Il primo vagito

di Ghen
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Il primo vagito
 
 
Hanno tenuto duro sempre. Hanno guadagnato, conservato fino all’ultimo, forse rubato.
Hanno fatto di tutto per poter partire; per poter sperare per me un futuro, in una terra che non sarebbe stata quella delle mie origini ma una terra che, forse, mi avrebbe accolto come figlio suo.
Sentivo tutto, ero lì con loro e ammiravo il coraggio di mia madre che nonostante fosse incinta di me, aveva deciso di rischiare tutto, anche la vita, per una speranza.
Si sono messi d’accordo con gente poco raccomandabile e siamo partiti.
Anche io ero partito.
Sentivo il mare e il vento che battevano forte e avevo paura: eravamo lontani, li sentivo gridare, piangere, non c’era più tempo. Non saremmo mai arrivati a destinazione.
Avevo fretta: volevo nascere prima di morire.
Il cuore di mia madre non ce la faceva più e si fermò, straziata dalle doglie e dal fuoco sull’imbarcazione. Ma io nacqui.
Nacqui lì, nel barcone che stava affondando e con l’acqua che riuscì a riempirmi i polmoni al mio primo vagito.
Eravamo collegati noi due fin dal principio e lo saremmo stati sempre. Ci avrebbero trovato insieme, attaccati, in mezzo al mare.
E voi, che state nascendo in questo momento negli ospedali, dite a vostri genitori che sono fortunati:
vi potranno abbracciare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Non ce l’hanno fatta. Non distanti da Lampedusa, di notte, con il mare che li ha inghiottiti. La vittima più piccola stava nascendo e hanno trovato i due corpi attaccati dal cordone ombelicale. Lei aveva poco meno di vent'anni, lui nato di sette mesi. 
Sono morti tanti bambini e tanti adulti, ma lui… non credo dimenticherò mai questa storia.
 




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