Note
One-shot senza pretese, scritta in un momento di “quiete serale”, come
sempre in questi ultimi mesi. Kisshu e Ichigo vi potranno sembrare molto diversi dal solito,
probabilmente, ma tutto perché forse questa è una situazione completamente
diversa dalle solite, per loro. Credo… Ho un po’ penato per trovare il titolo.
Forse è addirittura banale, ma per una volta ho trovato
che un titolo lungo ci poteva stare…
Frozen_Whitefox
Quando la battaglia non infuria ed il cuore comanda
# Dialogo al chiaro di luna #
Tokyo, ore 03.00
Le vie della città brulicavano di gente anche a quell’ora
tarda. Il vociferare era alto nonostante tutto e le auto circolavano come se
fosse pieno giorno. Da qualche parte si potevano addirittura vedere formarsi
degli ingorghi, ma ciò avveniva soprattutto nei quartieri a luci rosse della
città. Tokyo era una città stupenda. Ma stupida. Stupenda per tutte quelle luci colorate
che sembravano voler ravvivare quell’ambiente grigio e perennemente sporco – e
qui non si parlava solamente di fumi e gas prodotti dalle auto. Si parlava di
uno sporco che aveva ben poco a che fare con tutto questo! Stupida perché tutta quella fatica era sprecata. Tokyo non sarebbe
mai apparsa ai suoi occhi meravigliosa.
Certo, ciò avveniva solo se pensava ad un solo
particolare.
Si librò in aria senza sforzi, stringendo i pugni.
Il piccolo particolare
abitava in una delle tante villette a schiera fuori dal centro, separata da
tutto quello sporco da un bellissimo parco, i cui alberi erano finalmente in
fiore. Il panorama che si godeva sorvolando un tale magico paesaggio era
magnifico, provocava una sensazione di pace vedere tutti quei colori così
differenti eppure così simili mescolarsi fra loro. Come tanti popoli amici.
“Che ironia della sorte pensare a una cosa del genere” si
disse con un’espressione amara, “Proprio io che non posso fare amicizia con
questo popolo mi sono andato ad innamorare di una di
loro” aggiunse mentalmente.
Non si rese conto di essere arrivato a destinazione se non
quando riaprì gli occhi. Inconsciamente si era fermato proprio sopra il tetto
di quella casa, così simile alle altre ma altrettanto diversa: per il solo
fatto che vi abitasse una persona per lui speciale sembrava splendere di luce
propria. Il suo inconscio doveva averla riconosciuta per questo. Strinse i
pugni, pensando a cosa fare ora che era lì: solitamente si limitava a guardarla
da fuori la finestra, attraverso quel vetro opaco che era la sua porta sul
balcone. Gli bastava guardarla e riempirsi gli occhi delle sue forme e dei suoi
colori per stare meglio. Quella sera però il senso che avvertiva ogni volta era
più forte, non era sicuro di riuscire a rimanere fermo davanti ad una sua possibile visione.
Strinse in modo convulso le mani fra loro mentre il suo viso
ricalcava esattamente le sue emozioni: ansia, apprensione, indecisione. Cosa fare? Cosa non fare? Poteva resistere o sarebbe
entrato?
Si mandò al Diavolo e prese a discendere verso il balcone in
muratura candida, stando attento a non farsi sentire. La luce della stanza era
spenta, segno che probabilmente la ragazza era ormai a letto, probabilmente
anche da un pezzo; aveva imparato a memoria gli orari in cui lei tornava a casa
e persino l’ora in cui, puntualmente, si addormentava. Giusto per essere sicuro
che lei non lo avrebbe visto. Ultimamente inoltre il robottino batuffoloso che si
portava sempre dietro, quello che la avvertiva della presenza degli alieni e
dei chimeri, era fuori uso. Era stato lasciato a
quello strano Caffè dalle mura rosa confetto e shocking – colori che sembravano volerlo accecare da quanto fossero forti,
probabilmente i due umani avevano scelto quelli apposta!
La fortuna sembrava dalla sua parte in quei giorni, ecco
perché aveva raddoppiato il numero di visite che si impegnava
a farle. Andava lì con regolarità, con meticolosa attenzione a non farsi vedere
da lei: la spiava nei momenti forse meno opportuni, addirittura appena uscita
dalla doccia – non se ne vergognava a
pensarlo o a dirlo, ammise a sé stesso. Momenti
che lui si godeva appieno, cercando di calmare i battiti del suo cuore
impazzito che sembrava volerlo far scoprire.
Si azzardò a poggiare un piede sulla ringhiera in muratura
per poi saltare silenziosamente sulla superficie del balcone. Osservò
l’oscurità all’intero della stanza, curandosi di non farsi vedere nel caso lei
fosse in realtà sveglia. Quando fu sicuro che niente all’interno della stanza
si stesse muovendo, si azzardò ad appoggiare una mano sul vetro, facendolo
scorrere silenziosamente. L’aria calda dell’interno fece a pugni con quella
gelata che proveniva dall’esterno; diversi odori diversi
colpirono l’olfatto del ragazzo, che per un attimo temette di doversi portare
due dita al naso per tapparlo. Fortunatamente fu solo momentaneo, e pochi
secondi dopo era dentro la stanza buia con la porta di vetro chiusa alle
spalle.
“Che silenzio” pensò, “Qui dentro si sente solo il suo lieve
respiro...”
Aveva imparato che la sua micetta non russava affatto come pensava facessero tutti gli umani.
Aveva un respiro regolare, lieve. Sembrava quasi quello di un gatto che
sonnecchiava placido all’ombra di un albero, in attesa che la calura
diminuisse. Ed in effetti trovava che il paragone
fosse anche piuttosto azzeccato per lei: in fondo la si poteva definire una
ragazza per metà gatto e per metà donna.
Improvvisamente si rese conto che il
respiro della ragazza si era troncato improvvisamente. Talmente era
concentrato sui suoi pensieri che non sentì nemmeno il cigolio delle molle del
letto; non sentì nemmeno i passi lievi ma affrettati che calpestavano la moquette
morbida della stanza; e nemmeno il momento in cui lei gli era
arrivata alle spalle bloccandolo per i polsi delle mani. Fu talmente sconvolto
da tanta irruenza da parte di lei e sconsideratezza da parte
sua, che non riuscì nemmeno a parlare per i primi minuti. Fortunatamente ci
pensò lei a toglierlo dall’impaccio.
- Ti sei divertito fin ora, vero Kisshu? – gli domandò.
Inizialmente l’alieno dagli occhi dorati non sembrò capire
l’antifona. Poi capì che evidentemente lei sapeva tutto già da un pezzo: del
suo spiarla, del fatto che regolarmente ogni notte andava a vegliare sul suo
sonno…
- Sì, abbastanza – trovò il coraggio di replicare.
Con una stretta più forte sui polsi Mew
Ichigo gli intimò il silenzio. Poté però sentire che
la stretta era tremante, piuttosto debole nonostante tutta la forza che la
Mew Mew
ci stava mettendo.
- Cos’hai, koneko
cara? – le chiese soavemente.
- Stai zitto, taci maledetto…! –
La ragazza non completò la frase, ma
Kisshu sentì la stretta farsi improvvisamente più
salda. Tutti quegli scatti improvvisi potevano essere segno solo di ansia,
paura o rabbia. Li conosceva troppo bene per non distinguerli dai normali
movimenti di una persona. Inoltre la sua adorata koneko
non era tipo da fare cose del genere, non lo aveva mai attaccato alle spalle: forse
aveva le lacrime agli occhi e per non farsi vedere gli si era piantata alle
spalle, si disse. Questo spiegava anche gli scatti improvvisi che sentiva
provenire da dietro di lui.
- Non ti fa bene reprimere le emozioni, koneko!
– la sobillò.
Lei non rispose, da parte sua solo
silenzio.
- Che hai, Ichigo?
– le chiese seriamente.
Il tono che aveva sempre usato con lei era scherzoso, quello
di qualcuno che vuole provocare per divertirsi un po’ e per vedere le reazioni
dell’altro. Questo invece era completamente diverso, inoltre Kisshu si arrischiava poche volte a pronunciare il nome di Ichigo. Ma ora si stava seriamente
preoccupando.
- Cos’ho? Mi chiedi cos’ho? –
scattò lei.
- Sì. Te lo chiedo perché sono preoccupato… - fu la risposta
di Kisshu, immobile.
- Preoccupato? Non farmi ridere – sibilò lei, - Tu non puoi
essere preoccupato per me… -
- Invece sì! Cos’hai Ichigo, cos’è successo?! – la interruppe Kisshu.
- Fermo! – lo rimbeccò lei, stringendo la presa attorno ai
polsi del giovane. Un lamento fu il segno che gli aveva davvero fatto male
questa volta, probabilmente sarebbe rimasto il livido.
Dopo parecchi secondi di silenzio, pesanti quanto macigni sullo stomaco di Kisshu,
la Mew
Rosa riprese a parlare, più pacata ma notevolmente più fredda.
- Ci avete attaccato, oggi –
Non era una novità. Lui e i suoi due fratelli avevano
pensato di intensificare gli attacchi sulla città di Tokyo per riuscire ad
avere più acqua cristallo. Ma fu il tono ostico in cui
lei lo disse che preoccupò maggiormente l’alieno.
- E allora? Lo facciamo sempre, non mi sembra una novità… -
La sua risposta venne troncata a
metà da quella di Ichigo.
- Non credevo sareste arrivati a tanto, Kisshu.
O almeno non tu… Pensavo di conoscerti abbastanza… -
- Ichigo, dannazione! Vuoi dirmi
cosa ti rende tanto rabbiosa sta sera? – esplose Kisshu.
- Avete ucciso una bambina… - fu il sibilo di Ichigo.
- Una…? -, Kisshu non riuscì a
pronunciare quel nome.
- Sì, una bambina. Una bimba piccola ed
innocente, il futuro di una famiglia intera! – mormorò rabbiosa la rossa
stringendo la presa sui polsi di lui.
Probabilmente gli stava facendo male, era questo che forse
stava pensando secondo Kisshu, ma in quel momento non
doveva importarle. Aver visto la morte di una bimba innocente doveva averle
fatto capire che la guerra era un orrore da evitare; l’aveva capito troppo
tardi però, quando probabilmente il sangue della bimba usciva a fiotti dalle
ferite. Per un attimo nella mente di Kisshu passarono
una serie di immagini, fra cui quella di una bimba
schiacciata sotto a delle macerie. Il sangue era stato molto quel giorno, le
vittime erano state oltre cinquanta ed i morti circa
una ventina.
- Oggi avete fatto male a troppa gente, Kisshu…
- mormorò con i singhiozzi bloccati in gola, lei.
- E’ quello che facciamo ogni giorno… -
- No! – lo fermò lei, - Non è quello che fate ogni giorno!
Quello che fate ad ogni attacco è provocarci, cercare
un modo per farci uscire allo scoperto ed ucciderci! Voi non avete mai tentato
di ammazzare qualcuno che non fosse noi probabilmente, né ne avete mai avuto l’intenzione, ammettilo! – sbottò la rossa, ormai in
lacrime.
La presa di Ichigo si allentò e la
trasformazione, in un lieve bagliore rosato, si annullò. Kisshu
si trovò ad osservare con la coda dell’occhio e l’espressione
piena di amarezza e consapevolezza una ragazza in lacrime per la morte di tanta
gente.
- E’ questa la guerra, Ichigo - si
trovò a mormorarle, - E’ morte. E’ distruzione. La fine di tutto ciò che ami e
che sei sempre stato abituato a vedere sotto agli occhi
– le spiegò freddamente l’alieno.
- Perché…? – singhiozzò però la rossa.
Ichigo si aggrappò con tutte le
sue forze alla maglia dell’alieno, attirandolo verso di sé. Kisshu,
precedentemente abbassatosi sulle ginocchia, si lasciò
portare più vicino sino a che non se la trovò piangente e singhiozzante fra le
braccia. Le passò le mani sulla schiena senza dire nulla ed
appoggiò il mento nell’incavo del suo collo, aspirando il suo profumo.
La sua Ichigo non aveva un profumo
particolare o troppo forte. Era fruttato, di questo ne
era certo, ed era altrettanto dolce. Forse era una sua sensazione ma l’odore
sembrava quello delle fragole selvatiche che si trovavano nei boschi.
- Mi dispiace per quella bimba – le sussurrò all’orecchio, -
Era innocente, lo so. Forse ho anche intravisto il suo corpo mentre abbandonavo
il campo volando verso il passaggio dimensionale… Anzi, sono sicuro di averlo
visto. Mi dispiace, davvero… Ma le vittime della guerra potrebbero essere molte
di più se ci ostiniamo a combattere… - le sussurrò, attorcigliando su un dito
diafano i corti capelli rossi di lei. Lo affascinava vedere quanto il colore
solitamente vivo ed acceso dei suoi capelli si
affievolisse alla luce lunare.
- Non capisco, Kisshu.
Non capisco! Perché combattiamo? A volte mi dico che è veramente per difendere
il nostro pianeta, ma altre volte… quando sono sconvolta ed ho un’opprimente e
brutta sensazione che mi pesa sul cuore… bé, quelle
volte do ragione a Retasu: perché combattiamo? Perché
non cerchiamo un modo per convivere pacificamente, senza lotte e sangue? –
- Perché noi non possiamo. Deep Blue vuole tutto questo. Lui è il capo, lui comanda, lui è
il salvatore della nostra gente. E la nostra gente reclama il diritto di essere
la sola a vivere sulla Terra, perché questo era il nostro pianeta prima ancora
che diventasse vostro… La guerra non può essere evitata in questo caso – fu la
spiegazione più semplice che Kisshu riuscì a dare.
I singhiozzi si erano andati placando durante quel breve ma
intenso botta e risposta. Ichigo però non sentiva di
volersi staccare, nemmeno quando pensava a Masaya e a
cosa avrebbe pensato vedendola fra le braccia del nemico. Traditrice…
- Come hai fatto a sapere che ero io e non un comune ladro?
– le domandò improvvisamente Kisshu.
- Masha mi ha avvisata…
Ryou e Keiichiro hanno
finito di aggiustarlo oggi. Mi ha avvertita ed io sono
rimasta immobile… La tua figura si poteva vedere stagliarsi contro la luce
della luna… Vedevo la tua sagoma proiettata sulla moquette… - spiegò
imbarazzata.
- Ah, capisco… - fu la semplice risposta di lui.
Quel momento sembrava voler durare per l’eternità. Kisshu ne sarebbe stato oltremodo felice, certo, ma
semplicemente tutto era destinato a finire. Si separò a malincuore da lei,
inspirando ancora un po’ di quel suo profumo dolciastro e che gli riportava
alla mente i boschi terrestri che soleva visitare di
tanto in tanto, per curiosità.
- Posso tornare, koneko? – le chiese sussurrando.
Il mento di lei fra le dita di lui.
I loro visi erano vicinissimi, mancava pochissimo per colmare quella distanza.
Eppure nessuno dei due si mosse in avanti, rimasero semplicemente a bearsi
della sensazione che gli provocava sentire l’altro così vicino. Con un cenno
sicuro del capo Ichigo assentì.
- Svegliami però… Intendo la notte. Parlare con te mi ha illuminata… - mormorò ironica Ichigo.
- Contaci, micetta.
Lo farò se vuoi… Ora però devo andare… - momorò
l’alieno, indeciso se fissare le labbra di lei o i
suoi caldi occhi castani. Optò per alzarsi ed
avvicinarsi con mezzo passo alla finestra di vetro.
- Allora ci vediamo domani, koneko. Dormi… e buonanotte – le disse con un piccolo e
dolce sorriso.
- Buona notte anche a te… Kisshu –
mormorò lei in risposta, rimanendo seduta sul
pavimento.
Con un piccolo salto l’alieno fu sul balcone
di lei ed infine si librò in volo, sparendo dopo pochi secondi alla vista
di Ichigo.
Quella notte sarebbe rimasta nei loro cuori per sempre, ne
erano sicuri.