Don't let the water drag you down
Prologo.
Matt
se n'era andato.
Brian
aveva guardato il treno partire percorrendo la banchina a grandi
passi come a volerlo raggiungere, ma questo aveva aumentato di
velocità fino a scomparire oltre le colline che si
scorgevano in
lontananza; poi si era fermato sul ciglio e avevo preso a guardare le
rotaie abbassando lo sguardo fino ad incontrare la punta delle
proprie scarpe.
Gli
faceva male la testa, lo stomaco scioglieva le sue stesse pareti.
Alcuni
passanti avevano prestato attenzione a quel ragazzo solo per pochi
secondi, altri lo avevano additato mentre cercava di rincorrere
l'ultima carrozza, nessuno invece gli aveva rivolto la parola.
Un'
espressione sconsolata gli accartocciava il volto, le guance erano di
un rosso acceso per la rabbia che aveva accumulato e forse si sarebbe
messo ad urlare, se non fosse stato troppo orgoglioso da cercare di
tener dentro il più possibile.
Si
sedette su una panchina mentre una voce maschile annunciava l'arrivo
di un treno sul binario quattro, i gomiti erano piantati nelle cosce
e la testa racchiusa tra i palmi; picchiettava i piedi a terra,
Brian, come se si aspettasse di veder riapparire Matt da un momento
all'altro con un mazzo di fiori ed un enorme sorriso stampato sulle
labbra.
Il
cellulare che aveva nella tasca dei pantaloni vibrò e lui lo
tirò
fuori il più velocemente possibile, per poi rimanere deluso
dopo
aver scorto il nome del mittente del messaggio sulla parte alta dello
schermo: Jimmy.
Diceva
solo: torna
a casa,
ma in quelle tre parole si celava un mondo intero fatto di
preoccupazioni e di sigarette fumate nervosamente in veranda, di
unghie mangiucchiate e di rabbia che lacerava le pareti delle guance
sanguinanti per colpa dei denti.
Quel
ragazzo era stata l'unica ancora di salvezza per Brian per moltissimo
tempo e lo era ancora, erano l'uno i salvatori dell'altro e non c'era
istante in cui James non provasse apprensione nei confronti del suo
migliore amico, quando non era al suo fianco con una bottiglia di
birra in mano.
Erano
fratelli, ognuno conosceva i segreti più reconditi e le
reazioni
dell'altro in qualunque situazione, perciò Jimmy sapeva che
il suo
migliore amico non avrebbe mai risposto a quel messaggio e
così fu,
ma sapeva anche che avrebbe seguito all'istante il suo consiglio,
cosa che altrettanto fece.
Infilò
il cellulare di nuovo in tasca e poi si affidò totalmente
alla
musica mettendo le cuffiette e premendo il tasto play senza neanche
far caso a quale canzone fosse in riproduzione: qualunque essa fosse
avrebbe fatto male in ogni caso.
Stava
tornando a casa, tornava da Jimmy.
Love,
love will tear us apart... again.*
Ecco,
quel brano faceva parte del mucchio di stronzate che Matt gli aveva
infilato nel lettore portatile, lui e quella fottuta musica di merda.
Love,
love will tear us apart... again.
Ed
era quella stessa musica che anche l'altro ragazzo stava ascoltando a
bordo della carrozza numero sei, sedile vicino al finestrino. Il
dolore partiva dalle caviglie e saliva sempre più
giù, gli
intorpidiva le ossa e le dita delle mani.
In
quel momento aveva gli occhi chiusi e la testa appoggiata al vetro,
la musica chiudeva qualsiasi rapporto con il mondo esterno ed una
parte di lui avrebbe voluto andare avanti così per sempre
con solo
il ritmo lento ma cadenzato dei Joy Division ed il buio intorno a
lui.
“ Si
ricorda ai gentili passeggeri che-”
Matt
alzò un po' il volume così da coprire del tutto
quella voce che
rimbombava fastidiosamente in ogni carrozza per poi tornare al suo
dolore fisico e psicologico, a quella sensazione di soffocamento che
non riusciva in alcun modo ad alleviare; aveva anche provato a
piangere, aveva stretto gli occhi più che poteva spremendo
le
ghiandole lacrimali al massimo, ma niente: il senso di vuoto e la
disperazione e la sensazione che nulla sarà mai di nuovo
come prima
lo avevano prosciugato anche dei liquidi corporei.
Love,
love will tear us apart... again.
Mancavano
ancora diverse ore alla fine del suo viaggio e, prima di vedere gli
sportelli chiudersi, aveva incrociato le dita nella speranza di
addormentarsi, ma concentrarsi su qualunque cosa che non fosse la
musica che era costretto ad ascoltare significava ricordare il viso
di Brian che lo fissava oltre il vetro, che esprimeva tutto e niente
come delle nuvole grigie da cui, inaspettatamente, parte un fulmine
che incendia un albero poco lontano. E non puoi fare altro che
rimanere a guardare, spaventato ed affascinato, ad assistere al
tragicamente meraviglioso spettacolo della natura.
Perché
Brian non era altro che questo: pesanti gocce d'acqua che ti fendono
il viso ma che ti dissetano.
Quando
aprì gli occhi, Matt si rese che il sole non era
più alto come
prima, che forse l'estate stava finendo ma che ad Huntington Beach
avrebbe continuato a fare caldo perché era questa l'unica
cosa che
quella città sapeva fare, bruciare e sciogliersi, ma forse
lì dove
stava andando il clima sarebbe stato diverso e magari in quel momento
stava tirando vento o il cielo era terso ma l'aria molto meno umida.
Anche
il tempo non era lo stesso, in quel posto dove stava andando con
così
tanta fretta, il paesaggio fuori dalla finestra della sua camera
sarebbe stato sconosciuto ai suoi occhi per diversi giorni e, seppur
avrebbe continuato a cercare ogni mattina, non avrebbe mai
più
trovato il profumo di Brian sotto il cuscino.
Then
love, love we tear us apart... again.
***
Brian
alla fine aveva passato tutto il weekend a casa di Jimmy avvisando i
suoi genitori con un messaggio freddo e sbrigativo, erano rimasti
seduti al piccolo tavolo della cucina a mangiare cibo surgelato, a
bere e fumare con le giuste dosi di caffè di tanto in tanto.
Avevano
anche parlato, qualche volta, ma per la maggior parte del tempo erano
stati ad osservarsi in silenzio; d'altronde non c'era alcun bisogno
di parlare, se non si aveva nulla di nuovo da dire.
La
testa di entrambi era leggera, lievemente annebbiata ed una nuvola di
fumo aleggiava sopra le loro teste. Jimmy, invece, aveva gli occhi
ridotti a fessure e gli zigomi arrossati per colpa della birra, la
finestra aperta alle sue spalle faceva sì che la brezza
estiva gli
scompigliasse i capelli.
Il
cielo si era scurito, non vi erano più le linee dorate del
sole a
striare le nuvole, stava per farsi notte, ma non faceva freddo.
Brian
aveva voglia di fumare, ancora, con i gomiti poggiati sul davanzale
ed il naso oltre gli infissi, così si alzo ma dovette
attendere
qualche istante prima di muoversi ed aspettare che la testa smettesse
di girare. Accese la Marlboro e tirò piano, attese poi
l'arrivo del sapore amarognolo ma questo era attutito dal pastone che
aveva in bocca da giorni, l'alcol e il tabacco e il cibo gli avevano
chiuso le papille gustative. Non poteva fare a meno, mentre prendeva
boccate di fumo, di volgere lo sguardo al braccio avvolto da pellicola
trasparente: poco prima era andato nel suo negozio di tatuaggi di
fiducia per dare colore ai demoni e mostri che gli correvano sulle
braccia, lo aveva fatto perché Matt se n'era andato e, da
allora, il suo costante desiderio di autodistuggersi si era placato o,
almeno, sapere di star ingerendo catrame a pieni polmoni poteva
bastargli. Inizialmente quelle facce grottesche che gli si erano
mischiate alla pelle erano il suo modo per tirar fuori tutte le paure e
le preoccupazioni che infestavano la sua vita tardo adolescenziale che
si affacciava in quella degli adulti ma, dopo tutto quello che era
successo, guardarsi le braccia gli ricordava solo il viso del ragazzo
che per quei mesi aveva accarezzato, baciato, forse amato.
Non importava cosa gli stessero marchiando addosso, poteva essere di
tutto per ciò che lo riguardava, la cosa importante era che
ci fosse sempre quel leggero bruciore a fior di pelle, il rossore e
l'ago che entrava ed usciva.
Quando Jimmy venne al suo fianco con un plaid nero sulle spalle, Brian
si distolsi dai suoi pensieri, anche l'amico fumava e il suo sguardo si
perdeva oltre quanto lui stesso potesse vedere.
La loro amicizia, quella sua e di Jimmy, era fatta di battute squallide
e azioni ancor più stupide, non parlavano mai davvero, non
avevano mai avuto la necessità di conoscersi
perché bastava trovare ognuno negli occhi dell'altro le
risposte che cercavano. E, nei suoi occhi, quando ormai la sera aveva
avvolto le case e i grattacieli, vedeva lo sgomento e la paura di
perdere Brian forse per sempre; il moro avrebbe voluto mettergli una
mano sulla spalla e dirgli che non sarebbe successo, che stava bene, ma
sarebbe stata una bugia che avrebbe rincuorato più lui
stesso che Jimmy.
"Finirà mai?" chiese Jimmy, con sguardo preoccupato.
"Di cosa stai parlando?"
Brian rispose con un'altra domanda dopo aver buttato fuori qualche
sprazzo di fumo, la sigaretta era quasi alla fine e ormai faceva
schifo, era quasi tentato a spegnerla.
"Di te che ti autodistuggi e io che cerco di salvarti, di me che
rischio di lasciarci la pelle per colpa tua e di noi che ci chiudiamo
in casa a farci del male col sorriso sulle labbra; è
patetico, ok? Patetico, smettiamola."
Brian gli rivolse uno sguardo dispiaciuto, non sapeva cosa dire. "Vado
a rollare un'altra canna." aggiunse subito dopo.
Jim gli voleva bene e non voleva salvarsi senza di lui il quale, pur
essendogli grato, si sentiva terribilmente in colpa perché,
l'unica cosa che riusciva a pensare era che tutto quello schifo era
solo all'inizio.
Si spostò dalla finestra per andare in camera dell'amico,
direzione? La scrivania piena di vestiti sporchi, suoi e di
Jimmy,vestiti che fece cadere a terra con un gesto noncurante per poi
sedercisi su, gambe aperte e gomiti sulle cosce, pronto per girare
quella sua canna tanto desiderata. Con il grinder già posato
sulla scrivania, tirò fuori dalla tasca il sacchettino
trasparente in cui conservava la marijuana, notando che era quasi
finita.
“Ma sì, che con quella che resta non ce ne esce
neanche un'altra,” disse svuotando il contenuto nel grinder
nero e posizionandoselo fra le mani, facendolo girare con i palmi per
non perdere la pressione.
James, rimasto dietro di lui, lo guardava con la coda dell'occhio
mentre si sistemava l'erba fra le mani e nel frattempo faceva scivolare
via il tabacco dalla Marlboro, vedeva quello sguardo vuoto come non lo
vedeva da tanto; aveva finalmente trovato una via d'uscita lui, ma ora
era ancora peggio di prima, glielo si leggeva -anzi per meglio dire non
glielo li leggeva- in faccia, sembrava un automa, il cui unico scopo
era fuggire via dalla sofferenza e per farlo, si autodistruggeva.
Brian voleva diventare un corpo vuoto, privo di anima.
“Et voilà,” disse il moro con un sorriso
sardonico in volto mentre mostrava la lunga canna al suo migliore
amico, girata ad arte anche grazie alle dia affusolate e ben allenate
e, diciamolo, non tutto era merito della sua passione per la chitarra.
La cosa che faceva preoccupare Jimmy era che Brian non parlava, per
nulla. Non che ci fosse bisogno di parlare con lui, la loro amicizia
andava oltre quello, si capivano con uno sguardo, un gesto, anche con
il silenzio, ma questo avrebbe fatto bene a Brian che invece faceva
finta di nulla. Era un processo che l'amico conosceva fin troppo bene,
Haner era fatto così, quello che lo feriva be', lo
cancellava dalla sua vita.
Per lui non era mai esistito.
E non gli importava che questo cancellare il passato lo portasse alla
distruzione totale, fisica e mentale, la sua reazione era sempre la
stessa. Non importava se la notte il suo inconscio gli ricordava che
quei ricordi erano reali, lui affondava la testa nella sabbia per non
vedere e non sentire, si buttava sull'alcool e sulla droga per non
sentire le catene che stringevano il suo cuore in una morsa letale, che
lo facevano sanguinare dolorosamente.
Quello che non capiva Brian era però che anestetizzare la
parte non fa, sì sentire dolore, ma nel frattempo ne ritarda
anche la guarigione lasciando quella ferita sempre aperta, pronta ad
infettarsi. Il danno collaterale è che se la ferita
è anestetizzata non riesci a sentire l'infezione e
probabilmente quando la si avverte è troppo tardi.
“Dai, passami 'sta canna,” disse James prendendola
fra le mani prima che una metà si bruciasse e inspirando il
fumo a pieni polmoni, trattenendolo quanto bastava per sentirli far
male, mentre il suo corpo assorbiva catrame e thc, oltre a tutte le
altre schifezze prodotte dalla combustione.
Pensare che proprio in quella stanza aveva avuto inizio tutto lo faceva
quasi sentire in colpa.
Dal canto suo Brian aveva la mente sgombra, non pensava a nulla se non
al mal di testa che però non sentiva, sapeva di averlo, ma
non gli faceva male davvero. Nulla gli faceva male, neanche il ricordo
dei suoi occhi, neanche il riverbero della sua voce. Lui stava bene,
almeno per quel momento in cui l'alcool e la droga attutivano le sue
emozioni. Poi se tutto passava tornava la rabbia, tornavano le lacrime
che gli bruciavano negli occhi senza voler uscire, tornavano le parole
urlate e quelle non dette, tornava il dolore. Il dolore di averlo
perso, il dolore di non aver lottato abbastanza, il dolore del suo
stomaco che implodeva su se stesso perchè il suo corpo in
qualche modo doveva pur reagire, il dolore delle unghia che affondavano
nella carne perchè non potevano più graffiare la
sua schiena.
Il dolore della consapevolezza di essere fragile, di potersi rompere da
un momento all'altro come una bottiglia di birra.
Tornava il dover dimostrare a se stesso che lui non si sarebbe
infranto, voleva sentirsi invincibile e lo faceva così,
distruggendosi; si distruggeva perché sapeva che qualcuno
l'avrebbe salvato, che Jimmy non l'avrebbe lasciato affondare nel mare
della disperazione, lui ci riusciva sempre a tirarlo su.
“Bri, forse dovresti fare una pausa, non per fare il
guastafeste ma domani c'è l'anniversario di matrimonio dei
tuoi, lo sai come ci tengono.”
“Oh fanculo Jimmy, lo sai che tanto andrà tutto
bene.”
Il suo cellulare squillava ma lui non lo sentiva, steso nel letto
l'unica cosa che riusciva a percepire era la testa che gli scoppiava,
lo stomaco che bruciava forte, accompagnato da quel senso di vuoto con
la nausea per il cibo, e una fitta al petto, di quelle che sembra che
quell'organo non funzioni più, quella fitta che lui evitava
da giorni.
Era ora di bere.
Per dimenticare e non sentire.
Svicolò dal letto cercando di non svegliare l'amico che
dormiva sulla poltrona come un barbone, facendo lo slalom tra le
bottiglie vuote e i vestiti sparsi per il pavimento, evitando
accuratamente le mutande che Jimmy aveva deciso di usare come zerbino.
Il suo obiettivo era la bottiglia di sambuca avanzata dalla sera prima,
quella che stava sullo scaffale, nascosta dietro lo zucchero e il sale.
Prese un bicchiere e lo sciacquò con noncuranza solo per
versarci il liquore prima che una mano gli fece cadere tutto addosso,
bagnandogli parte della maglia e tutto il pantalone e lasciando che
Brian esprimesse tutto il suo disappunto con colorite espressioni.
"Ti sembra ora di iniziare a bere, coglione?" La voce che
arrivò dritta alle orecchie del moro non fu quella che si
sarebbe aspettata di sentire. Quella frase dai toni incazzati, ma solo
perché aveva imparato a volergli bene a modo suo, fu
accompagnata dal tonfo di un borsone buttato per terra e nella visuale,
rimasta fissa sul bicchiere vuoto e sui pantaloni bagnati,
entrò il coinquilino di James che lo osservava con la
severità dipinta negli occhi dal taglio sottile. La puzza di
alcool ed erba appestava tutto l'appartamento e sapeva benissimo cosa
volesse dire. Non gli andava a genio che i suoi due amici si
trascinassero in serate devastanti o almeno non quanto quelle dei loro
tempi più bui!
"Bentornato a casa nanerottolo," disse Brian scompigliandogli i capelli
per poi posare il bicchiere sul piano di marmo bianco e liscio,
macchiato da alcool e caffé, e sarebbe tornato in stanza se
le urla di Jimmy non lo avessero bloccato.
"Haner, bastardo! Puoi prendertelo il cazzo di cellulare la prossima
volta? Sta suonando da ore!"
E Sullivan entrò in cucina lanciandolo in direzione del
proprietario che lo mancò di striscio, con soltanto i boxer
addosso, solo per accorgersi in un secondo momento del coinquilino che
lo guardava torvo, spostando lo sguardo da James a Brian, cercando
silenziosamente le motivazioni, che in cuor suo già sapeva,
che giustificassero le loro azioni. Soprattutto perché
entrambi sapevano che poi il casino l'avrebbe dovuto ripulire tutto lui.
"Oh ben tornato Johnny, com'è andato il weekend?"
"Sicuramente meglio del vostro," rispose acido iniziando a svuotare i
due posaceneri stracolmi sotto lo sguardo divertito di James.
Il telefono di Brian, caduto a terra, riprese a suonare e solo allora
il proprietario si degnò di raccoglierlo e rispondere
borbottando qualcosa come un buongiorno, seguito poi da una sciorinata
di scuse su quanto fosse impegnato quel giorno.
"Non ci vengo, l'hai capito sì o no? No, non me ne frega
nulla che è importante per voi, non ne ho voglia ok?" E
chiuse il telefono, spegnendolo onde evitare altre rotture di scatole.
Non sarebbe andato a quel noiosissimo anniversario, non in quelle
condizioni in cui sentiva il suo corpo e la sua mente fare male, in cui
il senso di colpa gli legava lo stomaco già martoriato dal
ritmo di vita sregolato di quei giorni, in cui il pensiero che tutto
potesse essere diverso gli logorava il cervello. Non aveva voglia di
vedere i suoi felici quando lui moriva dentro, non quando lo poteva
sentire almeno.
"Era tua madre?" Chiese James riempendosi un bicchiere d'acqua e
sedendosi sulla prima sedia libera, osservando il suo coinquilino che
sbuffando si stava già dando da fare a sgomberare la cucina.
"Non ci vado alla festa dell'anniversario, inutile che parli James," fu
la risposta secca del moro che sfilandosi una Marlboro dal pacchetto se
l'accese, lasciando il pacchetto aperto sul tavolo come a dire chi ne
vuole ne prenda.
"Col cazzo Haner, tu alzi il culo e te ne torni a casa!"
La risposta arrivò secca da Johnny, che impassibile
cercò l'approvazione del coinquilino che si
limitò a chinare il capo senza rispondere. Neanche Brian
disse nulla, si prese semplicemente le sigarette e il telefono e
uscì sbattendo la porta d'ingresso.
Non sarebbe rimasto dove non era voluto.
Prese la via di casa senza neanche voltarsi indietro, la testa gli
pulsava, sentiva addosso ancora i segni, gli odori, i postumi, del suo
weekend con l'amico, che il coinquilino aveva amabilmente rovinato in
pochi minuti ma adesso non era quello il problema e non lo era neanche
tornare a casa, era affrontare la realtà che varcando la
soglia di casa, investito dall'imminente sfuriata dei suoi, non avrebbe
chiamato il suo Matt per sfuggire all'ambiente malsano dei genitori.
Doveva sbattere in faccia alla realtà dei fatti, non c'era
più Jimmy che lo aiutava a fuggirla, avrebbe dovuto
ammettere che aveva combinato un casino e che non avrebbe potuto
rimediare.
Si rimise a fumare, ma le sigarette non erano sufficienti a placare
quel turbinio inconsistente di pensieri, emozioni e ricordi. Camminava
ma non vedeva veramente il paesaggio intorno a lui, non vedeva la
gente, le palme che segnavano il percorso lungo la costa, non vedeva
l'oceano, il traffico e gli edifici, vedeva solo quell'addio doloroso e
senza senso senza capire come erano arrivati a quel punto,
ripercorrendo tutti gli errori del passato e chiedendosi se potendo
tornare indietro avrebbe cambiato il suo modo d'agire. Erano queste
considerazioni che gli facevano male, la consapevolezza che lui si
sarebbe comportato allo stesso modo, pronto ad affogare ma impreparato
a cambiare.
Non sapeva dire quanto tempo ci avesse messo per ritrovarsi davanti la
porta di casa, aveva perso la cognizione del tempo già da
giorni a dire il vero, e neanche gli importava, sfilò le
chiavi dalla tasca posteriore del jeans ed entrò in casa.
Ad accoglierlo trovò suo padre in smoking, che appena lo
vide cambiò almeno un paio di volte colore in viso.
“Si può sapere dove sei stato? Non l'avevi smessa
con 'sta storia?” gli chiese lui urlandogli contro non appena
realizzò che il figlio aveva ripreso le vecchie abitudini,
l'odore di erba e alcool e le occhiaie ne erano testimoni
inequivocabili.
“Non sono affari che ti riguardano,” rispose secco
il figlio senza neanche degnare di uno sguardo il genitore e avviandosi
verso le scale, in cerca della sua camera e della sua chitarra; venne
però fermato dal padre che lo costrinse a voltarsi e, con la
mano ancora salda sull'avambraccio del figlio, gli mollò un
sonoro schiaffo in pieno viso, schiaffo che Brian non sentì
ma che anzi gli fece quasi bene, quel formicolio era imparagonabile a
quella distruzione che aveva dentro.
“Sono affari che mi riguardano invece, fin quando ti
distruggi a spese mie,” urlò ancora puntando gli
occhi scuri in quelli del figlio, così simili ai suoi. Ma
quelli del padre trasmettevano ansia e preoccupazione, quelli di Brian
erano beffardi e vuoti.
“Ok, va bene, ora vai che se no mamma si incazza;
divertitevi.”
Svincolandosi dalla presa del padre se ne salì in camera
sua, lasciando il genitore sconcertato e attonito al piano di sotto,
mentre lui si stese sul letto e chiuse gli occhi che gli bruciavano.
Non l'avesse mai fatto, il film della sua vita gli passò
davanti in mille flash e il vuoto dentro crebbe.
Gli occhi si inumidirono di nuovo.
*Love will tear us apart, Joy Division
--- Corner ---
Nuova storia, nuova
collaborazione, nuova avventura!
I propositi sono buoni, bisogna solo sperare che gli esami e i vari
impegni siano clementi e che permettano ad ispirazione e stesura di
proseguire avanti senza intoppi.
Il titolo è tratto da una canzone dei The Pretty Reckless,
Under The Water.
Hope you enjoyed, guys, ogni commento o inserimento tra
preferiti/seguite/ricordate sarà più che gradito!
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