I’m
back for you
Belle
ridacchiò divertita, quando Tremotino la prese in braccio.
Si tolse il cappello
bianco e passò un braccio intorno alle spalle del marito,
per poi baciarlo
sulle labbra.
-
La
tradizione vuole che porti la sposa oltre la soglia di casa –
disse lui,
sorridendole.
-
Oh. Beh,
sono pronta, allora. Andiamo.
Tremotino
stentava ancora a credere che fosse accaduto davvero. Lui e Belle si
erano
sposati, giurandosi amore eterno. Una cerimonia senza invitati, nel
bosco, di
sera e non un matrimonio sfarzoso come si era sempre immaginato potesse
essere
il matrimonio con la sua amata.
Aveva
disperato. Quando Zelena lo teneva sotto controllo usando il pugnale,
Tremotino
aveva disperato, a volte, di poter tornare da Belle e di poterla
salvare, come
lei aveva salvato lui. Aveva disperato di poter sfuggire alla sua
carceriera e
di poter davvero mantenere la promessa fatta a Bae, ovvero vendicarlo.
Ma alla
fine Zelena era stata sconfitta.
“Le cose tra noi non sono mai state
semplici. Ti ho perso molte volte...”
(Molte volte, Belle. Ma mi hai sempre
ritrovato. Ed io ho sempre ritrovato te)
“Non ho passato la mia vita a perderti.
Ho passato
la mia vita a trovarti”.
“Come tu sia riuscita a vedere
l’uomo dietro
al mostro... Non lo capirò mai”. Era
sincero quando le aveva detto quelle
cose. Non l’avrebbe mai compreso fino in fondo.
“Quel mostro se n’è
andato... E l’uomo che c’è
adesso può anche essere imperfetto... Ma tutti lo
siamo”.
(Sì, Belle, se n’è
andato. Ha dovuto
ritornare per un po’, solo per un po’... Ha dovuto
tornare, il mostro, perché era
necessario... Dovevo uccidere Zelena, Belle. Lei aveva ucciso Bae ed io
avevo
promesso che l’avrei vendicato. Non potevo permettere che
restasse impunita. Zelena
non meritava la redenzione. L’ho uccisa con il mio pugnale,
amore mio, perché Tremotino
mantiene sempre le promesse. Non rompe gli accordi e mantiene sempre le
promesse. Tu proveresti orrore, se lo sapessi. Ma non lo saprai. Non
capiresti.
Mi diresti che ho sbagliato. Che ho sbagliato a mentirti, dandoti un
pugnale
che non è il mio pugnale... Perché tu hai sempre
lottato perché fossi un uomo migliore.
Sono imperfetto, forse più di altri... Molto, molto
più di altri, anzi... Mi
dispiace, Belle)
Tremotino
stava giusto per aprire la porta del suo negozio, quando si accorse che
qualcosa non andava.
Si
bloccò,
gli occhi fissi sul pomello e i nervi improvvisamente tesi come corde
di
violino.
-
Cosa c’è? –
domandò Belle.
Non
rispose.
Fissava il pomello della porta. Sopra di esso, una leggera... patina
bianca. Una
leggera patina bianca e fredda.
E
magia. Molta
magia nell’aria.
-
Tremo?
Lui
la
guardò, allarmato e poi la mise giù. –
Belle...
-
Cosa?
-
Puoi
aspettarmi qui un momento?
-
Perché? Cosa
c’è là dentro? – Adesso anche
Belle era preoccupata. Guardava le finestre buie
del negozio.
-
Non so.
Devo andare a vedere. Ti prego, aspettami qui.
-
Non se ne
parla nemmeno. Entro con te – gli rispose, afferrandolo per
un braccio.
-
Belle...
-
No, entro
con te. Qualsiasi cosa ci sia là dentro, noi...
-
Belle,
ascoltami bene: non so chi o cosa sia. Ma devo entrare da solo. Sento
che...
Sento che è me che vuole, anche se non saprei dirti il
perché. Forse... Forse
non è nemmeno là
dentro. Forse se n’è
già andato... Ma ti supplico, dammi retta e aspettami qui.
Non ci metterò
molto.
-
Non puoi
davvero chiedermi di restare fuori con le mani in mano.
-
Non
accadrà niente. Belle... Ti prego. – Non era molto
sicuro che non sarebbe
accaduto niente, ma non poteva permettere che lei corresse dei pericoli
inutili.
Belle
desistette,
ma lo mise in guardia. – Se dovessi metterci più
di cinque minuti, verrò a
vedere.
Tremotino
annuì, dopodiché si voltò e spinse la
porta del negozio. Era socchiusa. Ed era
sicuro di averla chiusa a chiave.
Entrò,
chiudendosi la porta alle spalle.
L’interno
non era completamente buio. La luce dei lampioni che illuminavano le
strade
filtrava, rischiarando un po’ l’ambiente.
Ma...
Gelo.
La
prima
cosa che lo colpì fu il gelo. Il gelo innaturale che si era
impossessato di
quel luogo.
La
seconda
fu... La seconda fu la sensazione pressante di familiarità.
Conosceva quel
potere. L’aveva già incontrato una volta. Molto,
molto tempo prima. Molto prima
della maledizione lanciata da Regina e spezzata da Emma Swan.
Era...
Un
pensiero
passò rapidamente nella sua testa. Sfrecciò, come
un treno, da una parte all’altra
del suo cervello.
Pensò...
Pensò a un viso attraente. Pensò a due grandi
occhi azzurri. Pensò a lunghi
capelli biondi raccolti in una treccia.
Impossibile.
Certo
che
era impossibile. Non poteva essere lei. Non
poteva essere lì. Era fuori discussione. Lei
era lontana. Lontana e rinchiusa dentro un’anfora.
L’aveva imprigionata personalmente.
Non era plausibile che si fosse liberata e fosse giunta a Storybrooke.
(Il portale)
Maledizione.
Il portale. Non ci aveva pensato. Il portale che si era aperto subito
dopo la
morte di Zelena...
Però lei è
nell’anfora. Come avrebbe fatto a
liberarsi?
E perché l’anfora sarebbe
arrivata qui? Chi
l’ha portata?
Trattenne
il
respiro, tendendo le orecchie e scrutando ogni angolo.
Non
c’era
nessuno. O almeno così sembrava.
Poi
vide
qualcos’altro. Sul pavimento, in mezzo alle sagome voluminose
dei mobili e
delle vetrinette, c’erano macchie bianche che luccicavano
nella semioscurità.
Macchie bianche che poi erano lastre di ghiaccio. Ce n’erano
sul pavimento, sì,
ma anche sulle pareti, sui cassettoni...
Ghiaccio
e
brina.
Orme.
Un’orma,
in modo particolare. L’orma lasciata da un piede piccolo, che
calzava una
scarpa femminile.
(Elsa)
Di
nuovo
quel nome. E ormai era una certezza. Lo sentiva nell’aria, il
suo potere. Vibrava
intorno alla sua persona.
Avanzò,
lentamente,
pronto a colpire se fosse stato necessario, pronto ad usare anche la
sua, di
magia. E sperando che Belle non entrasse, sperando che aspettasse
ancora un po’.
Sperando che quei cinque minuti non fossero già trascorsi.
-
Sei qui? –
domandò Tremotino, a voce bassa, ma udibile. – Se
sei qui dentro, mostrati, perché
io...
Non
aggiunse
altro, perché vide cosa c’era sul muro dietro al
bancone ed avvertì il cuore ghiacciarsi
nel suo petto.
Sulla
parete,
c’era una mappa. Una mappa di grandi dimensioni, aperta. E la
mappa
rappresentava... Non quel mondo, ma il mondo delle fiabe. La Foresta
Incantata.
I vari regni.
E
conficcato
in un punto preciso della mappa, c’era la lama del suo
pugnale.
Quello
vero,
non quello che aveva dato a Belle.
Il
pugnale
dell’Oscuro.
L’avevo messo al sicuro.
L’avevo messo al
sicuro, non può essere...
Mosse
alcuni
passi verso la mappa, ma sapeva già che cosa avrebbe visto.
Sapeva già dov’era
conficcata la punta del pugnale.
Il
gelo si
era insinuato nelle ossa.
Guardò
la
punta della lama. Le lettere sembrarono ingigantirsi davanti ai suoi
stessi
occhi.
ARENDELLE.
Ricordava.
Ricordava
tutto
perfettamente.
I
ricordi si
srotolarono come si srotola un enorme e lungo tappeto.
Ricordava
l’incoronazione.
La grande festa. Il palazzo riaperto per la prima volta dopo anni. La
nuova,
bellissima regina di Arendelle. Sua sorella. Sua sorella e
l’uomo di nome Hans.
La proposta di matrimonio. Oh, sì, ricordava tutto
perché era là anche lui.
Ricordava il litigio fra le due sorelle e la furia di Elsa. La furia di
Elsa in
modo particolare, perché era stata quella a scatenare il
pandemonio. Era stata
quella a liberare i poteri già difficilmente controllabili
della nuova sovrana.
Poteri che lei aveva sempre posseduto, fin da bambina. In quel senso,
era come
Zelena. Aveva sempre posseduto un potere enorme... E non sapeva come
controllarlo.
Ricordava
anche gli accordi presi con i genitori di Elsa, quando
quest’ultima era piccola
e aveva inavvertitamente colpito Anna con un getto ghiacciato,
ferendola...
“Il potere di Vostra figlia è
notevole... È davvero
affascinante. Sono sbalordito. Ma dovete capire che... È
pericoloso, troppo
complicato da gestire”.
“Cosa suggerite di fare?”, aveva
domandato il re.
Tremotino
aveva ridacchiato. “Semplice, mie
cari
signori. Deve imparare a controllarlo. Lasciate che sia io a guidarla.
C’è
molto potenziale in lei e non deve andare sprecato”.
“Voi vorreste... insegnarle ad usare i
suoi
poteri?”. La regina era sconcertata. Non si fidava
di lui e Tremotino non
ne era stupito.
“Ma certo. Fa parte
dell’accordo. Imparerà,
occorre solo un po’ di tempo. Ed io mi occuperò
anche di rimuovere i ricordi.
Quella carissima bambina... Mi riferisco ad Anna, è chiaro... Non
avrà più
alcuna memoria del potere di Elsa”.
“Nessuna?”, aveva
chiesto il re.
“Nessuna”.
“E in cambio... Voi...”
“Sarò l’insegnante
di Elsa. Ovviamente, ad
una condizione...”
“Sarebbe?”.
“Elsa dovrà... Come dire...
Sparire. Dovrà
restare nascosta. È per il suo bene... Voi, signori,
capirete. Io posso
insegnarle a controllarsi, ma non voglio alcuna distrazione. Come vi ho
detto,
il suo potere è un dono che va trattato con la massima
cura”.
“Restare nascosta?”. La
regina ormai non
era più solo sconcertata. Era paonazza. E sconvolta.
“Ogni accordo ha il suo prezzo, mia
cara”.
“Non chiamatemi
‘cara’!”.
“Perdonatemi. Cercavo solo di spiegarvi
che
l’educazione di Elsa e questo accordo... Non sono gratuiti.
Ma se non volete
stipulare l’accordo allora io posso anche
andarmene...”
“No. Aspettate”, era
intervenuto il re,
riluttante, ma rassegnato. “Va
bene...
Non abbiamo scelta. È l’unica soluzione. Se Elsa
non impara a controllarsi,
rischia di ferire di nuovo Anna. O peggio. Non possiamo permetterlo.
Facciamo
quello che è giusto”.
“Ottima scelta”, aveva
esclamato
Tremotino, la voce resa stridula dall’eccitazione e dalla
contentezza. “Lasciate fare a me.
Vostra figlia sarà
pronta per il giorno della sua incoronazione”.
Era
andato
tutto bene. L’accordo era stato firmato ed era andato tutto
bene. Per un po’.
Fino al giorno dell’incoronazione, appunto. Era sicuro di
essere stato un
ottimo insegnante, per Elsa. Un perfetto insegnante. Come sempre, del
resto. Lei
non era stata un’allieva semplice da gestire...
Però era riuscito nel suo
intento.
Ma
ciò che
era accaduto a quella festa aveva cambiato le carte in tavola. Se non
si
fossero messi in mezzo quei due, probabilmente non sarebbe successo
nulla. Se
Anna e quel citrullo si fossero fatti gli affari loro, se avessero
aspettato...
Probabilmente Arendelle sarebbe ancora un regno prospero e pacifico.
Invece il
potere era esploso e il regno era stato intrappolato in un inverno
perenne.
Elsa
era
fuggita e si era rifugiata in cima ad una montagna. Fuggire era proprio
una
cosa che non avrebbe dovuto fare perché non era previsto
negli accordi. E a
Tremotino proprio non andava che gli accordi venissero rotti o
cambiati. Inoltre,
ormai Elsa aveva perso il controllo.
Troppo
pericolosa. Troppo potente.
Tremotino
l’aveva
raggiunta nel suo gigantesco palazzo di ghiaccio. E aveva portato con
sé l’anfora.
“Cosa volete?”. Elsa
l’aveva aggredito
con le parole. Era furiosa.
“Cercavo Voi...
Maestà”.
“Non voglio parlare con Voi. Andatevene
subito!”.
“Nemmeno io voglio parlare. Sono venuto a
prendervi”.
“A prendermi?”.
Tremotino
aveva tirato fuori l’anfora.
“Cos’è
quella?”.
“La vostra nuova casa. Io ho fatto del
mio
meglio, ma evidentemente non era abbastanza. Ed ora è
davvero troppo tardi”.
Elsa
aveva
cercato di scagliare contro di lui il suo potere. Tremotino aveva
avvertito il
morso del gelo, ma aveva avuto il tempo di aprire l’anfora.
Non
avrebbe
mai scordato l’urlo di rabbia e orrore di Elsa, che in un
attimo era stata risucchiata.
L’ultima cosa che aveva visto erano stati i suoi occhi accesi
di furia.
Doveva essere per sempre.
Quel
pugnale
era un messaggio. Lei era libera. Lei gliel’avrebbe fatta
pagare.
Avvertì
un
soffio di aria gelida sfiorargli il collo e un sussurro, lieve e
freddo.
“Tu mi hai resa ciò che sono.
Tu mi hai
rinchiusa in una maledetta anfora. Non lo sapevi che presto o tardi
sarei
tornata per fartela pagare?”.
Tremotino
si
voltò di scatto per affrontarla, ma vide solo Belle.
E
Belle non
guardava lui. Guardava il pugnale. Guardava il pugnale conficcato nel
muro con
gli occhi sbarrati e sgomenti.
-
Belle... –
mormorò Tremotino, sconvolto.
-
Tremo...
Il pugnale. Cosa ci fa lì il tuo pugnale? – La
voce di Belle tremava.
-
Belle, io
non... Posso spiegarti...
-
Il pugnale
ce l’ho io. Me l’hai dato. Me l’hai dato
quando mi hai chiesto di sposarti. Tu me
l’hai dato e...
Non
rispose.
E cosa avrebbe potuto dire, del resto?
-
Era tutto
vero... – mormorò Belle. –
L’hai... L’hai uccisa tu.
-
Non potevo
lasciare... Non potevo lasciare che vivesse. Aveva ucciso Bae. Avevo
promesso
di vendicarlo.
-
Mi hai
mentito.
-
Belle...
-
Mi hai
mentito. – Gli occhi di Belle erano pieni di lacrime, adesso.
Le sue parole
erano piene di dolore, di collera e di incredulità. La sua
espressione ferita
gli strinse il cuore.
-
Non
avresti capito.
Belle
si
voltò e si diresse verso la porta.
-
Aspetta! Ti
prego, aspetta, dove...?
La
porta del
negozio sbatté con violenza. Tremotino sentì che
il freddo intorno a lui si
ritirava. Che la magia scemava. Sarebbe tornata, non ne dubitava.
Sarebbe
tornata e sarebbe stato terribile.
Le
lastre di
ghiaccio si sciolsero e il pugnale cadde sul pavimento con un tonfo
sordo.
Restò
l’eco
di una risata. L’eco della risata di una ragazza.
Una
risata
fredda e soddisfatta.
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Angolo autrice:
Ehm,
Ehm...
*Si schiarisce la voce.
Tutto
questo
è solo una gigantesca supposizione. Può essere
che io mi sbagli clamorosamente
e che Tremotino non abbia imprigionato Elsa nell’anfora
perché era diventata
incontrollabile. Forse sono solo io che ce l’ho con Tremotino
per ciò che ha
fatto a Belle e mi aspetto che venga punito...
Ma
mentre mi
domandavo come sarebbe potuta cominciare la quarta stagione di Once...
Ho avuto
questa idea.
Grazie
a
chiunque la leggerà.
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