*Da un
sogno fatto la notte scorsa, una one-shot che dovrebbe assumere una sfumatura
gothic(si nota? Mi sa di no XD), mischiando un po' di Alice in Wonderland...
Dedicato alla mia pucciosissima cucciola Ethel, la mia piccola sorellina vampira
>.<...
Sarebbe un po' da rivedere dato che l'ho scritto a mezzanote...forse lo
farò...un giorno...*
I
rintocchi del vecchio orologio a pendolo sparsero la loro eco per tutta la
casa…don…don…don…undici rintocchi, più un mezzo, per far capire a chiunque
l’ascoltasse, in realtà nessuno a quell’ora, che il tempo aveva spostato le sue
lancette sulle undici e mezzo…
La
ragazzina si rigirava nel letto, e quei rintocchi la infastidirono ancora di
più.
Odiava i rintocchi di quell’orologio…
Continuava a girarsi e rigirarsi nel letto, il sonno sembrava essere sfuggito
dalle sue dita, non riusciva a chiudere occhio…
E
girarsi e rigirarsi nel letto, non migliorava certo la situazione, anzi…
Si
sedette, ancora avvolta dai lenzuoli bianchi che s’intonavano alla sua camicia
da notte. Un’attenzione un po’ maniacale dei particolari, ma in fondo di cosa
poteva interessarsi in quella casa così grande?
Una
casa troppo grande. Non capiva perché i suoi genitori avessero così ardentemente
desiderato di abbandonare la loro città per trasferirsi in quella gran casa.
Bellissima, certo…ma più una casa è grande e più si rischia di rimanerci
intrappolati dentro, rimanendo isolati in una delle grandi stanze…
Scese dal letto e infilò i piedi nelle soffici pantofoline di pelo.
Si
guardò un attimo intorno, la stanza era buia, quella sera la luna non stendeva i
suoi raggi fino alla sua finestra e non illuminava gli angoli bui.
La
piccola rabbrividì un po’, anche se forse era troppo grande per aver paura del
buio.
E
mentre tutti questi pensieri le si mischiavano in testa, quasi senza farci caso
afferrò un pupazzo. Un piccolo pupazzo regalatole quando era piccola, ma che non
aveva mai adorato più di tanto…
E
chissà perché le capitò in mano proprio quello.
Forse era destino, forse fu solo una pura e semplice casualità per cui quel
piccolo coniglio bianco le capitò fra le mani…
Aprì
la porta della camera e si inoltrò nel lungo corridoio coperto dal tappeto
rosso.
Sembrava un luogo infinito, più lo percorrevi e più sembrava allungarsi.
Ma
per fortuna ad un certo punto, come se si fossero mai spostate, le scale
riemersero dal buio.
E
gradino dopo gradino la ragazzina le percorse, finendo nella grande anticamera
sormontata da un vecchio lampadario di ferro battuto.
Passò davanti alla grande porta di legno intarsiato, con un piccolissimo
desiderio di andare fuori a vedere il cielo…
Ma
la sua razionalità prevalse sul desiderio, e continuò la sua camminata verso la
cucina.
Voleva prendersi un bel bicchiere d’acqua fresca, forse questo l’avrebbe aiutata
a dormire?
Fu
così, che mentre prendeva il corridoio che portava giù, alle vecchie stanze
della servitù e alla cucina, vide un bagliore provenire dalla parte opposta
della casa, nell’altra ala.
La
luce giungeva fioca, ma era comunque ben visibile.
Con
ancora in mano il coniglietto la giovane si avventurò verso il salone
Si
chiese se per caso non potevano essere dei ladri…ma perché avrebbero utilizzato
tutta quella luce?
A
passi lenti, sempre più impaurita, continuava a seguire il debole fiotto di
luce…
Le
sue pantofole non facevano alcun rumore sul pavimento di marmo, eppure le pareva
che il suo cuore facesse un gran baccano, da quanto le batteva in petto.
Passo dopo passo, la luce diventava sempre più vivida. E quando finalmente
giunse davanti alla porta del salone, rimase a bocca aperta ammirando la scena
che le si presentava davanti.
La
grossa porta era spalancata, cosicché la luce emanata dai grossi lampadari di
cristallo sul soffitto spargevano la loro luce nella grande sala, illuminando a
giorno tutti i presenti.
Perché, come fossero spuntati dal nulla, molte dame e molti cavalieri erano
presenti nella sala.
E
tutti danzavano, al ritmo di un gruppo di musici che suonavo un allegro valzer
poco lontano da dove la giovane si trovava.
E
tutti indossavano suntuosi abiti di broccato e seta, alla moda di tanti secoli
prima…
Ed
ogni uomo o donna presente, indossava una maschera, intonata all’abito che
portava e di cui ne richiamava i colori.
E
tutti così agghindati le passavano davanti, senza notarla affatto.
Rimase lì impalata per un tempo che a lei parve lunghissimo, forse abbastanza
perché fosse già mattino. Fissò tutte quelle persone intente a danzare, le
osservò finche il ballo non fu terminato e tutti si sparpagliarono per la sala,
alcuni formando gruppetti di persone che conversavano animatamente, alcuni
mangiando qualcosa al grosso buffet, giovani dame civettavano coi signori…
Tutti parevano divertirsi, insomma.
E
quando finalmente decise di mettere piede nella sala, non appena il suo piedino
pantofolato sfiorò il pavimento, si accorse che il suo coniglio era sparito…
Non
sapeva come, ne dove l’aveva perso.
Si
ricordava solo che lo aveva ancora quando aveva cominciato a seguire la luce.
Che
gli fosse caduto?
Ma
in fondo, per un coniglietto di peluches, non c’era mica da preoccuparsi! Di
sicuro l’avrebbe ritrovato il giorno dopo.
Mosse qualche passo, tenendosi lontano da chiunque, anche se nessuno le badava.
Le sembrava di essere invisibile…
E
quando giovane, vestito con un lungo cappotto nero dai bottoni argentati, un
paio di pantaloni anch’essi neri ed una camicia candida come le nuvole le si
avvicinò, lei trasalì.
Temeva di essere considerata un’intrusa benché si trovasse in casa sua.
- Mi
concedete l’onore di un ballo? –
Chiese quello semplicemente, porgendole il braccio
-
Oh…ecco, veramente non credo di potere. Sono in pigiama e non so danzare! –
Il
ragazzo alzò il capo, rivelando uno sguardo color viola intenso.
-
Non so cosa sia questo pigiama di cui parlate, e sono sicura che la vostra
grazia nel ballo è pari alla bellezza del vostro viso. Perciò esaudite il
desiderio di questo povero ragazzo che è stato abbagliato dalla vostra bellezza
–
La
giovane arrossì un poco, a sentire quelle parole.
Poggiò quindi la sua mano su quella del giovane, e per la seconda volta lo
stupore la fece sua nel scoprire la sua mano coperta da un guanto di pizzo che
le arrivava al polso, con un piccolo sonaglietto bianco proprio nel mezzo,
accompagnato da un piccolo fiocchetto di velluto, nero come il guanto.
Guardò anche l’altra mano, e pure essa calzava un guanto identico.
Presa dall’eccitazione, si guardò…
Non
aveva più la sua camicia da notte indosso, ma un lungo abito rosso carminio,
ornato ai bordi da pizzo nero. Il corsetto, che le stringeva un po’ i fianchi,
aveva un’allacciatura sul davanti fatta di nastrini neri. La gonna era ampia e
vaporosa, e benché quel vestito non fosse il massimo della comodità, la giovane
ci si trovava bene.
-
Quel vestito vi sta d’incanto. Ora vogliamo andare? –
Le
chiese il giovane, forse nel vedere la titubanza della sua dama verso il
vestito.
La
condusse così in mezzo alla pista, e non appena la musica riprese, le afferrò il
fianco, cosa che la fece nuovamente arrossire, e la guidò nel valzer.
-
Posso avere l’ardire di chiedere il vostro nome? –
Chiede d’improvviso lui, mentre la faceva volteggiare sotto le luci dorate dei
lampadari
-
Oh…Aedin. Il mio nome è Aedin –
Sussurrò lei
- E
qual è il vostro nome, mio giovane cavaliere?-
Chiese lei, dopo aver raccolto tutto il suo coraggio
- Il
mio nome è Raphael, Raphael Heathwick –
Danzarono in silenzio per tutto il resto della canzone e quando si fermarono,
alcune coppie si avvicinarono a loro.
-
Ballate divinamente…eppure non v’ho mai visto. Siete nuova di queste parti? –
Le
chiese un giovane dai capelli neri come la notte
-
Oh…in un certo senso –
Raphael tornò con due bicchieri di vino rosso
-
Ecco a voi, mia dama… -
Gliene porse uno, e lei bevve, sebbene un poco titubante dato che era la prima
volta che bevevo vino.
La
discussione cambiò, mutandosi in racconti che gli uomini facevano delle propie
gesta, in particolare di quello che sapevano cacciare
- Ma
insomma, non fate che annoiarci parlando di caccia –
Disse infine una delle dame, dal vestito viola come il giovane con cui Aedin
aveva ballato.
Ma
finchè non ci fu ancora musica, si parlò solo di caccia.
- Mi
concedete anche il prossimo giro? –
- Ma
certo…con piacere –
Questa volta era più sicura di se, ora sapeva che non era un totale disastro nel
ballo, sebbene non avesse mai danzato prima.
E
mentre danzavano, ammirava la lunga chioma di Raphael, che rifletteva tutte le
tonalità dell’oro.
-
Sentite ma…voi da dove venite? –
- Da
dove…vengo? –
Chiese lui un po’ sorpreso
-
Sì, in quale città siete nato? –
-
Oh…Edimburgo. Sono nato li… -
Le
rispose gentilmente lui, con un piccolo sorriso che sembrava di più un
sogghigno.
Aedin non sapeva per quanto tempo aveva danzato o per quanto tempo era rimasta
lì.
Sapeva solo che ora era stanca e avrebbe voluto poter tornare a dormire.
Così, nel bel mezzo d’un valzer si allontanò dalla pista da ballo e cercò un
posto dove sedersi e riposare.
Trovò a questo scopo un divanetto di legno scuro con cuscini di pelle rossi come
il suo vestito, e qui si sedette.
Poco
dopo, le si avvicinò nuovamente Raphael
-
Cosa vi è successo? Ho forse fatto qualcosa di inconveniente? –
-
Oh, no. Voi siete stato gentilissimo con me, ma io sono molto stanca e volevo
riposare. Perdonate, sono scappata senza dire una parola. –
Raphael estrasse un orologio dalla tasca e guardò l’ora
-
Si, avete ragione è molto tardi. Mi dispiace, vi ho trattenuta troppo… -
-
Oh, ma no. Mi sono divertita a ballare con voi. –
Aedin sbirciò incuriosita l’antico oggetto, o almeno così le pareva, un vecchio
cipolline con intarsiati dei disegni bellissimi.
Lui
lo mise via, apparentemente senza accorgersi dell’interesse che la sua dama
provava per quell’oggetto.
Le
prese una mano, e la tenne stretta fra le sue
-
Non preoccupatevi –
Le
sussurrò ad un’orecchio, e baciò la mano ancora stretta fra le sue.
- Ma
cosa fate… -
Bisbigliò lei, imbarazzata che potessero vederli tutti.
-
Oh, non preoccupatevi… -
Sussurrò ancora lui.
Con
due dita sfiorò il mento di lei, e appose un leggero bacio sulle dolci labbra
della ragazza.
E
lei, ancora imbarazzata, non si tirò indietro.
E
anzi, assaggiò volentieri le labbra di quel ragazzo dalle iridi viola così
strano…
E
pian piano, tutto si fece buio ed ogni cosa divenne ombra…
E ad
Aedin si chiusero gli occhi…
Quando li riaprì si trovava ancora sul divanetto, poggiata allo schienale.
-
Aedin cara, ma insomma! –
Sua
madre le si avvicinò agitata
- Ci
hai fatto spaventare, ed eri qui a dormire. Come ti è venuto in mente? –
Ancora stordita, la ragazzina fece per cominciare a raccontare qualcosa, ma poi
arrossì e si fece muta.
- Fa
niente, l’importante è che non ti sia successo nulla…su adesso vai nella tua
stanza e preparati per la colazione –
La
donna uscì, bisbigliando qualcosa alla cameriera, lasciando la figlia ancora
stordita lì.
Aedin si tirò su e diede un’occhiata alla sala.
I
lampadari erano spenti, uno strato di polvere ricopriva i mobili, le finestre
erano sbarrate, il camino inutilizzato da tempo e niente risplendeva come lei
l’aveva visto.
Quello non era il salone che lei credeva, quello dell’ala est, ma quello
dell’ala ovest che era inutilizzata da anni e doveva essere rimessa a nuovo.
Ma
come poteva essere li?
Come
poteva quella luce raggiungerla da tanto lontano, e lei non accorgersi di quanto
aveva camminato?
Si
alzò, indossava ancora la sua camicia da notte e le pantofole di pelo.
Lo
sguardo le cadde sul divano.
E
spalancò la bocca dallo stupore.
Perché il suo coniglietto era li, il suo coniglietto di peluches che la sera
prima aveva perso…
E
attorno al collo, c’era appeso un orologio. Un orologio antico, con dei disegni
bellissimi incisi.
Sorrise, ma non si stupì.
Perché in fondo, si disse, un poco avrebbe dovuto aspettarselo…
Fine
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