Era pomeriggio inoltrato e stava diluviando mentre Ali e
Hassan attendevano l’autobus che li avrebbe condotti a casa di un loro parente
in Hazarajat. I due cercavano di ripararsi alla meglio dalla pioggia
scrosciante che li aveva infradiciati da capo a piedi, mentre tentavano
inutilmente di proteggere le loro povere cose. Nessuno dei due parlava.
L’autobus era
in ritardo come sempre. Ad un certo punto i due si accorsero di non essere più
soli: una terza figura si era come materializzata dalla pioggia e si stava
dirigendo verso di loro. Ali trasalì leggermente e Hassan chinò ancora di più
il capo nel momento in cui entrambi riconobbero Assef, ben riparato sotto un
grande ombrello e con indosso un lungo impermeabile. Lui di certo non si
sarebbe infradiciato fino alle ossa.
“Guarda che
strani incontri si possono fare in un pomeriggio piovoso. Cosa ci fanno i due
Nasipiatti di Amir sotto questo diluvio?” chiese, ostentando interesse.
“Aspettiamo
l’autobus, se ti compiace, agha.” rispose Ali in fretta, sperando che il
veicolo arrivasse al più presto e li salvasse da quella situazione incresciosa.
Lui sapeva che quel giovane era sadico e crudele, sapeva quello che aveva fatto
a suo figlio e desiderava solo non doverlo rivedere mai più.
Assef rise.
“Questo lo
avevo immaginato, visto che siamo alla stazione degli autobus. Quello che
volevo sapere era: perché due inutili hazara come voi dovrebbero prendere
l’autobus? E dove sono i vostri affezionati padroni? Vi hanno concesso una
vacanza?”
L’accenno a
Baba ed Amir colpì dolorosamente Ali e suo figlio. Era passato così poco tempo
dalla loro forzata separazione… Ali non avrebbe mai voluto raccontare i fatti
suoi al suo peggior nemico, ma se non lo avesse accontentato Assef avrebbe
potuto far loro del male e comunque l’autobus sarebbe presto arrivato.
“Non lavoriamo
più per agha sahib. Abbiamo deciso di trasferirci da mio cugino in
Hazarajat. È… la decisione migliore per tutti.” disse a bassa voce. L’ingiusta
umiliazione che lui, e soprattutto Hassan, avevano dovuto subire di fronte a
Baba gli bruciava ancora dentro come un acido.
La novità
inaspettata ebbe il potere di ammutolire Assef, ma solo per pochi istanti. Si
riprese immediatamente, intuendo come poteva sfruttare la nuova situazione a
proprio vantaggio.
“In effetti
quello è l’unico posto dove gli hazara meritano di stare.” replicò.
Fece una pausa
e Ali sperò con tutto il cuore che la risposta lo avesse soddisfatto e che
Assef se ne sarebbe finalmente andato. In fondo non era lui che proclamava che
l’Afghanistan doveva liberarsi dei parassiti ed appartenere solo ai pashtun? A
ben vedere, gli stavano addirittura facendo un favore.
“Riflettendoci,
però, mi sembra uno spreco di risorse. Non sto parlando di te, sei solo uno
storpio e non puoi servire più a niente. Ma Hassan è giovane e, mi dicono,
molto abile nello svolgere i suoi compiti.” Il tono era cattivo e suggeriva
molto più di quanto non potessero fare le parole.
Il ritardo
dell’autobus era preoccupante: forse aveva avuto un guasto o si era bucata una
gomma. In tal caso sarebbero dovuti rimanere lì per ore. Cosa avrebbero potuto
fare?
“A casa mia
avremmo bisogno di un servitore svelto e capace. La maggior parte dei nostri
sono ormai anziani e proprio ieri mia madre se ne lamentava. Credo che le farei
molto piacere se le portassi il piccolo Hassan.” concluse con noncuranza.
“Mio cugino ci
aspetta…” provò a dire Ali, ma sapeva che era perfettamente inutile. Se Assef
aveva deciso di portarsi a casa il ragazzo lo avrebbe fatto; in caso contrario
li avrebbe probabilmente massacrati entrambi di botte prima dell’arrivo
dell’autobus.
“Tuo cugino
sarà ben felice di ritrovarsi una bocca in meno da sfamare. E tu sei così
ansioso di portare il tuo prezioso figlioletto a marcire in Hazarajat? Non è
che un letamaio. In casa mia sarebbe un servitore, certo, ma almeno avrebbe da
mangiare e un tetto sopra la testa.” insisté il giovane in tono quasi
oltraggiato perché la sua generosa offerta non era stata accolta con
l’entusiasmo che avrebbe meritato.
La situazione
stava peggiorando di momento in momento e l’autobus non accennava ad arrivare.
Fu allora che Hassan aprì bocca per la prima volta da diverse ore.
“Se è questo
che agha sahib desidera… forse è davvero meglio così. Agha sahib è
veramente molto gentile ed io non voglio offenderlo ancora con un rifiuto.”
“Vuoi davvero
andare a lavorare per lui?” esclamò Ali, incredulo e sconvolto.
“Agha sahib mi
ha generosamente offerto un lavoro ed io non sono nelle condizioni di poterlo
rifiutare. Non abbiamo niente e non sappiamo cosa ci aspetta in Hazarajat.” In
compenso, Hassan sapeva benissimo cosa aspettarsi se fosse davvero diventato
servitore di Assef, ma era talmente terrorizzato al pensiero che il giovane
potesse arrabbiarsi e fare del male a suo padre da decidere di sacrificarsi
ancora una volta.
“La pioggia
deve avere schiarito le idee al piccolo hazara: è diventato molto più saggio
dall’ultima volta che l’ho incontrato.” ribatté soddisfatto Assef.
Evidentemente la lezione che gli aveva impartito era stata salutare. Non
avrebbe alzato più la cresta, ci avrebbe potuto scommettere.
“Bene, allora
siamo d’accordo.” concluse “Prendi le tue cose e seguimi.”
Hassan obbedì.
Il volto di Ali era una maschera di dolore e preoccupazione e il ragazzo non
ebbe cuore di guardarlo.
“Andrà tutto
bene. Stai tranquillo e abbi cura di te, io me la caverò.” gli sussurrò prima
di allontanarsi.
Ali lo fissò
mentre camminava lentamente sotto la pioggia dietro al suo nuovo padrone,
cercando di imprimersi nella mente ogni particolare della sua figura, consapevole
che non lo avrebbe rivisto mai più.
L’autobus
arrivò pochi minuti dopo, ma per Hassan era già troppo tardi.