alone
Alleine
È buio .
Di nuovo.
Nella tua vita è sempre buio, o almeno è quello che vedi.
La finestra della tua stanza è chiusa, sigillata, per non
far passare neppure uno di quegli impietosi raggi che ti feriscono gli occhi.
La camera è tutta in disordine, ma non ti importa . Stai piangendo, e non
riesci a fermare le lacrime, forse non le vuoi fermare, perché ti senti in
diritto di soffrire, ti senti quasi soddisfatta nel sentirle scendere, così
calde, così lente, di sentirle scivolare e ferire il tuo volto, fuggono via
dagli occhi e scappano, fin sotto il mento. Ti stai sfogando in silenzio, senza
emettere un suono, soffri da sola, sola come sempre.
Basta, pensi, puoi farlo, in fondo in casa non c’è nessuno.
Naturale.
Se ne sono andati tutti, lasciandoti un biglietto, “ci rivediamo a cena” c’è scritto.
Sì, pensi, se non lo farai ora non ci riuscirai più.
Ti sollevi dall’angolino in cui ti eri accucciata e ti
trascini fino alla cucina.
La tavola è ancora semi apparecchiata, nel lavandino puoi
vedere una piccola montagna di piatti sporchi, ma non ci fai troppo caso.
Apri il cassetto delle posate e ne estrai un coltello, uno
di quelli grossi, con la punta aguzza e la lama affilata.
La tua mano ha un leggero tremore, hai paura, avvicini il coltello al polso della mano libera, posi la
lama gelida sulla pelle bianca, e fai una leggera pressione mentre provi a
tracciare una linea sottile per recidere la vena, ma quando senti il bruciore
dell’arma che penetra la carne, ed il sangue, solo poche gocce, che bagnano la
tua pelle, proprio come le lacrime di prima, ti blocchi. No, proprio non ce la
fai. Non così almeno. Pensi di essere una buona a nulla, una vigliacca, non
riesci a farlo così. Non riesci neppure a
porre fine alla tua insulsa vita.
Lasci cadere la lama, inorridita. Allora pensi di avere una
strada più semplice,ti dirigi speranzosa alla vetrinetta delle armi antiche di
tuo padre, con tutta la forza che possiedi l’apri ed afferri una delle pistole,
quella che sembra più recente. Prendi anche i proiettili, ma non sei poi così
sicura che l’arma funzionerà. Ei di casa di corsa, hai con te un po’ di soldi,
non sai se potranno servirti.
Esci dal palazzo, e l’aria pungente, ancora umida per la
pioggia dei giorni precedenti, ma non ha importanza. Pensi, mentre corri a perdifiato
per la città, senza menta, senza sapere quasi nulla, che sei di nuovo sola. Nessuno ti cercherà, nessuno ti
piangerà. Passeranno giorni prima che i tuoi si accorgeranno della tua assenza;
le tue “amiche” ti hanno sempre e solo usata, hanno approfittato di te,
assorbendo piano piano la tua energia, lasciandoti vuota.; il tuo ragazzo ti ha
tradita, ti ha sostituita, neppure per
lui eri così speciale…
Ti sei persa, non riconosci il luogo in cui ti trovi. nella
grossa tasca del giaccone tieni nascosta la pistola. La senti, il suo peso
ingombrante, il suo peso di morte e pace è tale da non poter essere ignorato.
Vedi, ad una fermata, un bus che sta arrivando. Pur non avendo una
destinazione, decidi di prenderlo. Sali, paghi il biglietto, e, sorretta ad una
di quelle sbarre gelide, inizi il tuo viaggio.
La tua mente è vuota, finalmente, dopo tanto tempo, le
angosce si sono dileguate. Stai ignorando volutamente il dolore, stai
accantonando i ricordi, i fallimenti, i sogni infranti, le delusioni di tutta la
tua vita.
Non hai un bell’aspetto, i capelli scuri che cadono
disordinati sulle spalle, le occhiaie scure, gli occhi rossi e gonfi di pianto,
il volto pallido pallido.
Un’anziana donna ti sorride e ti fa cenno di prendere il suo
posto,ma tu, educatamente, declini l’offerta, e cos continui il tuo viaggio con
la sola compagnia della pistola che a questo punto hai deciso di chiamare
“compagna”. Sì, forse almeno lei ti sarebbe stata fedele.
Il bus, lentamente, si svuota, fino a che, quando giunge al
capolinea, ci sei solo tu ed uno strano ragazzo. Scendi, e ti rendi conto di
essere fuori città. Ti allontani un po’, carichi l’arma e te la punti alla
gola. Serri gli occhi, pronta a sentire l’arrivo del colpo, il dolore iniziale
e poi finalmente il nulla, ma non accade nulla. La lanci lontano, la scagli con
violenza, mentre lacrime di delusione e frustrazione sgorgano dai tuoi occhi.
Ed urli. Questa volta non ti vuoi trattenere, e con quell’urlo speri di
riuscire a buttare via tutto il marcio che c’è dentro di te.
Ma non basta.
Corri, corri, corri a perdifiato fino a che non raggiungi il
mare. Sei sulla spiaggia, ma la sabbia grigia ti infastidisce, però il suono
lento delle onde ha il potere di calmarti. Vedi una scogliera, e tanti, tanti
metri di strapiombo sul mare; sorridi, forse hai trovato la strada giusta.
La salita non è semplice, la strada è piena di rovi, di
spine, e le tue braccia, e il tuo corpo si riempie di ferite, tagli
superficiali che non bruciano neppure lontanamente come quelli che da troppo
tempo segnano la tua anima. Quelli sono così profondi, così vecchi che ormai
potrebbero essere inguaribili…
Cadi più volte, ma non desisti, non puoi, non vuoi allontanarti più dalla tua meta,
che ora sembra sempre più vicina, ad ogni passo è più reale.
E finalmente sei in cima.
Da lì vedi tutto, vedi un mondo che è nuovo ai tuoi occhi di
ragazza, hai tuoi occhi spaventati che non chiedevano altro che un po’ d’amore
in più.
È bellissimo, nonostante tutto è meraviglioso: il mare si
perde all’orizzonte, muore nel nulla e ti permette di sognare mondi lontani e
terre in cui la felicità non è solo un bisogno agognato, ma una realtà quasi
palpabile.
Chiudi gli occhi e vedi, vedi tutto, e mentre il vento
frusta il tuo viso, sorridi,
sorridi a te stessa, alla tua forza, e ai sogni che non si
infrangeranno più.
Ti ritrovi a pensare a quanto una vita possa essere
macabramente ironica, dopo averti imposto una vita che non desideravi ti ha
umiliata, ti ha abbandonata, ed ora ti invita a morire assieme ad un giorno
come tanti. Sparirai col sole, come in una bella fiaba. Sarà questo il tuo
lieto fine.
-finisco da sola. Nessuno chiederà di me, a nessuno
mancherò-
Non ti sei accorta di averle pronunciate veramente, queste
parole, e mentre già immagini cosa ti aspetterà alla fine di questa tua
esistenza, un paio di braccia sconosciute cingono il tuo fragile corpo, scosso
da involontari singhiozzi.
Senti il soffio leggero di qualcuno scaldarti il volto, e
una voce dolce sussurrare appena –io ti piangerei con sincerità-
E una voce estranea, ma ti scalda il cuore come non era mai
successo, perché senti che è sincera.
Ti volti, senza sciogliere quell’abbraccio così perfetto, e
guardi il suo volto.
Quel ragazzo è come te, tu sei la sua salvezza, come lui è
la tua.
Ha le tue stesse ferite, ha sopportato il tuo stesso dolore.
Due anime incomplete e straziate, da un’esistenza troppo
breve, unite da una speranza inespressa.
Ed un bacio spontaneo suggella quella che sembra essere una
muta promessa di aiuto, davanti alla morte di una giornata iniziata con tanta
paura.
Perché un tramonto non è solo la fine del giorno, non è solo
la morte del Sole; è la nascita della Luna, reggina dei sogni, custode della
speranza.
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_____Fine_____
Allora, se non si fosse capito il titolo vuol dire “solo”, ma penso che
a questo punto lo si capisca anche senza sottolinearlo…
Ben, la storia è nata per caso, ascoltando”hello” degli evanescence,
sulla scia della moda degli “emo”. Il mio personaggio è una ragazza che si sente sola, ma non lo è necessariamente. Secondo
me è questo quello che è un “emo”… fatemi sapere cosa ne pensate, perché sono
aperta a qualsiasi genere di commento ^_^
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