You bought a star, because your life is dark.
Questo è un capitolo speciale, è il capitolo dedicato
interamente al compleanno di Eric, che pubblico proprio il giorno del
compleanno di Eric.
Dovevo pubblicarlo per il compleanno di Kyle, ma ho deciso di aspettare
e ampliare, perché originariamente la famosa cena della
scommessa doveva esser molto più breve, unita ad altri eventi,
invece ho ampliato per permettere di aprire la sottotrama dedicata a
Supernatural (serie che era stata nominata per caso nei capitoli
precedenti, e ora che è diventata una nuova ossessione per me
sono contentissima di averla citata, perché porterà a
risvolti importanti), per donare una scena fluff, ma - soprattutto -
per entrare ancor di più nella mente e nel cuore di entrambi,
districando i fili della loro complessa rete di pensieri ed emozioni.
Spero di aver occasione di aggiornare presto il nuovo capitolo, anche
perché - forse - potreste rimaner delusi dalla lunghezza di
questo dopo aver tanto atteso.
Il titolo è preso da una canzone che amo e che trovo particolarmente adatta al Kyman, Buy the stars di Marina & the Diamond.
Che altro dire? Lasciatemi sapere le vostre opinioni e critiche, auguro
a tutti una felice estate, e ai maturandi faccio le mie
congratulazioni, dando appoggio agli sfortunati che ancora devono
sostere l'orale: resistete!
You bought a star, because
your life is dark.
Sono sulla torretta di un finto
castello, hanno abbastanza privacy, circondati da finte torce per far luce al
loro tavolo che - ciliegina sulla torta -
ha un candelabro ad illuminare i loro piatti ancora vuoti.
Sopra le loro teste la luna è quasi piena e il cielo è così limpido da
permettere a tutti di vedere un incredibile panorama stellare.
Kyle non è molto elegante, ma indubbiamente affascinante: non ha il cappello,
ma ha indossato i suoi migliori jeans e la sua miglior giacca, blu, che copre
una camicia candida.
Eric è quello elegante, in fondo è il suo compleanno. Per l’occasione ha deciso
di scoprire la fronte fissando col gel i capelli all’indietro, vestendo con un
completo nuovo, nero, di quelli che non si indossano mai perché sembrano
perfetti solo per le grandi occasioni, tipo i matrimoni. Spezza l’eleganza solo
la camicia bianca, più informale perché sbottonata al collo e di un tessuto più
leggero.
Kyle guarda il menù e a sottecchi guarda Cartman, ha un’espressione così seria
mentre legge il menù, non dimostra quindici anni - nonostante i lineamenti
ancora infantili - sembra proprio un piccolo uomo. Non lo sorprende se le ragazze
delle scuole superiori provano dell’interesse per lui, se avesse qualche chilo
in meno ed un carattere migliore è sicuro risulterebbe più popolare di Kenny.
Non è più grasso, ha una corporatura interessante.
Non è sempre una faccia di schiaffi, così guardarlo non sempre è noioso.
Non è più un bambino e può fare su di lui pensieri adulti.
In questo filo di riflessioni Kyle si rende conto però che c’è qualcosa che
suona strano, qualcosa che si conclude con un improvviso bruciore alla guance
che, sbrigativamente, gli fa portare lo sguardo sulla carta del menù e pensa a
se stesso come un imbecille.
È tutta colpa di Cartman, ogni cosa
è predisposta a far pensare quella cena non come una semplice festicciola tra
amici, ma come un... sì... insomma... inutile girarci intorno: come un
appuntamento galante. Manca solo l’indiano che vende le rose.
“Hai visto qualcosa di divertente?”.
Kyle risolleva lo sguardo, Cartman ha ancora gli occhi puntati sul menù.
“Cosa?”.
“C’è qualcosa di divertente sulla mia faccia?” chiude il menù e guarda serio
Kyle “ho forse dei disegnini di Terrance e Philp?”.
“Sei impazzito?” gli chiede agitato, facendo solo che accennare un sorriso ad
Eric.
“Non sono io quello che sorride come un ebete mentre mi guarda. Forse però
dovrei andare a specchiarmi”.
Kyle si sente morire, come se l’avessero colpito sulla nuca con una mazza
chiodata, è qualcosa di tanto inaspettato che non sa cosa rispondere.
Rimane in silenzio, a cuocere in un vistoso imbarazzo che Eric trova si intoni
ai suoi capelli, finalmente liberi da quel detestabile ushanka.
“Sai Cartman” qualsiasi cosa dica non sarà credibile “le persone normalmente pensano”.
“Giusta osservazione” lo sfotte, ma non così tanto da mandare su tutte le furie
Kyle.
“E su cosa filosofeggiavi Ayn Rand[1]?”.
Kyle vuole obbiettare facendo notare che Ayn Rand è una donna, ma si ferma, sa
già che questo darebbe il via ad una serie di battutine sulla sua vagina. O
meglio, la vagina che Cartman crede ci sia sotto i pantaloni di Kyle.
Cartman è convinto di sentire un commento acido sul fatto che Ayn Rand è una
donna, ma è convinto di sorprenderlo: invece di fargli battute sulla sua vagina
è pronto a dire che quello è un complimento, in quanto apprezza qualsiasi
sostenitore dell’individualismo, anche se ebreo.
Si sorprendono entrambi però nel momento in cui Kyle decide di ignorare il suo
commento.
“Filosofeggiavo sul fatto che tutta questa situazione è ridicola. Hai sprecato un
obbligo per offrirmi la cena”.
“Faccio quel che voglio dei miei obblighi, Kahl”.
“Stai macchinando qualcosa”.
“Oddio...” sospira portando gli occhi al cielo “...il bicarbonato Kyle”.
“Eh?” cade nella sua trappola come tutte le volte.
“Non te l’hanno mai detto che quando la tua vagina è irritata devi usare il
bicarbonato?”.
Kyle ne avrebbe di risposte acide da dare, ma un cameriere si avvicina e chiede
se hanno deciso per le ordinazioni. Ovviamente Cartman sì, ed inizia il suo
lungo ordine risultando irritante.
Kyle lo guarda con fare altezzoso, è un idiota ed è l’unica cosa che riesce a
pensare ossessivamente vedendolo.
Idiota, idiota, idiota... perché lo
mette in imbarazzo, perché è uno stronzo, perché rovina qualsiasi momento di
calma, perché è snervante, perché sta ordinando per se l’equivalente di una
cena per quattro persone, perché... è assolutamente irrazionale ed infantile!
Potrebbe essere un ragazzo rispettabile, ha potenziale, molto - a volte anche
troppo per Kyle - e mai che lo sfrutti. Vorrebbe capire, ma non capisce, come
non comprende perché sia diventato così familiare al suo inconscio.
Pensa siano gli ormoni, non trova altra spiegazione, perché non sa neanche per
quale motivo lo guarda intensamente mentre dice idiozie al cameriere, trova
però piacevole vederlo esprimersi con serenità e pensa che sarebbe fantastico
se fosse sempre così, così... normale.
Fantastico? ...aspetta, forse ha
usato troppo entusiasmo! Non è il termine giusto, il termine giusto sarebbe...
sarebbe...
“Cosa desideri ordinare?”.
Il termine giusto per non risultare
entusiasta.
Guarda nel panico il menù e poi guarda
il cameriere, totalmente disorientato.
“Posso consigliarti come primo piatto delle fettuccine con funghi, come secondo
una nostra specialità, filetto di cervo e mirtilli, accompagnato come contorno
da un purè di patate o un’insalata. Ti consiglio particolarmente quella al
radicchio”.
Tutto molto europeo, sono cibi e sapori che non sa se può gradire, ma non è
nella facoltà di contrariare il cameriere o scegliere qualcosa di diverso.
“Va... va bene” mormora simulando entusiasmo, forzando un sorriso.
“Purè o insalata per contorno?”.
“Vada per l’insalata che mi ha consigliato”.
Eric lo guarda come fosse un alieno. Insalata?
Sul serio?
Però è molto da Kyle e questo lo fa sorridere: Kyle è sempre fedele a se
stesso, è una caratteristica dell’ebreo che lo fa sentire bene, lo mette a suo
agio e nutre costantemente il suo sentimento.
“Alla fine l’insalata c’è sempre”.
“Che vuoi dire?”.
“Che sei tale a quale ad un criceto, proprio come quelli che piacciono a
Craig”.
“Porcellini d’India” lo corregge.
“Sei un porcellino d’India Kahl?”.
“Intendevo che sono i porcellini d’India che piacciono a Craig”.
“Criceti, porcellini d’India... che differenza! Ma tu non piaci comunque a
Craig”.
“Non è vero! Perché dovrei non piacergli?” ad Eric piace il modo in cui
aggrotta la fronte in segno d’irritazione, gli piace la linea delle sopraccigli
in quel momento e gli piace il modo in cui lo guarda, i suoi occhi verdi sembrano
diversi quando si arrabbia, sa che è solo un gioco della sua mente, ma gli
piace pensare che dal verde intenso, diventino più chiari, come l’erba baciata
dal sole; si, ad Eric piace pensare che il suo modo di prenderlo in giro lo
illumini.
“Kahl, stiamo parlando di Craig: a lui non piace nessuno. Fa eccezione Token,
perché è ricco, Tweek perché con i suoi disturbi gli fa credere di essere meno
strambo e Clyde perché... beh, da quando l’ho paragonato a lui, sta cercando di
vedere del positivo per non sentirsi un totale coglione. Forse ha anche una
cotta per Clyde, anzi, sicuramente”.
Kyle riflette su quello che ha detto, può sembrare un po’ crudele, ma non pensa
che sia un profilo sbagliato.
“Forse hai ragione”.
“Così mi deludi, tesoro” lo canzona derisorio. Kyle cerca di ignorare
quell’inopportuno tesoro, ricordando
che è solo uno dei tanti modi per irritarlo e per aver nuovi spunti per
prenderlo in giro.
“Forse avrai anche ragione su Craig, ma io mi preoccuperei di te stesso,
piuttosto che pensare agli altri”.
“Ma io mi preoccupo sempre per me stesso”.
“Sì, certo, nel modo più nocivo”.
“Sei solo invidioso perché sono fico”.
“Non sei fico! Tutti ti odiano!” non dovrebbe - e non vorrebbe - dire una cosa
simile proprio il giorno del compleanno del Culone, ma non la sua affermazione
non è volta ad offendere, piuttosto a farlo scendere dal suo Olimpo di
autocompiacimento.
“Non è vero, e lo sai. Devo presentarti qualche ragazza per ricordartelo?”
ghigna, sapendo d’aver il coltello dalla parte del manico.
“Lo farei, credimi, ma non potrei perdonarmi poi delle conseguenze per il
povero Stan. No, non farei mai qualcosa di tanto crudele a Stan” e Kyle sta per
dire qualcosa in proposito, ma si ricorda del discorsetto sullo Style fatto da Eric.
Se solo sapesse che ha preparato una t-shirts con su scritto I’m in love with Style... ma i tempi non
sono ancora maturi perché l’ebreo ne venga a conoscenza.
“Cartman, io ti odio!” scandisce acido, non toccando minimamente Eric.
“Anch’io ti odio ebreo. Come diresti tu, con
tutto il mio cuore” si morde l’interno della guancia per non scoppiare in
una sonora risata. Col cuore, certo, l’organo che per eccellenza secondo la
letteratura e la filosofia, è la culla di sentimenti romantici.
Eric, a differenza di Kyle, non ha problemi a dirlo sapendo il suo reale
significato; a Kyle appartiene già il suo cuore, il suo cervello, le sue
viscere e soprattutto, nel concreto, uno dei suoi reni. Vorrebbe tanto che gli
appartenesse concretamente anche il suo prezioso amichetto tra le gambe, è
convinto che a Kyle non dispiacerebbe fare la sua conoscenza, sarebbe
disgustato all’inizio, farebbe l’acido, ma poi gli piacerebbe, eccome...
Fortunatamente arriva il cameriere con le bevande a spezzare l’incanto, o
avrebbe rischiato di perdersi in fantasie impronunciabili sulle mani, la bocca
e - soprattutto - sul bel culetto di Kyle. C’è tempo e luogo per ogni cosa, ma
non è quello il momento. Ha un dibattito da vincere, dopo un bel bicchiere di
Coca Cola.
“Non c’è solo odio tra noi Kyle, e lo sai. Non saremmo qui altrimenti” gli fa
notare con molta calma, mettendo maleducatamente i gomiti sul tavolo e facendo
incrociare la mani, che diventano un morbido appoggio per il mento.
“Ah sì? E io che pensavo fossimo qui proprio per questo, per i tuoi stupidi
obblighi”.
“Andiamo Kahl, fare l’idiota in questo modo non ti si addice. Ci conosciamo da
sempre e da sempre condividiamo un sacco di merda e di stronzate e cose che
vorremmo non ricordare, eppure... sei qui, siamo qui e - nonostante detestiamo
ammetterlo - ci divertiamo insieme. Abbiamo bisogno di queste stronzate,
entrambi, è... quasi un bisogno affettivo e... no, non fare quella faccia,
siamo soli dopotutto, perché non essere onesti? Noi andiamo d’accordo, e le
cose funzionano tra noi perché soddisfiamo i nostri peggiori bisogni quando
siamo insieme. Ci capiamo, la cosa funziona odiandoci cordialmente e...
nascondendo - anche piuttosto male - che c’è dell’altro”.
Non c’è ironia neanche sulla punta della sua lingua; nessun veleno, nessuna
presa in giro, gli occhi non ricordano neanche quelli di un rettile, le fiamme
del candelabro mostrano uno sguardo che non nasconde nulla, sono del colore e
della dolcezza del miele e sono persi nella contemplazione di Kyle.
È quello il vero Eric Cartman?
È la persona che lo sta guardando in quel modo imbarazzante, che lo fa sentire
nudo e fragile?
...Se solo fosse vero...
Ha una postura composta Kyle e il suo volto, dopo aver lanciato un’occhiata
severa a Cartman, non ha più tradito alcuna emozione.
La schiena aderisce perfettamente allo schienale, il suo corpo tiene una certa
distanza dal tavolo, può tranquillamente incrociare le braccia (per nascondere
i movimenti nervosi delle dita), e sembrare calmo, sembrare indifferente.
Anni di guerra aperta con Cartman gli hanno insegnato a difendersi, ad
indossare maschere.
Ma oltre le barricate di fredda indifferenza c’è il terremoto, c’è un mondo di
fiumi di lava che si scontrano, ardono, si sciolgono e aspettano solo di uscire
dal cono vulcanico, esplodere, toccando il cielo.
Il Cartman che ha davanti è sincero? Oh, nessuno meglio di Kyle lo sa, Cartman
è il libro aperto, pieno di sottolineature, note al margine, pagine ingiallite,
il libro aperto della materia che più odia e in cui va maledettamente bene, promosso
a pieni voti.
Il Cartman davanti a lui è sincero, per questo gli fa paura e per questo fugge
dal discorso.
“Va bene, ho capito, niente convenevoli: passiamo ai fatti!”.
‘La parte in cui io e te facciamo sesso
selvaggio in bagno?’ perché questi sono i fatti, no? E ad Eric collassa la
mascella al pensiero. Si illude, sa di illudersi, ma ne ha bisogno, sempre,
perché i suoi sentimenti sono difficili da gestire.
Fortuna vuole che prima che il suo pensiero corra ai dettagli di un Kyle senza
vestiti, il protagonista dei suoi filmini mentali (e, incredibilmente, non
sempre porno!) lo stupisce tirando fuori un pacco regalo. La mascella è ancora
debole.
“Mi hai fatto un regalo?”.
“Non fingere di essere stupito. Te lo aspettavi in fondo”.
“In realtà no”, ma proprio no.
Carta lucida rossa, una piccola coccarda blu, dimensioni rettangolari, Eric tra
le mani studia il pacco, cercando di indovinare prima di scoprire. Ha le
dimensioni di una scatola di scarpe, ma non sono scarpe, è più leggero. Una
qualche edizione speciale di un videogame o DVD? No, non gli farebbe mai un
regalo tanto costoso, né che lo renderebbe tanto felice. Potrebbe essere un
libro, è un dono che si addice al suo profilo, alla sua supponenza, ma il peso
non corrisponde neanche questa volta. Lo rigira ancora tra le mani, ma nulla
gli sembra plausibile e si arrende dunque al lasciarsi sorprendere: spera solo
che Kyle lo abbia sorpreso in positivo.
Bastano tre strappi, senza alcuna cortesia, perché quegli occhi si illuminino
di stupore: sono delle cuffie, non cuffie qualsiasi, delle cuffie di cui aveva
parlato mesi prima, che desiderava tanto per il loro design - Kyle ne ha scelte
un paio a tema ‘sistema solare’- e per la riproduzione del suono. Può usarle
per il lettore musicale e per il pc, può star sicuro che non si guastino
facilmente i cavi, può usarle contro il freddo al posto del cappello tanto sono
spesse e comode; Eric non le aveva comprate prima perché nessun colore lo aveva
soddisfatto, ma il design scelto da Kyle con quella scala di blu, è meglio di
quel potesse chiedere.
“Cavoli ebreo, credo proprio che devo ringraziarti”.
“Potresti farlo semplicemente non chiamandomi ebreo”.
“Non potrei mai, ti sta troppo bene come soprannome”, ma con quelle parole non
vuole provocarlo, è il suo modo di essere affettuoso e Kyle lo sa, per tanto
non risponde. Lo sguardo avido sulle confezione, labbra ed occhi che sorridono,
sono il chiaro segno di un regalo più che apprezzato; di norma Eric si sarebbe
comportato fingendo di non gradire, ma se non provava neanche a recitare il
ruolo dell’insoddisfatto qualcosa doveva significare e Kyle può gongolare
interiormente per esser riuscito a comprare il suo buonumore e assicurarsi un
docile e poco irritante Eric Cartman, il quale - trascinato dall’entusiasmo -
intraprende la lettura tutte le funzioni extra delle cuffie, mentre Kyle ripete
ad ogni fine frase “lo so”.
Prima di comprare un regalo Kyle si fa sempre lo scrupolo di informarsi su ogni
caratteristica dell’oggetto in dono, è nella sua natura di secchione e pignolo,
è il suo modo di dimostrare prima a se stesso (e poi agli altri) quanto sa
essere un buon amico. Sì, si può dire che è una forma di vanità la sua.
L’entusiasmo di Eric per le cuffie viene frenato da un nuovo entusiasmo, l’arrivo
dei primi piatti, fettuccine con funghi per Kyle e fettuccine anche per Eric,
ma al sugo, con carne di cinghiale; e altri due primi piatti lo attendono,
perché ha voluto fare le cose in grande e non deve salvare spazio per il dolce.
Liane ha preparato una torta per lui iniziata a colazione, con lei, e per Eric
è la torta più buona del mondo e non
vuole tradirla con altri dolci. Dopotutto il suo dessert è Kyle.
Per il resto della cena, tra commenti gastronomici e le classiche battute al vetriolo,
nessun conflitto, nessun imbarazzo si palesa e questo scalda il petto di Eric
che può godere dei vari aspetti di un Kyle rilassato, totalmente rilassato,
quel Kyle che non si concede quasi mai a lui e che sogna costantemente.
Il Kyle rilassato è in grado di sorridergli, sinceramente, con dolcezza; ha le
spalle basse, non assume posizioni rigide, si sente libero di assumere la
posizione che preferisce, mettere i gomiti sul tavolo e non pensare troppo. Non
pensa a come difendersi dalle battute di Cartman, non pensa che ci sia un
secondo fine da parte dell’altro, lo segue a ruota libera, senza offendersi per
un “ebreo”, riuscendo a far autoironia di se e a considerare aspetti positivi
in Cartman, riesce a fare complimenti (mai troppo espliciti) su quelle che sono
le reali qualità di Eric, perché Kyle non riesce mai a nascondere troppo bene
che lo trovi divertente, che si diverte con lui, perché può capire le sue
passioni nerd, da quelle fantasy a quelle fantascientifiche. Condividono serie,
personaggi, scene preferite, battute... se non fosse per divergenze politiche,
morali, e filosofiche che li portano ad azzannarsi come squali, potrebbero
davvero essere loro i due super migliori amici. Ma, dopotutto, ad Eric va bene
così, anche se vorrebbe più spesso un Kyle così sereno e affabile, non
rinuncerebbe mai alla sua nemesi con la sabbia nella vagina.
Kyle inoltre, ai secondi piatti, tira fuori inconsapevolmente quella sua
qualità che è sotto il naso di tutti, ma che nessuno sembra comprendere e
apprezzare davvero. Vedendo davanti a loro della carne bella che al sangue,
senza una reale ragione, Kyle inizia a parlare dell’etica della macellazione e
della battaglia personale fatta da una ragazza autistica negli anni Settanta
per introdurre una morte serena agli animali destinati al macello. Eric lo
troverebbe un discorso lungo, noioso, da hippie, ma Kyle ha il potere di
raccontare le cose in modo avvincente e che mai si rivela noioso; Eric inoltre
ama questo suo essere a suo agio in ogni conversazione, sapere sempre qual è il
termine giusto, saper fare citazioni corrette e incatenare tra loro più
argomenti di varia natura. Kyle è brillante, è il cervello più sexy che abbia
avuto modo di conoscere, è un secchione, eppure nessuno avrebbe il coraggio di
prenderlo in giro per questo, per via del suo carisma; ha solo quindici anni
Kyle, ma la sua cultura non sembra adeguata alla sua età, e questo perché Kyle
non frena mai la sua sete di conoscenza. Gli piace leggere, libri, saggi,
articoli di giornale... ogni giorno è informato sull’attualità, e potrebbe
parlare per ore ed ore di un qualsiasi tema, perché non c’è una materia in cui
sia realmente ignorante, Kyle è aperto a conoscere tutto, è instancabile, ed
Eric ammira molto questo suo aspetto e per questo lo lascia parlare, anche perché
sa che non sta parlando con l’intenzione di risultare il saputello della
situazione, Kyle entra in certi argomenti quando si sente davvero toccato da
certe tematiche, parla non per vanità, ma per passione, lo si può leggere dai
suoi occhi che hanno una luce diversa in quei momenti e che riescono a spegnere
le attenzioni di Cartman per concentrarsi solo su di essi.
Eric non ha dunque idea di come dall’etica da macello, sia arrivato a parlare
di antropologia culturale (sa a malapena cos’è) nell’arco di dieci minuti; in
un secondo momento però si informerà su ciò di cui Kyle ha discusso, perché
Kyle è uno stimolo per portare le sue attenzioni sul mondo, è uno stimolo che
lo porta ad aprire i libri, per tentare di capire cosa pensa e - spesso - per
trovare un’antitesi alle sue argomentazioni.
Se solo Kyle si rendesse conto di quanto Eric lo ammiri per la sua cultura...
tuttavia tace, gli sembra la cosa più giusta e logica da fare, e spesso stare
in silenzio in presenza di Kyle non è così spiacevole, specialmente quando i
suoi occhi bruciano di passione.
“Cartman? ...Cartman?” e bruciano così
tanto che riescono a scottare a volte e a farlo perdere, estraniarlo da ogni
cosa per poter godere solo della loro superficiale bellezza.
“Mi stai ascoltando?”.
No, non realmente, ma non vuole rovinare il momento, non lo rovinerebbe per
nulla al mondo.
“Ehm... sì, cioè, è che quando hai parlato del ‘mangiamo quello che siamo’, mi è venuta in mente una cosa legata a
una serie...” e tenta di pensare a una serie che Kyle non segue, ma che ha un
lontano collegamento con quella frase.
“Hannibal?”
“No” ...cazzo!, si maledice per il
suo spirito di contraddizione. Gli risulta sempre difficile dare una risposta
affermativa a Kyle, soprattutto se la sua mente è su altri lidi.
“ecco...” cerca di pensare a che giorno è, è Martedì, e quali sono le serie del
martedì che segue durante l’anno che possano essere collegabili con...
“Supernatural!” che fortunatamente sa Kyle non segue.
“Supernatural?”.
“Sì, beh, per alcuni episodi... ci sono dei mostri, leviatani si chiamano, che
mangiano le persone ed assumono la loro identità e fanno abbastanza schifo”.
Al termine leviatano, Kyle vorrebbe dire che i leviatani sono creature bibliche
- mostri marini per l’esattezza - presenti nell’Antico Testamento che
rappresentano il Caos primordiale, nonché la forza di Dio, ma portare
l’argomento su ‘tematiche ebraiche’equivarrebbe a rovinare la serata, per
questo tace, non capendo esattamente cosa intenda con leviatani. Ma può ricollocare benissimo l’argomento a Thomas
Hobbes.
“Credo si siano ispirati per lo più alla filosofia che alla mitologia gli
sceneggiatori, se per loro quelli sono i leviatani”.
“Cioè?”.
“Penso si siano ispirati al Leviatano
di Hobbes, a quanto mi dici. Hobbes intende lo Stato come Leviatano, la cui identità è definita dall’insieme dei cittadini,
un grande corpo le cui membra sono i cittadini”.
Ha sentito nominare Hobbes Cartman, ma non l’hanno ancora studiato, non è
idoneo alla loro età e per tanto non può che commentare con un “oh” le parole
di Kyle che, ancora una volta, lo spiazza e lo ammira, in modo quasi doloroso
perché sente una sofferta distanza tra di loro.
“Beh... è interessante questa interpretazione. Desideravo già da un po’
recuperare questa serie. Ricordo d’aver visto le prime stagioni, anche se
ricordo giusto il nome dei protagonisti” e nel dirlo non può che pensare d’aver
mentito a Lola per impressionarla. Si sente stupido ad averle detto quelle
cose, ma non era esattamente una bugia: lui ha visto le prime due serie, le
ricorda poco - non le ricorda per niente -, quindi non era una vera bugia, no?
“Chi è Misha?” domanda a Cartman, ricordando di aver sentito Lola parlare di un
certo Misha, e di aver fatto il suo nome in diversi stati su Facebook.
Un po’ vorrebbe essere Misha anche lui.
“Misha Collins è l’attore che interpreta Castiel, è il fid- cioè... l’angelo di
Dean. Perché?”.
“Curiosità,” mente, “tutti ne parlano”.
“È un bel personaggio, non il mio preferito, ma simpatico. Per lo più piace
alle ragazze, sai per i loro problemi vaginali e...” ma si blocca in tempo,
temendo che Kyle la prenda sul personale. Magari gliel’ha chiesto perché a lui
piace, non crede alla scusa della curiosità.
La domanda, la vera domanda è: a Kyle potrebbe davvero piacere un uomo?
Escludendo qualsiasi cosa platonica che può esserci o non esserci tra di loro,
potrebbe essere attratto da lui?
Il lato narcisistico di Cartman annuirebbe con decisione, ma una vocina si
insinua nella sua testa e semplicemente averlo davanti lo intimorisce e il suo
narcisismo subisce un duro colpo, diventa debole, insicuro e preferisce tacere
sul responso.
“Non capisco perché tutto questo accanimento verso le ragazze”; Kyle non è di
malumore, per fortuna non se l’è presa per la risposta sessista.
“Perché penso sia molto più sessista pensare il contrario, pensare che non
esistano ragazze come Kenny. Sono come noi, fanno la cacca, son ricoperte di
peli, ruttano, ed è perfettamente normale che si facciano certe fantasie su
persone che a loro piacciono, come che si tocchino per soddisfare queste
fantasie”.
Kyle sa che non dice una cavolata, ma tenta di scacciare il pensiero che Lola
sia così, vuole vederla diversamente, vuole credere sia diversa.
“Non tutte sono così”.
Eric è scettico “può darsi” gli concede.
“Esistono ragazze come Kenny e...
possono esistere ragazze come Butters”, l’innocenza ed il candore fatto
persona.
“Io credo che tu non conosca realmente Butters, ma sì, può darsi” manda giù due
bocconi di bistecca e poi si ferma a guardare con malizia Kyle.
Lo confonde, l’ebreo non è certo di quello sguardo, ma non appena vede un
sorriso palesemente malizioso non può che reagire.
“Che c’è? Perché mi guardi così?”.
“Hai fatto l’esempio di Butters” gongola quasi nel dirlo, puntando i gomiti sul
tavolo e unendo le mani per far accomodare il mento.
“E allora?” Kyle non capisce non dove vuole andare a parare.
“Se hai usato Butters come esempio significa che non sei così puro ed
innocente, Kahl”.
Una doccia fredda di vergogna colpisce Kyle. “C-che centro io? Era solo un
esempio!”.
Eric annuisce e poi indaga: “chi c’è nei suoi sogni Kahl? Un angelo, oppure sei
sedotto da qualche demone?”.
Demone.
Lo sguardo indagatore e malizioso da rettile, è lo sguardo del Cartman che lo
visita nei sogni. Anzi, incubi, sono incubi ripete mentalmente.
È decisamente un fottuto demone.
“Fottiti Cartman! Non faccio quel genere di sogni” il Kyle acido è tornato e con
le guance colorate è più adorabile del solito, ignora quante farfalle fa
svolazzare nello stomaco di Cartman.
“E tu che ne sai? Il fatto che Freud fosse ebreo non determina che tu sia un
genio della psicanalisi e conosca il tuo inconscio”.
“No... non... beh sicuramente non mi faccio fantasie simili!”.
“Neanche su Stan?”.
“Neanche su S- ...cosa c’entra Stan?” quando coinvolge Stan nelle sue idiozie
vorrebbe strozzarlo e prenderlo a calci contemporaneamente, gli da fastidio
come se parlasse di Ike, in fondo Stan è come un fratello per lui.
“Non sono io il suo fidanzato, Kahl”.
Non capisce davvero perché sia tanto fissato con questa storia. Delle volte ha
creduto che fosse geloso, geloso per il fatto che non avesse un’amicizia così
intima, ma... Kenny - nonostante le apparenze - è una persona profonda, con cui
si può parlare di ogni cosa, che non giudica mai, che li sopporta (a volte fin
troppo), mentre lui ha problemi grandi come grattacieli e mai si lamenta,
piuttosto è autoironico per sdrammatizzare. Kenny è un amico meraviglioso, e lo
stesso potrebbe dire di Butters, anche se non riesce a figurare lui ed Eric
migliori amici, è un rapporto troppo imparziale e dispotico per certi versi.
Che sia geloso piuttosto perché vorrebbe Stan fosse il suo miglior amico?
Scuote la testa, gli sembra una follia, perché allora dovrebbe esserci Stan al
suo posto e... un campanello suona nella sua testa.
Non... non può credere che Cartman vorrebbe essere il suo miglior amico.
“...mi chiedo cosa dirà se sa che sei qui e l’hai tradito. Insomma, gli hai
mandato un sms scrivendo che avevi da fare, che eri malato o cosa?”.
Fumo diventano i pensieri di un Kyle esasperato.
“Dannazione! Cosa c’è che non va in te Cartman? ...gli ho scritto solo che non
potevo essere su Skype perché avevo da fare”.
Eric si sforza per non ridere.
“Quindi gli hai nascosto dove sei e cosa stai facendo”.
“Non gli ho nascosto nulla!” non è semplicemente entrato dei dettagli perché
certo che Stan gli avrebbe fatto una valanga di domande sul perché e per come
Cartman volesse festeggiare solo con lui e... cosa avrebbe dovuto dirgli?
“Sei stato vago e non gli hai detto la verità” constata Eric per poi farsi più
malizioso abbassando il tono di voce; l’atmosfera notturna, con le sole luci
delle fiaccole, giova ulteriormente allo scopo di Eric: “l’onesto ed innocente
Kahl, è tutt’altro. E chissà quali recondite fantasie ti sei fatto”.
“Che diamine stai...”
“E forse dovremmo realizzarle...” non finisce neanche la frase che lascia alla
pausa verbale l’azione. La punta della scarpa destra di Eric incontra quella di
Kyle, per poi languidamente strusciarsi sul lato, salire, lentamente, su per la
caviglia e fermarsi per poter contemplare lo choc di Kyle.
Non lo respinge Kyle, diventa di ghiaccio, il calore si concentra tutto in una
sola nascosta zona.
In pochi secondi corrono sulla sua pelle brividi che non credeva potesse mai sentire.
Le chiacchiere sui sogni, sull’innocenza, quell’approccio... Cartman sa. Sa dei
suoi sogni delle sue fantasie, probabilmente - come quando era bambino - è
entrato nella sua camera, ha intuito qualcosa, visto quel che non doveva vedere
e il suo compleanno è solo un’imboscata, la storia degli obblighi solo una
farsa. Cartman ha dei progetti per lui, sfrutterà la verità per il suo piacere
(nel senso più ampio del termine) e ha deciso di iniziare dalle più innocue
molestie, per poi... poi passare a qualcosa di più intimo e umiliante.
La sua vita è fottuta, fottuta per sempre.
Gli fa male pensare a come peggioreranno le cose, eppure è soggiogato dal
piacere. Se il suo piede salisse e decidesse di strofinarsi contro il cavallo,
lui aprirebbe semplicemente le gambe, senza respingerlo. Lo troverebbe
umiliante, sarebbe disgustato da se, ma lo pregherebbe di andare fino in fondo.
E quando sente che la punta della scarpa sale verso il ginocchio, la bocca si
schiude leggermente e sta per aprire le gambe, ma Cartman si ferma.
“Oh signore, ebreo! Sei ancora più ingenuo di Butters. Per favore, non metterti
a piangere, stavo solo scherzando!” non ha empatia Eric, ma gli occhi lucidi di
Kyle lo hanno fermato. Lo sta facendo sentire quasi in colpa per uno stupido
scherzo; era convinto che Kyle gli tirasse un calcio o gli urlasse contro, non
che rimanesse freddato dallo choc assumendo un’espressione adorabile da bimbo
molestato. Quella è l’espressione di Kyle nei suoi sogni dopo che ha fatto un
servizietto alle sue palle, non quella che si aspetta nella dura realtà.
Se solo sapesse quanto è dura la realtà di Kyle, in quel momento, tra le sue
gambe.
“Tu... razza di... “ scandisce lentamente le parole Kyle, in lui crescono
violente e contrastanti emozioni. Da un lato rabbia e dall’altro frustrazione,
con le loro sfaccettature.
È pronto ad urlare insulti, ma quando tenta di alzare la voce pronunciando la
quarta parola della sua frase, come quando era bambino, si ritrova davanti la
sua forchetta che volteggia con un pezzo del filetto di cervo; non ha neanche
notato quando Cartman l’ha presa, ma il gesto blocca ogni suo intendo di urlare
e, nel momento di distrazione, viene imboccato.
Cartman ha imparato dalla sua stessa lezione.
“Mangia o si fredda, Kahl” la carne non è fredda, ma sicuramente la reazione di
Kyle è stata freddata ed Eric ritorna a Kyle la forchetta. E gli concede anche
un sorriso genuino: Kahl lo conosce così bene, eppure cade sempre nei suoi
scherzi, è qualcosa che trova adorabile, che lo spingerebbe a spinger via il
tavolo per abbracciarlo e dirgli cose del tipo ‘adoro il mio piccolo mostro, la mia meravigliosa creatura’, già,
come fosse stato lui a farlo nascere. Un po’ è vero, senza di lui Kyle non
sarebbe quello che è, Cartman lo sa, ed è una delle poche cose che lo rende
fiero di se, il fatto che Kyle lo contraddica come voglia, che sia lì, come sua
coscienza, come sua salvezza, nonostante sia totalmente ignaro di quanto è
importante, di quanto sia ossigeno per lui; non importano le parole acide, il
letame verbale che gli lancia dolorosamente contro è concime per quanto
spiacevole, e dal concime nasce qualcosa di buono. Eric sa che può essere
migliore, ed anche Kyle lo sa, e forse in quel frangente gliene sta dando prova
essendo riuscito a far tacere ogni polemica.
Il ragazzo ebreo in verità è confuso, piacevolmente confuso, per questo non
ribatte, abbassa lo sguardo e mangia, tentando di ignorare un vile sfarfallio
allo stomaco, un vortice confuso di eccitazione ed imbarazzo, perché quando
quel Culone lo risparmia da se stesso e le sue crudeltà, allora qualcosa non
va, è una sensazione così bella - forse fin troppo - da sembrare sbagliata;
Kyle ha ormai decretato infatti da tempo che è un male se Cartman lo fa stare
bene.
Non deve farlo stare bene e non lo deve imbarazzare.
Non lo deve spingere a guardarlo troppo intensamente.
Non deve sorridergli.
Non deve essere gentile.
Non deve fargli desiderare che siano qualcos’altro. Neanche per pochi istanti
deve pensarlo.
Invece... invece... ci sono tanti punti di sospensione tra un pensiero
delirante e l’altro, immagini per lo più.
Sospensioni che sono sospiri mancati, bocconi in più per Cartman tornato al suo
piatto, sguardi alzati al cielo e alle stelle. Sembrano così luminose in quel
punto di County Park.
“Sei ingiusto” si concede di dire, imbarazzandosi subito per questa sorta di
confessione, per questa debolezza... “ti faccio un discorso serio, lo eviti, mi
adatto e finisco a fare i conti con le tue idiozie!”.
Eric non si sente per niente in colpa, ma ha tutta l’attenzione su Kyle.
“Volevo trattarti da persona matura, so che quando vuoi sai... puoi esserlo!
Invece devi trovare il modo di far uscire il peggio dagli altri. Perché?”
domanda con frustrazione e sincero desiderio di capire.
“Far uscir il peggio dagli altri... uhm... esattamente ora come avrei fatto
ciò? Voglio dire, ti ho fatto un complimento”.
“Quale complimento? Tu non fai complimenti!”.
Lo ferisce un po’, ma Eric evita di mostrare alcuna debolezza, concedendosi
solo un tono inquietantemente calmo.
“È la tua versione. Perché non vuoi notare ciò che non rafforza i tuoi
pregiudizi, le tue difese...” e lo scandisce, per esser sicuro ch Kyle legga
tra le righe.
“Sono stato chiaro: ritengo che tu sia più ingenuo di Butters e... non in senso
negativo” abbassa lo sguardo, “perché ti ritengo più... innocente, puro se
vogliamo. Ti... ti ritengo fin troppo una brava persona insomma”.
Kyle apre la bocca incredulo, vorrebbe contraddirlo, o dire qualcosa di
significativo, ma l’imbarazzo gli impone il silenzio e uno sguardo verso il
basso. Si sente in colpa per la sua costante durezza e perché non è esattamente
come Cartman lo immagina; non è affatto ingenuo, non è affatto puro, a volte
gli è anche difficile guardarsi allo specchio.
“...un grazie può essere sufficiente” suggerisce Eric con un filo di voce.
Kyle ha un altro suggerimento però: “facciamo che l’ho già detto?”.
Eric si sente magnanimo, è un giorno speciale e non solo perché è il suo
compleanno, è riuscito ad essere onesto con i suoi sentimenti e ad avere
qualcosa che somiglia ad un appuntamento galante con Kyle, un Kyle bellissimo,
che gli ha sorriso, che ha scherzato con lui, e che rafforza la verità a cui si
è arreso da anni: lo ama, lo ama follemente, lo ama perdutamente e, per tanto,
lo ha in pugno.
“Facciamo che l’hai già detto”.
*
Molti dei suoni della notte a County Park sono sconosciuti o rari, estremamente
rari, poiché congelati dal gelo per quasi tutto l’anno: la notte ha silenzio in
montagna.
A Kyle il silenzio piace, ma a volte è alla ricerca di qualcosa di più,
vorrebbe che quel mondo fosse diverso.
Il canto dei grilli non è melodioso, ma conquista Kyle che sembra avere
orecchie solo per loro, mentre avanza al chiaro di luna, col naso puntato verso
le stelle. Eric, uscendo dal finto castello, mette la ricevuta nel portafogli,
camminando tra le alte torce che illuminano l’ingresso del locale; sua madre
sarà lì in un quarto d’ora, appena arriverà a casa ci sarà un’altra fetta di
torta ad attenderlo, eppure non è un dono così ghiotto come Kyle avvolto nella
notte.
Non si avvicina, preferisce osservarlo, c’è qualcosa di puro e dolce in quel Kyle
che sorride sotto il manto stellare,
come se esse riportassero un messaggio divertente per tutta l’umanità che le
osserva. Silenzioso prende il cellulare e scatta una, due... quattro foto, e
sorride anche lui: ha un immagine preziosa che potrà guardare quando tutto
andrà male. La notte gli ha fatto un bel dono, probabilmente perché conosce i
suoi incubi e i suoi sogni. Si avvicina, tenendo il cellulare basso, sentendosi
un po’ colpevole di entrare in quello spazio, perché Kyle perderà il sorriso
probabilmente, ma non vuole che il firmamento celeste gli rubi quella che per
lui è la stella più bella; l’ha pagato il suo tempo, rischiando tutto, ed ora
lo pretende ancora, soprattutto ora che sono lontani da un tavolo che li
costringe seduti.
Si avvicina e Kyle lo nota, assumendo un’espressione neutra, e prima che possa
dire qualsiasi cosa gli porta un braccio intorno alle spalle e alza il telefono.
“Selfie!” dichiara scattando. Quando vede il risultato però non ne è
soddisfatto: Kyle era del tutto pietrificato e con la peggior espressione che
poteva assumere.
“Che palle Kyle, perché non sorridi? Rifacciamola!”.
“Non... non voglio! E non posso sorridere a comando” si agita, nascondendo il
vero motivo: non si aspettava quell’approccio da Cartman.
“Guarda in alto, così vedi le stelle e sorridi”.
Kyle prova imbarazzo, l’ha visto sorridere al cielo come uno scemo. Fortunatamente
gli ha risparmiato una qualche battuta derisoria.
Eric si avvicina per una nuova foto, ma Kyle si allontana; sa che sta facendo
lo stronzo, ma non vuole quella foto, perché sa la pubblicherà su Twitter o
Istantgram e Stan gli farà un sacco di domande in proposito e... lui ha ancora
in testa il fatto che hanno mangiato alla luce di un candelabro.
“Oh, andiamo Kyle, è solo una stupida foto”.
“Appunto...”.
“Una stupida
foto il giorno del mio compleanno e... è quasi mezzanotte” e quasi disperato
nella sua supplica “voglio solo un ricordo”.
“...con me?”.
“Certo, Kahl, con te. Non mi sembra d’aver invitato altri e che ci siano altri
qui intorno!”.
“Va bene” si arrende avvicinandosi, ignorando l’imbarazzo di averlo così
vicino, così elegante e così... beh, qualsiasi cosa sia a cui non vuol dare un
nome.
Questo fa sorridere Eric come un bambino, ma solo per poco, notando dallo
schermo che Kyle non sorride.
“Sorridi!”.
“Non ci riesco a comando!”.
Eric sospira, ma non si arrende, passa al metodo estremo. Dal fianco di Kyle,
scivola dietro di lui, il braccio che tiene il telefono cinge appena la spalla
di Kyle per portarsi in avanti, alla giusta distanza, mentre la mano libera
raggiunge il lato opposto del volto di Kyle per tirargli la guancia e
costringerlo a fare qualcosa che somigli a un sorriso.
Kyle si dimena come un pesce a quel contatto, sta invadendo troppo il suo
spazio personale, la schiena è contro il torace di Eric e la testa fin troppo a
fianco la sua, quasi guancia contro guancia e non può sopportarlo.
“Stai buono e sorridi, su!” Kyle non fa nulla di ciò che gli dice, tentando di
allontanare la mano dalla sua guancia, un momento che Eric immortala e che
pensa lo farà ridere fino al prossimo compleanno. Per questo lascia la presa e
in quel momento Kyle sospira e si rilassa e - finalmente - Eric scatta una
nuova foto con un risultato più naturale e che ha catturato qualcosa che
somiglia ad un sorriso.
Gli porta sotto il naso il risultato, “visto? Sei venuto bene? Devi assecondare
l’esperto”.
“Esperto in cosa?”.
“Fotografia, ovvio!”
Kyle sospira di nuovo, dimenticando per un attimo che Eric è ancora stretto a
lui, col braccio sinistro stretto contro il suo e il polso destro che riposa
contro la sua spalla.
La mano sinistra - che stringe il cellulare - si abbassa ed Eric, non più preso
dall’entusiasmo della foto, si rende conto di quanto ha invaso lo spazio
personale di Kyle, ha il naso quasi contro i suoi capelli che non sono più
disgustosi, quella sensazione di gelo allo stomaco quando li vedeva non era
dettata dal ribrezzo, tutt’altro... ed hanno un buon profumo.
Poggia la fronte contro la spalla di Kyle, facendolo sussultare; sul collo c’è ancora
l’odore di una qualche acqua di colonia. Lascia le braccia incontrarsi e cadere
sotto il mento di Kyle in uno strano abbraccio intorno al collo, ma senza alcuna
stretta. Kyle ha il respiro mozzato solo a causa di quel che prova.
“C-Cartman...?” potrebbe spingerlo via, ma non lo fa, è paralizzato da quel
contatto, da qualcosa che gli brucia dentro e che non è razionalità, perché la
ragione lo spingerebbe via, mentre quel fuoco che sale dallo stomaco al petto
gli comanda che va tutto bene, che non deve muoversi, perché non c’è nulla di
sbagliato.
“Il destino dell’uomo è crudele... ma tra tanta merda, ogni tanto, c’è qualcosa
che merita di essere salvato. Qualcosa di bello”.
Nonostante sia poco più di un sussurro, Kyle ha capito bene ciascuna parola. È
rimasto sorpreso nel sentire ancora quella frase, Cartman sembra davvero
credere in quelle parole, quasi fossero un monito per il futuro.
Alza gli occhi al cielo, a quelle stelle che lo fanno sorridere davanti alla
loro meravigliosa natura. Sospira ancora e le labbra poi si distendono in
quello che è un vero sorriso e non riservato alle stelle; che lo voglia o no
quella notte è bellissima, in cielo come in terra.
“A
volte gli uomini sono padroni del loro destino; la colpa, caro Bruto, non è
delle stelle, ma nostra, che ne siamo dei subalterni[2]”.
Anche Eric ora alza gli occhi alle stelle, perde la cognizione del tempo per un
po’, esattamente come Kyle, ma ritorna presto con i piedi per terra.
Perché guardare in alto, perché cercare altrove, se la stella più preziosa è
lì, in terra, tra le sue braccia?
E la lascia, perché è stato abbastanza, perché non può pretendere più di così. Se
può essere davvero padrone del suo destino, allora deve giocare bene le sue
carte, senza desiderare più di quanto Kyle possa realmente dargli.
“Che cos’era?”.
“Cosa?” credendo che stia parlando di una stella cadente o di un ufo.
“La frase”.
“Shakespeare” il suo naso non è più puntato al cielo e si volta verso Eric. Ha
lo sguardo basso, verso il cellulare, a diversi passi lontano da lui. Prova
qualcosa come un sentimento di tenerezza in quel momento verso Cartman, il più
delle volte non lo comprende, lo trova un folle, spaventoso, mentre ora sarebbe
capace di affidarsi totalmente a lui perché riesce a comprenderlo. Forse.
“È tratta dal Giulio Cesare, è una
battuta famosa. Era uno dei testi del corso di letteratura insieme all’Amleto e Sogno di una notte di mezz’estate, ma... non ha importanza”.
“Secchione” lo prende in giro, temperando l’atmosfera perché torni normale; “ci
sarà mai qualcosa che non conosci?”.
Kyle prende sul serio quella domanda, ma non in modo arrogante. È sempre alla
ricerca di nuove cose da conoscere, da imparare.
“Una cosa, al momento ci sarebbe...”
“Ovvero?”.
“Supernatural”.
Eric lo guarda sinceramente sorpreso; non può neanche sospettare le motivazioni
di Kyle.
“Sei serio?”.
“Sì, perché non dovrei?”.
L’altro non risponde, lo studia, ma si arrende al fatto che sa troppo poco in
quel momento per poter capire se Kyle vuole vederlo per una qualche ragione. Ha
un’occasione però, può sfruttarla.
“Ho i DVD di tutte le serie, se ti interessa”.
“Davvero? Allora me li preste-“.
“No. Non mi fido di voi ebrei, e di nessuno a dire il vero. Le mie cose non
escono da casa mia, se proprio vuoi vederlo puoi venire da me, tanto pensavo di
rivederlo ora che la nona stagione è finita e l’ho appena comprata”.
Kyle avrebbe ribattuto acidamente a quella risposta stronza e razzista, ma l’acidità
è stata calmata dalla parola ‘nona’
che l’ha messo in allarme.
“Nove? Ha nove fottute stagioni?”.
“Ha nove fottute stagioni, sì”.
“E... pensi che ce la farò a vederle entro il ComiCon?”.
“Il ComicCon? Aspetta...” crede di avere la soluzione “è perché sono ospiti gli
attori quest’anno e hanno il loro panel! Per questo volevi vederlo!”.
“Sì...” non avrebbe mai il coraggio di tirare fuori il nome di Lola, la
motivazione di Lola, soprattutto dopo quello che ha provato poco prima “ovvio,
è per quello. Ho pensato che non l’ho mai seguito con interesse, mentre è uno
degli show più popolari e... sai, quella cosa del SuperWhoLock [3]”.
Eric annuisce, pensando per lo più all’occasione di aver Kyle tutto per se “volendo
possiamo farcela. E chi ci sarà al ComicCon”.
“Non conosco i nomi, lo sai”.
Eric vorrebbe fingere di non esser troppo entusiasta, ma non ci riesce, è una
di quelle serie che lo entusiasmano come Game
of Thrones, di cui gli piace da morire il cast e - sapendo che Stan e Kenny
non amano quello show - ha occasione ora di poterne parlare con entusiasmo con
Kyle. Senza rendersene conto inizia a straparlare, figurando quali saranno gli
attori che parteciperanno. Kyle non ha idea di cosa sta parlando, ma non lo
interrompe, lo lascia raccontare aneddoti su Jared e Jensen e Misha e Mark e
altri nomi che non ricorderà mai, anche se per Lola vorrebbe tanto avere l’entusiasmo
di Cartman, nei quali confronti si sente un po’ in colpa.
E ricorda di non averlo ringraziato per la cena, anche se l’unica da
ringraziare è Liane Cartman.
“Grazie”.
Ad Eric cade quasi da fermo per lo choc.
“Per avermi offerto la cena intendo, anche se in verità è stata tua madre, però
ecco... è stato... quasi... divertente”.
Gli occhi di Eric sembrano grandissimi, come quelli dei pesci. Nessuno può
capire quanto sia davvero sorpreso. Non riesce neanche a rispondere dallo choc.
“Però...” Kyle abbassa lo sguardo “...non avresti dovuto chiederlo come
obbligo. Nonostante tutto io, come Stan, Kenny e Butters, sono tuo amico. Sarei
venuto anche se non mi avessi obbligato,
non perché mi hai pagato la cena, ma perché non sarebbe stato giusto festeggiare
da solo” è il suo momento di empatia e di senso di colpa, nonostante sia
Cartman, nessuno merita di essere abbandonato.
“È questo il tuo problema: tu compri le persone, tenti di comprare il loro
affetto, le manipoli, ma non dovresti, non è giusto... per te stesso in primo
luogo. Quello che voglio dire Cartman, è che tu puoi avere l’affetto degli
altri senza comprarlo se mostri chi sei davvero, perché la persona che ho vedo
quando non fai il coglione... non è senza speranza”.
Non è senza speranza.
Suonano come le parole più belle ed emozionanti che abbia mai sentito. Si sente
nuovo, si sente nato per la terza volta (la seconda è stata quando ha
incontrato Kyle da bambino), perché ha raggiunto il traguardo più difficile
attraverso il sentiero più tortuoso.
Gli occhi diventano lucidi, sono fiamme tremolanti di candela, li chiude e
questa è la sua volta per sospirare, espellere via aria viziata e antica,
perché ora può essere tutto diverso... o quasi. Non vuole grandi cambiamenti in
fondo, gli basta quella speranza, che sia verde come gli occhi del suo ebreo
preferito.
Forse, davvero, il destino dell’uomo non è crudele.
“Era Shakespeare anche quello?”.
“Cos- no, non fare il coglione, ti sto dicendo una cosa importante, Cartman tu
puoi essere...” ma viene interrotto dallo schermo illuminato del cellulare che Eric
gli presenta davanti agli occhi.
“2 Luglio, Kahl”.
“E che centra adesso?”.
“Centra, perché posso tornare a fare il coglione e facendolo non puoi rovinarmi
più il compleanno stupido ebreo, gnegnegne...
Kahl non mi ha rovinato il compleanno!” canticchia come quando ero un moccioso
lardoso delle elementari.
E solo familiari fari di automobile interrompono il suo canto, evitandogli una
mare di pugni in volto.
“Ti conviene rimediare, e presto, visto quel discorsetto gay da Puffetta”.
“Che razza di figlio di...” ma Liane ferma l’auto al loro fianco, salutandoli
cinguettando non appena li vede e Kyle lascia cadere l’insulto.
Prima che Eric però prenda il suo posto davanti, fa una confessione che sente
dal profondo del cuore.
“Bicarbonato Kahl, mi raccomando. Anche se per stasera l’hai lavata abbastanza
bene, dato che non hai dato segno di pruriti particolarmente fastidiosi”.
“Cos--?”
“L’hai fatto perché aspettavi un interessante dopocena, vero? Spiacente, ma non
tocco cose già provate da Stan”.
Entrando in auto si salva da una pioggia di insulti, ed è costretto a mostrarsi
gentile sedendo nella macchina della signora Cartman che è entusiasta di sapere
ogni particolare, soprattutto da Kyle.
E mentre Kyle parla con sua madre, lui sorride guardando la strada davanti a
se, le stelle la illuminano, non hanno il suo destino.
Non è senza speranza. Erano le 11.59.
Sorride, ha avuto più regali di quanti ne abbia pretesi.
[1] Ayn Rand
è stata una filosofa, scrittrice e sceneggiatrice statunitense di origine
russa, nata in una famiglia ebrea, fondatrice della corrente filosofica dell’oggettivismo.
Per saperne di più andate sulla sua pagina di Wipiedia, qui.
[2] Atto I,
scena II, Giulio Cesare, W.
Shakespeare.
[3] SuperWhoLock è un termine usato per
indicare l’unione dei tre fandom più popolari: Supernatural, Doctor Who
e Sherlock.
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