mel
Una chitarra per due
1
Era
più di un’ora che stavo li seduta su quella dannata sedia! Avevo persino preso
in considerazione che tutta quella storia potesse essere stata solo uno scherzo
di pessimo gusto del mio manager.
Ero
agli inizi di quella che a detta di molti sarebbe stata una brillante carriera.
Beh,
c’era solo un piccolo e per nulla trascurabile particolare da prendere in
considerazione: eravamo solo la mia chitarra ed io…coppia inscindibile, senza
dubbio, ma ciò non toglieva che non si poteva diventare artisti famosi se non
si avevano quantomeno soddisfacenti capacità canore e senza una band. Ero li,
sola, in un paese a me sconosciuto e di cui conoscevo a malapena la lingua.
Sola in Germania, l’unico posto in cui non avrei mai pensato di finire.
Sospirai
ed estrassi la mia fedele Gibson dalla sua custodia per poi attaccare
l’amplificatore alla presa. Grazie al cielo in quella stupida entrata di quella
stupida sala registrazioni c’era una presa compatibile.
Feci
scorrere tra le mani il jack e collegai lo strumento all’amplificatore.
Chiusi
gli occhi e feci scorrere le dita sulle corde, suonandole piano ad una ad una e
beandomi del suono che questo gesto produceva; cominciai a suonare lasciandomi
trasportare dall’istinto e improvvisando. Accordi lenti e bassi che
componendosi davano vita ad una melodia triste e malinconica, che chissà perché
mi faceva venire in mente l’idea di sogno, di fantasia, di vita.
Dondolavo
la testa a ritmo, strizzando gli occhi quando il passaggio da un accordo ad un
altro si faceva complicato e sentivo che attorno a me c’era il nulla, ero sola
con la mia musica, sospesa a mezz’aria, con la mia chitarra sulle gambe
accavallate.
Una
pennata più violenta diede inizio ad una serie di accordi più acuti, più
penetranti e duri; potevo sentire la potenza che quelle note sprigionavano,
intrecciandosi e sovrapponendosi come in una lotta senza fine.
Mi
lasciai trasportare e misi in quella melodia ormai diventata violenta e potente
tutta la mia determinazione, la mia voglia di farcela, di far ricredere tutti
coloro che mi dicevano che non ce l’avrei fatta, che assumevano
quell’odiosissima espressione scettica ogni qual volta mi ritrovassi a parlare
del mio futuro, della mia musica e della mia passione.
Ero
brava, lo sapevo. Non ero piena di me, arrogante o presuntuosa, credevo
soltanto nelle mie capacità.
Avevo
17 anni, il consenso dei miei genitori, che primi fra tutti credevano in me, e
la mia chitarra. Era tutto ciò che mi serviva per fare ciò che volevo, per
realizzare il mio sogno.
Nella
mia adorata Italia avevo fatto diverse serate, numerosi provini, avevo ricevuto
consensi e incoraggiamenti, le mie origini canadesi forse mi rendevano anche
più interessante, ma sapevo che finchè fossi rimasta a casa non avrei combinato
nulla. E così sono andata via, seguendo un sogno e determinata a realizzarlo.
Aprì
gli occhi e con un’ultima lenta e trascinata pennata terminai la mia
performance.
Sentì
qualcuno battere le mani e mi voltai alla mia destra.
Un
ragazzo vestito in uno stile hip hop fin troppo marcato e con dei bellissimi
rasta biondi che facevano capolino dal cappellino appena posato sul capo stava
battendomi energicamente le mani e si avvicinava con un sorrisino sbieco
stampato sul viso.
-Ciao…-disse
sedendosi accanto a me.
-Ciao…-risposi
guardandolo con un sopracciglio sollevato e sorridendo.
Lui
mi sorrise a sua volta e si sistemò il cappellino continuando a guardarmi negli
occhi.
Sentivo
quelle iridi castane, forse più simili al colore del miele, scrutarmi e
sostenni lo sguardo con sicurezza. Mi era spesso capitato di sentirmi dare
della sfacciata, ma il mio orgoglio veniva fuori sempre, anche quando non ce
n’era bisogno.
-Sei
davvero brava…- disse sinceramente ammirato.
-Ti
ringrazio…-dissi ancora confusa da quell’improvviso e repentino approccio.
-Ah,
quasi dimenticavo! Piacere, Tom Kaulitz!- si presentò porgendomi la grande e
forte mano.
La
strinsi con vigore sorridendo ancora di più.
-Piacere,
Tom….io sono Melanie Mayer!
-Wow,
una Gibson!- disse lui accarezzando il mio gioiellino.-Ne ho una anche io!
Ehi!
Si intendeva di chitarre! Mi tirai su illuminandomi.
-Le
Gibson sono le migliori sulla piazza secondo me! Hanno qualcosa di unico che
non so descrivere! Basta prenderne una tra le mani e…e…ti senti in paradiso!
-Concordo
pienamente..! Ho un feeling speciale con la mia Gibson…è come se fosse viva! A
volte ci parlo anche!- rispose lui altrettanto felice di poter parlare di
chitarre con qualcuno di competente.
I
nostri occhi erano come incatenati. Nessuno dei due intendeva rompere quel
contatto così sfacciato e così intimo.
-Mel?-
chiese Carl, il mio manager, sbucando dall’ufficio adiacente alla sala di
registrazione.
Mi
alzai in piedi e dovetti, mio malgrado, distogliere lo sguardo dagli occhi di
Tom.
-Oh,
vedo che hai già conosciuto uno dei membri del gruppo!- disse entusiasta.
Si
avvicinò e strinse la mano a Tom.
-Ciao
ragazzo!- salutò cordiale come se già si conoscessero.
-Buona
sera signor Klein!- rispose Tom sorpreso con un’espressione interrogativa
stampata in volto.
Si
conoscevano?!
Carl
mi prese sotto braccio e mi trascinò verso l’ufficio.
-Vieni
vieni che ti presento gli altri!
Gli
altri!? Mi aveva detto che c’erano buone notizie per me, quando mi ha dato
appuntamento qui, ma…non pensavo che ciò coinvolgesse altre persone.
Entrai
nell’ufficio, seguita da Carl.
Attorno
alla scrivania sedevano un ragazzo biondino e molto semplice, affiancato ai due
lati da un ragazzo dai capelli perfettamente stirati e dagli addominali
pronunciati visibili attraverso l’attillata maglietta verde militare e da un
moretto tutto capelli; l’acconciatura bizzarra da elettro-shok e gli occhi
pesantemente truccati di nero gli donavano un’aria particolare, androgina e
molto personale.
Tom
entrò alle mie spalle, mi voltai verso di lui e lo vidi fissare torvo gli altri
confusi quanto lui.
-Ehm…ciao!-
salutai alzando appena la mano ma non potendo nascondere l’imbarazzo.
Quello
che doveva essere il loro manager mi si avvicinò e mi porse la mano.
-Piacere,
David Jost! E loro sono Bill, Gustav, Georg e, ma credo che tu già lo sappia,
Tom. Ecco a te i Tokio Hotel!- presentò l’uomo indicando prima il moretto, poi
il biondino, il ragazzo dai capelli perfettamente piastrati e Tom.
I Tokio Hotel?! Li avevo sentiti più volte nominare in
Italia, erano un famosissimo gruppo tedesco, ma nell’ultimo periodo c’era stato
un notevole calo di interesse nei loro confronti.
Ma
che ci facevo li con i Tokio Hotel io?
-David
che succede?- chiese Bill voltandosi verso David Jost e dando quindi voce al
mio interrogativo.
Jost
si schiarì la voce e cominciò.
-Bene
ragazzi, conoscete il mio amico Carl Klein, ebbene la ragazza di cui si occupa
si chiama Melanie Mayer ed è italiana.- disse voltandosi verso di me e
sorridendomi.-E’ una chitarrista di grande talento e….beh non mi dilungherò in spiegazioni
inutili, sarà la nostra seconda chitarrista.
Il
silenzio assalì la stanza in una morsa di tensione e sorpresa.
I
tra seduti mi fissavano allibiti, incapaci di parlare e anche io ero a corto di
parole. Come aveva potuto Carl organizzare una cosa così importante senza
consultarmi? E poi andiamo! Loro erano i Tokio Hotel! Che c’entravo io con
degli artisti ormai affermati e “vissuti”?
-CHE
COSA VUOL DIRE TUTTO QUESTO?! SE E’ UNO SCHERZO NON E’ PER NIENTE DIVERTENTE!-
sbraitò Tom alle mie spalle sorpassandomi. Mi ero quasi dimenticata di lui.
-Tom
calmati…- cominciò Jost ma fu interrotto dal ragazzo che ricominciò ad urlare.
-CALMARMI?!
MA SIAMO MATTI?! SONO IO IL CHITARRISTA DEI TOKIO HOTEL! IO!! CHE BISOGNO
ABBIAMO DI UN’ALTRA CHITARRISTA?
Era
furioso, gli occhi saettavano per la stanza incenerendomi ogni volta che si
posavano su di me.
-Adesso
basta! Calmati Kaulitz!- lo riprese il manager.-Abbiamo bisogno di un…”cambio
di immagine”, capisci? Non vendiamo dischi…le classifiche non ci vedono più da mesi!
Ciò che ci serve è rinnovare! Lei ha talento da vendere, è sola qui e,
diciamocelo, è decisamente di bell’aspetto! Attirerebbe anche altro pubblico
maschile e la curiosità delle ragazzine!
Mi
sentì quasi offesa da quella affermazione. Servivo solo come attrazione
commerciale? Non mi avevano presa per il mio talento? E poi non avevo mai
pensato di poter essere considerata bella con i miei 157 cm di altezza, con la
mia scarsa prima di seno e i miei capelli color topo.
-E’
sola e bella? Per me può anche darsi alla prostituzione! Qui c’è posto per un
solo chitarrista! O me o lei!
Mi
sentì davvero offesa da quella affermazione di Tom. Aveva ragione di
sentirsi ferito, ma ciò non lo autorizzava ad insultarmi!
-Senti
Tom…-continuò David.
-“Senti
Tom” UN CORNO!- urlò ancora per poi uscire dall’ufficio sbattendosi la porta
alle spalle.
Gli
altri tre erano rimasti in silenzio per tutto il tempo e Bill pensò bene di prendere la parola.
-David
scusa ma non capisco l’utilità di tutto ciò! Non siamo un prodotto, siamo degli
artisti! Dobbiamo vendere per la nostra musica non per la nostra immagine! Non
do la colpa a questa ragazza che a giudicare dalla sua espressione non sapeva
nulla di tutto questo come noi, ma potevate interpellarci! Siamo o no i diretti
interessati?
Bill
aveva ragione.
-Ne
parliamo in albergo Bill…-tagliò corto Jost.
Si
voltò verso Carl.
-Scusami
davvero Carl, Tom l’ha presa davvero male…ma gli passerà! Questo è l’indirizzo
dell’albergo dove alloggeranno i ragazzi. Ho preso due stanze anche per voi,
potete andare a sistemarvi se volete…
-Grazie
David…però mi dispiace che questa situazione vi crei tutti questi problemi!-
ringraziò Carl stringendo la mano all’amico.
-Tze!-
sbottai io.-Potevi parlarmene Carl! Tom ha ragione! Non posso sbucare così
dal nulla e mettermi di mezzo nella loro band!
-Ne
parliamo anche noi in hotel Melanie…ringrazia il signor Jost e andiamo…
-Grazie
signor Jost-dissi atona.
-Chiamami
pure David…
Non
risposi, uscì dall’ufficio senza parole. Ero sconvolta.
In
macchina non parlammo. Io ero furiosa e Carl preso in contropiede dalla
reazione dei ragazzi e mia.
|