...Come back to me awhile
Change your taste in men...
...It’s been this way since Christmas day
Dazzled,
doused in gin...
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“Io a-a-a-aaahdoro il Natale, lo
sapete??! Tutte le luci, e i nastri, e i regaahli, e tutte le prelibatezze della nostra Hachi – Nana, volevo dire… Nana, sssì! E poi c’è lo spuuhmante frizzante – fa anche rima, sentito? eh Yasu? sentito? – e questo buooon sake… decisamente
io adhoro il Natale!”
Ren se la rideva alla grande, il
traditore, mentre la sua donna minacciava di staccarmi la testa dal collo con
le bacchette dell’okonomiyaki.
“Ma sentitelo, razza di ubriacone
scansafatiche surrogato di una rockstar che non sei
altro! Il Natale ti piace tanto solo perché ti senti autorizzato a bere come
una distilleria! E – Shin,
maledetto ragazzino, molla quelle sigarette! YASU! Ma non gli dici niente??! È la tua band, guarda come si stanno riducendo! Sono
delle LARVE, ecco cosa sono!”
Nana Komatsu cercò
disperatamente di placare i bollenti spiriti della sua coinquilina, finendo
come fa una margheritina cresciuta tra i binari al
passaggio di un treno. O almeno quella era l’impressione che riportai
attraverso i fumi dell’alcol.
“Su, andiamo Nana, non essere così rigida! È la vigilia di
Natale, in fondo, lascia che si divertano! Tanto Nobu
torna a casa con te, vero Shin?”
“Come puoi essere sempre
indulgente, Hachiko?!! Lo vedi,
ecco qual è il tuo problema! Di questo passo finirai a coltivare
pomodori geneticamente modificati in una serra da qualche parte nel Kanto, con un cappello di paglia in testa e un intero
stuolo di marmocchi che…”
“E tu finirai internata se non
riprendi quanto prima a fumare! Tanto è inutile, al livello di Reira non ci arriverai mai, la nostra principessa è fuori dalla tua port – AH!
Maledetta donna!”
“… sì, Hachi, porto io Nobu a casa. Non preoccuparti.”
“COSI’ IMPARI, razza di cafone!
HACHI! È finita la birra!”
“Vado subito a prenderla, Nana, ma
credo che il frigo ormai sia vuoto…”
“Tranquilla, se abbiamo finito le scorte
possiamo andare a prenderla io e Nobu. Credo gli
farebbe bene camminare un po’.”
Era forse il mio nome quello appena pronunciato?
Oh, ma a chi importa??!
Cercai di versarmi un altro bicchierino di sake, ma qualcuno di grosso e pelato mi tolse il
fiasco dalle mani.
Misi il broncio – forse tentai di azzannarlo, non ne sono poi così sicuro – mentre Ren
e gli altri continuavano l’acceso dibattito su – di cos’è che stavano parlando,
esattamente?
“Voi siete ammattiti! Dove accidenti lo trovate un market
aperto la notte prima di Natale?!”
“Guarda che questo è un giorno lavorativo come tutti gli
altri, grande rockstar dei
miei stivali! Oh ma certo, dimenticavo: da quando sei una celebrità non hai più
bisogno di fare la spesa come i comuni MORTALI, dico bene?!”
“Dateci un taglio, voi due, vi
comportate come bimbi dell’asilo. Shin, porta
pure Nobu a fare due passi, mi sembra una buona idea; quanto alla birra, risparmiatevi la fatica di
cercare dove comprarla. Credo che abbiamo già bevuto
abbastanza per questa sera, no? Specie tu, Ren, che
devi guidare.”
“Ma come, non mi dai uno strappo
in taxi, pelatino? Sei davvero un uomo crudele!”
“… pelatino?”
“Ecco, ora mi rubi anche i SOPRANNOMI! L’ho sempre detto
io, che i Trapnest mi porteranno
via tutto quello che a-ahmo!”
Feci appena in tempo ad afferrare l’ultima battuta di
Nana, ridendone di gusto, prima che il saldo conforto
della sedia mi venisse bruscamente sottratto. Barcollai per non cadere, ma
qualcosa mi resse con sicurezza, e mi occorse un po’ per capire cosa fosse.
“Yasu ha ragione, sarà meglio se
ora andiamo. Coraggio Nobu, tirati su. Aggrappati a
me.”
Protestai in un borbottio confuso, afferrando
inconsciamente il mio unico sostegno – disgraziatamente, proprio la maglietta
del mio spietato aguzzino.
“Non credo alle mie orecchie! Da quando in qua sei
diventato così assennato, eh, piccolo Shin?!”
“Da quando voi siete regrediti allo stadio di animali da fattoria.”
“… noi COSA?”
“Per me è tutta scena, vuole solo
darsela a gambe. Avrà un appuntamento con qualche donna.”
“Tu dici??!”
“Io lo AMMAZZO! SHIN! Vedi di non
ficcarti nei guai, mi hai sentito? Se ti fai beccare da un paparazzo mentre fai qualcosa che possa nuocere alla band…”
“… mi fai ingoiare tutti i miei piercings
e usi la catena al labbro per strangolarmi. Lo so, lo so.”
Non avevo un’idea precisa di cosa stesse succedendo; so
solo che mi sentivo sballottolato qua e là, e con due
vassoi di okonimyaki sullo
stomaco non era una simpatica esperienza.
Tentai di biascicare qualcosa all’indirizzo della mia
stampella umana, ma quella mi aveva già trascinato
alla porta e, gettatami di malagrazia la giacca sulle spalle, si apprestava a
spingermi fuori.
“Allora noi andiamo. Hachi
grazie di cuore, era tutto buonissimo, come al
solito.”
“Figurati ragazzi, sapete che a me fa piacere! Ma tu, Shin, sei sicuro di riuscire a portare via
Nobu tutto da solo? Forse potrei accompagnarti…”
“Non dire sciocchezze, Nana, fuori è buio! Ce la caveremo
benissimo da soli, ma grazie del pensiero! ^.^ ”
Venni bruscamente lasciato cadere
mentre il mio coinquilino e i suoi inguardabili capelli salutavano Hachi e gli altri con trasporto esagerato.
“Bye, honey!”
cinguettò, stampando a Ren un bacio sulle
labbra.
Per l’appunto.
Feci una smorfia, mentre con un braccio tentavo di
infilarmi la giacca e con l’altro di mantenermi allo stipite.
E no, grazie tante, non ero
geloso.
Solo che proprio non vedevo la necessità
di quell’esibizionismo pomicioso
di fronte a Nana. Mi dispiaceva per lei, ecco.
Stavo rantolando di frustrazione quando
persi l’equilibrio, sbattendo il sedere sul pavimento in modo decisamente poco
piacevole. I gemiti di pura afflizione che ebbi cura
di profondere attrassero finalmente l’attenzione del mio cosiddetto
coinquilino, baciatore folle per professione.
“Cavolo, è proprio uno straccio. Spero solo che non mi
vomiti addosso.”
Avrei voluto ringhiare che, sì, se avesse continuato a
dispensare baci da checca qua e là invece di aiutarmi, non avrei esitato a
mostrargli la parte più disgustosa della sbronza – qualunque cosa avessi in mente di dire, comunque, fu soffocata dalle risate
sguaiate di una Nana decisamente più ubriaca di quanto non sembrasse.
In un modo o nell’altro indussi Shin
a compatirmi abbastanza da risollevarmi e portarmi fuori
dall’appartamento 707, noto luogo di perdizione nonché futura serra di
pomodori geneticamente modificati.
Camminavamo lungo l’argine del Tamagawa diretti al mio sancta
sanctorum.
Beh, Shin camminava.
Io gli arrancavo dietro, tentando senza esito di tenere il
passo e rischiando di ruzzolare giù per la banchina ad ogni movimento.
Immagino di avergli gracchiato qualcosa, a un certo punto, perché lui si voltò prendendo improvvisamente
coscienza della mia situazione.
E meno male che doveva
sostenermi.
“A quanto pare l’aria fresca non
è bastata, sei ancora brillo. Non pensi che alla tua età potresti reggerlo un
po’ meglio, l’alcol?”
Sentii la rabbia montarmi in gola dalle profondità in cui
l’avevo repressa.
“Che accidenti c’entra l’età??! È
questione di metabolismo!”
“Sì, ma Nana ha una resistenza maggiore della tua, e lei è
una donna.”
“Si può sapere che razza d’opinione hai tu delle donne??!”
Per un attimo pensai di aver toccato un tasto dolente,
perché Shin si bloccò sul posto.
“La più lusinghiera possibile. Sono loro a mantenermi,
dopotutto.”
Non ero neanche lontanamente soddisfatto della risposta,
ma la sbronza si era unita all’esasperazione rendendomi impaziente.
E lui dovette accorgersene,
perché accennò col capo alla banchina e propose di sederci.
Se avessi avuto allora la conoscenza che ho adesso della gente avrei capito molte cose. O almeno sarei riuscito a guardare agli uomini in modo
diverso, superando le apparenze con spirito critico.
Naturalmente non avevo nulla del genere, e Shin mi destabilizzava.
Lui era solo un ragazzino, ed è
questo a renderlo peggiore. In qualche modo sapeva sempre mettermi di fronte a
me stesso, alla mia immaturità, al mio essere sciocco,
inutile, patetico e meschino.
E se talvolta, di notte, restavo a
guardare la sua figura nel sacco a pelo a caccia di qualcosa che mi alleviasse
la coscienza, allora non facevo che realizzare ancor di più quanto avessi da
imparare. Quanto fossi indietro rispetto al
mondo.
Ho passato mesi cercando di entrare nella sua magica
lente, cercando di vedermi attraverso il suo sguardo progettando apocalittici
scenari del più infimo disprezzo.
L’amaro risvolto è ammettere,
adesso, che non giunsi mai ad una risposta.
Mi accovacciai piuttosto goffamente al suo fianco,
lamentando ancora il dolore al sedere. Lottai contro la giacca per trovare una
posizione più comoda, ripiegando infine le gambe al petto e abbracciandomi per
tenermi al caldo.
Durante le mie mirabolanti contorsioni Shin
era rimasto impassibile, accucciato con grazia e perso
nel paesaggio ipnotico del nero fiume sotto di noi. Mi
sorpresi a guardarlo di sbieco, irritato da quel silenzio troppo sobrio.
“Mi spieghi perché hai insistito tanto per portarmi a
spasso? Non sono il tuo cane!”
“L’hai detto tu, non io.”
“Shin!”
Lui si voltò. E fu strano, perché
era serio. Lo erano le sue labbra, almeno, distese. Gli occhi sembravano quasi
sorridere.
“Vuoi sapere perché ti piace tanto il Natale, per me?”
Sbuffai, innegabilmente e assurdamente deluso.
“Illuminami.”
“Perché sai che i tuoi sono alla pensione a sgobbare,
visto che è un periodo di grande affluenza, mentre tu
giochi a fare la rockstar e a trincare sake con le belle ragazze!”
Non ci vidi più.
Scattai in piedi additandolo come una bestia demoniaca,
ondeggiando pericolosamente per via dell’alcol ancora in circolo.
“Come sarebbe giochi a fare la rockstar??! Tu ci sei dentro quanto me, e il nostro non è un gioco!
Persino Yasu si è convinto a tentare col
professionismo, e hai visto anche tu quanta gente è
venuta all’ultimo live! E poi, di che ragazze stai
parlando? La fai sembrare un’orgia di dissoluzione, mentre sai benissimo che
era solo una cenetta da Hachiko! Semmai quello che ci
dà dentro coi facili costumi sei proprio tu!
Almeno fai differenza tra uomini e donne o ti basta andare col primo che
passa?”
Allora ci misi un po’ a realizzare tutto quello che gli avevo rovesciato addosso. Oggi ne sono pienamente
consapevole, e altrettanto convinto che Shin avrebbe dovuto buttarmi nel fiume.
Invece lui restò a guardarmi fisso, prima di sorridere con
l’aria di chi la sa lunga.
“Vedo che la sbronza ti sta passando. Molto bene. Possiamo
tornare a casa.”
Rimasi di stucco a osservarlo,
imbambolato, rialzarsi e mettersi in cammino. Non era che
l’ultima voce sull’interminabile elenco delle mie sconfitte, ma continuavo a
rifiutare l’idea di esser caduto in trappola tanto facilmente.
D’altro canto avevo a che fare con un esperto di
manipolazioni. Shin era eccezionale a mettere nel
sacco la gente, per via di quell’intuito fenomenale e
la solita dose di puro charme. Non tutti avrebbero potuto tenersi al centro di
un vasto – non seppi mai quanto – giro di donne
ricche e premurose senza restare scottato, ma lui sembrava sempre in controllo
della situazione.
Mi chiedo quanto gli sia costato
mostrarmi il suo vero volto.
Quando arrivammo al mio
appartamento ero ancora trincerato dietro un fitto e turbato silenzio. Neanche
lui aveva parlato, ma sospetto che fosse il suo
semplice modo per dimostrare di star bene con se stesso e non aver bisogno
d’altro.
Mi gettai scompostamente sul letto
mentre Shin spariva oltre la porta del bagno. Avvertivo quell’orrido cerchio alla testa
tipico del dopo-sbornia, ma i sintomi veri, come la nausea, dovevano
ancora arrivare. Una doccia e sarei stato meglio; intanto mi concessi di
sdraiarmi.
…Quando mi svegliai era notte
fonda.
Rabbrividendo mi rigirai il piumone intorno al corpo. Neppure ricordavo di essermi effettivamente coperto,
prima di crollare, ma non aveva granché importanza, no?
Con orrore realizzai di non essermi cambiato e di aver urgente
bisogno del bagno. Il solo pensiero di srotolarmi da quel morbido abbraccio e
strisciare fuori al gelo mi atterriva, ma una fitta al bassoventre mi convinse
a capitolare. Sbuffando e latrando mi divincolai dalle lenzuola e ciabattai
fino alla meta.
A doccia conclusa mi ritrovai di fronte un problemino d’ordine pratico. Non ci pensai due volte prima
di stabilire che si trattasse di una superabile
inezia, quindi tornai in camera da letto.
Nudo come un verme.
E gli occhietti di Shin mi sorrisero dal buio.
Diedi un urlo paurosamente femminile,
temo, agguantando in fretta un paio di boxer dal cassetto.
“Ma tu da quant’è che sei
sveglio??! Insomma, io ero convinto che… che tu… sì,
insomma, ecco, naturalmente non sarei mai uscito nudo dalla doccia se
avessi saputo che tu… non penserai mica il contrario, no??! È che mi sono ritrovato in bagno, e avevo dimenticato
qui i vestiti, e lo sai che gli accappatoi sono in lavanderia, li abbiamo
portati la scorsa settimana e non li abbiamo ancora ritirati – a proposito,
dovremmo proprio farlo se non vogliamo iniziare l’anno nuovo senza – e questo è
il motivo per cui sono uscito così, e-e-ma tu non stavi dormendo???”
Immagino non ci sia neanche bisogno di descriverla, la sua
reazione.
Sfoderò uno dei suoi sorrisini caustici, perfettamente
calmo e sicuro di sé, sottolineando per contrasto la
mia isterica idiozia.
“Per quanto mi diverta guardarti mentre
te ne stai lì in mutande a balbettare, immagino che al tuo posto sarei già
morto di freddo.”
O di vergogna.
“Perché non la pianti e torni a
letto?”
Beh, Shin aveva il suo modo per
dire le cose, ma non c’è dubbio che avesse ragione
anche quella volta.
Rabbrividendo in modo vagamente plateale, ostentando un
freddo che sentivo solo in parte, sgusciai nuovamente
al calduccio nel mio comodo anfratto di coperte. Altra valida ragione per amare
il Natale: è il cuore dell’inverno, anche dal punto di vista climatico. Il che significa strati e strati di coltri fra cui sparire nei
momenti di puro e indescrivibile imbarazzo.
Trascorsero minuti su minuti di tombale silenzio prima che
mi decidessi a mettere la testa fuori dal piumone. Il
mio coinquilino e tormento personale se ne stava
tranquillamente sigillato nel sacco a pelo di fianco al letto, solo la chioma
turchina e parte del viso lasciati al freddo.
Continuai a fissare quella scena statica e noiosa, forte
di un’inedita superiorità – a livello d’altezza – per il solo gusto di
sbirciare non visto.
O almeno, quella era inizialmente
la ragione.
Quanto tempo era passato dalla Notte? Oh, naturalmente
stavo bluffando. Lo sapevo perfettamente, tenevo il
conto come la mogliettina affettuosa di un soldato in guerra.
Quattro mesi e tre settimane. Centocinque
giorni e centoquattro notti, all’incirca.
Da quello strano accidente accessorio Shin ed io non avevamo più avuto
alcun genere di… incontro ravvicinato. E andava
benissimo così, sia chiaro. Ora non mettiamoci strane idee in testa.
Solo che.
Solo che non potevo fare a meno di
chiedermi perché. Cosa diavolo fosse passato
per la testa di entrambi – se di testa si può parlare, visto lo scarso utilizzo
fattone per l’occasione – tale da indurci ad affondare l’uno nell’altro senza
alcun ritegno né spiegazione.
Non aveva il benché minimo senso,
continuavo a ripetermi.
E intanto le notti passavano, e cresceva la consapevolezza
che lui non mi avrebbe più toccato, con tutto il bagaglio di elucubrazioni
mentali e tumulti emotivi che puntuali seguivano.
Guardarlo così, di nascosto, mi dava l’opportunità di
abbandonarmi a dubbi e riflessioni richiamando alla mente il gusto delle sue
labbra, il calore della sua pelle.
Realizzando con dolorosa esattezza
quanto mi mancassero.
Mi accoccolai più a fondo tra le coperte, seguitando nel
tacito scrutinio masochista. Sapevo di poter risultare, beh, sì, persino morboso;
ma finché riuscivo a non farmi scoprire andava tutto bene, no?
“La vuoi smettere di fissarmi? C’è un nome per quelli come
te: voyeurs. O maniaci sessuali, se non
t’intendi di francese.”
Arrossii fino alla radice dei capelli, valutando per un
momento l’ipotesi di fare orecchie da mercante e
fingermi profondamente addormentato.
Okay, non poteva funzionare. Ci arrivai anch’io.
Emisi quello che dovette suonare come un gemito strozzato,
chinando nuovamente il capo di fronte all’umiliazione che tanto amava farmi
compagnia.
“Mi dispiace” biascicai in una qualche lingua
inarticolata.
Stavo ancora cercando affannosamente il modo per tirarmi fuori da quel pasticcio quando la straordinaria idiozia che
sembravo incapace di reprimere ebbe l’accortezza di gettarmene addosso uno più
grande.
“Shin…”
“Mh?”
“… perché non vieni a dormire con
me?”
Restai totalmente paralizzato un secondo più tardi. Tre
idee mi attraversarono la mente, con una lucidità tale da sconcertarmi, tutto sommato.
La prima: dovevo essere ancora sotto gli effetti
dell’alcol. Sicuramente.
La seconda: se non era la sbronza, allora dovevo avere
qualche terribile malattia mentale che traducesse i
pensieri più intimi in parole evitando accuratamente il filtro del raziocinio.
Era inammissibile che persino il mio raziocinio fosse tanto idiota. O forse era
lui quello ubriaco. Chissà.
La terza: qualunque sarebbe stata la risposta di Shin, avevo appena cambiato il corso della nostra storia
per sempre.
L’unico suono che lasciò la sua bocca fu un risolino
stupito.
“Come hai detto?!”
Rotolai sul letto concentrando ogni sforzo, fisico e
telepatico, affinché il piumone si decidesse a strangolarmi.
“N-Niente. Fa’ come se nulla fosse, okay?”
Non potevo pretendere tanto, me ne rendo
conto. E Shin è uno curioso
di natura: figurarsi se era disposto a lasciar perdere.
Si tirò su a sedere. Lo vidi fare capolino e protendersi
verso di me, il che mi spinse – prevedibilmente – a ritrarmi nell’angolo opposto,
quasi cascando giù dal groviglio di coltri.
“Vuoi venire a letto con me, Nobu?”
D’accordo, detto così suonava persino peggio.
Urgeva correre ai ripari.
“Ma n-no, no, cioè, non è questo
che intendevo!!! Ho solo pensato che… devo aver pensato…” che diamine hai
pensato, idiota? che hai pensato?! “… che avresti avuto freddo, lì per terra, visto che, sai com’è,
sono io quello abituato al gelo e alla neve, e anche se non so com’è il clima
in Svezia – perché è da lì che vieni, giusto? – suppongo che sia più clemente
di dove sono nato io, perché… ti ho mai raccontato di quella volta che Nana si
era messa in testa di costruire un pupazzo di neve umano?”
Frenai piuttosto bruscamente il corso delle mie illazioni
nel momento in cui il materasso cedette ad un peso nuovo, quello di un temibile
assalitore dai capelli turchini dedito ad intrufolarsi furtivamente nei letti
altrui.
“C-Cosa…?”
“Quand’è così accetto volentieri. In fondo mi hai svegliato, ora puoi farti perdonare!”
“… perdonare?”
Sussultai come se mi avessero infilato del ghiaccio nelle mutande quando Shin sgusciò al mio
fianco, terribilmente vicino, tra le mie coperte.
“Hai fatto un casino pazzesco prima di
deciderti ad andare sotto quella maledetta doccia, continuare a dormire sarebbe
stato impossibile. E poi, sai che hai ragione? Qui al
letto si sta molto più caldi.”
Per grazia di chissà quale compassionevole dio dei casi
persi, riuscii a trattenermi dall’esplicitare la – piuttosto ovvia, a dir il vero – ragione di quell’improvviso
calore che aveva affetto anche me, ma con indesiderati risvolti.
Il mio bassista – era
gratificante pensarla in questi termini, essere autorizzato ad usare quel
possessivo – si raggomitolò alla meglio e mi diede le spalle, accoccolandosi
sulla sua sponda del letto. Restò del tutto immobile, tranne
per il lieve su e giù del busto nel sopravvalutato processo di
respirazione.
Di cui io stavo per l’appunto facendo a meno, sin da quando mi ero ritrovato del testosterone di troppo tra le
lenzuola. Non espirai che quando fu strettamente necessario, e allora sentii la
testa girare come se stesse per staccarsi dal collo.
Stavo ancora cercando la forza di voltarmi e fingere
indifferenza – addormentarsi sul serio mi pareva fuori discussione – quando la
sua voce, soffocata dalle coperte ma ugualmente udibile, pensò bene di
annientare anche le mie più irriducibili speranze.
“Era… da un sacco di tempo che non dormivo con qualcuno.
Dormire e basta, intendo. L’ultima volta credo sia stata con… mia madre.”
Ci sono espressioni, nella lingua romanza, troppo spesso
sovrastimate. Tutte quelle cose come le farfalle nello stomaco, o il farsi piccoli piccoli, o che so io, che
nella realtà nessuno prova mai. Né si sognerebbe di
usare in un discorso.
Avevo sempre fatto parte della frangia degli scettici, su
questo versante. Sebbene fossi un sognatore per
natura, un illuso, probabilmente, ero piuttosto sicuro di non condividere
l’esasperazione delle licenze poetiche. Servivano soltanto ad alimentare le
inconcludenti fantasie di quelli tanto patetici da non accettare la materialità
dell’esistenza. Quelli come me, in effetti.
Tuttavia, quella notte imparai che neanche la poesia sorge dal nulla. Perché, e un po’ mi costa ammetterlo, io
una di quelle sensazioni tanto decantate dai
romanzieri la provai sul serio, proprio lì e in quel momento.
Sentire Shin parlare in quel
modo fu un maledetto tuffo al cuore.
Abbracciarlo fu un gesto impulsivo. Spontaneo
come tante volte avrei voluto essere, nella vita.
Reclinai il capo nell’incavo del suo collo e lo cinsi da
dietro, serrandogli le braccia intorno al corpo da ragazzino. Strinsi più che
potei senza curarmi di nulla, neppure fargli male, sperando così di
trasmettergli il calore solidale di un amico, non di un estraneo. Non di un coinquilino.
Volevo che vedesse oltre questi aspetti, volevo che
capisse quanto realmente lui fosse importante, quanto lontano io fossi disposto
a spingermi, per… per noi. È così strano riviverlo adesso, con il tempo che è
trascorso. Mi ricorda quanto disperatamente piccoli fossimo.
Avvertii Shin tendersi e
rilassarsi tra le mie braccia, per poi irrigidirsi di nuovo.
“Nobu…” mormorò piano.
Ed io impazzii.
Lo attirai a me, veemente abbastanza da fargli voltare il
capo. Non lo guardai nemmeno, preso com’ero dal raptus maligno che puntava solo
la sua bocca.
Lo baciai. Una volta, due, tre, un
milione, con la delicatezza di un bimbo terrorizzato. Non trovavo il
coraggio di andare oltre quel fugace scontrarsi di
labbra, e al contempo ardevo per un contatto maggiore, diretto, totalizzante.
Avevo bisogno di riversarmi in lui, con tutti i miei pieni
e miei vuoti, per accoglierlo in me nella promessa
della catarsi. Non capivo, allora, quanto dolce fosse
il subdolo richiamo del tormento infernale.
Mi ritrovai nuovamente a maledire la mia condizione di
respirante essere umano, ma non potei far altro che allontanarmi per prendere
fiato. E Shin colse
l’occasione per accentare l’ovvietà del dubbio.
“Perché lo stai facendo?”
Mi fermai, sovrastandolo di pochi millimetri.
“Come sarebbe a dire?”
Lui distolse lo sguardo, e fu allora che lo capii. Stava
scivolando via.
“Con le donne non c’è bisogno di chiederlo. Loro vengono
da me per animare una serata piatta. È semplice, chiaro, lineare.”
Mi ero irrigidito. Non sopportavo, non riuscivo a
tollerare neanche l’idea che i suoi pensieri potessero
vagare in simili direzioni… non mentre era con me. Mentre stavo cercando di
farlo stare bene. Di stare bene insieme, magari.
E allo stesso tempo c’era quella
curiosità che non potevo reprimere, ora che ero tanto vicino a soddisfarla.
“E tu, invece? Tu
perché vai da loro?”
I suoi occhi tornarono nei miei, atrocemente spenti.
“Che domande. Mi pagano per
scoparle. Non è qualcosa di cui un uomo normale si lamenterebbe, non trovi? Senza contare che così posso mantenermi a Tokyo. Non ci
tengo a tornare da dove sono venuto.”
La rabbia mista alla gelosia furiosa finì col fondersi ad
una più quieta malinconia, nel sentirlo parlare di se stesso in quel modo. Gli
accarezzai una guancia, ridicolmente piano, certo che la pressione sbagliata lo
avrebbe infranto come un castello di carte.
“Presto non dovrai più farlo. Yasu
ha preso contatto con non so quale casa discografica, quindi è davvero
probabile che riusciremo ad incidere, dopotutto. E allora non avrai più bisogno
di qualcuno che badi a te.”
Ero sinceramente convinto di aver toccato le corde giuste,
ma ero ancora così lontano dalla verità. Così lontano da lui.
Shin si voltò a fissare il muro,
permettendomi di cogliere un lampo di troppo nell'azzurro dei suoi occhi. Poi
parlò, così lievemente che lo sentii entrarmi dentro, ma stentai a tradurre
quel fiato dolce in qualcosa di reale.
“E se io...?”
Tacque. Dovetti incalzarlo, sfiorandone il profilo con la
punta di un dito.
“Se io... volessi qualcuno...
che badi a me?”
Rischiai di esplodere. Di scoppiare in lacrime come un
maledetto bambino, per poi stringerlo il più forte possibile e giurare tra i
singhiozzi che mai, mai lo avrei lasciato andare.
Mi diedi un contegno. Ripercorsi quel
sentiero ormai noto tra i suoi lineamenti, stavolta con le labbra, prima di
arrivare a sussurrargli sulla bocca.
“Tu hai me.”
E infine lo baciai, lo baciai sul serio, avventandomi sui
quei petali dalla morbidezza sconcertante e riscoprendo il gusto umido e caldo
di una lingua con cui avevo giocato solo un’altra
volta, in passato.
Mi era mancato, lo sapevo già. Ma non avevo appreso veramente quanto prima di averlo
ancora.
Shin mi accolse con indulgenza.
Nei movimenti lievi delle sue labbra vi era un’irresistibile indolenza, una
pigrizia naturale e languida che alimentava la mia fame, tanto impura e vorace
al confronto. Mi sentii davvero una belva avida e perversa, un demone ninfomane
pronto a ghermire senza cura un frutto tanto delicato. E
quasi sorrisi a quella stessa idea, rammentando che certo non avevo a che fare
con un innocente novellino. Salvo riconsiderare il concetto di
innocenza, nube soffice e spumosa, che ben mi pareva adattarsi al
ragazzino sotto di me, ora che i suoi occhi si erano mostrati tanto lucidi e
immensi.
Fu allora che il ragazzino sotto di me pensò bene
di ansimare, rilasciando nel mentre un gemito che
riconobbi come pura lascivia. Così misi da parte ogni pensiero che non fosse l’immanente, mutuo bisogno, e tornai del tutto nelle
sue labbra e nel mio corpo.
Aveva allargato le gambe, Shin,
per ospitarmi nel meraviglioso ed invitante mondo della sua sensualità
adolescente. Non mi lasciai pregare, accomodandomi contro il suo bacino senza
cessare l’insaziabile ricerca della bocca.
Ero innamorato, perdutamente innamorato del modo in cui
quel corpo sottile si fondeva al mio, stuzzicando fino allo stremo ogni
terminale nervoso. Non ero in grado di trattenere i gemiti, né di controllare
il respiro ansante che andava spegnendosi in lui, ogni volta che solo mi
sfiorava. Sentivo un’eccitazione spasmodica montarmi dentro, torrida e violenta
come non era più stata da centoquattro notti, all’incirca.
Strusciai l’erezione maturata in fretta contro le sue
cosce, alternativamente, mugolando nei baci bagnati che ancora ci scambiavamo. Ad ogni contatto con quella pelle d’avorio la
testa prendeva a girare e il sangue non affluiva che in un punto ben preciso.
Ansando senza ritegno mi lanciai all’esplorazione di un
corpo poco conosciuto, una mano a sostenermi per non pesare su di lui, l’altra
arditamente inviata in sopralluogo oltre il bordo della felpa grigia. Scoprii
le meraviglie di una pelle morbida e fresca, ma che andava scaldandosi in
fretta sotto le dita. Mi spinsi verso l’alto, deliziato dalle linee leggere, a
tratti spigolose, che conoscevo al tatto; superai i pettorali appena accennati,
scivolai verso lo sterno e tornai sui miei passi, concentrandomi infine su
quella zona ipersensibile accanto ai capezzoli inturgiditi.
E poi Shin
lo fece.
Con un basso uggiolio di gola mi allacciò le gambe intorno
alla vita, attirandomi in basso proprio mentre
spingeva i suoi fianchi verso l’alto.
Le nostre eccitazioni vennero finalmente a contatto, forti e presenti una contro l’altra, strappando
ad entrambi un gridolino indecente.
Mi tirai su, sostenendomi con ambo le mani. Deglutii per
la posizione inconsueta, carponi com’ero fra le cosce di un altro uomo.
Cercai di ragionare. Anche se ritrovare un briciolo di
lucidità con quella figura semi-svestita ed arrapata nel mio letto
era più di quanto non potessi chiedere a me stesso.
Come volevasi dimostrare.
I miei occhi guizzarono, apparentemente dotati di mente propria, al lembo di
pelle chiara lasciato scoperto tra l’elastico dei boxer scuri e il bordo della
maglietta sgualcita. Poi caddero ignominiosamente un po’ più giù,
soffermandosi con evidente e riprovevole fame sul vistoso
rigonfiamento all’altezza dell’inguine.
La visione di quel corpicino
deliziosamente esposto sotto di me quasi bastò, sola, a farmi venire.
Deglutii ancora, mentre l’umidità nelle mie mutande ormai decisamente da lavare mi rammentò con crudele
esattezza per quale motivo mi fossi allontanato dalla nostra assuefante danza
di labbra.
Dovetti fare appello al tutto il mio coraggio per
pronunciare un’unica parola, eloquente abbastanza, mi auguravo,
da sostituire un intero e ben più complicato quesito.
“Vuoi…?”
Vuoi. Vuoi, che cosa?
Vuoi essere felice? Vuoi vivere per sempre?
Vuoi perderti in me come io sento
necessario perdermi in te, questa notte?
Vuoi prendere questo mio corpo da peccatore e farne il tuo
strumento, la tua magica lira dalle dolcissime note,
come un moderno Orfeo respinto dal Paradiso?
Vuoi comprendere al mio fianco che vizio e virtù sono solo facce opposte della stessa medaglia, l’aureo e
inviolato disco dell’umano bisogno?
Ma soprattutto, piccolo segreto
svelato dal buio, vuoi amarmi, questa notte soltanto, e dimenticarmi alla
prossima alba?
Shin non rispose, ma si tese
verso di me. Incollò nuovamente le nostre bocche, mentre con abile gioco di
braccia e di gambe mi riportò indietro, disteso sulla sua stessa figura.
La sua mano scese lungo tutto il mio
corpo, decisa ed inequivocabilmente diretta.
Mi staccai bruscamente dalle sue labbra, preferendo l’intimo
rifugio del collo, per sfogare i gemiti di palese lussuria nati al sentore
delle sue dita sui miei boxer. Presi a spingere contro di lui, animato dalla
sola brama di rilascio, mentre la mia erezione esasperata conosceva finalmente
il tocco lento ma intenso di mani che avevo persino
sognato.
Boccheggiavo senza tregua. I suoi polpastrelli correvano
su e giù, su e giù, a tratti rapidi, a tratti sinuosi, ma sempre e comunque saldi ed abili su di me. Ero ancora ubriaco,
realizzai con certezza, la miglior sbronza della mia vita.
Quasi urlai, per sfogare l’enorme
pressione che avevo accumulato dentro. E invece
finii soltanto con l’accasciarmi nell’oscurità della sua pelle, mentre Shin rimuoveva con destrezza l’ostacolo di stoffa e si
appropriava definitivamente di me.
Uno solo fu il pensiero che mi attraversò, prima di
esplodere nell’anelato orgasmo.
Per questo, lottando per mantenere il controllo ancora
qualche istante, portai la mia stessa mano al sesso del mio
amante improvvisato, accontentandomi di infilare lo stretto passaggio tra il
cotone e la carne allargando l’elastico dei boxer. Lo trovai, caldo, duro,
bagnato, e non seppi più resistere. Venni forte e
rumoroso nella sua mano, obbligandomi a muovere la mia nel frattempo. I miei
gesti acquistarono vigore e coerenza una volta che i fumi dell’eccitazione si
furono placati, e Shin si liberò in me a sua volta,
inarcando l’intero corpo a cercare il mio.
Ripresi fiato per lo stretto necessario e rotolai via,
quasi cadendo giù dal letto per l’eccessivo slancio. Rabbrividii, ricercando
nell’abbraccio delle coperte un calore che alleviasse
lo sgradevole senso di freddo e bagnato fra le cosce. Ricordo
di aver ammirato, anche allora, la disinvoltura con cui invece Shin si alzò e guadagnò il bagno, per poi riemergere lavato
e ripulito e tornare al letto.
Superando l’imbarazzo mi decisi a seguire il suo esempio,
ma senza un decimo del suo fascino naturale.
Oh, beh, non si può vincere sempre, vero?
L’uno accanto all’altro nella dolce morsa delle lenzuola,
restammo a godere di quel momento fuori dal tempo
prima di darla vinta al sonno.
La testolina azzurra a cercare
protezione sulla mia spalla, Shin ruppe il silenzio a
voce bassa, timoroso di distruggere quella pace che entrambi sentivamo crescere.
Piccolo scemo. Come se fosse stato
possibile, per lui, rovinare la magia che mi aveva donato.
“È mezzanotte passata. Oggi è Natale.”
Occhieggiai di riflesso la radiosveglia dai grossi numeri
scarlatti, indugiando distrattamente nell’accarezzargli i capelli.
“Hai ragione” commentai con tranquillità, cedendo alla
tentazione di posargli un bacio lieve sulla fronte, “merry
christmas!”
Lo sentii sorridere contro la mia pelle, ma con
altrettanta nitidezza avvertii il suo buonumore scemare.
“Senti, Nobu…”
“Mh?”
“Non pensi che forse vorresti trascorrere questi giorni
con la tua famiglia, magari?”
Mi lasciò sorpreso. Continuai
meccanicamente ad accarezzarlo, adorando l’effettiva morbidezza di quei capelli
apparentemente ispidi.
“Non lo so. Perché me lo chiedi?”
“Oh, avanti. Non vorrai farmi credere che non ci hai nemmeno pensato!”
E aveva ragione, ovviamente. Dire
che non avevo rimuginato sui miei sovraccarichi di lavoro alla pensione sarebbe stata una balla di dimensioni cosmiche. Almeno quanto dire che immaginarli lì, oberati e in pensiero per
me, non mi causava alcun senso di colpa. Perché, avrebbe dovuto?!
“È vero. Ma, sai com’è, noi non
festeggiamo un granché il Natale. Più che altro è un
periodo davvero stressante, se tornassi rischierei di dare alla mamma solo
altre preoccupazioni. Ha già tante cose di cui occuparsi, poveretta, che
affidarle anche il mio bucato e cose simili mi farebbe sentire un peso.”
Shin restò in silenzio per un
po’, il tempo di digerire le mie patetiche scuse. Infine sbuffò, stizzito
proprio come avevo immaginato.
“Che sciocchezze. Tu non potresti
mai essere un peso per i tuoi genitori, e lo sai bene.
Dì piuttosto che sei troppo codardo per sottoporti
all’umiliazione di tornare da loro, e troppo egoista per farlo al solo scopo di
aiutarli.”
La consapevolezza che avesse
ragione rendeva tutto più difficile da accettare. Mi irrigidii,
immobilizzando la mano, e scelsi l’opzione più immediata.
Ripagarlo con la stessa moneta.
“Può anche darsi, ma tu non sei certo il più adatto a
farmi prediche di questo tipo. Da quant’è che non
torni a casa dai tuoi, eh? Non mi pari proprio un figlio modello!”
Si tese anche lui, ma senza allontanarsi.
“Non è così facile. La mia situazione è diversa dalla tua.”
“Beh, quel che vale per me varrà
per chiunque abbia dei genitori a questo mondo, no?”
“È proprio questo il punto. Per chiunque abbia dei
genitori.”
Esitai, confuso dalla pronta replica, e mi costrinsi a
ricacciare indietro un po’ del veleno che avevo già pronto a fuoriuscire.
“Vuoi dire che…?”
Shin mi strinse più forte, solo
un po’ di più.
“La mia famiglia è qui, adesso. Con Yasu, Nana, Hachi e te. Non mi serve
altro.”
Ed io non seppi ribattere,
spiazzato da un’affezione tanto candida e tanto triste. Lo avvolsi
tra le braccia come meglio potei, aspirando il profumo della sua pelle.
E decisi che, sì, il giorno dopo avrei
chiamato i miei. Forse sarei andato a trovarli.
Quella notte, ora lo so, ti
amai come mai prima d’allora avevo amato.
.Fin.
********
Per il ciclo ‘una promessa è una promessa’,
eccomi di ritorno con il secondo capitolo di questa trilogia! Sarò sincera, è
stato molto più ostico da scrivere rispetto al primo, frutto di un’ispirazione
estemporanea; ma come vedete ce l’ho fatta! ^^
Al solito, il mio unico
terrore è di deludere le ragazze che sono state così carine da commentare lo scorso
episodio. Non me lo perdonerei mai se i vostri complimenti non fossero più
meritati >.<
Vediamo un po’… note sullo
scritto? Beh, chi ha già letto Taste In Men, il primo capitolo della saga, non dovrebbe necessitare di alcuna spiegazione. Per amor di precisione
storica, quando Nobu abbraccia
Shin per “fargli sentire il calore di un amico, non
di un estraneo o un coinquilino”, mi riferisco alla descrizione che, nell’altra
storia, Nobu fa della loro convivenza. La cosa dei
due estranei sotto lo stesso tetto. Un’immagine che ho
adorato riportare, all’inizio, ma che non poteva più adattarsi a questo punto
della storia.
Oh, restando in tema di
precisione, c’è da dire qualcosa sulla collocazione
temporale. Ipoteticamente e in un mio universo piuttosto alternativo xD la presente avrebbe luogo dopo la riconciliazione di Nana e Ren, ma prima
della storia tra Hachi e Takumi.
Il che giustifica la totale assenza di riferimenti al Grande
E Imperituro Amore del chitarrista per la sua bella.
Ci tengo a ribadire: il titolo e i frammenti iniziali di questa
raccolta appartengono al mio adorato e venerato Brian Molko,
alla sua spett.le etichetta
discografica e ai suoi adorabili compagni di scorribande (Stefan
Olsdal e Steve Hewitt, aka gli altri Placebo –
almeno al tempo di Black Market Music,
l’album di provenienza). Suppongo sia tutto merito loro se quella che poteva
limitarsi ad una one-shot si
è estesa fino a tre episodi… qualora la cosa non vi rendesse particolarmente
contente, beh, sapete con chi prendervela! :p
Tornerò dopo le vacanze
(fra due settimane, all’incirca) e mi rimetterò alla tastiera per il gran
finale!
Grazie di cuore a nanalove, Eril, Eruyome (mi hai
davvero lusingata, grazie mille! Spero vorrai darmi i tuo parere anche su questo seguito *.*), Constance (a cui
riconosco il primato di yaoista nel fandom… in effetti, e qui mi sono spiegata davvero uno
schifo xD, io intendevo Taste essere la prima Nobu/Shin del fandom… ma, ripeto, so
essere terribilmente infelice con le parole!), tochan (cosa ne pensi dello Shin più coccoloso di questa shot? Sono finita OOC?), hachi92 (una coetanea, credo *.*) e,
ultima ma non meno importante, Barbycam (che spero vorrà seguirmi ancora *.* , sarebbe un
onore essere quella che ti ha appassionata al fandom!).
E, per i preferiti, Eurinome, Gala, nemesi06, pepichan84, SlytherinPrincess : grazie anche a voi! ^.^
Alla prossima e, se non è
troppo tardi, buone vacanze a tutte/i!