È mattina. Lo sai perché la sveglia ha
suonato, e se la sveglia ha suonato deve essere ora di alzarsi. E tu ti
alzi la mattina. Anche se non lo sai, la tua mente ha già
affrontato questo contorto ragionamento prima ancora che tu apra i tuoi
dolci occhi per fissare il soffitto della stanza. Un soffitto bianco.
Bianco come il foglio di carta che hai lasciato tra le pagine del libro
che leggevi la sera precedente prima di dormire. Bianco come il foglio
che lascerai sulla cattedra della prof alla fine del compito in classe.
Ma comunque è mattina, e tu ti alzi. Ti viene da vomitare,
ma ti alzi. Non stai in piedi per il sonno ed il fastidio, ma ti alzi.
Ti alzi, e a piedi nudi ti avvii verso la porta della tua camera, al
buio più totale. La luce ferirebbe i tuoi occhi, non vale la
pena disturbare la corrente solo per rovinarti la vista. Ma ecco, la
porta della camera si apre con uno scricchiolio sinistro. E tu pensi,
ecco, prima o poi devo dare un’oliata a qui cardini visto che
in sei mesi pa’ non ne ha avuto tempo.
Un fascio di luce, una voce allegra ti saluta. È tua madre.
Tu le sorridi, fai la faccia tranquilla. Va tutto bene. E le dita di
tua madre premono il maledetto interruttore. La luce si accende. Ecco,
adesso cominci a incazzarti. È decisamente mattina.
Vai in bagno. Stranamente non è occupato. Tuo fratello
dorme. Buon segno per te, non per lui, vuol dire che non
andrà a lezione. Quando avrà mai lezione, un
mistero. Non vedi l’ora di andare
all’università anche tu per poter dormire quanto
vuoi senza l’assillo della campanella delle 8 che
immancabilmente perdi. Chiudi la porta dietro di te, e sei di nuovo in
pace. Certo, sei in bagno ed è mattina, ma sei in pace.
Nessuno può entrare e tu hai cinque minuti di respiro prima
di ricominciare la tua vita. Ti accosti allo specchio, a tentoni
afferri il contenitore delle lenti a contatto. Sviti i tappi bianchi
sperando di ricordare qual’era destra e quale sinistra, ti
infili le lenti. Non vogliono entrare. Scappano. Dopo tre minuti persi
vedi perfettamente. E quello che vedi non ti piace.
Davanti a te, riflessa nello specchio, sta una sconosciuta ragazzina di
17 anni dall’aria stanca. I capelli ovviamente in disordine,
le occhiaie ovviamente pronunciate, le guance sempre troppo paffute e
quella vaga espressione da idiota. Sì, sei proprio tu e ti
odi a morte. Vorresti tanto non essere lei, essere
qualcun’altra. Ma è mattina, e tu sei
così ogni mattina. La nausea ti assale di nuovo, non ce la
fai a tenerla stavolta, ti volti di scatto e abbracci la tazza.
Stamattina non ce l’hai fatta a tenere, ma domani
sarà un’altra mattina e ce la farai. Le tempie ti
pulsano, sembrano prenderti in giro. Sei tentata di rimetterti a
dormire lì in bagno.
Da dietro la porta tua madre bussa. È tardi. Rischi di
sentirle di nuovo dalla prof. Non c’è tempo per
vomitare adesso. Adesso è tempo di fare la brava bambina, la
brava figlia, la brava studentessa. Adesso è tempo di essere
un’altra.
Esci dal bagno sorridente. Non si sa mai chi potresti incontrare. E
infatti incontri tuo padre, ha la tua stessa faccia sconvolta, in mano
la tazzina del caffè che mamma gli porta a letto ogni
mattina. Anche a te piacerebbe, ma non osi chiedere una cosa simile,
sarebbe da viziata. E poi tu ufficialmente il caffè non lo
bevi. O meglio, la tua facciata il caffè non lo beve. Troppo
amaro. Troppo da adulta. E tu non sei adulta. Ti sale di nuovo la
nausea ma la ricacci indietro. Non è momento di vomitare in
faccia a tuo padre. Ma lui stranamente vede qualcosa di strano in te,
ti fissa per un istante in più, è perplesso.
“Dormito bene?” chiede con la sua solita voce. No,
non ha capito nulla, tutto a posto. È mattina e lui
è rincoglionito come tutta la giornata. Sorridi tranquilla,
borbotti qualcosa a proposito del ritardo di ieri che ti ha messa nei
guai, e scompari in camera tua. Ah, se solo potessi restare in camera
tua! Ma non ti è concesso. Devi socializzare, devi farti
vedere dal mondo. E il mondo ti deve giudicare.
Infili a caso un paio di jeans e una felpa. Ecco, ora solo le scarpe,
poi sei pronta per andare. La cartella è lì che
ti aspetta, al suo interno hai già infilato qualche libro, i
sudoku e la risma di fogli bianchi che ti aiutano a sopravvivere
durante le interminabili lezioni. Non sai ancora se userai il
bigliettino che hai infilato nell’astuccio, ma non osi
toglierlo per paura che ti serva. Se torni a casa con un cinque o
peggio un quattro, fai preoccupare i tuoi, e tu non vuoi problemi, non
vuoi fastidi. Vuoi solo che ti lascino in pace.
Ti chiamano. Non hai più tempo. Sei in ritardo. Corri. Corri
in cucina ad afferrare due biscotti. Tuo padre è ancora
lì che beve il suo caffèlatte. Ma tua madre si
lamenta che farai tardi. Peccato che non guidi tu. E allora, di nuovo a
protestare, di nuovo a supplicare il vecchio di sbrigarsi. Finalmente
si sbriga, sbuffando e tenendo il broncio, ma si sbriga e mette in
moto. Ecco, sali in macchina. Hai preso le chiavi di casa? Una tastata
rapida ti dice che sì, le hai.
Casa tua scompare nello specchietto retrovisore e tu senti il nodo alla
gola farsi sempre più serrato, più pressante. Non
cedere, non devi cedere. Le unghie si spingono nella carne del palmo.
Senti i tuoi timpani premere dolorosamente, la pressione aumenta. Non
cedere, non puoi cedere. E prima ancora che te ne renda conto, prima
ancora di aver capito che è passata quasi
mezz’ora, sono le otto e cinque, e tu sei in ritardo. Di
nuovo. Come ogni mattina. Scendi al volo dalla macchina, afferri a due
mani la cartella, un saluto veloce all’autista. Sei arrivata
fin qui, non puoi mollare proprio ora. Non devi. Ti guardi il palmo
delle mani, le mezzelune delle tue unghie sono ancora visibili. Ti
senti meglio. Ce la fai.
E varchi la porta della scuola. Vieni immediatamente invasa dalla sua
solidità, dalla sua sicurezza. Sì, stai meglio.
Non subito però. Subito c’è la corsa in
classe e la ramanzina per il ritardo. Ma poi ti siedi al tuo banco, le
tue amiche ti sorridono e tu cominci a pensare che tutto sommato hai
fatto bene ad alzarti.
Brava, ce l’hai fatta anche oggi.
Domani sarà un’altra mattina, un altro giorno.
Domani ricomincerà tutto.
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