Chiara
Water of Cold Light
Integra?
~
Il suo
stomaco ebbe un sobbalzo quando, abituati finalmente gli occhi al buio, capì chi c’era in quella stanza. Chi, cosa. Lo capì. La mano appoggiata sulla
porta, Integra pensò di andarsene. C’era nell’aria il sentore di quella bellezza
morta che, nel buio, poteva solo intuire: ancora lontana da lui, ciò che
percepiva era solo il miraggio di un’illusione. Non riusciva a scorgere nessun
bagliore, perché non c’era nulla che potesse riflettere la luce. Inoltre,
l’unico fascio luminoso proveniva dai neon del corridoio che si era lasciata
alle spalle. La stanza quindi era, in una sola parola, buia.
[
Integra ]
La voce di
lui che non era una voce, che non era un chi ma un cosa interruppe ogni sua sensazione.
Integra smise di sentire, smise anche di sentire se stessa. Non aveva freddo, né
caldo, non provava. Fluttuava nell’oscurità priva di suoni, di odori: era come
vagare nel nulla ed essere il nulla. E lui era davanti a lei. E la chiamava, con
voce profonda.
[ Integra ]
Aprì ancora
di più la porta, giusto un soffio. E quella luce fredda ed asettica lambì i
piedi bianchissimi di lui, li bagnò quasi, come un’onda, pensò lei, capace di
risalire fino alla sua vita sottile non come un ragazzo, ma bella come quella di
un uomo. Il torace, il volto. Quella natura morta le era ancora negata. Se solo potessi vederlo al buio, ma i
suoi erano occhi da umana. Aveva bisogno di più luce, e lui non respirava ma era
come se con quel respiro inesistente la chiamasse, e la attirasse a sé. La porta
cigolò su se stessa e produsse un rumore sordo e soffocato quando con la
maniglia toccò il muro. Avrebbe potuto sentirlo sorridere, se le sue orecchie
non fossero state così poco sensibili?
[ Integra ]
La gelida
marea di luce si fece alta e ardita e Integra finalmente vide. La stretta cintura sui fianchi, la
piccola fossetta dell’ombelico sovrastata da una striscia di sangue scurissimo:
alla sua fine (o al suo inizio) stava ancora il dito dall’unghia perfetta che
l’aveva tracciata e che non si muoveva. La camicia bianca, ma non bianca come la sua pelle di marmo
morto, era macchiata di sangue. Macchiato il torace, imbevute le mani
perfette. Risalì con lo sguardo, la bocca
asciutta, il cuore che smette di battere, e vide il suo capo reclinato. Lo
vide interamente, finalmente. Con i capelli scuri ad incorniciare quel volto
dagli occhi socchiusi, come due fessure. Così scuri, con quelle occhiaie
impossibili da nascondere e quella bocca macchiata di rosso, sempre all’ingiù.
Lui era gonfio di sangue, sazio, illanguidito dalla cena. Una buona cena,
sicuramente. Aveva bevuto tanto. Ma la dolcezza dell’odore – anche per lui, del miraggio, della
possibilità – del sangue che era venuto a cercarlo lo scosse dal torpore. E
vide il sangue di una vergine, prima di vedere la vergine.
Alucard, in
sostanza, in quel momento non vide
Integra.
Non
esattamente.
[ vieni vieni vieni… ]
Nei suoi
sogni Integra sognava di venire sporcata da quella bocca ricolma di sangue,
ricolma del suo sangue. La camicia,
la seria biancheria intima di cui si rivestiva, il nastro con la croce che
portava a mo’ di cravatta. Tutto quel bianco macchiato di rosso. Le piaceva il
contrasto.
Nel suoi
sogni Integra poteva sentire la mano di lui sulla sua schiena e il desiderio di
morire montarle dentro, furioso come vita: voleva fare l’amore con un morto.
Raccapricciante, ma vero. E quel sangue così dolce che le faceva il solletico
sul collo, ora che erano lontani dall’acqua di luce fredda, di chi era?
[ vieni vieni vieni… ]
~
A Val.
Perchè noi cerchiamo la bellezza ovunque.
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