Capitolo
II
Aomine brontolò nervosamente e si rigirò fra le
coperte, dando la schiena al cellulare che improvvisamente aveva
cominciato a vibrare contro la superficie del comodino, disturbando il
suo sonno.
Il lato negativo del lavoro di poliziotto era che, bene o male, doveva
essere sempre reperibile, per cui il cellulare non poteva assolutamente
trovarsi in modalità silenziosa e quando dormiva era in
vibrazione. Quella notte, ad esempio, aveva vibrato almeno cinque o sei
volte, lui si era svegliato, aveva dato un'occhiata allo screensaver e
poi, assicuratosi che non si trattasse della centrale, era tornato a
dormire; in quel momento, nonostante avesse voltato le spalle al
comodino, gli occhi di Aomine vennero feriti dalla luce fioca del sole
che aveva cominciato ad insinuarsi tra le fessure delle tapparelle,
così, capendo che non sarebbe riuscito a riaddormentarsi, si
sistemò sulla schiena con un rantolio nervoso e
afferrò il cellulare con ben poca delicatezza.
«Ma che vuoi?» Daiki brontolò, con la
voce ancora impastata dal sonno.
«Aominecchi!» l'altro sembrò quasi
sorprendersi del fatto che avesse risposto: era sicuro che il suo
sarebbe stato l'ennesimo tentativo a vuoto.
«Ma non eri in servizio, ieri sera? Perché non hai
risposto alle chiamate?»
Aomine alzò gli occhi al cielo e sbuffò
esasperato.
«Perché ero in servizio. E poi sono andato a
dormire.» in verità avrebbe potuto rispondere
benissimo alle chiamate di Kise anche quando era in servizio - come era
già successo, dopotutto -, ma quella notte aveva deciso di
non farlo: era scontato che Ryouta volesse parlare di Kuroko, e lui non
ne aveva la minima intenzione, era già abbastanza averlo
visto in quello stato, essere uno dei poliziotti con il compito di far
luce sul delitto e, allo stesso tempo, uno dei sospettati per il quale
la polizia o gli altri potenziali assassini avrebbero fatto di tutto
pur di sbattere in galera.
«Comunque ...» Kise riprese un po' titubante
«hai sentito dell'incendio di stanotte?»
«Incendio?» Aomine si mise a fatica a sedere,
aiutandosi con una mano e reggendo il cellulare con l'altra.
«Sì, la zona in cui è scoppiato non
è tanto distante da casa mia. Al telegiornale hanno detto
che era di natura dolosa, anche perché è
scoppiato in un garage completamente abbandonato.»
Aomine lo lasciò parlare e si mise in cerca del telecomando,
tentando di scacciare via gli ultimi residui di sonno per mettere in
moto il cervello.
«Dovevo essere già a dormire quando è
successo.» fece una piccola pausa e non appena ebbe
recuperato il telecomando e acceso la televisione riprese «o
c'è un piromane in città, o qualcuno ha tentato
di nascondere qualcosa.»
Il notiziario locale del mattino parlava proprio di quell'accadimento.
Un incendio di tipo doloso in un vecchio garage abbandonato, durante la
notte; un avvenimento isolato in mesi e mesi di
tranquillità, avvenuto poche ore dopo la morte di Kuroko:
anche un bambino avrebbe capito che non era casuale, era logico pensare
che i due avvenimenti fossero collegati.
«Devo andare.» Aomine tagliò corto:
voleva chiudere la chiamata e ascoltare ciò che aveva da
dire il notiziario, non Kise, che si era preso la briga di chiamarlo
per dirgli dell'incendio.
«Stai attento.»
Quelle parole sortirono un immediato effetto confusionale su Aomine,
che cercò di rispondere qualcosa ma si ritrovò
semplicemente a sputare aria, con la fronte aggrottata in un cruccio.
Kise non aveva detto altro e aveva chiuso la chiamata, ma non in modo
frettoloso: gli aveva dato l'impressione che fosse rimasto con
l'orecchio incollato al cellulare in attesa di qualcosa, e che poi lo
avesse scostato lentamente e avesse preso una grande boccata d'aria
prima di troncare il contatto.
Aomine non diede peso alla chiamata interrotta senza un vero e proprio
saluto - che in sostanza non era affatto "cosa da Kise" -, ma piuttosto
volle concentrarsi sul notiziario e alzò il volume, venendo
a scoprire che l'incendio si era generato poco dopo l'una di notte ed
era stato spento poco dopo le due.
Avrebbe voluto recarsi immediatamente in centrale e poi raggiungere la
zona incriminata con alcuni colleghi, ma quello era il suo giorno
libero e non avrebbe potuto fare nulla per scoprire qualche particolare
in più sull'incendio, visto che, a giudicare dalle immagini
proposte dalla televisione, la zona era accessibile soltanto ai
giornalisti, alle troupe televisive e ai vigili del fuoco.
Quando l'immagini dei vigili del fuoco passò per
l'anticamera del cervello di Daiki, questo sussultò e si
mise subito in piedi, con le dita strette attorno al cellulare, in
cerca del contatto di Kagami. Era buffo pensare che fosse stato proprio
Kuroko ad insistere perché salvasse nella propria rubrica
anche il numero di Kagami; diceva sempre: "Per qualsiasi evenienza,
dovesse succedere qualcosa.", e aveva ragione, maledettamente ragione,
visto che Aomine si era appena immerso nella straziante attesa di una
risposta dall'altra parte dell'apparecchio telefonico.
«Cosa vuoi?» la risposta non tardò ad
arrivare.
Kagami aveva la voce arrochita, il respiro pesante: Aomine non sapeva
dire se avesse pianto e se, più semplicemente, fosse stanco
a causa di una lotta notturna contro le fiamme.
«Sei al garage abbandonato? Dove c'è stato
l'incendio?»
«Sì, perché?»
Prima ancora di cominciare ad articolare una risposta a quella domanda,
Daiki aggrottò la fronte confuso e vagamente infastidito.
«Un momento, come facevi a sapere che ero io?»
perché sì, era ovvio che lo sapesse: non si
rispondeva in quel modo al cellulare, con voce annoiata, soprattutto se
non si conosceva il numero, ma a quanto pareva Kagami aveva il suo
contatto salvato in rubrica.
«Kuroko mi ha costretto a salvarlo.» Kagami si
morse il labbro, quasi a volersi punire per aver parlato ancora una
volta in presente «credimi, non fa piacere neppure a me avere
il tuo numero in rubrica, ma Kuroko insisteva, diceva che era meglio,
per qualsiasi evenienza.»
Per qualsiasi evenienza.
Aomine si sentì gelare il sangue: Kuroko si era comportato
nello stesso modo sia con lui che con Kagami e aveva voluto a tutti i
costi che fossero entrambi in possesso del recapito dell'altro.
«Credo che le due cose siano collegate.» Aomine
decise di non dare più peso al fatto di essere venuto a
conoscenza solo in quel momento del fatto che Kagami avesse il suo
contatto e si decise a rispondere alla sua domanda.
«La polizia è già lì? Hanno
trovato qualcosa?»
«Sì, sono qui, ma io che diavolo ne so se hanno
trovato qualcosa? E poi cosa dovrebbero aver trovato?»
Era ovvio che Kagami non avesse voglia di parlarne e la pensasse
diversamente da Aomine - oppure stava semplicemente cercando di sviare
il discorso? -
«Chiama uno dei tuoi colleghi e chiediglielo: io sono un
vigile del fuoco, non un poliziotto.»
Aomine sbuffò spazientito.
«Fra mezz'ora sono lì.» rispose piccato,
chiudendo la chiamata senza concedergli neppure il tempo di ribattere.
La faccenda si sarebbe svolta in un modo ben diverso, se Aomine non
fosse stato un poliziotto: nonostante fosse scontata la presenza di un
assassino fra loro, il clima della centrale non era poi così
rigido e freddo come era apparso ai più durante i primi
interrogatori, anzi in quel momento si trovavano tutti nella stessa
stanza, in attesa di aggiornamenti.
Quando entrò nella stanza, Aomine studiò con lo
sguardo i volti dei vari sospettati, poi guardò oltre le
proprie spalle e sbuffò sommessamente non appena
registrò la presenza di altri due agenti: dopotutto anche
lui era un faceva parte della cerchia dei presunti assassini e, anche
se come tale si trovava in fondo alla lista, il capo della centrale
aveva ordinato ad altri due poliziotti di scortarlo.
«Ho un po' di cose da dirvi.» Aomine non sapeva
neppure da dove cominciare, l'unica cosa di cui era consapevole era che
avrebbe dovuto cercare di rendere il più comprensibile
possibile ogni informazione, perché se fra loro c'era un
assassino, gli altri rimanevano comunque amici di Kuroko e volevano
conoscere ogni minimo dettaglio come lui, volevano giustizia come lui.
Nessuno fiatò, il loro tacito accordo incitò
Daiki a procedere.
«Tetsu è morto il due febbraio, in un orario
compreso fra le quattro e le cinque del pomeriggio.» fino a
quel momento si trattava di un'informazione che aveva sentito
pronunciare dai suoi colleghi e che non aveva mai avuto il coraggio di
ripetere, così fu molto lento ad articolare le parole, cauto
verso gli altri e se stesso: la maggior parte di loro non riusciva
ancora a credere all'accaduto, elaborare una perdita così
prematura e inaspettata risultava difficile anche ai più
forti.
«Abbiamo esaminato il corpo e potrebbe trattarsi davvero di
suicidio.»
L'unico a non tradire alcuna emozione fu Akashi, che rimase a fissare
Aomine in silenzio, mentre gli altri sobbalzarono e si scambiarono
sguardi increduli.
«Kuroko non aveva motivo di ...»
«Ho detto: "Potrebbe", Kagami.»
Gli occhi di tutti tornarono improvvisamente puntati su Daiki.
«Il segno lasciato dalla corda sul collo di Kuroko tendeva
verso l'alto, proprio come nell'impiccagione, in più non
sono state rilevate abrasioni né le piccole emorragie che di
solito si manifestano sul volto in caso di soffocamento, o particolari
sostanze all'interno del suo organismo.» Daiki si
schiarì la voce e continuò «l'unica
cosa che ci ha fatto impensierire è stata la
quantità di solanina, ma è una sostanza tossica
che si introduce nel corpo mangiando alimenti particolari come patate e
pomodori e non era presente in dose letale.»
Aomine fece una piccola pausa: a dire il vero c'era anche
qualcos'altro, qualcosa di cui aveva discusso con Midorima nel suo
primo interrogatorio e che l'autopsia aveva confermato.
Kuroko aveva il segno di una puntura sul braccio sinistro ed era stato
Midorima stesso, ancor prima che gliene parlasse lui, a dirgli che due
giorni prima aveva incontrato la vittima nel suo studio per vaccinarla:
la scientifica aveva indagato e non aveva reperito alcuna anomalia, ma
prima di escludere definitivamente Shintarou dalla cerchia dei
sospettati voleva ascoltare e verificare il suo alibi.
«Quindi cosa vi fa escludere l'idea
dell'impiccagione?» Akashi proferì le prime parole
in quel momento, perché nonostante fosse da circa un quarto
d'ora chiuso in una stanza con gli altri non aveva ancora aperto bocca:
era lì per i risultati, aspettava solo quelli.
«Non la escludiamo: la accantoniamo.» volle
precisare Aomine, braccato dagli occhi curiosi di Akashi.
«Rimane la questione del cellulare, del telefono e del
computer: è evidente che l'assassino abbia paura di essere
trovato, probabilmente si teneva in contatto con Tetsu e ha voluto
nascondere alcune prove. Oltre a voler nascondere gli sms, vuole
nasconderci le e-mail, e questo ci fa pensare che Tetsu avesse salvato
la propria password proprio nel computer, oppure l'ha semplicemente
preso per depistarci: anche questa è un'ipotesi.»
«Non credo proprio che Kuroko avesse scritto la propria
password da qualche parte: diceva sempre di ricordarsela.»
borbottò Kagami.
«Lo diceva sempre anche a me.» e anche Momoi si
unì al coro, spingendolo sull'orlo di un burrone colmo di
disagio, nel quale precipitò non appena Aomine gli rivolse
uno sguardo eloquente: presto Satsuki sarebbe dovuta venire a
conoscenza della relazione che Taiga e Tetsuya avevano consumato alle
sue spalle.
«In più c'è la faccenda delle
chiavi.»
«Delle chiavi?»
«È stato Kagami a trovare il corpo, e ha
specificato che la porta era chiusa.»
«Quindi Kurokocchi si è ...»
«No, questo è ciò che l'assassino ci
vuole far credere, o è semplicemente uno stratagemma per
confonderci e farci perdere tempo. Tetsu non si è suicidato,
sono sparite delle cose in casa sua.» Aomine fece una piccola
pausa ed inspirò appena «escludiamo l'idea che
l'assassino avesse chiuso l'appartamento dall'interno e fosse ancora
nascosto lì dentro, piuttosto riteniamo che qualcuno di voi
sia in possesso di una copia delle chiavi di Tetsu, qualcuno di cui lui
si fidava e con cui ha mantenuto il segreto delle chiavi.»
Daiki fece vagare il proprio sguardo finché non
trovò quello di Kagami «a meno che, cosa ancora
più semplice, non sia stato Kagami ad inscenare il
tutto.»
«Anche Momoi aveva le chiavi dell'appartamento di
Kuroko!» Kagami ringhiò e si mise sulle difensive:
non gli piaceva, Aomine continuava a dargli addosso come se fosse stato
sicuro al cento per cento che fosse lui l'assassino.
«Un attimo, perché Kagamin aveva le chiavi di
Tetsu-kun?»
Kagami sobbalzò appena e rivolse una rapida occhiata a
Momoi, sentendosi sprofondare nella vergogna.
«Di questo parliamo dopo.»
Poi, quando Daiki le rispose, Taiga tornò a rivolgergli uno
sguardo per niente rassicurante: voleva raccontarle della sua relazione
con Kuroko nonostante non avesse ricevuto il permesso? Kagami lo
avrebbe strozzato volentieri e, in effetti, ci volle davvero poco
perché il suo impulso non prendesse il controllo del suo
corpo.
«Inoltre abbiamo analizzato l'appartamento e abbiamo trovato
alcune tracce, soprattutto capelli.» fu proprio Aomine che,
raccontando degli altri particolari, scosse Kagami da quello stato di
rabbia silenziosa.
«Di tutti?»
«Di tutti, ad esclusione di Akashi.»
Akashi fu soddisfatto di sentirgli pronunciare quelle parole: era ovvio
che non si trovassero sue tracce nell'appartamento di Kuroko, visto
che, essendosi trasferito nella prefettura di Kyoto ancor prima che lo
acquistasse, non vi aveva mai messo piede: il fatto che si trovasse
nella capitale giapponese proprio durante la morte di Tetsuya era solo
una coincidenza fortuita.
«Io però non andavo a trovare Kuro-chin da un bel
po' di tempo ...» anche Murasakibara decise di parlare.
«Sì, anche io.» Midorima intervenne e
azzardò un'ipotesi: «i capelli non potrebbero
rimanere attaccati ai vestiti?»
«Sicuramente-! A me è capitato più
volte di trovarmi addosso qualche vostro capello!» fu Momoi a
rispondere per Aomine.
«Infatti stiamo agendo con molta cautela e avevamo
già preso in considerazione questo particolare.»
Daiki si voltò e si incamminò verso l'uscita
«comunque sia, fra poco verrete interrogati di
nuovo.»
Le orecchie di Aomine furono subito sfiorate da un vociare sommesso che
si occupò di troncare alzando la voce.
«Kagami, tu sei il primo.»
Taiga si zittì immediatamente e si voltò verso
Aomine, dedicandogli un'occhiata aggressiva e rabbiosa che Daiki,
girato di spalle, non poté vedere.
Aomine era ancora sicuro del suo obbiettivo, determinato a strappare la
maschera all'assassino di Kuroko: Kagami Taiga.
Dal momento in cui Kagami lasciò la stanza, Akashi
cominciò a scrutare ogni volto, soffermandosi su qualsiasi
particolare che potesse suscitargli quel tanto di curiosità
da arrestare la sua rapida analisi anche per un solo secondo in
più.
Si soffermò innanzitutto su chi, per un puro parere
personale, reputava innocente: Momoi attendeva silenziosamente il
proprio turno - come tutti gli altri, d'altronde -, aveva i capelli
legati in una coda bassa e disordinata ed era evidente che non avesse
avuto neppure il tempo di fare una doccia, oppure, più
semplicemente, non ci era riuscita perché aveva riempito il
suo tempo con le lacrime, visto che gli occhi erano troppo arrossati e
quindi lasciavano presupporre un pianto prolungato o per lo meno
recente.
Gli occhi di Akashi balzarono via da quel volto con disinteresse e si
soffermarono su chi gli sedeva accanto: Midorima era imperturbabile e
silenzioso come sempre, forse vagamente infastidito da quell'attesa e
ovviamente messo sotto pressione dalla situazione: glielo leggeva sulle
labbra, strette, contratte, tanto da rendere impossibile l'accesso alla
sua bocca anche a del comunissimo pulviscolo.
Akashi guardò oltre Midorima e si soffermò su
Kise, che gli rivolse un sorriso nervoso, forse colto alla sprovvista
in un momento di meditazione. Sul viso di Ryouta sembrava non esserci
alcun segno di pianto, e ciò lo sorprese; in più
era molto nervoso: si capiva dalla postura rigida, dalla schiena
leggermente inarcata, dalle gambe tese, pronte a farlo scattare in
piedi.
Seijuurou inspirò e continuò a fissarlo per
qualche istante, poi si voltò alla sua destra, negandosi di
fatto sia la vista di Kise che quella di Midorima e Momoi.
«Atsushi.»
Murasakibara non rispose immediatamente, ma sobbalzò poco
dopo, voltandosi verso di lui con sguardo trasognato: doveva essere
talmente immerso nei suoi pensieri da aver recepito dopo quel richiamo
o, più semplicemente, non era riuscito a lasciarli
immediatamente da parte e aveva preferito dedicare ancora qualche
secondo alle sue congetture, prima di rispondergli.
«Sì, Aka-chin?»
«Hai dormito, ultimamente?»
Murasakibara rimase imbambolato per qualche attimo, quasi come se non
avesse capito la domanda; gli altri, intanto, si voltarono verso coloro
che avevano osato rompere quel sacrosanto silenzio.
Avendolo vicino, ad Akashi era bastata una breve occhiata per rendersi
conto dei pesanti segni che aveva sotto gli occhi, della stanchezza che
aveva stampata in volto.
«Non molto.»
Murasakibara fece una piccola pausa, disturbato dallo sguardo di
Midorima che, nonostante lo stesse fissando nello stesso identico modo
di Akashi, lo urtava profondamente.
«Penso a Kuro-chin.» si giustificò poi,
tornando a guardare davanti a sé con un piccolo sbuffo.
Akashi, dal canto suo, non volle esercitare pressione ulteriore e si
voltò nuovamente verso Midorima; il loro rapido scambio di
sguardi fu eloquente: a nessuno dei due piacevano le occhiaie di
Atsushi, ad entrambi avevano fatto sospettare qualcosa.
«Come fate?»
Questa volta fu proprio Murasakibara ad andare all'attacco, attirando
nuovamente su di sé gli sguardi di Midorima e Akashi.
«A fare cosa?» lo rimbeccò Shintarou.
«Ad essere così calmi.» Murasakibara
borbottò, ritrovandosi nuovamente scocciato di avere lo
sguardo di Midorima addosso.
«Io e Shintarou stiamo cercando risposte.» Akashi
tagliò corto e tornò a rivolgere la propria
attenzione alla porta chiusa, intrecciando le mani in grembo e siglando
di fatto un nuovo silenzio che si protese per diversi minuti,
finché non venne il suo turno.
«Dove ti trovavi il due febbraio fra le sedici e le
diciassette?»
«In albergo. Mi trovo qui solo per il torneo di shogi che
inizierà domani, ma ci è stato richiesto di
venire a Tokyo una settimana prima.» Akashi fece una piccola
pausa e riprese non appena vide Aomine aprir bocca per dire qualcosa
«ero in camera, quindi non credo che qualcuno mi abbia visto,
ma puoi chiamare l'albergo, dovrebbero poter confermare quanto ti ho
detto.»
Akashi gli porse un biglietto cartonato contenente il logo,
l'indirizzo, il numero telefonico e il fax dell'albergo.
«Non mi piace, sembra quasi che tu ti sia preparato il
discorso.»
«Mentalmente ce lo siamo preparati tutti, Daiki. Poco prima
sei stato tu stesso a dirci quando è morto Tetsuya, era
ovvio che ci chiedessi dove ci trovassimo quel giorno e che cosa
stessimo facendo in quell'arco di tempo.»
Aomine rimase in silenzio solo per qualche attimo, lasciandosi scappare
un flebile sospiro per cercare di tenere a bada il nervoso: Akashi era
sempre così calmo e preciso da mettergli paura, aveva sempre
l'impressione che più domande gli faceva meno gli era chiara
la faccenda e più Seijuurou riusciva a leggergli nella mente.
«Come mai Kagami aveva le chiavi di Tetsuya?»
Eccolo che cominciava a fare domande. Detestava i sospettati che
facevano domande durante l'interrogatorio e cercavano di invertire i
ruoli.
«Questo non posso dirtelo.»
«Daiki, quante volte devo ripetertelo che il colpevole non
è fra noi due?»
Akashi ci teneva a precisare di essere innocente ogni volta e, in
effetti, considerando che era l'unico di cui non erano state trovate
tracce nell'appartamento di Kuroko, poteva benissimo essere
così, ma ad Aomine non piaceva ugualmente.
«Riguarda Satsuki, non te.»
Akashi rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi
accennò un piccolo sorriso soddisfatto
«Ho capito.»
Aomine arricciò il naso e non riuscì a trattenere
l'ennesimo sospiro spazientito: cosa aveva capito, Akashi? Che Kuroko
tradiva Momoi con Kagami? Certo, Tetsuya e Taiga erano molto vicini, ma
Kuroko non si poteva dire quel tipo di persona, nessuno avrebbe mai
potuto immaginarlo come un "adultero", probabilmente neppure Akashi che
era molto più sveglio di tutti loro messi insieme.
«Avete preso in considerazione l'incendio della scorsa
notte?»
«Certo.» avrebbe preferito rispondergli con
qualcosa di più simile a: "Fatti gli affari tuoi, che non
siamo stupidi e sappiamo fare il nostro lavoro.", ma riuscì
a trattenersi: Daiki non era il tipo di persona pronta a farsi
comandare a bacchetta e a farsi mettere i piedi in testa da chiunque,
ma nonostante tutto aveva un grande rispetto per Akashi e non
sottovalutava mai la sensazione di soggezione che gli metteva in corpo
ogni volta che lo guardava negli occhi o gli parlava.
Akashi si alzò senza permesso e Daiki, dal canto suo, non
fiatò finché non fu interpellato: alla fine i
ruoli si erano invertiti davvero.
«Abbiamo finito, vero?»
«Sì.»
«Chiama l'albergo, Daiki.»
Le ultime parole di Akashi risuonarono come un monito, una
raccomandazione costrittiva e vincolante.
«Siete sicuri?»
«Di cosa?»
«Che sia stato ucciso da qualcuno.»
«Sì.»
C'era qualcuno di peggiore da interrogare, dopo Akashi, e questo
perché il tutto assumeva una piega troppo confidenziale e si
trasformava in una normalissima conversazione fra amici.
«Quindi qualcuno oltre Kagamicchi e Momoicchi-chan ha le
chiavi ...» Kise borbottò sovrappensiero, con gli
occhi fissi sulle mani di Aomine che si apprestavano a sistemare una
piccola pila di fogli.
«Personalmente non credo.»
Kise protese leggermente il viso e gli rivolse un'occhiata piena di
interesse.
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che ...» Aomine esitò: ma
perché ne stava parlando con Kise? Aveva continuato a
respingere Akashi e poi si era gettato immediatamente a capofitto nella
conversazione con Ryouta.
«Beh, credo che il colpevole sia fra loro due.» e
sapeva che Kise avrebbe cominciato a tartassarlo di domande, avrebbe
detto che Momoi e Kagami volevano troppo bene a Kuroko per fargli del
male e tante cazzate del genere, ma forse aveva espresso il suo
pensiero proprio perché voleva che gli venissero fatte
quelle domande, voleva sfogare almeno in minima parte il dolore che
stava racchiudendo e che si stava ostinatamente rifiutando di lasciar
uscire.
«E immagino che con: "Fra loro due", tu intenda
Kagamicchi.» Kise assottigliò leggermente lo
sguardo, ma Aomine non riuscì a capire se si trovasse
d'accordo o meno.
«Già.»
Kise gli diede la risposta non appena gonfiò le guance e
sbuffò rumorosamente.
«Aominecchi, sei sempre il solito! Kagamicchi e Kurokocchi
sono amici dalle superiori!»
Aomine inarcò appena il sopracciglio, ritrovandosi a pensare
quanto fosse buffo che solo lui, almeno fino a quel momento, fosse a
conoscenza della relazione fra Kagami e Kuroko, ma Kise
sembrò non farci caso e continuò.
«Insomma, come puoi dire ch–»
«Se ragioni così, ti ricordo che noi siamo amici
di Tetsu dalle medie.» fu proprio Aomine ad interromperlo: si
era già stufato di sentirlo parlare e, prima che iniziasse
ad intavolare cazzate irrimediabili e scatenasse le sue ire,
preferì fermarlo.
«Senti, vediamo di sbrigarci.»
Kise non disse nulla e si strinse nelle spalle, con le labbra strette
in una piccola smorfia, quasi si fosse offeso per essere stato zittito
tanto bruscamente.
«Dove ti trovavi il due febbraio, fra le sedici e le
diciassette?»
Il solo pensare che avrebbe dovuto fare quella domanda ancora tre
volte, quella mattina, gli mise la nausea.
«Se vuoi l'alibi, non ce l'ho.»
Kise sembrò ancor più offeso e rimase a fissarlo
con quella smorfia, le braccia conserte, il busto rigido contro lo
schienale della sedia.
«Come non ce l'hai?»
«Non ce l'ho.»
«Dai Kise, non fare il coglione.»
«Non credo che le pareti di casa mia possano testimoniare in
mio favore, Aominecchi.»
Aomine sospirò e si sistemò un po' meglio sulla
sedia, preparandosi a scrivere.
«Quindi eri a casa?»
«Sì, avevo il pomeriggio libero.»
«Ed eri da solo?»
«Sì.»
«Sei stato in casa tutto il giorno? Nel senso, magari hai
fatto qualcosa prima, o dopo ...»
«Sono stato allo studio fotografico dalle nove alle undici e
poi sono tornato a casa. Sono uscito, ma alle otto di sera.»
Aomine appuntò tutto e arricciò il naso:
sicuramente quella era una testimonianza da non sottovalutare, non
avere un alibi in un caso come quello era grave, un punto a sfavore per
Kise.
«Ricordi se ti sono arrivate delle telefonate sul
fisso?»
«No, ormai uso solo il cellulare, il telefono fisso lo tengo
per le chiamate dei miei genitori.»
Aomine rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi lo
congedò senza neppure staccare gli occhi dal foglio.
Kise, dal canto suo, si comportò in modo completamente
inverso ad Akashi.
«È grave, vero?»
Era rimasto seduto e aveva borbottato con un fremito nella voce.
Aomine sollevò lo sguardo dalle parole di inchiostro appena
tracciate sulla carta e lo guardò negli occhi per qualche
istante.
«Di certo ... lo terranno in considerazione.»
Era piuttosto frustrante che le situazioni di Kise e di Momoi fossero
così compromesse mentre l'alibi di Kagami, che il due
febbraio aveva coperto il turno dalle quattordici alle diciotto, fosse
già stato confermato.
Kise annuì appena, rassegnato all'idea.
«Puoi andare.»
Aomine lo seguì con lo sguardo e non disse altro, al
contrario di Kise che, fermatosi sulla porta, tornò a
parlare.
«Sta attento, Aominecchi.»
Aomine si sentì esplodere il cuore nel petto:
perché continuava a dirgli di stare attento? Kise sapeva
qualcosa? Kise era in qualche modo coinvolto e voleva soltanto metterlo
in guardia?
Aomine fu incapace di parlare, perché in quel momento gli fu
evidente il fatto che non volesse assolutamente sapere di un eventuale
coinvolgimento di Kise in quella brutta storia: se era Ryouta
l'assassino, o semplicemente un complice, Daiki si sarebbe spezzato e
non sarebbe mai più tornato in piedi.
Angolo invisibile dell'autrice:
Saaaaalve!
Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Fra sami e altre fanfiction
sono un po' lenta e, oltretutto, cerco di stare molto attenta alla
storia, perché la modalità con cui si
è svolto l'omicidio è abbastanza complicata e
devo tener conto di molte cose ... insomma, impazzirò!
Comunque non credo che questa fanfiction durerà molto, ho
l'impressione che altrimenti finirei per scavarmi la fossa da sola,
facendovi capire chi è l'assassino! D:
Ok, come potete notare Akashi si diverte a giocare alla bella
investigatrice (?) e a rompere le scatole ad Aomine (penso che
inserirò l'AoAka negli accenni, come avvertimento,
perché ci saranno molte scene con questi due), Kise
è ultra apprensivo (e sì, confermo: ci
sarà dell'AoKise *3*) e Daiki ce l'ha a morte con Kagami.
Non credo che questo capitolo sia molto interessante, ma se l'ho
scritto così significa che era necessario ;u;'' (?)
Ah, un piccolo appunto su Akashi: sono rimasta indietro col manga,
diciamo ... capitolo 264, mi pare, e lo riprenderò non
appena avrò finito gli esami (fra tre giorni, sì
=w=), ma da quanto mi pare di capire Seijuurou non è
più così inquietante ... ebbene, qui sto cercando
una via di mezzo, inquietante perché è funzionale
al tipo di storia, ma non così ossessionato dalla vittoria
(anche se si impegnerà nella sua investigazione) come lo
abbiamo conosciuto.
Vi ricordo che Akashi potrebbe darsi così tanto da fare
perché, semplicemente, è lui l'assassino e cerca
di nascondere le sue tracce. O forse è Murasakibara, che non
ha dormito. O Midorima. O Kise. O Kagami come dice Aomine ... oppure lo
stesso Aomine? Magari Momoi, che avrebbe molte più
motivazioni degli altri!
Non si fosse capito, io, malefica autrice che non sono altro, cerco di
mettervi i bastoni fra le ruote anche nell'angolo invisibile
dell'autrice ... potrei darvi qualche dritta, o buttarvi completamente
fuori strada (non è necessario dirvelo, ormai lo sapete che
sono sadica, ma ... sì, mi sto divertendo~)
Per il prossimo capitolo dovrete aspettare un po', spero di fare un
buon lavoro e rendere la storia abbastanza intrigante.
Scusate se n ho risposto alle recensioni, ho finito per dimenticarmele
... però vi ringrazio, non pensavo che avrei ricevuto
così tanta attenzione! Prometto che risponderò
alle prossime recensioni! ;*;
Chu!
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