“Allora…questo va
qui…quest’altro va nella mensola
sopra…e questo…”.
Giornata tranquilla di ferie estive. Giornata di pace in solitudine.
Giornata noiosa. E cosa c’è di meglio da fare in
una giornata noiosa se non spolverare?
Aveva organizzato tutto con precisione di chirurgo. Non doveva fare
nient’altro che avvicinarsi allo scaffale colmo di manga,
riviste e libri. Doveva solo toccarli, prenderli in mano uno alla
volta, posarli a terra in ordine, e rimetterli a posto esattamente
com’erano. Nulla di più facile.
“…questo…questo…questo…”.
Misaki guardò la copertina del volumetto che aveva in mano e
rabbrividì. Era l’ultima opera di Akikawa Yayoi.
Aveva preso posto sullo scaffale meno di una settimana prima, ma era la
prima volta che lui aveva avuto il coraggio di prenderla in mano.
Tremante, l’indice sfiorò la carta della copertina
per poi scendere a far frusciare i fogli candidi sul lato del libro.
Era solo un libro, non doveva aver paura di una cosa così
semplice. Eppure gli bastava leggere lo pseudonimo
dell’autore per provare un sacro terrore che gli faceva
battere i denti. Coraggio!
L’indice sempre più incerto giocherellò
per qualche secondo con la copertina più spessa
finché non si decise ad aprire a caso una delle prime
pagine. I caratteri gli parvero bruciare gli occhi. Non avrebbe dovuto
farlo.
Akihiko
scostò con dolcezza una ciocca di capelli bagnata di
sudore dagli occhi del suo amante che lo ringraziò con un
sorriso stentato mentre cercava di contenere le emozioni nel suo corpo
risvegliato, ora in trepidante attesa. Le mani si strinsero alla
ricerca di conforto, di ulteriore contatto, e mentre Akihiko si
lasciava andare dentro di lui, il sorriso di Misaki si
allargò fino a scomparire, nascosto dalla spalla tremante
del compagno.
“Misaki…non
devi nasconderti mai
più…penserò io a
te…”.
Il grido di piacere
salì spontaneo alle labbra di Misaki,
troppo a lungo trattenuto.
“Ti
amo…” sussurrò alla
spalla ora più salda del compagno mentre vi premeva un bacio
carico di desiderio, di fiducia.
Le mani di Akihiko gli
carezzarono il volto segnato da dolci lacrime e
le loro labbra si incontrarono nuovamente, una necessità che
il ragazzo sentiva di non poter più celare,
un’urgenza di essere amato che lo spaventava, una voglia
che…
Le ginocchia di Misaki toccarono il pavimento pulito con un tonfo
incredulo. Ce l’aveva fatta, aveva letto un intero brano. Ma
gli era costata cara.
“Quel pervertito di Usagi, me la pagherà
cara!!” l’urlo risuonò per tutta la casa
deserta, senza risposta, e per un istante si sentì
soddisfatto di non avere addosso lo sguardo oltre che le mani del
padrone del lussuoso appartamento, con quel suo modo di fare che lo
irritava tanto.
Il ragazzo richiuse il libro di scatto, non poteva lasciargli capire
che lo aveva letto, non doveva permettere che si preparasse alla
vendetta terribile che gli sarebbe piovuta addosso dal cielo, la
punizione divina che finalmente avrebbe colto quell’idiota di
Usagi. Furibondo, macchinando la sua atroce vendetta ai danni
dell’autore, sbatté il volume in cima a tutti gli
altri sul pavimento prima di riprendere il delicato lavoro di pulizia.
“Vedrai baka-Usagi, non avrai scampo!”.
Mentre la risata maligna riempiva la stanza, Misaki urtò la
pila di libri porno in precario equilibrio facendola rovinare a terra.
Nel disperato tentativo di non scivolare e cadere lui stesso, la sua
mano si artigliò alla mensola dando un violento scossone
alla libreria, facendo cadere alcuni libri a caso che sbatterono di
malagrazia a terra mentre lui impacciato li guardava cadere con
espressione costernata. La preparazione della vendetta
avrebbe dovuto attendere ancora qualche tempo.
“Allora…questo andava…”.
“…sono a casa...” mormorò per
la seconda volta. Nessuna risposta.
Usami Akihiko si lasciò andare sul suo divano accanto a
Suzuki-san mentre con una mano si allentava la cravatta.
Dov’era Misaki? Si guardò attorno ma non vide
nulla che potesse fargli intuire la presenza del ragazzo con il quale
divideva l’immenso attico lussuoso.
“Misaki!” chiamò, la voce roca per le
sigarette o per l’astinenza da esse durante quel noioso
colloquio alla casa editrice. Nessuna risposta.
Si alzò, pensieroso, per andare a controllare di persona,
quando ecco che finalmente Misaki comparve in cima alle scale, un
coltello affilato in mano. Aveva l’aria minacciosa con quello
strumento di morte tra le dita serrate in una morsa
d’acciaio, ma lui come al solito si barricò dietro
la sua facciata da adulto attendendo, tranquillo, lasciandosi di nuovo
cadere sul divano.
“Sono a casa!” esclamò togliendosi la
giacca con un gesto deliberato, senza guardare il giovane che scendeva
le scale.
“Bentornato!” rispose Misaki, un sorriso sulle
labbra rosee, gli occhi che brillavano
“Com’è andata la riunione? Preferisci
lavarti? O vuoi prima mangiare?”.
Usami guardò il suo giovane coinquilino e scartò
per una volta l’idea di stuzzicarlo con qualche frase buttata
apparentemente a caso. Meglio non dire nulla sulla macchia di sugo che
aveva sul grembiule in corrispondenza di una certa parte anatomica,
meglio non sottolineare che aveva le labbra più colorate del
solito, probabilmente perché se l’era scottate,
meglio non abbracciarlo e lasciar vagare le mani sul suo
corpo…anche perché aveva un coltello da macellaio
in mano. Non dubitava affatto della sua capacità di
sfilarglielo prima che potesse produrre danni seri, così
come non credeva che Misaki sarebbe stato in grado di rivoltarglielo
contro…non senza provocazione notevole.
“È già tardi, mangiamo…al
bagno ci pensiamo dopo…” si limitò a
dire con quella sua voce quasi sospirata che fece correre un brivido
freddo lungo la schiena del cuoco, al quale non era sfuggito quel
plurale.
Misaki si accostò al piano cucina ove posò con
noncuranza il coltello affilato. Il suo piano stava funzionando, Usagi
non sospettava nulla. Con un sorriso maligno diede un’ultima
mescolata alla zuppa ristretta che aveva preparato per cena, poi con
l’ausilio di un mestolo apposito la versò nei
piatti, in parti uguali. Sarebbe stata dura, ma avrebbe vinto quella
sfida. Il riso nelle ciotole era già disposto,
così anche la verdura. Perfetto.
Portò il tutto in tavola, si sedette e giunse le mani nella
solita formula di ringraziamento, come fece immediatamente anche il
padrone di casa.
“Itadakimasu!”. [n.a. formula giapponese che
precede i pasti, non sapendo come tradurla correttamente in italiano,
preferisco lasciarla “originale”]
“Itadakimasu…!” rispose Misaki, e le sue
dita strinsero con più forza le bacchette di legno mentre
aspettava spiando da sotto le ciglia i movimenti dell’uomo
che gli sedeva di fronte.
Le bacchette di Usami si abbassarono, raccolsero del riso, e lo
portarono alle labbra. Poi si abbassarono ancora, raccolsero un pezzo
di carne della zuppa, e lo portarono alle labbra. Poi ancora al piatto
delle verdure, e di nuovo al riso. Azioni meccaniche che si compivano
ogni giorno, nulla di anormale. Misaki non resistette
all’impulso, doveva verificare.
“Ehm…ecco…Usagi-san…”
mormorò confusamente mettendo giù le bacchette,
non aveva ancora toccato cibo.
“mmm?” rispose Usagi, altro riso misto a carne in
bocca, masticava lentamente, senza fretta. Il suo sguardo pareva
stupito dall’interruzione.
“…insomma…non
è…troppo saporito…?”
tentò di accennare casualmente Misaki guardando i piatti
come se fossero pronti a saltargli addosso da un momento
all’altro.
“Ah…” replicò Usami
guardandolo fisso e sorridendo affabile mentre sceglieva un altro pezzo
di carne con le bacchette “non c’è
problema. Quando ero bambino, avevo un cuoco personale che non mi
faceva mai mancare nulla e preparava alla perfezione ogni singolo
capriccio che mi venisse in mente, per cui…provare la vita
di una famiglia normale…gustare un banale piccolo errore
nelle dosi del sale…mi mette di buon umore!”.
Misaki per poco non svenne. Un banale piccolo errore…eppure
era certo di aver messo doppia dose di sale in ogni singola pietanza.
Incredulo, afferrò le bacchette, prese un pezzo di carne
come stava facendo il commensale, e se lo ficcò in bocca. Se
non lo sputò fu solo perché vide lo sguardo
trasognato di Usami che lo guardava. Normale vita famigliare. Gli
errori capitavano nelle normali famiglie, quelle che non avevano un
cuoco. Mandò giù il boccone amaro in tutti i
sensi. Aveva fallito la prima prova.
Terminare il pasto fu per lui un vero incubo. Bevve in
continuazione mentre il suo padrone di casa si limitò a
qualche bicchiere d’acqua come sempre. Probabilmente si stava
divertendo un mondo ad assaporare “gli errori della normale
vita famigliare”. Avrebbe dovuto immaginarlo. Finalmente, la
cena finì e Misaki posò sulla ciotola del riso le
bacchette. Ce l’aveva fatta, aveva finito tutto.
Dall’altro lato del tavolo, Usami lo guardava sorridendo
pensieroso. Si sentiva la bocca e la gola in fiamme. Accidenti!
Il ragazzo si alzò e raccolse le ciotole da lavare, come
faceva sempre dopo i pasti. Era suo compito, i lavori domestici erano
l’unico modo che aveva per ripagare
l’ospitalità non potendo contribuire
all’affitto…non che Usagi glielo permettesse. Che
anche gli approcci fisici fossero compresi nel pagamento
dell’alloggio? Il suo volto divenne di un rosso acceso mentre
l’acqua scorreva sulle stoviglie sporche. Il bersaglio della
sua vendetta era tranquillamente andato a cambiarsi. Scattava la
seconda parte della sua vendetta. Ora si sarebbe divertito. Ed il
sorrisino maligno riaffiorò sul suo viso mentre strofinava
con lena, la schiuma che gli ammorbidiva la pelle. Tutto preso dalla
pregustazione, non si accorse dei passi che scendevano le scale,
né dell’avvicinarsi dell’oggetto dei
suoi pensieri.
Usami non poteva resistere ad una tentazione del genere, Misaki stava
beatamente lavando le stoviglie, immerso nel suo mondo fantastico,
troppo bello, troppo facile. Le sue braccia si allargarono, le dita si
fletterono nell’impazienza, e con uno scatto da predatore
portò a termine il movimento abbracciando stretto il ragazzo
che emise uno squittio di sorpresa e protesta voltando la testa nella
sua direzione. Troppo facile. Le labbra si incontrarono, sapore salato
e dolce allo stesso tempo, credette di perdersi nelle sensazioni
risvegliate dal contatto. Era da tempo che non gli faceva quello
scherzo, ma anche se glielo avesse fatto solo cinque minuti prima, non
ne era mai sazio. Per gioco, gli forzò le labbra senza
insinuare all’interno della cavità orale altrui la
lingua che se ne stesse nel suo covo come una serpe pronta a colpire,
letale se necessario, una minaccia che aleggiava nell’aria.
Misaki se ne accorse e si irrigidì ulteriormente mentre
lasciava cadere nel lavello la ciotola che aveva in mano, un 'tunk'
secco che segnalò una probabile rottura, magari aveva
cozzato contro qualcos’altro. Al momento non aveva importanza
mentre il ragazzo cercava finalmente di ribellarsi a
quell’abbraccio, a quella bocca che lo stava lentamente e
inesorabilmente catturando in una prigione che lui ben conosceva.
Riuscì a staccarsi a fatica continuando a far leva con
entrambe le mani bagnate contro la camicia pulita dell’uomo.
“Usagi-san! Basta! Fermo!” urlò
infuriato, la voce più acuta di un paio di toni per
l’irritazione, le mani che slittavano sulla stoffa stirata di
fresco senza trovare un appiglio, un modo per spingere via
l’invasore.
Le labbra ripresero a lottare, feroci, instancabili, e più
Misaki cercava di scappare, più l’altro lo
rincorreva nel tentativo di afferrarlo, di coinvolgerlo nel gioco. Ma
ecco, le mani disperate trovarono un appiglio nel colletto inamidato,
lo tirarono, lo torsero, fino a convincere il padrone della camicia che
piuttosto che morire strozzati era preferibile lasciare spazio e aria.
Le braccia si aprirono ed il cerchio pericoloso si spezzò,
Misaki fu libero di allontanarsi di qualche passo. L’acqua
scorreva ancora libera nel lavello, nessuno se ne curava.
“Misaki…” sussurrò Usami con
la sua voce bassa, seducente, e Misaki si tappò le
orecchie con i palmi delle mani per non sentire. Non doveva sentire.
Quando si fu calmato a sufficienza per formulare una frase di senso
compiuto, solo allora staccò le mani dal capo ed
indicò la camicia pulita che Usami aveva indossato poco
prima.
“Usagi-san…ecco…la
camicia…” balbettò, più che
formulare mentre tornava sicuro al lavello a finire il suo dovere
domestico “mentre la stiravo è accaduto che il
telefono ha cominciato a suonare, io sono corso a rispondere ed era
niichan che mi chiamava per il solito controllo…ma
ecco…ha voluto raccontarmi a tutti i costi di una gita
fuoriporta che ha fatto con la sua giovane moglie e
quindi…ho perso tempo a parlare, il ferro intanto si
è scaldato troppo…hanno mangiato bene, avevano
preparato una sorta di picnic all’aria aperta, con gli
uccelli…gli alberi…le formiche…Usagi,
dove stai toccando!?”.
Le mani di Usami si erano spinte a sfiorare la schiena al lavoro del
ragazzo che si muoveva di continuo seguendo il ritmo del risciacquo,
un’altra tentazione irresistibile. Misaki gli
soffiò contro, e lui suo malgrado allontanò le
mani vogliose per spendere un po’ di tempo in parole.
“Non importa, non è affatto un
problema…anzi!” gli occhi di Usami brillavano di
pura estasi mentre si sfiorava, con le stesse mani che poco prima
avevano toccato la maglietta di Misaki sperando non ci fosse,
l’evidente macchia di bruciato dalla forma inequivocabile che
spiccava nitida contro il bianco candido della camicia “fin
da bambino ho sempre avuto dei domestici personali che non mi facevano
mai mancare vestiti puliti e stirati perfettamente, non mi era mai
capitata una cosa simile…è
così…normale!”.
La fronte di Misaki sbatté con violenza contro gli sportelli
della cucina sovrastanti il lavello. Doveva immaginare anche questo. E
dire che lui si era tanto sentito in colpa, che aveva guardato con la
morte nel cuore quella camicia rovinarsi, che aveva scelto ad occhio la
più economica con l’intenzione di ripagarla una
volta ottenuta la sua vendetta. Invece, tutto per niente. Tanta pena
per rendere quel maniaco ancora più contento.
Sospirò teatralmente asciugandosi le mani sul grembiule.
Oramai era fatta. Mancava solo l’ultima, poi sarebbe potuto
andare a dormire e dimenticare quella che si prospettava come
un’orrenda giornata persa a pianificare una vendetta
inesistente.
Quando Misaki voltò il capo, non vide più Usami.
Si era di nuovo allontanato in silenzio. Si tolse il grembiule, lo
ripiegò ordinatamente e lo ripose al suo posto. Ultimo atto.
Non doveva sbagliare ora.
“Usagi-san!” chiamò, la voce incerta
“preparo il bagno!”.
Un borbottio dal divano gli fece capire che l’uomo era
beatamente sdraiato su Suzuki-san, lo abbracciava teneramente. Magari
si era addormentato e pensava che l’orso di pezza fosse lui.
Il ragazzo si intenerì e per un istante pensò di
cancellare l’ultima terribile vendetta…per un
istante. Il tempo necessario ad Usami per aprire un occhio e fissarlo
con desiderio. Meno di un secondo. Misaki salì le scale come
fosse inseguito da un demonio.
Spalancò la porta del bagno ed entrò. Tutto
pronto. Aprì del tutto i rubinetti dell’acqua
fredda e attese paziente che scorresse a bagnare la vasca e riempirla
della giusta quantità. Non un filo di vapore si levava, era
naturale dopotutto, ma allo stesso tempo talmente strano da lasciarlo
interdetto. Anche se freddo, poteva considerarsi bagno? In quella
varcò la soglia Usami, Suzuki-san sottobraccio.
L’enorme peluche venne posato sopra l’armadietto ad
attendere mentre il padrone cominciava a spogliarsi. Misaki quando si
voltò se lo trovò davanti, a petto nudo, e per
poco non urlò di nuovo.
“…ecco…Usagi-san…”
mormorò invece guardando ovunque tranne che l’uomo
davanti a lui.
“mmm?” rispose l’adulto continuando a
levarsi gli indumenti, uno ad uno, la camicia che scivolava dalle
spalle con un movimento sensuale apparentemente casuale.
“…ecco…vediamo…mi spiace
ma…mi sono dimenticato che…non
c’è…l’acqua
calda…ecco…gli operai…lavori in
corso…le caldaie…quindi…mi spiace
ma…”.
Durante tutto il borbottio confuso Misaki non aveva guardato Usami una
sola volta, ma lui aveva oramai finito di spogliarsi e si era diretto
con tutta tranquillità verso la doccia ai piedi della grande
vasca da bagno colma d’acqua fredda. Cosa volesse fare, il
ragazzo non ne aveva la minima idea, ma era troppo imbarazzato per
guardare o chiedere, mentre pregustava la seccatura che
l’assenza d’acqua calda poteva essere per il
principe dei pervertiti. Peccato che i suoni che uscirono dalle labbra
di Usami quando la pelle entrò in contatto con
l’acqua gelida della doccia, non furono esattamente quelli
che si aspettava.
“Sai, Misaki…” parlò con
quella sua dannata voce “non è affatto un problema
l’acqua fredda, anzi! …”.
“…da…da piccolo avevi acqua calda
quando volevi…quindi adesso questo inconveniente
fa…fa molto famiglia?” finì per lui
Misaki serrando gli occhi e coprendoli con le mani per maggior
sicurezza nonostante desse la schiena all’uomo nudo che si
apprestava ad entrare nella vasca.
“…no.” Replicò
tranquillamente Usami mentre si avvicinava all’ignaro ragazzo
“Sai Misaki, l’acqua fredda tonifica il corpo,
riattiva la circolazione e quindi dà
vigore…”.
“Ah…” si limitò a buttare
fuori il ragazzo con gli occhi ostinatamente chiusi mentre non poteva
vedere le forti braccia che si richiudevano nuovamente su di lui.
“Sai Misaki…” parlò ancora
Usami mentre voltava verso di sé il ragazzo, rosso in volto
ma con gli occhi aperti e lo sguardo arrendevole “forse non
sono poi così stanco…”.
Fu un bene che Suzuki-san fosse al sicuro dagli spruzzi
d’acqua.
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