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Non arriverai in fondo al corridoio. Non arriverai in fondo
alle scale. Se quell’ultimo rifiuto gettato sul pavimento rotolasse giù, più
giù, nello stanzino, nella cantina, nella casa delle bambole di tua sorella, e
si fermasse proprio sul sorriso eternamente gaio di Barbie, tutto non
precipiterebbe sul punto nero… e non saresti felice, non saresti allegro di
sapere…. Che nascosta tra le quinte….. ci sono io…. Arriverai mai a me?
È probabile. Ci arriverai prima o poi. Forse prima che poi.
Poi? Il poi non ci sarà più quando arriverai a me!
Non vedi l’ora? Tu non vedi l’ora? Io mi sto letteralmente
squagliando nelle vesti. E mi aspetti, mi aspetti mi aspetti mattino e sera, e lo
so che mi vuoi mi ami e mi processi mi onori e santifichi nel nome di quel tuo
demone inventato, e io non voglio farti attendere per sempre.
Io non ti amo. Mettiamolo bene in chiaro. Tu per me vali
quanto quel rifiuto che non scivolerà mai via.
Non ti odio neppure. La mia più grande forza è
l’indifferenza. Indifferenza. La conosci questa parola?
È bellissimo come il linguaggio prenda forma su di noi. Come
“indifferenza” si incurvi, si pieghi e tramuti in ghiaccio, seguendo i tuoi
contorni come un fil di ferro. E
schiaccia. Schiaccia vero? Fa male? Soffri come quella mosca che hai chiuso
nella conchiglia? Piantala di cercare inutili surrogati di un’esistenza
normale.
Normale.
Ma che sto dicendo? Normale? Non esiste parola più
soggettiva del normale.
Tu come lo vedi il normale, piccolo?
Per me, normale è… normale sono… no. Non credo tu sappia
davvero la natura vincolante di una parola.
Non c’è nulla che mi
turbi. Indifferenza non conosce il normale, non conosce l’anormale, non conosce
né bianco né nero. L’indifferenza sguazza in un denso liquido amniotico
isolante.
Però, vedi, non sono solo indifferenza. Come vedi, penso
persino a te. Tu sai che ci sono e non ci sono.
Ci sono quando vai a letto. Sono lì, proprio lì sotto. Mi
piacciono molto i tuoi calzini, piccolo.
Quella tua mano smorta, che penzola ritmica, espira e
ricade. Perché mi fa sentire ancor più freddo?
Ci sono quando sei lì, steso sul pavimento, le ginocchia
tirate al petto, il respiro mozzo. Ti carezzo la schiena, annuso il tuo collo,
bacio la tua nuca.
A volte non ti vedo… a volte non sei nemmeno remotamente
vicino a me… dove te ne vai?
Non posso saperlo. E non mi interessa nemmeno davvero. Bisogna
solo porsi certe domande senza davvero cercarne la risposta.
Ahhh sei arrivato in fondo alle scale, piccolo. In questo
momento si, ci sono decisamente.
Tu mi senti, non è vero, cucciolo? Si, tu mi senti molto
bene.
Voglio un libro.. vorrei leggerti qualcosa ebbro di
significati, immerso nella più profonda delle auliche massime, qualcosa che non
hai mai sentito e non sentirai mai…
Va bene.. va bene… non invocherò poeti morti per illustrarti
la bellezza della vita.
Sto scherzando. La vita non è bella.
Dovresti vedere quante cose sono meravigliosamente migliori
della vita… ah, ma non so se le vedrai mai.
Beh, tanto dove stiamo andando non c’è nulla.
Nemmeno io.
Era il tuo braccio, quello? Mi dispiace, cucciolo. Braccio.
Natura vincolante della parola, di nuovo, vero?
Che riiiiiiiideeee!!!!!!!!!!!!!!!
Sei dolce, piccolo….
Allora e se non fosse.. ma indi per cui…fossimo ciò che non
abbiamo perpetuando infinite velleità concupirebbero astrusi universi d’altre
profonde ovvietà l’un l’altra contesa frigide nell’immobile perfezione
immutata dell’anno verdaceo e sibillino
acuito da me medesima, offerto e immolato tra immondi calici celanti oro,
urlando stridente profilando argenti di amara chimera.
Ti piace il nero, piccolo?
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