Nordic Tale

di Ciajka
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“Quale cosa strabiliante...” sussurrò tra sé e sé la robusta figura del Dio Forseti.

Si trovava in una spaziosa stanza circolare, le cui immense finestre allungate erano alternate da statue di uomini in armatura in posizione di riposo: entrambe le mani erano strette nell'impugnare l'elsa della spada, mentre la punta era conficcata simmetricamente a terra.

Al centro della stanza si trovava un pozzo in pietra, completamente pieno di acqua mistica. Il Dio, coperto da una lunga tunica color oro con bordature rosse, stava guardando con interesse le immagini riflesse sulla superficie del liquido.

“A cosa si riferisce, signore?” chiese una giovane figura dai lunghi capelli scuri posta di fianco a lui.

“Quel mortale vuole aiutare mio fratello.” rispose Mycroft, quasi titubante.

“La considera una cosa negativa?” il tono con cui la Dea fece la domanda non lasciava trapelare nessuna emozione.

“Non ne sono completamente sicuro. Sai qual è il motivo per il quale gli ho tolto l'immortalità.”

Fece una pausa prima di continuare: “Potrebbe essere la sua salvezza. O la sua più totale disfatta.”

“Spererei la prima possibilità.” commentò la Dea, con tono piatto.

“Lo spero anche io, Anthea. Lo spero anche io.”

 

 

 

“Non capisco come un druido potrebbe aiutarmi.” commentò velenosamente Sherlock mentre seguiva John tra le vie del villaggio.

“Si tratta della persona più saggia della contrada! Più di una volta è riuscito a mettersi in contatto con gli spiriti e con gli Dei!” controbatté con foga il biondo.

“Contattare gli Dei ora sarebbe proprio utile.” disse con sarcasmo l'ex Dio.

John gli scoccò un'occhiataccia, prima di dire: “Sa fare alcune magie. Forse ne sa una abbastanza potente da farti ritornare come eri prima.”

Sherlock sbuffò: “Ne dubito.”

Si ritrovò ad osservare quello strano essere umano che si era offerto di aiutarlo di sua spontanea volontà. Sembrava addirittura felice di farlo.

“Non capisco perché mi vuoi aiutare.” si ritrovò a dire Sherlock.

L'altro iniziò una breve risata, per poi rispondere: “Mi sembra ovvio! Hai la mia anima e non sei più un Dio. Se tu dovessi morire, che fine farei io?”

“Probabilmente la tua anima si dissolverebbe, insieme al resto del corpo.” rifletté il moro.

“Perfetto. Per questo preferisco che tu riacquisti la tua immortalità.”

Sherlock fece un sorriso sghembo nel sentire quelle parole. Quanto ti sbagli, John.

“Tenendo conto che non ti darei una settimana di vita in questo mondo.” concluse la frase il giovane.

Sherlock strabuzzò gli occhi ed esclamò: “Cosa?!”

John lo guardò seriamente negli occhi.

“Stavi per farti uccidere da un fruttivendolo, prima.” constatò.

Il moro tentennò: “Non è affatto vero! Non sarebbe riuscito neppure a sfiorarmi!”

“E come ti saresti difeso?” domandò con un leggero tono derisorio John.

“Ovviamente con...” ma l'ex Dio non riuscì a completare la frase.

Se fosse stato in possesso di tutti i suoi poteri di divinità, avrebbe potuto usare un sacco di sortilegi: fulmini, fiamme, bloccare il ritmo del cuore, riempire i polmoni di acqua, creare visioni raccapriccianti... ma ora come ora non era in grado di fare assolutamente nulla di tutto ciò.

In tutta la sua esistenza, non si era mai preoccupato di portare con sé qualunque tipo di arma, nemmeno un minuscolo pugnale, consapevole della sua bravura con la magia e con l'ingegno. Se ora si fosse trovato in uno scontro, le uniche armi che possedeva erano le sue mani nude.

Si sentì completamente inutile.

John continuò a camminare con un'espressione soddisfatta, perfettamente conscio di avere ragione, mentre la figura a suo fianco lo seguiva scuro in volto.

 

 

 

Qualcosa si mosse nel vicolo appena superato dai due.

Si rifugiò nell'ombra della più vicina abitazione, mimetizzandosi completamente con l'oscurità. Nessuno lo vide o lo sentì. Era completamente invisibile, oltre che immateriale, siccome fatto della stessa sostanza delle ombre.

Eppure questo non lo fermava nell'osservare con attenzione quei due individui: prima quello più basso e ben piazzato, decisamente umano e, per questo, catalogato come banalità; successivamente quello alto e snello, con il lungo mantello nero. Si ritrovò impossibilitato nel classificarlo in qualsiasi categoria a lui conosciuta. I suoi sensi dicevano che era anch'esso mortale, eppure... eppure il suo intuito gli diceva che non lo era affatto.

Finalmente qualcosa di interessante.

I suoi occhi oscuri scintillarono, prima di continuare a seguirli.

 

 

 

“Quella donna ti guarda malissimo.” constatò Sherlock, dopo svariati minuti di silenzio.

Si trovavano a pochi passi dall'entrata della vecchia capanna del druido del villaggio e, proprio ad un metro da loro, c'era una donna di mezz'età che inceneriva John con lo sguardo.

“Ah, non ti preoccupare. Da quando mi è ricresciuto il braccio, alcuni abitanti mi guardano un po' di traverso.” disse John.

L'ex Dio lo guardò come se non avesse capito quello che aveva detto.

John quindi continuò: “La notizia del mio miracolo ha raggiunto ben presto le orecchie di tutti gli abitanti del villaggio, a nulla è servito provare a nasconderlo. Alcune persone mi considerano un uomo fortunato, alcune ne approfittano per chiedermi consulenze mediche – sai, sono vicino agli Dei e cose del genere – altre invece pensano che abbia fatto un patto con demoni e che ora sono un mostro.”

Si stoppò un momento per leggere l'espressione dell'altro, ma non ne trapelò nulla.

Così continuò: “Ma a me non importa nulla di quello che pensano.”

“Tanto abbandonerai il villaggio alla prima occasione per raggiungere il campo di battaglia.” concluse il moro.

“Esatto.” gli diede seriamente ragione John “Non sopporto la vita di paese.”

Spostò lo sguardo verso la capanna che si trovava di fronte a loro e disse, con tono più rilassato: “Questa è l'abitazione del druido. Entriamo e speriamo che ci possa essere di aiuto.”

 

 

 

Appena varcarono l'entrata, vennero inondati da un odore di erbe aromatiche bruciate, che fece immediatamente tossire John.

Il foro circolare, posto proprio di fronte all'entrata, era la sola fonte di luce di quell'unica stanza della capanna, cosa che rendeva l'ambiente piuttosto tetro. Se si aggiunge poi il fatto che erano circondati da vecchi scudi, armi, pelli di animali ancora complete di testa e strane tele di pergamena dipinte con simboli magici, l'ambiente si poteva considerare addirittura terrificante.

“John Watson e il misterioso forestiero.” li accolse una voce bassa e stridente “Avvicinatevi.”

Obbedirono e senza tante cerimonie si ritrovarono di fronte all'anziano.

Aveva piccoli occhi tondi, marcati da profonde rughe, e gli incisivi particolarmente pronunciati. Quando mise sul tavolo di fronte a sé una ciotola contenente delle ossa di animale, Sherlock poté notare che le sue mani erano completamente tatuate da motivi geometrici.

“Siamo qui per chiederti consiglio.” proclamò John.

“Esponetemi il vostro dilemma, con il potere della natura e degli Dei farò in modo di-” iniziò il saggio, ma venne interrotto dal commento di Sherlock: “Se sei così bravo, dovresti già sapere per quale motivo siamo qui.”

John si girò verso di lui e lo rimproverò silenziosamente con uno sguardo tagliente.

Il druido iniziò a ridacchiare, per poi rispondere al maleducato commento del moro: “Sei intelligente. Non sei un credulone come la maggior parte degli abitanti di questo villaggio. E, per dimostrarti che non sono un impostore, ti dirò immediatamente quello che volevi chiedermi: vuoi che ti liberi da una maledizione.”

Sherlock si ritrovò con la bocca stranamente secca. Non se lo aspettava proprio.

“Sareste in grado di farlo?” domandò John.

“Tutto dipende da chi l'ha proferita. Purtroppo non riesco a vedere chi è l'artefice.” rispose, dopo aver smosso la ciotola contenente le ossa e averle osservate per qualche secondo.

“Dovevo aspettarmelo...” sussurrò il moro, per poi dire con voce udibile per tutti: “Il Dio Forseti.”

L'anziano lo guardò dritto negli occhi, stupito della risposta.

“Il Dio della giustizia ti ha scagliato una maledizione? In questo caso, non potrò mai impormi contro la sua volontà. Non ho nessun potere contro di lui.”

Sherlock lo guardò duramente e, senza aggiungere nulla, si girò per andarsene della capanna.

“Aspetta!” lo richiamò John, inseguendolo.

Stava per uscire all'aria aperta quando la voce del druido, stranamente più acuta di prima, raggiunse le sue orecchie: “Ooh! Ora sì che ho finalmente capito cosa sei!”

Sherlock non riuscì a non girarsi verso di lui e domandare con tono duro: “E cosa sarei?”

“Un Dio.” rispose semplicemente l'altro, inclinando la testa di lato.

“Ha ragione!” esclamò John, più a se stesso che agli altri.

L'anziano continuò, con uno strano sorriso: “Ti hanno tolto l'immortalità e tutti i tuoi poteri. Ooh! Devi essere stato veramente disubbidiente.”

“Questi non sono affari tuoi.” sbeccò il moro, innervosito.

“Non esserne così sicuro, piccolo Dio indisciplinato.” appena finì questa frase, il druido si accasciò a terra.

John si avvicinò immediatamente al corpo steso nel pavimento, pronto per soccorrerlo. Ma appena gli fu vicino, la mano dell'anziano lo allontanò con durezza.

“Questo corpo vecchio e debole mi sta dando dei problemi.” digrignò tra i denti.

Sherlock assottigliò gli occhi, mentre il druido si rialzò di nuovo in piedi.

“Se si sente male, io sono un guaritore, posso aiutarla.” si offrì John.

L'anziano ignorò completamente la proposta del biondo e continuò, rivolto all'ex Dio: “Io non posso ridarti l'immortalità, ma conosco una persona che potrebbe riuscirci.”

Gli occhi di Sherlock si fecero immediatamente attenti.

“Devi raggiungere il tempio di Uppsala. Lì troverai il sacerdote detto Mörk Präst che saprà sicuramente cosa fare.”

“Cosa mi assicura che saprà spezzare la maledizione?” domandò, scettico.

L'anziano dai denti da ratto rise nuovamente: “È l'unica alternativa che hai, piccolo Dio senza seguaci. Oltre a rimanere mortale, ovviamente.”

Sherlock deglutì a fatica, prima di uscire dall'abitazione.

Un interdetto John Watson lo seguì, dopo aver lasciato qualche moneta all'inquietante individuo.

 

 

 

Appena i due se ne furono andati, il druido cadde a terra come solo un corpo morto saprebbe fare.

I suoi occhi opachi erano spalancati, incapaci di vedere alcuna immagine o percepire alcun movimento.

La sua ombra si mosse, dividendosi in due. Una delle due parti restò immobile, attaccata al corpo, l'altra sgusciò via, diretta verso la strada.

 

 

 

Mycroft diede un potente pugno al bordo del pozzo.

“Il tempio di Uppsala! Questo è assurdo!”

L'attraente Dea al suo fianco cercò di calmarlo, mettendo una mano sulla sua spalla.

Ma il Dio non si curò minimamente di quel gesto e continuò: “Non è possibile! Quel tempio è completamente in mano alle creature infernali! È sicuramente una trappola!”

Anthea cercò di tranquillizzarlo con voce calma: “Tutti lo sanno, quindi anche Sherlock si sarà reso conto che il vecchio mentiva.”

Mycroft la guardò con occhi spalancati: “Secondo te mio fratello ne è a conoscenza?! A stento voleva interessarsi dell'imminente scontro! Figurarsi delle recenti conquiste di entrambe le fazioni”

Anthea tentennò: “Bisogna avvertirlo.”

Il Dio Farseti si mise una mano sugli occhi, esausto.

“No.”

“No? Siete sicuro?”

“Purtroppo sì. Non ha voluto ascoltare nemmeno Mallaidh, che mi sembrava l'unica Dea per la quale Sherlock nutrisse un minimo di fiducia. Anche se lo informassi io stesso, non ci crederebbe mai. Si intestardirebbe ancora di più nel raggiungere quel tempio.”

Anthea corrugò la fronte, dicendo: “Quindi qual è il piano?”

“Dobbiamo fare in modo che non raggiungi mai quel luogo maledetto. Con tutti i mezzi necessari.”

 

 

 

“Cosa pensi di fare?” domandò John alla pensosa figura che quasi correva tra le vie.

“Andiamo ad Uppsala.”

“Cosa? Andiamo? Cosa ti fa pensare che ti seguirò fino a là?” esclamò il biondo.

Sherlock sorrise.

“Ovviamente per lo stesso motivo che mi hai detto precedentemente. Non mi lasceresti mai affrontare un viaggio quando sono in possesso della tua anima.”

John voleva ribattere, dirgli che Uppsala si trovava a mesi di cammino da lì, che non c'era mai stato, che era un'impresa folle. Eppure non gli uscì nessuna parola.

Quel maledetto aveva vinto.

“Quindi partiremo il prima possibile. Prima partiamo, prima arriviamo, prima ritornerò immortale.”

John annuì controvoglia.

“Prima dovremo armarci, però.” riuscì a dire il biondo.

“Armarci?”

“Certo! Fare un viaggio di queste proporzioni e non avere nemmeno un'arma sarebbe un suicidio!”

Sherlock gli diede ragione con un movimento di sopracciglia.

“Per fortuna, oltre che un guaritore, sono anche un soldato.” sorrise “E come soldato, possiedo parecchie armi.”

Sherlock ridacchiò tra sé e sé.

“Perché ridi, ora?” chiese John, tra l'offeso e lo spiazzato.

“Perché non ci provi nemmeno a nascondere che ti piace.”

“Cosa?”

“La possibilità di vivere un'avventura. Sento il tuo sangue scorrere più veloce al solo pensiero.”

John ribatté immediatamente:“Lo faccio solo per proteggere la mia anima.”

“Certo.” pronunciò Sherlock, guardandolo divertito negli occhi. 



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Note: Sono in ritardissimo!!!! Scusatemi, scusatemi, scusatemi! Questo capitolo si è fatto proprio desiderare (e probabilmente non varrà neanche l'aspettativa =_= )
Per "perdonarmi" vi aggiungo un bonus (che non fa parte della storia.... o forse sì? Lascio a voi la scelta!)

Bonus:


 Mycroft guardava stupefatto la superficie del liquido.
"..."
"Cosa succede, signore?" chiese apaticamente Anthea.
"Ora mio fratello e quel mortale faranno il viaggio assieme."
"Così sembra."
"Dobbiamo aspettarci un lieto annuncio per il fine settimana?!"
La Dea si ritrovò a sorridere.


Fine bonus. Che cazzata eh? Però come non potevo citare quella frase?

E basta, ho già rotto abbastanza le scatole. Ci sentiamo al prossimo capitolo! Spero il più presto possibile! 



 





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