Sogni
in una casa buia
Durante
il periodo che trascorsi a Parigi accaddero molti avvenimenti degni
di nota. Il più incredibile ed anche il più noto
fu
certamente il caso del feroce duplice omicidio in Rue Morgue. Ma a
narrare di come l'intricato caso fu brillantemente risolto ho
già
provveduto in un famoso racconto. Qui vorrei invece parlare dell'uomo
che risolse quel caso: Auguste C. Dupin.
Mi
trovavo in una oscura e polverosa libreria in Rue Montmartre, vagando
tra gli scaffali alla ricerca di un particolare volume molto raro.
Dapprima mi persi tra i libri, assaporando l'atmosfera saggia e
polverosa, poi mi decisi a cercare con più attenzione.
Giunsi
allo scaffale dove, secondo l'ordine alfabetico in cui erano tenuti i
volumi, avrei potuto trovare ciò che cercavo. Accanto a me
notai un uomo. Aveva lineamenti delicati, quasi femminei se non fosse
stato per una certa forma affilata e decisa del volto.
Allungò
una mano bianca e sottile per afferrare un libro accanto a quello che
avevo appena preso io. Tornai a posare lo sguardo sul volume che
tenevo in mano, accorgendomi con gran disappunto che non era
ciò
che volevo. Non avrei dovuto meravigliarmi data la rarità
dell'oggetto delle mie ricerche. Nel rimetterlo sullo scaffale
sfiorai la mano dell'uomo accanto a me: anche lui stava riponendo il
libro che aveva preso. Alzando gli occhi per scusarmi notai sul suo
volto la stessa delusione che provavo io, così mi arrischiai
a
chiedere -Neppure voi avete trovato ciò che cercate?-
-Già,
e questo mi accade assai raramente, ma non per questo è meno
seccante. Voi cosa cercavate?- gli risposi e scoprimmo che volevamo
lo stesso libro. Iniziammo a conversare ed egli da subito mi
colpì
per la sua raffinata intelligenza e la vastità delle sue
letture. Fu solo quando eravamo già usciti dalla libreria ed
avevamo percorso un lungo tratto di strada che mi resi conto di non
conoscere neppure il suo nome. Ci presentammo, poi continuammo la
nostra passeggiata, lasciandoci con la promessa di rivederci presto.
Ci incontrammo spesso, e Dupin mi aiutò nelle mie ricerche
di
libri e oggetti antichi. Mi raccontò che la sua era una
famiglia molto antica e rispettata, ma per una serie di avvenimenti
che non mi dilungo a riportare, la sua situazione economica non era
affatto buona. Ciò ci portò ad un'idea sulla cui
paternità mi interrogo ancor oggi, ma che non ho mai smesso
di
benedire: affittare una casa insieme. Così io non avrei
dovuto
alloggiare in una pensione e Dupin avrebbe goduto di un alloggio
migliore del suo. Con un certo sforzo trovammo una villetta fuori dal
centro. Non era certo di lusso, ma era confortevole e spaziosa.
Scoprimmo di avere il medesimo gusto, discutibile e fantastico,
nell'arredamento, così ci deliziammo nello scegliere una
mobilia tra il gotico e l'esotico che ci soddisfaceva pienamente
entrambi. Iniziammo a vivere di notte come vampiri. Disdegnavamo la
luce e, se ci capitava di essere svegli durante il giorno, la
escludevamo dalla nostra abitazione con pesanti tende di velluto.
Spesso uscivamo a passeggiare al calare della sera o addirittura a
tarda notte. Trascorrevamo insieme quasi tutto il nostro tempo
poiché
nessuno di noi due aveva altre amicizie. Durante le nostre
interminabili discussioni Dupin confermò la prima
impressione
che avevo avuto di lui, ed anzi se possibile la migliorò.
Era
mezzo matematico e mezzo poeta; per quanto la definizione possa
apparire quantomeno strana. Aveva una certa vena creativa, ma non era
affatto un uomo con la testa tra le nuvole: anzi prestava attenzione
ad ogni avvenimento della vita ed era capace di ragionamenti degni
della più brillante mente matematica a partire dai
presupposti
più svariati. Io lo seguivo nelle sue elucubrazioni, ma di
certo non ero in grado di tener testa alla sua fine logica.
Cionondimeno egli pareva apprezzare la mia compagnia. Sebbene avessi
sempre amato le ore notturne ed i cieli stellati, fino a quel momento
avevo condotto una vita piuttosto regolare, quindi il mio aspetto non
rivelava lo spettrale pallore che invece distingueva Dupin. Eppure
egli non aveva un'aria malsana: tutt'altro.
Una
notte ci fermammo a parlare così a lungo che quando
spuntò
l'alba eravamo ancora seduti sulle nostre poltrone accanto al
caminetto. Ci alzammo per chiudere le tende e poi tornammo ai nostri
posti. Fui grato del fatto che non avesse deciso di andare a dormire,
poiché avevamo iniziato, incredibilmente, una normalissima
conversazioni tra amici. Gli avevo raccontato alcuni episodi di poco
conto della mia vita, ed egli aveva fatto lo stesso -Non avete mai
pensato a sposarvi?- gli chiesi ad un certo punto.
Auguste
emise una sincera risata con la sua bella voce tenorile -No, affatto.
Per svariati motivi. Uno, amico mio, è il vile denaro. Che
futuro potrei offrire ad una donna? Di certo potrei lavorare
duramente per arricchirmi, ma qui arriviamo al secondo punto:
perché?-
-Per
amore- suggerii -Ma ovviamente,- conclusi -se quello manca non vale
la pena-
-Esatto.
Nessuno mi costringe a sposarmi, ed io non ne sento la mancanza. E
voi? Ci avete mai pensato?-
Riflettei
un attimo prima di rispondere: -Sì, ci avevo pensato.
Sebbene
io sia giovane c'è stato un tempo in cui ero ancora
più
giovane e folle ed ho accarezzato l'idea del matrimonio. Ma poi mi
sono reso conto che vi sono molte alternative-
-Assolutamente.
E molto spesso sono le donne stesse a desiderare solo di vedervi ai
loro piedi per poi lasciar perdere. Io ho dovuto sbatterci la testa
un po' prima di capirlo, ma ora sono il più felice scapolo
di
Parigi- ridemmo insieme, pensando ai poveri mariti intrappolati
-Propongo un brindisi- fece lui, alzandosi per andare a prendere due
bicchieri e del cognac
-A
cosa?-
-All'amicizia,
che è di certo un miglio rifugio per l'uomo che l'amore-
-All'amicizia,
dunque- bevemmo in silenzio, poi ci dirigemmo verso le nostre stanze
dopo esserci augurati la buonanotte. Sul momento non riflettei
affatto sul tono col quale il mio amico aveva pronunciato il
brindisi, e la mattina dopo già l'avevo dimenticato. Quel
tono
di nascosta amarezza però mi sarebbe tornato in mente in
seguito.
Auguste
mi aveva affascinato da subito, ma vivere a stretto contatto con lui
me l'aveva reso ancora più caro. Era quasi il migliore amico
che potessi desiderare. Quasi, poiché i suo modo di fare, la
sua bellezza e la sua intelligenza potevano suscitare solamente due
reazioni: feroce invidia o desiderio e amore. E non essendo io una
persona invidiosa finii mio malgrado con l'innamorarmi perdutamente
di lui. Ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo il suo volto.
Auguste infestava i miei sogni come uno spettro. Un bellissimo e
dolce spettro. L'incubo peggiore però era che a svegliarmi
da
quei sogni era quasi sempre Auguste in carne ed ossa, il quale
giungeva nella mia camera al tramonto per chiamarmi se non ero ancora
in piedi. Durante il tempo che normalmente trascorrevamo insieme ero
tranquillo e rilassato ed agivo con naturalezza, ma appena uscito
dalle nebbie del sonno mi sentivo indifeso. Dovevo compiere uno
sforzo sovrumano per trattenermi dall'abbracciarlo e tirarmelo
addosso per poi tenerlo su quel letto prigioniero dei miei baci e
delle mie carezze. Fortunatamente ero abbastanza certo di non parlare
nel sonno. Ma Auguste aveva un intuito dalla precisione raggelante e
di tanto in tanto si divertiva a farmi sobbalzare rispondendo ad alta
voce ai miei pensieri. Non era magia, mi spiegava, ma semplice
attenta osservazione: dell'ultimo argomento nominato, delle mie
espressioni del volto, di ciò che intorno a noi attirava la
mia attenzione... Ciononostante io rabbrividivo. Sicuramente prima o
poi gli avrei confessato i miei sentimenti, ma sarebbe stato alquanto
seccante, per usare un eufemismo, se un bel giorno egli mi avesse
detto qualcosa come -So che mi amate, perché non me lo
volete
dire?- al solo pensiero mi sembrava di impazzire. A volte, quando
eravamo molto vicini, e ciò grazie al cielo capitava di
rado,
il suo profumo mi intossicava a tal punto che mi trovavo sul punto di
allungare una mano verso il suo collo sottile ed accarezzarlo. Invece
restavo fermo.
Un
giorno, una delle rare volte che Auguste era uscito da solo,
tornò
con un sorriso piuttosto sinistro ed un pacchetto altrettanto poco
rassicurante sottobraccio -Oppio, mio caro amico, oppio!- rispose al
mio sguardo perplesso -Voi siete troppo un bravo ragazzo e a quanto
ho capito non avete mai provato queste meravigliose pipe-
dichiarò
allegramente mentre disfaceva il pacchetto e posava sul tavolino del
salotto due pipe ed un altro pacchetto più piccolo
-No,
infatti. Non ne ho avuto occasione. Me proverò volentieri-
-Molto
bene, questo è lo spirito giusto. La curiosità...
la
curiosità è fondamentale- si tolse il cappotto,
poi si
accomodò in una poltrona vicina al tavolino e mi fece cenno
di
fare lo stesso. Ero un po' eccitato e un po' nervoso, ma non tanto
per l'oppio in sé. In fondo non ero poi un così
bravo
ragazzo. Ma temevo di potermi lasciar sfuggire qualcosa su quello che
provavo. Però mi tranquillizzai pensando che se io avessi
perso il controllo Auguste non sarebbe stato da meno.
Parlammo,
scherzammo; all'inizio ridemmo molto, poi venne il momento dei
racconti -C'era una persona, una volta, con la quale condividevo una
grande amicizia. Io ero convinto di poter contare sulla nostra
amicizia in ogni caso... ma poi troppo tardi capii di essermi
innamorato. La mia confessione però ebbe come risposta solo
sdegno. Mi voltò le spalle. Per questo credo che l'amore
faccia danni e che si debba puntare all'amicizia-
-Questa
persona... era un lui o una lei?- chiesi con leggero rossore.
Auguste
rise amaramente -Credevo che l'oppio stordisse le capacità
di
osservazione, non che le acuisse- evitò la mia domanda, ed
io
non insistetti. Il suo silenzio mi pareva una risposta sufficiente
-Quindi credi- avendo la testa leggera avevamo cominciato a darci del
tu -che bisogna restare amici anche se in realtà il cuore
spingerebbe in tutt'altra direzione?-
-Senza
alcun dubbio. O, se è troppo penoso, abbandonare del tutto
la
persona amata. Ma io ritengo che godere della compagnia di chi amiamo
sia la tortura più dolce del mondo e non vi rinuncerei per
nulla al mondo- sbatté le palpebre -se me ne capitasse
l'occasione-
-Io
invece dico che si dovrebbe rischiare- dicevo così, quando
invece io stesso non avevo avuto coraggio sufficiente. Eppure mi
sentivo rincuorato da quella conversazione. C'era qualcosa in
Auguste, quella sera, di amichevole, di tranquillizzante e qualcosa
che ancora mi sfuggiva. Decisi di dirgli tutto, ma quando fossimo
stati entrambi più lucidi. Non volevo perdere il controllo,
volevo assolutamente riuscire ad aspettare. Mi ero già
spinto
in domande che altrimenti non avrei posto. Auguste però si
alzò e ci versò da bere: non potei rifiutare.
Parlammo
ancora, ma per poco: crollammo addormentati sulle poltrone.
Stranamente,
mi svegliai per primo. Mi sentivo bene, tranne per un leggero mal di
testa. Mi resi conto di aver dormito con la mano poggiata sul braccio
di Auguste, e la spostai con rammarico. Mentre mi chiedevo se fosse
stato il caso di svegliarlo mi alzai per dirigermi verso la cucina.
Come sempre per colazione, preparai due tazze di tè. Quando
le
portai in soggiorno il mio amico si stava svegliando -Buongiorno-
Egli
sbadigliò e poi rispose biascicando. Mise gli occhi sul
tè
e i biscotti -Ho una fame incredibile, e tu?- si fermò un
momento come se nelle sue parole ci fosse stato qualcosa di sbagliato
-Va bene se continuiamo a darci del tu, vero?-
Chissà
perché, quella richiesta mi provocò un sorriso
interiore -Certamente- facemmo colazione in silenzio, e nonostante la
sera precedente la mia decisione vacillò. Come, con quali
parole si confessano certi sentimenti? E come l'avrebbe presa
Auguste? Mi avrebbe respinto per vendicarsi di ciò che gli
era
successo? Nell'istante in cui lo formulai mi resi conto che era un
pensiero indegno del mio amico e mi vergognai di averlo concepito.
Quest'ultimo si alzò e si diresse verso la sua stanza per
rassettarsi e sciacquarsi il viso, mentre io rimasi in salotto fino a
quando tornò -Ti vedo assente. Cosa succede? Stavolta temo
di
non poter indovinare i tuoi pensieri. Troppi pochi indizi- si
giustificò, fissandomi coi suoi occhi color nocciola, capaci
di perforarmi l'anima senza rendersene conto
-Dovrei
parlarti. Io... la storia che hai raccontato ieri sera, e quelle cose
sull'amicizia: io ci ho pensato-
-E...?-
chiese, trattenendo il respiro. La sua reazione impaziente mi
scaldò
il cuore
-E
credo davvero che si debba rischiare. Per esempio, io rischierei con
te. Perché mi sono innamorato di te, Auguste- egli sorrise.
Di
tutte le reazione quella era la più inattesa. Sorrise senza
dire niente, felice come un bambino, in un modo in cui non l'avevo
mai visto sorridere -Sono stato un codardo- mormorò infine,
senza che la sua espressione si incrinasse. Titubante, mi prese una
mano ed io avvertii una scossa elettrica giungere fino ai recessi
più
nascosti del mio essere -Grazie- mi disse, avvicinando il suo volto
al mio. Oh, i miei sogni diventavano realtà! Quello spettro
meraviglioso si accostava a me di sua spontanea volontà!
Dapprima furono solo le labbra a sfiorarsi leggere, a cercarsi. Poi
le lingue, come in un gioco, e il sapore dolce della sua bocca. Con
una mano gli accarezzai il volto, e con l'altra lo presi per i
capelli, spingendolo più vicino a me. Ma c'erano tra noi i
braccioli delle poltrone, allora Auguste si alzò e mi si
sedette in grembo, provocando un'onda che attraversò il mio
corpo. Emisi un sospiro strozzato di desiderio che fece lo sorridere
e avvicinai ancora le mie labbra alle sue, respirai l'aria dei suo
polmoni ed egli la mia. Mi teneva abbracciato ed io sarei rimasto per
sempre, felicemente, intrappolato in quell'abbraccio. Gli posai le
mani sui fianchi e posai sul suo collo un bacio respirandone
finalmente il profumo senza timore -Mi fai impazzire- sussurrai.
Auguste non rispose ma mi accarezzò una guancia, poi mi
baciò
sulla fronte, sugli occhi, sulle labbra. E ancora mi persi nei suoi
baci, carezzandogli la schiena con una mano, l'altra intrecciata alla
sua -Anch'io mi sono innamorato di te. Da subito- lo disse come se
fosse ovvio che qualcuno che si incontra per caso alla ricerca di un
libro fosse degno d'amore.
Nota:
Mi
sono fatta un po' di problemi ad iniziare questa storia... insomma
Poe è un classico... lo slasho o non lo slasho, questo
è
il dilemma! Però ditemi voi: due si incontrano per caso in
una
libreria e poco dopo vanno a vivere insieme. Così. E poi
iniziano pure a vivere solo di notte, al buio. Mi sono detta che qui
ci voleva proprio. Sì lo so che io vedo pairings strani
ovunque, ma non posso farci nulla.
Spero
che vi siate divertiti a leggere quanto io a scrivere. E spero che
commentiate numerosi!
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