che stanno come stanno…”
Imbarazzato, nascose il viso dietro alla lista dei dessert.
Sharpay sospirò di
nuovo e cessò i rimproveri.
“Ryan” Disse
dolcemente, la voce abbassata di un tono. “Hai solo ventidue anni e sei il
padre di una vivace bambina di quattro. Dovresti come minimo aspettarti che io
mi preoccupi, ogni tanto.”
“Veramente, vorrei
solocce tu la smettessi di farlo. Faccio abbastanza per tutti e due.”
Lei rise piano, ma poi
divenne seria.
“Lei ti ha…
contattato?” Domandò con delicatezza.
“Credevi veramente che
lo avrebbe fatto, dopo quattro anni?” Sospirò lui.
“Ryan, lo sai che
vorrei aiutarti a pagare la retta…”
“Come ben sai, non
accetterò il tuo aiuto. Questa è la mia vita –la mia bambina- e le controllo
io.”
“Beh, non è che tu stia
facendo un gran bel lavoro, al momento.” Grugnì
Sharpay, pentendosi immediatamente delle proprie parole. “Ryan, non intendevo
in quel senso…”
“Lo so, lo so, ma il
punto è che hai ragione. È solo che veramente non voglio pensarci ora.”
“Beh, qualcuno
deve farlo e quel qualcuno potrei benissimo essere io. Ryan, hai bisogno di una
persona che ti aiuti a cavartela. A Lilly serve una madre!”
“E pensi che non lo
sappia?” Chiese Ryan con voce rotta, gli occhi che iniziavano ad annebbiarsi.
“Credi che non noti quando diventa confusa quando vede
le mamme delle sue piccole amiche accompagnarle all’asilo? Tutto ciò che ha lei
è un padre che non ha mai nemmeno messo piede al college e sta ancora cercando
un lavoro!”
“A proposito, come è
andato il colloquio di oggi?”
“Non molto bene.
Volevano qualcuno che avesse esperienza.”
“Per vendere
pianoforti? Buon Dio, chi pensavano avrebbe risposto all’annuncio, Ray
Charles?” Ryan rispose con un piccolo sorriso. “Ti hanno già richiamato?”
“Non ancora. Spero di
sopravvivere almeno una settimana.”
Cadde il silenzio.
“Vuoi che ti ordini una
tazza di caffè o qualcosa del genere?” Si offrì alla fine la sorella.
“Sai che non sarei in
grado di restituirti i soldi.”
“Lo so.” Ryan sospirò e
scosse la testa.
“No, grazie, dovrei già
essermene andato. “Voglio riempire ancora un paio di moduli per richieste di
lavoro, cercando di indovinare quali verranno
rifiutate per prime.” Sharpay annuì e il suo esile fratello si alzò in piedi.
“Di’ a Lilly che le
voglio bene. E, Ry…” Il giovane si voltò a guardarla. “Quel piccolo angelo è
fortunato ad avere un papà come te.” I suoi occhi si
illuminarono e le sue mani presero a scavare nelle tasche.
“Quasi dimenticavo…
Chealsea mi ha portato questa foto di Lilly l’altro giorno e ne ho fatta fare
una copia per te.”
Sharpay prese la
fotografia dalle sue mani. Una dolce, piccola bambina le sorrideva con un
sorriso fin troppo familiare e le sue corte trecce bionde le ricadevano
sbarazzine dietro alle orecchie.
“Ti assomiglia davvero
tanto.” Ryan sorrise, fiero,
alla fotografia. “Ma… ha anche gli occhi di sua madre.” Il suo sorriso scemò e
lui sospirò pesantemente.
“Sì, lo so. Degli occhi
così belli…” Con un rapido abbraccio laterale, Ryan Evans se n’era andato.
Sharpay lo seguì per un
momento, poi riportò lo sguardo sulla foto. Scuri occhi color cioccolato
splendevano sul viso infantile della ragazzina. Scacciando dalla testa quei
pensieri, la vice presidente del design alla New York Fashion Company, finì
l’acqua e aprì il portafoglio, dandosi mentalmente istruzioni per la giornata
che l’attendeva.
®
Kelsi Nielsen salutò
allegramente i suoi alunni e accatastò con ordine gli spartiti. La signora Shepherd
si spostò al suo fianco.
“Le parole non possono
esprimere quanto sei apprezzata, mia cara.” Disse la
donna più anziana, gli occhi brillanti d’affetto. Kelsi ride; un suono felice e
cristallino.
“Sono io a doverla
ringraziare. Assolutamente adoro lavorare con i bambini ed è così bello
aver trovato un lavoro esterno al college.”
“Dormo tranquilla la
notte sapendo che i miei studenti sono in buone mani.”
Affermò fieramente la signora Shepherd, spingendo in fuori il petto. Kelsi
arrossì di modestia, gli occhi nocciola illuminati dai complimenti. “Se solo
avessi qualcuno che ti aiuti… allora sì che potrei davvero rilassarmi.”
La compositrice
resistette alla tentazione di roteare gli occhi.
“Signora Shepherd, sono
perfettamente in grado di andare avanti senza un uomo al mio fianco. Lo
faccio fin dai tempi del liceo. Si fidi, sono totalmente soddisfatta di
lavorare da sola.”
“Un giorno troverai il
tuo compagno, non ti arrendere, tesoro. Salterà fuori quando
meno te lo aspetti, quindi stai ben attenta a tenere la mente aperta.”
Arrendendosi, Kelsi
rispose che lo avrebbe fatto e trasportò le borse della collega fino alla sua
minuscola macchina.
Mentre stava salutando
la piccola BMW, qualcosa all’angolo del suo campo visivo catturò la sua
attenzione. In mezzo al gruppo di tenere madri che raccoglievano i propri
bambini, un giovane uomo sembrava stranamente fuori posto. Non poteva avere più
dei suoi anni e sedeva pazientemente su una panchina, aspettando.
Kelsi iniziò ad
avvicinarglisi, ma una bambinetta con capelli identici a quelli di lui uscì
correndo tra la confusione nel cortile della scuola. L’uomo si alzò e la
accolse tra le braccia, facendole giocosamente il solletico. Lei squittì,
deliziata, e gli lanciò le braccia al collo. Dopo aver strofinato i nasi l’uno
contro l’altro, la coppia continuò la propria strada attraverso il parcheggio.
Kelsi riconobbe la
bambina: Lillian Evans, una delle più portate per la musica della sua classe.
“Quel ragazzo deve essere
il suo fratello maggiore.” Pensò e decise di cogliere
al volo l’occasione di conoscere la famiglia di Lilly.
“Mi scusi.” Chiamò
forte, correndo fino a loro, mentre il fratello maggiore si voltava in
obbediente risposta al suo richiamo.
Ora, ad una distanza
tanto ravvicinata, il respiro di Kelsi le morì in gola. Quello era Ryan
Evans, lo stesso re del teatro che aveva un tempo conosciuto alla vecchia
East High. Era certamente cambiato. Aveva l’aria di chi ha perso molto peso in
poco tempo e i suoi semplici vestiti lo rendevano quasi irriconoscibile. Aveva
ancora un cappello posato sulle ciocche dorate, ma non sembrava più qualcosa di
estraneo a qualsiasi catalogo: il berretto da postino avrebbe potuto benissimo
essere presente sugli scaffali di qualsiasi negozio dai prezzi ridotti. Tutta
la sua tenuta parlava di economica trascuratezza, ma i suoi pallidi occhi blu
conservavano lo stesso incontrollabile ottimismo che avevano quattro o cinque
anni prima.
Tutta l’innocenza,
però, se n’era andata.
“Kelsi!” La salutò,
inarcando le sopracciglia per la sorpresa. Kelsi aggiunse mentalmente ‘voce più
bassa’ alla sua lista di cambiamenti. “Che ci fai qui?”
“È la mia maestra di
musica.” Intervenne Lilly, sorridendo e rivelando un largo spazio tra gli
incisivi.
“Non avevo idea che lavorassi qui.” Disse Ryan con genuina meraviglia, liberando
una mano per stringere quella di lei. “Quando hai iniziato?”
“Solo qualche settimana
fa.” Rispose Kelsi. “Fai le commissioni per i tuoi o
qualcosa del genere?” Le sopracciglia di lui si corrucciarono per la
confusione. “Intendo dire, ti hanno mandato a prendere la tua sorellina
all’asilo?” Il giovane deglutì, a disagio, ma prima che potesse parlare, Lilly
trillò.
“Papy, di che parla? Tu
non hai una sorellina, solo una gemella, vero, papy?”
“Sì, tesoro, hai
ragione; solo zia Sharpay.”
“Solo zia Sharpay,
nessun altro.” Affermò Lilly e guardò, raggiante, Kelsi, come se l’intera
questione fosse risolta.
“É…È tua?” Esalò
la sua vecchia compagna di classe, vacillando all’indietro.
“Sì.” Rispose Ryan,
sentendo le sue guance prendere fuoco.
“Io…io…” Kelsi non
riuscì a formare altre parole, oltre a quella. Ammutolita e stupefatta,
mosse qualche paso incerto indietro, prima di cominciare una corsa verso
l’edificio scolastico.
Lillian inclinò il capo.
“Perché è scappata,
papy?” Ryan la guardò, ma non rispose. “Papy?”
Ryan tornò alla realtà.
“Perché è scappata? È
perché…è perché ha scoperto il tesoro sepolto nel divano del salotto.”
“Oh, no” Lo sa anche
lei?!”
“Sì e dovremmo correre
a casa e dissotterrarlo per primi! Non possiamo lasciare che la signorina Kelsi
lo trovi! Forza, capitano Lillian, dobbiamo tornare alla nave!”
“Prepara la partenza!”
Strillò la bambina gioiosamente e si strinse forte a Ryan, mentre lui si
dirigeva verso la macchina e ve la faceva entrare. Si fermò, poi, a lato della
portiera, lo sguardo ancora fermo sull’ormai vuoto edificio dell’asilo.
“Dai, papy, dobbiamo
arrivare per primi!” Ryan annuì, entrò nel loro unico mezzo di trasporto e
accelerò sulla strada principale, lasciandosi alle spalle l’asilo di Westbrook.