A piedi nudi

di Coldark
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Ti rincorro a piedi nudi mentre il cielo piange tristezza contagiandomi in meno di un secondo.
Ti volti e mi guardi.
Mi guardi con gli occhi di chi osserva un bambino che non ha ricevuto un regalo il giorno del suo compleanno.
Decidi di tornare indietro.
Probabilmente per pena, non so.
Entriamo in un locale Vintage, troppo per i tuoi gusti.
La barista, sulla quarantina, accende il Jukebox e un artista sconosciuto divampa nella stanza con una canzone troppo allegra, per me.
Tu sorridi, ma io non sento niente.
Prendiamo posto vicino la finestra osservando gli atteggiamenti goffi della barista.
Ordiniamo nuvole di speranza e mangiamo dinanzi al crepuscolo sottile che delinea l’orizzonte dei tuoi occhi e la tua sporca anima.
Il rossore delle tue guance  scoppietta in mille scintille quasi come una melodia di Mozart, che tenta di aggrapparsi ai cuori leggeri, stanchi di lottare e ormai si lasciano andare, sospinti da illusioni e da mille fratture, dolci e marce che ammazzano e curano in modo indolore, quasi indifferente.
Così vedo allontanarsi tutti i sogni, tutte le speranze, come lampadine al neon ormai fulminate dal troppo calore.
Da troppa luce.
Forse l’oscurità non è poi così male.
Frugo dentro me stesso in cerca di qualcosa che non siano sentimenti andati a male e scorgo una torcia.
L’accendo.
Ma intorno è vuoto.
Spengo tutto, spengo me stesso, mi rannicchio in un angolo iniziando a piangere senza sentire le lacrime che solcano il viso.
Mi arrendo.
Se non hai niente dentro, avrai fuori il nulla.




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