Discorso intorno al bello
Disclaimer: I diritti de “Il Castello errante di Howl”"
sono di Diana Wynne Jones, Hayao Miyazaki, lo studio Ghibli e di tutti coloro
che li detengono. Io non intendo violarne alcuno, non scrivo a scopo lucro, mi
limito esclusivamente a dare libero sfogo alla mia fantasia.
Beta reader: mise_keith
Personaggi: Sophie, Howl non presente, Markl nella parte
finale
Data creazione: 24 Aprile 2007
Avvertenze:
Ovviamente è Spoiler per chi non ha visto il film.
Note dell’autrice:
Non ho mai scritto una fanfction
che non fosse su Harry Potter, ma, come si dice, c’è sempre la prima volta. E
questa storia bivacca sul mio computer dall’aprile 2007…
Mi sono innamorata de “Il Castello Errante di Howl” e di Hayao
Miyazaki, semplicemente guardando la locandina del film. La sincera dolcezza e
la bellezza genuina di Sophie ne hanno fatto uno dei miei personaggi preferiti
quasi subito.
Questa fanfiction, che segue
sensazioni e pensieri di Sophie in attesa del ritorno di Howl, è ambientata
verso la fine del film, subito dopo che Howl le concede di vedere i luoghi della
sua infanzia. Chi non ha visto il film potrebbe trovarla un po’ campata in aria;
in quel caso può soffermarsi sulle riflessioni fatte dalla protagonista. Sono
riportati, in corsivo, alcuni dialoghi del film, come spunto e gancio per i
pensieri di Sophie.
Riporto dialoghi del film; la
storia non tiene conto del romanzo di Diana Wynne Jones.
Ringraziamenti e dediche: A Chiara (mise_keith). Perché senza di lei
non avrei ricominciato a scrivere. A Miyazaki, perché mi ha inconsapevolmente
regalato nuovi sogni e nuove speranze. Joe Hisaishi perché è stato la colonna
sonora della mia narrazione.
Discorso intorno al
bello
*
«Guardate… c’è il castello di
Howl…»
«Avete sentito di Marta? Il cuore le è stato
ghermito da Howl…»
*
Sophie lisciò con due dita della mano destra il
copriletto.
Le faceva male la schiena. E
l’anca. E la spalla.
Le faceva male anche il
ginocchio.
Pure la testa.
«Ecco», si disse, sorridendo a
stento «una cosa brutta della vecchiaia è che le tue ossa sembrano essersi
consumate dall’interno. Sembrano pronte a cedere alla tua età».
Si passò una mano sugli occhi
sospirando.
In effetti le faceva male anche
il cuore.
«Ma questo, nella vecchiaia, non
dovrebbe essere troppo stanco per sussultare così?»
O forse la maledizione della
Strega delle Lande le aveva lasciato intatta un’altra cosa oltre ai suoi
denti.
Le venne in mente un’imprecazione
d’odio nei confronti della brutta megera. Poi scoppiò a ridere.
La Strega delle Lande non era altro che
un informe cumulo di anni e grasso che giaceva nel sonno qualche stanza più in
là.
Non c’era più spazio per l’odio,
non nei confronti di quella donna. La Strega delle Lande non esisteva più
ormai.
Eppure Sophie era lì, in quello
stato. Vecchia, brutta, stanca.
Innamorata, nonostante tutto.
Come troppe donne che l’avevano
preceduta.
Non era Howl quello noto per
ghermire il cuore delle ragazze indifese? Per renderle folli d’amore e
abbandonarle?
«Oh, ma Sophie, forse potrai
essere indifesa, ma non di certo una ragazza!»
Scosse il capo, dandosi della
sciocca.
La notte era già tesa di buio e
Howl non era ancora tornato.
L’aveva lanciata attraverso la
porta di casa senza aggiungere una parola, con una semplicità disarmante e
davvero poca grazia, poi era fuggito via, inseguito dai suoi demoni e dal suo
destino, da quella sorte maledetta che gli aveva giocato fin troppi tiri
mancini.
Poco prima, stringendola con un
tocco caldo, le aveva aperto la vista ai luoghi della sua infanzia, ai luoghi
del suo cuore, con una grazia infantile che poteva quasi essere una delicata
dichiarazione d’amore.
Se il suo aspetto fosse stato
quello di sua sorella, forse.
Strinse le mani l’una nell’altra,
per darsi coraggio.
La preoccupazione le divorava lo
stomaco.
Si alzò a fatica, mosse alcuni
passi incerti prima di dirigersi verso la finestra. Si sedette al suo tavolo,
riprendendo le stoffe che stava cucendo, una giacca verde troppo stretta per il
suo corpo sformato, tentando di distrarre con il lavoro i pensieri molesti che
le uncinavano la mente.
Non importava, in fondo, se non
avesse mai potuto amarla, se la sua maledizione non si fosse mai sciolta.
L’importante era che egli si
salvasse, che si non si perdesse, ingoiato in un demone e distrutto dal suo
stesso potere.
Il resto, per lei, Sophie non
contava.
Non era bella, meno che meno in
quel momento.
E per quanto ben poche cose
fossero state importanti nella vita di Howl, la bellezza era stata una di
queste.
*
«Se questo stregone fosse stato Howl ti
avrebbe potuto mangiare il cuore!»
«Non c’è problema; Howl non mette gli occhi
che su belle donne».
*
Era stato un volo assurdo quella
sera.
Le sue mani erano gentili sui
suoi polsi.
Leggere, come se manovrasse un
burattino sul teatro del cielo.
Sorrideva e le sfiorava la
guancia con lo sguardo.
Doveva solo chiudere gli occhi e
camminare sopra la folla festante di colori e danze che scivolava metri sotto da
loro.
Era stato gentile. Anche se lei
non era bella.
Certo, gli serviva per fuggire,
scappare via senza destare troppo l’attenzione.
Non era stata attrazione quella
che l’aveva portato ad avvicinarla, solo l’interesse di un momento.
Da lì, da quel volo, dalle sue
mani gentili a suggerirle passi, dai suoi sguardi caldi e la sua voce vellutata,
erano iniziati i suoi guai, la gelosia cieca di una donna.
Non importava ormai, non di
certo.
Si carezzò le rughe del volto. La
pelle incavata e vecchia. La bocca senza più forma. Il naso, troppo brutto per
essere stato il suo.
Com’erano stanchi e secchi i suoi
capelli. Opachi nel loro grigio sfilacciato
Ma cosa cambiava? L’avrebbe
potuta amare Howl se anche fosse stata giovane?
Non aveva nulla di particolare,
magra, scura, il volto in ombra sotto il capello, la voce sottile per non farsi
notare. Non le piaceva essere al centro dell’attenzione. Preferiva che gli occhi
degli uomini sfiorassero la sua persona senza considerazione piuttosto che
soffermarsi.
«Dovresti iniziare a pensare di
trovarti un fidanzato, Sophie» le aveva detto una mattina, qualche mese prima,
la madre, mentre era intenta ad incipriarsi il naso «ormai hai diciotto anni e
se continui a nasconderti sotto quell’aspetto mediocre resterai zitella. Guarda
tua sorella invece; più giovane di te e già così scaltra!»
Sophie aveva chinato il capo,
confusa. «C’è sempre tempo per l’amore, no mamma?» aveva bisbigliato infine, mordendosi il
labbro inferiore.
La donna aveva riso. «Ah!
L’amore! » aveva posato la cipria sulla toilette, abbandonando con lo sguardo il
riflesso dello specchio per posarlo sulla figlia. «Se non inizi a farti bella,
non ci sarà mai nessun amore degno di essere chiamato tale!»
Era rimasta in silenzio, non
sapendo cosa aggiungerle. Poi aveva sussurrato un monosillabo di affermazione ed
era uscita fuori dalla stanza, sentendosi soffocata dai mille profumi confusi
della madre.
Non aveva mai incontrato qualcuno
per il quale avrebbe voluto essere bella.
Ma se mai ci fosse stato, doveva
essere qualcuno che la osservasse con occhi adoranti al di là di una falsa
maschera, che alzasse la mano a disegnarle con le dita il contorno del viso e
delle labbra per imprimerlo nella mente come un cammeo di tenerezza e desiderio.
Desiderio. Le era sconosciuta
questa parola prima che Howl le sorridesse distratto nell’ondeggiare vago del
suo mantello.
Non aveva mai desiderato nessuno
prima. Non aveva mai sentito una morsa così forte partirle dal cuore e
scivolarle nel ventre, mozzandole il respiro al pensiero.
Erano idee balorde, pellegrine
nel sentimentalismo di una fanciulla imprigionata nel corpo di una vecchia. Howl
mai, mai, avrebbe potuto desiderarla, doveva farsene una ragione.
Howl era amante di se stesso
perché era l’unica creatura a ritenere bella.
*
«Senza avere la bellezza non c’è più ragione
di vivere!»
«Basta Howl, fa’ come ti pare! Per quel che
mi riguarda io bella non ci sono stata nemmeno una volta!»
*
Aveva iniziato a intrecciarsi i
capelli quando era una bambina molto piccola.
Poi non aveva più smesso,
trovandola un’abitudine confortante, un gesto rituale con il quale iniziare la
giornata e alzarsi dal letto.
Trovava le trecce carine, al
contrario di ciò che le diceva la madre.
«Fanno sembrare il tuo viso
smunto e pallido. Sembri senza personalità».
Ma era comodo non avere i capelli
davanti al volto mentre lavorava.
E non trovava motivo di rendersi
appariscente come faceva la madre o la sorella.
Colori e finte tinte sul volto,
complicate acconciature e sguardi ammiccanti non facevano affatto per lei.
Si sarebbe sentita a disagio,
fuori luogo, dentro un’altra pelle.
Preferiva essere se stessa, anche
se qualche artificio l’avrebbe resa più interessante.
Non era si sentiva bella, ma
accettava il suo stato di mediocrità
senza crearsi problemi.
Le piaceva il suo lavoro, viveva
bene con se stessa, trovando nelle piccole occasione di ogni giorno la vera
bellezza del mondo.
Pensava che lo spettacolo del
meraviglioso fuori rendesse bella la gente, per riflesso puro e semplice del
naturale.
Si intrecciava i capelli,
indossava i suoi colori preferiti e attraversava la sua giovinezza con il suo
volto pulito, senza destare interesse di alcuno.
Non ammiratori, né sogni di
principi; solo la dolcezza del presente e la capacità di accontentarsi.
Tirò su l’ago e ne osservò la
cuna dove aveva infilato un filo verde oliva.
C’erano tante cose per le quali
valeva la pena vivere! Come faceva Howl a non capirlo?
Lui che bello per lei lo sarebbe
stato sempre, anche sotto le spoglie di un mostro!
Lui era lui, il resto non
contava, il colore dei suoi capelli, la forma del suo volto.
Le pieghe gentili delle sua dita,
la sua pelle liscia e calda.
Quel sorriso che divorava il
cuore delle giovani sciocche come lei.
«Oh» cacciò un pugno nell’aria,
per allentare pensieri e tristezze. «Devi smettercela, vecchia e stupida
Sophie».
Sospirò, scosse la testa,
affondando i denti nel labbro inferire.
Perché doveva fare così male?
*
«Signora madre, siete forse innamorata di
Howl? »
*
Ma era così evidente, poi?
Che vergogna! Come poteva
permettersi?
Lei, che bella non lo era stata
mai, mai lo sarebbe diventata.
Anche se le parole di Howl e i
suoi gesti erano una fiamma accesa nel profondo del petto, anche se nei silenzi
della notte si rigirava fra sogni e intime percezioni, anche se c’era qualcosa
in lei che le diceva che non erano tutte vane speranze, non poteva permettersi
certe idee vagabonde.
Le voci sonnolente che le
ispiravano pensieri di gioia e amore erano falsate dal suo sentimento
irrazionale.
Anche se…
*
«Ma tu sei bella Sophie!»
*
La bugia era così dolce e l’acqua
chiara dei suoi occhi così limpida, che aveva fatto troppo male.
Restava solo la fuga lontana nel
piccolo dolore personale.
Come poteva essere bella, poi,
vecchia, stanca, smorta?
Che Howl la vedesse per com’era?
Ed anche allora, restava un mediocre ragazzina senza troppe qualità.
Mentre Howl, beh, Howl.
Forse c’era qualcosa che doveva
soffermarsi fra l’essere bello o l’apparire bello.
Bello agli occhi di chi ti
conosce e ti vuole bene, di chi è stato capace di svestire i mille strati del
tuo animo.
Una bellezza soggettiva e
multicolore, piena di sfumature di piacere dove perdersi e amarsi.
Allora, al mondo, ciascuno è
bello almeno un po’, almeno per un po’ di gente.
Ma per Howl la bellezza aveva
forma diversa, la forma itinerante di un percorso di vita, di una scelta senza
compromessi.
Era una sciocca, vecchia,
illusa.
Trasse un punto, scrutando con
aria preoccupata la notte fuori dalla finestra.
Chiuse gli occhi, immaginando
scenari di guerre e di fiamme.
Howl fra loro.
Era preoccupata, così tanto.
Qualcuno bussò timidamente alla
porta.
«Sophie, buonanotte. » le disse la voce
di Markl, spuntando da una fessura di luce dalla porta in camicia da notte
bianca.
«Buonanotte» gli rispose e nella sua voce
si sciolse un tenero sorriso che non riuscì ad affiorarle sulle labbra.
Ma prima che la porta si
richiudesse, il bambino sentì il bisogno di rincuorarla.
«Sophie non c’è da preoccuparsi per il signor
Howl, è già capitato che non tornasse per più giorni».
«Ti ringrazio, Markl» disse, e stavolta
sorrise veramente.
Il ragazzo andò via,
velocemente.
Sophie chiuse gli occhi, in una
preghiera al nulla e alla fortuna.
Per una preghiera alla bellezza
di un sentimento, difficile da classificare in canoni e schemi.
“Sarà vero che la bellezza dell’amore è
quella di non conoscere bellezza?”
Non si rispose. Si alzò a
fatica e svolse le ultime faccende prima di andare a dormire.
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