.: Dorei ~ Schiava :.
Sei una
schiava.
Non hai diritti, hai
solo doveri.
Elimina la tua
personalità.
Cancella sogni e
desideri, non ti è permesso averli.
Devi assoluta
fedeltà al tuo padrone, solo a lui e a nessun altro.
Devi sempre tenere alto
l'onore della famiglia del tuo padrone.
Devi sempre accettare
tutto ciò che ti viene ordinato, dall'irragionevole
all'umiliante.
Tieni sempre la testa
bassa.
Non incrociare mai lo
sguardo del tuo padrone: è una mancanza di rispetto.
Sei una schiava e sempre
tale resterai.
A Hinata erano sempre state imposte quelle rigide regole sin dalla sua
più tenera infanzia.
Era nata da una relazione clandestina del capo famiglia della nobile
casata degli Hyuuga con una povera cameriera.
Era
una figlia bastarda, la cui presenza era inopportuna e incomoda,
nonostante non fosse mai stata riconosciuta dalla figura paterna e
nonostante la sua crescita fosse stata sin da subito impostata
per
diventare una schiava, come sua madre.
La
sua infanzia, infatti, era trascorsa tra tremende punizioni per la sua
sbadataggine e inettitudine che causavano ritardi o disastri nel
servire.
Era troppo delicata per poter sostenere duri e massacranti lavori.
Troppo
debole per sopportare i castighi che le venivano imposti, alleviati
soltanto dai segreti aiuti che il suo fratellastro le dava appena
poteva.
Neji era il suo unico amico che, sin da piccolo, si era
sempre dimostrato serio e posato - così come voleva la
rigida dottrina
degli Hyuuga - ma anche onesto e fedele, con un odio smisurato verso le
tirannie del padre, soprattutto su quel delicato angelo che
considerava, nonostante tutto, sua sorella.
Hinata si sentiva
protetta e solo: in sua presenza, diventava quasi più sicura
di sé, ed
era disposta a sopportare tutto per restare con il fratellastro.
Gli schiavi non potevano avere desideri ma lei ne possedeva uno:
restare per sempre con Neji.
Quello
dimostrava quasi che lei non era una serva in realtà, ma che
era un
bozzolo dal quale un giorno sarebbe nata una farfalla, libera e bella.
Quel desiderio però era rimasto intatto solo fino al suo
sedicesimo anno d'età.
Hinata
era diventata una ragazza stupenda nonostante la sua situazione e la
guerra, che per due anni aveva visto il lento declino delle forze di
Konoha.
Quella sconfitta era pericolosa per chi, come gli Hyuuga,
possedeva molte ricchezze e suo padre, Hiashi, ne approfittò
subito pur
di non perdere la sua posizione privilegiata come nobile, prodigandosi
per stringere un prezioso patto con la famiglia più ricca
dei nuovi
padroni di Konoha, i Sabaku provenienti da Suna.
Un patto che vedeva compreso anche un dono: una sua schiava.
L'uomo
riuscì in questo modo a liberarsi dell'incomoda presenza di
una figlia
bastarda nella propria dimora e a ottenere le grazie dei Sabaku con un
solo colpo.
Dalla sua Hinata, si ritrovò catapultata in una nuova
realtà, lontana da Neji e dalla casa nella quale era
cresciuta.
Conosceva
già di fama i suoi nuovi padroni. Erano famosi non solo per
le loro
ricchezze - quasi pari a quelle degli Hyuuga - ma anche per alcuni
racconti, cresciuti quasi come leggende durante la guerra e che non
erano poi così tanto falsi.
La famiglia era composta da sette persone.
Vi
era Temari, la maggiore dei figli. Una giovane e bella donna dal
carattere sicuro e forte e un po' calcolatore, che con le sue grazie e
la sua intelligenza, straordinaria per una ragazza, era riuscita a
conquistare e sposare un ricco banchiere di Kita, Kakuzu.
Quest'ultimo
era un uomo già adulto che aveva visto molte cose dalla
vita,
impossessandosi di numerose ricchezze. Aveva un aspetto spaventoso,
causato dalla sua altezza e dalle varie cicatrici che costellavano il
suo corpo. Era inoltre di poche parole, lasciava quasi sempre che
fossero i suoi occhi, puri smeraldi, a farlo per lui.
Poi, vi era il
secondogenito, Kankuro, di un anno più piccolo di Temari.
Era un
ragazzo all'apparenza giocoso e un poco sbruffone, ma che in
realtà
nascondeva la mente di un manipolatore. Amava farsi chiamare 'Il
Marionettista' per la sua capacità di controllare - o meglio
ricattare
e assoggettare - le persone. Molto simile, non solo nell'aspetto, a suo
padre.
Il capo famiglia, Hokori, era noto per la sua capacità di
negoziatore. Era stato lui a portare la vittoria a Suna con l'aiuto non
solo del maschio maggiore , ma anche con quello del figlio minore e di
suo cognato, Yashamaru, fratello di sua moglie Karura. Questo era un
ottimo medico che aveva 'riportato in vita' intere legioni di feriti,
dall'aspetto però un poco effeminato, forse a causa della
grande
somiglianza con la sorella, una donna dolce e comprensiva, forse
l'unica della quale Hinata non avesse paura.
Li temeva tutti infatti, primo sugli altri il figlio minore: Gaara.
Si
diceva che fosse stato lui a condurre realmente alla vittoria Suna,
anzi che fosse stato 'l'arma' usata per distruggere interi corpi
militari.
Un assassino dal sangue freddo ma dall'aspetto fragile e pallido.
Se
le apparenze ingannavano realmente, quello ne era l'esempio e Hinata
aveva paura di lui e non voleva andare oltre nel conoscerlo.
Anni di
schiavitù nella casa paterna le avevano insegnato a stare
lontana dai
guai e se voleva un giorno rivedere Neji, doveva fare in modo di
proteggersi.
E quindi, come la migliore delle serve, non obiettava mai a nessuna
disposizione.
Tratteneva il terrore dentro di sé e a testa bassa
acconsentiva a tutto.
Silenziosa eseguiva gli ordini di tutta la famiglia.
Hokori voleva mangiare qualcosa alle ore più impensabili
della notte? Lei andava a cucinare.
Kakuzu voleva che facesse delle dubbie 'consegne' per lui? Lei doveva
eseguire.
Kankuro pretendeva che indossasse sempre e solo un sensuale abito nero
come 'divisa'? Lei lo indossava.
Temari la mandava a fare compere per lei al mercato delle stoffe? Lei
si operava subito per accontentarla.
Tutto, senza eccezioni.
Ubbidiva
di fronte all'ordine di andare nei quartieri poveri, rischiando la
vita, per consegnare sospetti pacchi di Kakuzu ad ancor più
ambigui
individui e avrebbe ubbidito anche all'ordine di Kankuro di soddisfarlo
sessualmente, perché già sapeva che era quello il
suo obiettivo.
Non poteva tirarsi indietro o scappare.
Non
le era permessa la fuga, sarebbe morta subito senza rivedere Neji e non
poteva permetterselo, per quello, quando Gaara entrò nella
piccola
stanza - simile a un ripostiglio -, inghiottì tutta la paura
che
scalpitava per controllarla, attendendo ordini con il capo chino.
Sentiva lo sguardo del suo padrone su di sé, critico e
freddo: era come se la stesse spogliando.
Ignorò
le guance che le si imporporarono a quel pensiero, ma quasi
sussultò
quando le gelide mani del ragazzo le afferrarono il viso costringendola
ad alzarlo.
I suoi occhi grigi incontrarono quelli color acquamarina dell'altro.
Tremò, terrorizzata, nonostante tutti gli sforzi non
riusciva più a controllarsi.
" Hai paura di me?", domandò con voce strana, quasi pazza.
Le sue iridi verde chiaro erano scosse da inusuali brividi e le mani,
che le tenevano il viso, sudavano.
Era una delle crisi che aveva sentito nominare da Yashamaru e lei
sarebbe stata la sua vittima.
Non
sapeva che rispondere per tentare anche solo di calmarlo,
perché ogni
soluzione avrebbe sicuramente portato a reazioni negative.
Poteva mentire con la bocca ma non con gli occhi.
" S-sì...", ammise con voce debole, flebile e spaventata.
Le stretta divenne immediatamente più dura e in un assurdo
senso di autoconservazione Hinata si ritrasse, tremante.
"
L-la prego... p-posso fare quel che v-vuole...", mormorò
cercando di
proteggersi, ma le sue parole parvero andare a vuoto di fronte allo
schiaffo del suo padrone, che la colpì facendole sanguinare
il labbro.
Gemette di dolore, accasciandosi ai piedi del letto, portando le mani
alla parte lesa.
Non
si accorse neanche delle lacrime che iniziavano a bagnarle il viso
tanta era la paura, non solo per ciò che era accaduto, ma
anche per
quello che l'avrebbe dovuto subire di lì a poco,
preannunciato dalle
mani che la afferrarono con forza per i capelli, sollevandola, e dalle
labbra calate violentemente sulle sue.
Ciò che accadde nell'ora
successiva era tinto del rosso del sangue e del dolore causato dalle
percosse e dalle violenze che le fecero perdere i sensi.
Li
riacquistò solo qualche ora dopo, richiamata dalla voce di
Karura, e
ciò che vide la fece star ancor più male di
quanto già stava.
Giaceva nuda sul suo letto e il suo corpo era ricoperto di sangue e
lividi, e con lui anche il lenzuolo.
Un'innocenza
rubata con la forza e ciò che sperava fosse un crudele
incubo si era
rivelato realtà, ma gliel'avevano sempre detto: gli schiavi
non possono
fare sogni, tutta la loro intera vita è un reale incubo.
Per la
prima volta in tutta la sua esistenza, Hinata, si convinse che quello
era il suo destino e che niente poteva modificarlo: era nata schiava e
come tale sarebbe morta.
Mai come in quel momento sentiva la figura di Neji lontana, come se
fosse solo un ricordo.
Si
alzò traballante e, dopo essersi data una sistemata,
raggiunse con
passo incerto la sua padrona per riprendere il suo pesante quotidiano
lavoro, inventandosi delle scuse per spiegare le sue ferite - uno
schiavo non può mentire a un padrone ma non può
neanche metterlo in
cattiva luce.
Non poteva raccontare ciò che era successo con Gaara.
Doveva rimanere un segreto tra lei e il padrone.
Un segreto che con il passare dei mesi si era appesantito, ed era stato
sporcato da altri violenti incontri.
Gaara era tornato, più e più volte, e sempre con
la stessa brutalità l'aveva costretta a sottostare a lui.
Risultava
sempre più difficile per lei nascondere i lividi o trovare
nuove scuse
per le domande che di tanto in tanto le venivano poste - anche se una
parte di Hinata era convinta che i Sabaku già sapessero ma
che, per il
rispetto e il terrore che anche loro provavano per il giovane, non
proferissero parola.
Un po' la ragazza capiva i sentimenti del
padrone - non tutti, non poteva comprendere cosa lo spingesse a quelle
violenze - e cercava, con la sua dolcezza di donargli quell'affetto che
in famiglia gli era precluso.
Perché via via era diventato sempre più chiaro: i
Sabaku temevano Gaara.
Era troppo forte e incontrollato anche per loro, tanto da cercare di
evitare qualsiasi contatto con lui.
La
mancanza di quell'affetto - simile a quello che aveva provato anche
Hinata da parte del padre - l'aveva spinto a cercarlo in altre forme
che purtroppo erano violente.
La paura era rimasta, era un sentimento indelebile, ma la ragazza aveva
iniziato ad affezionarsi a lui perché erano simili.
Per
quanto avesse sofferto, Hinata, non era in grado di odiare, era il suo
peggior difetto, che però di fronte a Gaara diventava un
pregio perché
lui non aveva bisogno di altro odio.
Doveva essere amato e capito,
che poi lui non permettesse a nessuno di avvicinarsi era un altro
conto, ma stava bene, quando la ragazza lo abbracciava in lacrime
durante i loro incontri mentre la feriva.
Gli donava quel calore e
quella forza che gli erano sempre mancati e, passo dopo passo, aveva
iniziato a lasciar cadere le sue difese per Hinata, glielo doveva.
Se c'era qualcosa o qualcuno che poteva aiutarlo, quella era lei.
E
mentre fuori da quella casa, i gruppi di rivoluzionari cercavano di
liberare Konoha dalla dominazione di Suna; dentro i violenti incontri
tra i due si facevano lentamente più dolci.
Ma non di una dolcezza 'buona', quello che restava dopo era amaro.
Troppo
sangue e dolore era stato versato a causa di Gaara e lo sapeva.
Più
riacquistava la lucidità, più prendeva atto di
tutti i suoi errori.
Primo su tutti l'aver ferito l'unica persona che avesse iniziato ad
accettarlo.
Non
chiedeva però scusa, le parole spesso erano menzogne - lo
sapeva bene,
era a causa delle bugie di suo padre e suo zio se era così -
e non
voleva che lei pensasse che le stesse mentendo.
Chiedeva perdono
solo con i gesti e sperava un giorno di trovare il coraggio di dirle
tutta la verità, e in quel momento attendeva solo il ritorno
della
ragazza dalle spese che le erano state assegnate da Kakuzu e Temari.
Attraversava incerta il grande mercato, carica di pacchi appartenenti
alla sua padrona.
Aveva
svolto tutti i compiti che le erano stati assegnati e, come ogni volta
che c'era di mezzo Temari, tornare alla casa dei Sabaku risultava
difficile con tutti i pacchi che aveva acquistato.
Riuscì con difficoltà a superare il mercato fino
a infilarsi le parco, dove crollò su una panchina.
Cercò di recuperare le forze per poter tornare a casa, non
poteva permettersi di arrivare più tardi di quanto
già stava facendo.
Avrebbe fatto arrabbiare Temari e di conseguenza anche Kakuzu.
E non...
" Hinata.", i suoi pensieri vennero interrotti da una voce che ormai
sentiva solo in sogno.
Una voce calda e bassa.
La voce di Neji.
Alzò
la testa di scatto mentre quella speranza che era andata via via
spegnendosi si riaccendeva di fronte alla figura familiare e desiderata
del cugino.
" N-neji...", mormorò in un sospiro, incontrando gli occhi
grigi dell'altro.
In
un anno - il tempo che era passato dalla sua 'cessione' di Sabaku - non
era cambiato, le donava sempre la stessa sensazione di protezione e
sicurezza.
Il ragazzo le si avvicinò, aveva un'espressione seria ma
lei, nei nelle sue iridi, poteva benissimo leggervi lo stupore e la
felicità.
Magari anche lui desiderava rivederla e quindi gli donò un
dolce sorriso timido, per niente diverso da quelli che gli regalava
quando erano piccoli.
Si dimenticò di tutto.
Dei pacchi, del ritardo, delle punizioni che avrebbe poi subito.
C'era solo Neji e nessun altro.
Non c'erano state molte parole, più che altro c'erano le
loro mani che si stringevano e i loro occhi, persi l'uni nell'altro.
Hinata avrebbe voluto chiedere tante cose ma non parlò.
Era
troppo importante quel momento per sprecarlo, ma come era ovvio doveva
finire e si concluse con Neji che le metteva il mano una pillola,
coprendola poi con la sua.
" Questa ti libererà e libererà anche Konoha.",
le sussurrò baciandole poi la fronte, in segno di rispetto e
come saluto.
Era la promessa che si sarebbero rivisti ed era tutto ciò
che contava in quel momento.
Niente
la poteva scalfire al suo ritorno dai Sabaku, né lo schiaffo
di Temari
per il suo ritardo, né lo sguardo truce e quasi assassino di
Kakuzu e
nemmeno Kankuro che, vedendola sola nel corridoio, la bloccò.
Era
una cosa che capitava ormai spesso di cui Hinata non aveva stranamente
paura, forse dopo quello che aveva passato con Gaara le molestie
dell'altro suo padrone non le avrebbero fatto niente, finché
si
fermavano a quei placcaggi nei luoghi più impensabili della
casa.
" Hai fatto arrabbiare mia sorella.", le disse con voce bassa.
La ragazza si limitò a tenere la testa come sempre bassa,
stringendo forte la pillola nel pugno, come per darsi forza.
" M-mi dispiace...", rispose.
" Vieni.", si allungò per aprire la sua camera conducendola
poi al suo interno.
Non si ribellò, come era ovvio, e restò in attesa
di quello che presto sarebbe accaduto.
Kankuro
la portò di fronte allo specchio che la 'catturava' in tutta
la sua
interezza e bellezza, si spostò alle sue spalle, baciandole
il collo
mentre, lento, la spogliava.
Il respiro di Hinata si velocizzò
appena, ma non parlò né si mosse, osservando
dallo specchio il suo
corpo che piano veniva spogliato, indumento dopo indumento.
Rimase così nuda, di fronte allo specchio, con le guance
arrossate per l'imbarazzo e il cuore il gola.
Le labbra dell'altro si posarono sulla sua schiena percorrendola, un
lento cammino che Hinata trovava insopportabile.
Avrebbe voluto scostarlo e allontanarlo, raccogliere i suoi vestiti e
scappare ma era una schiava.
Sarebbe morta subito.
"
Kankuro.", fredda voce di Gaara li risvegliò da quel
torpore, misto
all'eccitazione e al terrore, e solo in quell'istante Hinata si permise
di cadere inginocchiata per terra, esausta.
Era stufa di essere una schiava, stufa di essere usata e di non essere
libera.
Doveva
finire tutto a nome suo, di Neji e di Konoha, anche se significava
sporcarsi le mani di sangue e infrangere il contratto che la legava
come serva ai Sabaku.
* " Tu non sei una schiava." *
Le parole del fratellastro le tornarono in mente, gliele ripeteva
sempre, ogni volta che lei era sul punto di crollare.
* " Gli schiavi si arrendono alla vita e tu sei ancora qui, non ti sei
arresa."*
Già, lei aveva sempre tirato avanti e doveva continuare a
farlo.
"
G-gaara.", sentì appena il gemito terrorizzato di Kankuro,
era persa in
un mondo tutto suo dal quale tornò solo quando si
ritrovò sola nella
stanza con il suo coetaneo.
Si azzardò per un attimo ad alzare lo sguardo su Gaara,
abbassandolo subito con le guance arrossate.
" Mettiti questo.", prese incerta il primo abito che le veniva passato
affinché potesse rivestirsi.
Lo infilò veloce, era nero come il colore del lutto,
restando seduta sui talloni terra, ancora incapace di alzarsi.
Il
ragazzo la osservava silenzioso, come in attesa, per poi distendersi
sul pavimento e poggiare la testa sulle gambe di Hinata. La
guardò in
viso, specchiandosi in quelle iridi così chiare.
Doveva dirglielo.
Sentiva che quella era l'ultima opportunità.
"
Mio padre e mio zio mi hanno sempre drogato.", una semplice frase,
quasi senza senso detta il quel modo, di punto un bianco, ma in quella
situazione non si poteva far altro che ascoltare e capire.
Gaara le stava raccontando tutta la verità sui Sabaku.
"
Ero malato di una malattia che mi portava ad essere violento per
qualche tempo e ne hanno approfittato, aumentando questi tempi di
follia con le droghe per creare così il mostro che sono."
" L-lei non è u-un mo-mostro.", balbettò lei,
rigirando di nascosto la pillola.
Le sembrava quasi di dover accoltellare alle spalle qualcuno, un gesto
meschino e senza onore.
Era indecisa.
Tornare con Neji o restare con Gaara.
Da
una parte il suo bisogno di avere accanto la persona che amava e
dall'altro il dovere di restare con chi aveva bisogno di lei.
Felicità, egoismo e sacrificio si mischiavano
indissolubilmente, confondendola.
"
Sei sempre stata troppo buona.", il ragazzo chiuse gli occhi,
abbandonato nel calore che Hinata emanava. " Le cose non dovevano
andare così. Dovremo tutti essere liberi. Tu di stare con la
tua
famiglia e io di decidere della mia vita. La ormai questa è
la nostra
strada e non possiamo far altro che cercare di dare un senso alla
nostra esistenza."
Lei non rispose, carezzando però la testa di Gaara, come per
confortarlo.
Non si stava più comportando da schiava.
Si stava comportando da Hinata e aveva preso la sua decisione.
Voleva la libertà per tutti.
"
Ti ho voluta bene a modo mio ed ho sbagliato.", sussultò
appena e
guardò il ragazzo, ma quando lo vide dormire quasi si
convinse di
averlo sognato.
Il suo primo sogno da persona libera.
Con
dolcezza gli fece ingerire la pillola - non c'era odio nel suo gesto e
mai ci sarebbe stato - mentre delle inconsce lacrime le bagnavano il
viso.
Continuò a carezzargli i capelli, come per rassicurarlo fino
a sentire il respiro di Gaara sparire.
Erano liberi.
Lei poteva finalmente tornare da Neji.
Konoha
si sarebbe liberata della dominazione di Suna - perché dopo
la morte
del ragazzo la forza della degli occupatori della città era
notevolmente dimezzata.
E Gaara, lui era stato liberato dalla una famiglia che non l'aveva mai
considerato una persona.
Quella
morte avrebbe sempre segnato l'animo della ragazza e non le dispiaceva,
perché lei non voleva dimenticarlo, perché anche
Hinata aveva voluto
bene a Gaara a modo suo.
.^ Fine ^.
Ora che i risultati sono
usciti posso dirlo: questa fic ha avuto seri problemi ad uscire.
Prima
di tutto al cell è difficile vedere sei pagine e poi
correggerle e per
secondo - testimone Ainsel - non avevo voglia di farla.
Ma si sa: non sono una
tipa che ama ritirarsi.
Spero vi sia piaciuta
tanto quanto piaccia a me (anche se l'ho scritta 'tanto per' mi piace
questo lavoro).
Alla prossima.
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