Muriel

di KeyLimner
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Tra le ombre proiettate dalle dune di sabbia sotto la luce del sole basso sull’orizzonte, sedeva un gruppo di ragazzi dall’aria singolare.
Stavano buttati sugli asciugamani distesi alla rinfusa, e accavallati com’erano gli uni sugli altri sembravano quasi parti discordanti di uno stesso deforme organismo. Erano in sei. Quattro ragazze e due ragazzi… più un piccolo russel terrier che scorrazzava allegramente fra loro scodinzolando e lasciando pendere la molle lingua rosata.
Era una comitiva allegra e chiassosa. Il classico gruppetto di adolescenti esaltati in cerca d’emozioni, pieni di desiderio di rivalsa verso un mondo ancora da conquistare, che suscita in loro un timore inconfessato. Si difendevano dalla paura di quel mondo ostile cercando l’uno il sostegno dell’altro, facendosi stampella delle rispettive debolezze… rinchiudendosi in un mondo tutto loro nel quale potevano rifugiarsi dalle minacce dell’esterno.
Mille cose si sarebbero potute leggere sui loro volti, mille messaggi nascosti nei loro silenzi, nei loro sguardi che volevano mostrarsi sfacciati ma fuggivano verso orizzonti lontani, verso sogni inespressi… mille significati nel modo in cui scorrevano gli schermi dei cellulari fingendo di rispondere a chissà quanti e quanto importanti messaggi, mentre in realtà armeggiavano senza scopo solo per trovare una via di scampo, una scusa per restarsene in disparte. Per chi sapeva leggere tra le righe di quei discorsi sguaiati, spesso sconci - che eccitavano le occhiatacce delle vecchiette (alle quali peraltro i meno timidi erano ben felici di rispondere con sguardi impertinenti che ribadivano il loro diritto a essere, a occupare un posto nel mondo) - esisteva una differenza sottile fra le parole dette per pura forma e quelle che venivano dal cuore. Entrambe, però, svelavano, grazie al loro tono, alla particolare inflessione della voce, i sentimenti di chi le sputava o se le lasciava sfuggire. Nella rigida gerarchia del gruppo - fondamentalmente è sempre la stessa, le differenze sono puramente formali -, ogni gesto e ogni parola avevano il loro significato, la loro funzione, il loro peso. Se da una parte, dunque, le prime esprimevano il preciso intento di guadagnarsi o tenersi stretto un posto, le seconde erano perlopiù un errore, un qualcosa che sfuggiva all’attenzione e diventava subito motivo di vergogna… che poteva determinare un’inevitabile caduta, oppure al contrario rivelarsi una preziosa e inaspettata risorsa.
Questi modi costruiti e prevedibili suscitarono in Muriel - che li osservava da lontano con il solito misto di timore e ammirazione che l’assalivano al pensiero di essere al di fuori di certe dinamiche, indipendente, libera dall’esigenza di accattivarsi il giudizio altrui e lottare per conquistarsi il rispetto altrui - non uno sprezzante senso di superiorità,  ma una sorta di bonario divertimento… e anzi, un desiderio intenso di entrare a far parte di quelle dinamiche… un desiderio (come era inevitabile) che restava puramente teorico e non si sognava neanche di sfociare in un tentativo pratico.
Tra tutti, quella che spiccava maggiormente era una ragazza piuttosto in carne che svettava proprio nel mezzo della combriccola, e la cui voce sovrastava le altre con un’autorità imperiosa che non lasciava dubbi su chi fosse il capo. Era stata proprio la sua voce ad attirare l’attenzione di Muriel. Aveva un viso rotondo con lineamenti morbidi, ma atteggiati ad un contegno orgogliosamente provocatorio, e capelli neri alla radice che sfumavano in un rosso inglese verso le punte, raccolti in una serie di treccine fermate dietro il capo da un mollettone.
I suoi discorsi erano sfacciati, impudici, le parole che usava spesso irriverenti, il suo tono perlopiù arrogante. Si rivolgeva agli altri con l’aria di lanciare loro implicite sfide, tese a dimostrare la propria sicurezza (una sicurezza che si smentiva nella sua stessa ostentazione), e soprattutto a ribadire continuamente il proprio potere, troncando sul nascere ogni germe di ribellione. Ovviamente, nessuno osava ribattere a queste sfide, ed era evidente che per chi ci avesse provato - anche solo in modo velato - sarebbe stata subito guerra aperta.
Muriel la osservò con ammirazione.
Quando udì un vagito e vide per la prima volta la creatura che teneva in braccio - che fino ad allora era stata nascosta dal giovane al suo fianco - rimase di sasso. Vedere la ragazza scoprire il seno e avvicinarlo alla bocca del piccolo, il cui pianto si placò immediatamente mentre si attaccava avidamente alla mammella, fu come scoprire un’altra faccia di lei. Come se la giovane le avesse lasciato intravedere per un momento uno spiraglio, dietro il quale facevano capolino le forme di pensieri nascosti, di un travaglio, di una storia.
Forse percependo l’intensità del suo sguardo, la ragazza si voltò improvvisamente in direzione di Muriel, e anche attraverso le spesse lenti degli occhiali da sole ella seppe che stava guardando lei. In quel lungo sguardo carico di sottintesi, mille parole fluirono tra loro.
Spaventata, Muriel si voltò di scatto.




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