Caspita,
non pensavo di
postare così in fretta il secondo capitolo! Vi ringrazio se
avete letto pazientemente tutto il primo e sono ancora più
contenta sapendo che se siete qui, la storia vi ha incuriosito! ^^
Ne approfitto per ringraziare ancora chi ha recensito e messo la storia
tra le preferite, le seguite o le ricordate! Significa molto per me...
<3
Proseguiamo dunque con il secondo capitolo. La soundtrack che vi
consiglio questa volta è il tema di Sasuke della prima serie
di Naruto. Per trovarlo su Youtube basta digitare "Sasuke's Theme" e il
gioco è fatto. Lo avrete sicuramente sentito... Si adatta
più o meno a tutte le scene del capitolo, ma l'atmosfera con
cui si sposa di più è secondo me quella
dell'ultima scena.
Ora vi lascio, non prima di avervi ringraziato ancora per essere qui!
Buona lettura... :*
*
Capitolo 2:
La
pecora nera
La piccola Terumi
aprì leggermente gli
occhietti neri. La camera le parve così grande e sfocata al
punto da avere la
sensazione che non fosse neanche più la sua.
Sbatté le palpebre un paio di
volte e cercò di mettere a fuoco ciò che vedeva,
ma non appena si sforzò di
farlo, l’ennesimo violento colpo di tosse le strinse la gola
e gliela fece
bruciare.
Il silenzio della
casa era rotto
soltanto dai suoi lamenti, come quasi ogni sera. In quel momento della
giornata,
la dimora degli Uchiha diventava un luogo più triste. La
maggior parte delle
attenzioni erano su di lei, Terumi, la più piccola di casa.
I suoi lunghi
capelli viola erano sparsi sul cuscino e si confondevano con la
penombra della
sua stanza, mentre il suo viso era pallido come sempre. Stesa sul
tatami e
coperta da un lenzuolo, la bambina respirava a fatica … e
sopportava.
Un tocco morbido e
leggero la sorprese.
Qualcuno le stava passando un panno umido sulla fronte, asciugandole il
sudore.
- Mamma …
sei tu?- mormorò lei con un
filo di voce.
Sakura si stava
prendendo cura di sua
figlia, come faceva da sempre. Con sguardo teso e preoccupato,
tamponò la
fronte e il viso della bimba con quella striscia di stoffa, per poi
accostare
le mani al suo petto ed emettere un po’ del suo chakra,
pulsante e color
smeraldo.
- Non sforzarti,
tesoro. Vedrai, tra
poco il dolore passerà.-
Avvertendo un
po’ di sollievo, Terumi
aprì gli occhi senza molta difficoltà e
girò la testa verso Sakura, annuì e
domandò a voce bassissima:
- Mamma, quando
potrò andare a giocare
con mio fratello?-
- Presto, Terumi.- le
sorrise finalmente
Sakura. - Se non sbaglio, aveva anche intenzione di allenarsi con te.-
A quel punto anche
Terumi riuscì ad
allargare un sorriso e disse ridacchiando:
- Che bello!-
Purtroppo,
l’uso della voce le provocò
un altro attacco di tosse. La madre, che tornò seria e
preoccupata, non smise
nemmeno per un momento di usare il suo chakra per alleviarle i dolori
pettorali
e addominali. La bambina, per fortuna, non tossì troppo a
lungo e riuscì a
respirare di nuovo regolarmente.
Aveva solo tre anni,
ma Terumi riusciva
a notare tutto. I suoi potentissimi occhi non mentivano.
Anche stavolta la sua
mamma aveva lo
sguardo fisso nel vuoto e il viso contratto in una smorfia seria. Era
ormai di
routine vedere quell’espressione sulle facce della mamma, del
papà e del
fratello più grande.
Terumi Uchiha era
nata con un
debolissimo sistema immunitario. Dire che fosse cagionevole di salute,
era dire
poco. I giorni in cui poteva andare a giocare, divertirsi e sorridere
senza
stancarsi, erano rari come dei giorni di festa. Sembrava proprio che
fosse
destinata a vivere così, perciò sia lei che la
sua famiglia ci fecero
l’abitudine.
Se questo
rappresentasse un peso per i
suoi genitori e suo fratello, Terumi se l’era chiesto a
lungo. Grazie
all’intelligenza e all’intuito che in qualche modo
compensavano la sua poca
salute, la piccola aveva capito di non essere una figlia normale e che
se il
suo corpo fosse stato più forte, lei e la sua famiglia
avrebbero avuto una vita
migliore. Mamma e papà continuavano a incoraggiarla e a
darle tutto l’amore del
mondo, ma Terumi non riusciva a fare a meno di pensare che, in fondo in
fondo,
la sua famiglia soffriva per causa sua.
Quando una notte
Terumi sorprese sua
madre a piangere a dirotto parlando di lei con il marito, in lei si
scatenò un
dolore più grande di quelli fisici a cui era abituata.
L’idea di far soffrire
la sua famiglia era insopportabile e talmente enorme che i suoi occhi
non si
limitarono a sgorgare lacrime: si trasformarono e presero la forma del
famoso
Sharingan.
Terumi si era ormai
calmata. Sospirando
di sollievo, Sakura sorrise e si rialzò in piedi.
- Ora riposati. Vado
a prepararti
qualcosa di speciale!- fece poi.
L’altra le
sorrise di rimando e
sussurrò:
- Ti voglio bene,
mamma.-
Stava già
uscendo dalla camera, quando
la madre trasalì e si immobilizzò sul posto.
Improvvisamente avvertì un
bruciore agli occhi, che le si inumidirono.
- Anch’io,
tesoro mio … - mormorò infine
con una gran commozione nella voce.
Sakura trovava sempre
incredibile la
forza di sua figlia. Aveva sopportato le pene dell’inferno
fin da quando era
nata ed aveva imparato subito a non arrendersi.
Quando la donna si
affacciò nel
corridoio, vide che ad aspettarla c’era suo marito, Sasuke
Uchiha, il
capofamiglia. Stava appoggiato con la schiena alla parete, le braccia
incrociate sul petto e il solito sguardo pensieroso.
- Ehi, Sasuke.- lo
apostrofò lei,
asciugandosi le lacrime. - Immagino che tu voglia scambiare due parole
con
Terumi.-
Staccandosi dal muro,
il nuovo
responsabile delle forze speciali ANBU – eletto personalmente
dal suo migliore
amico – disse semplicemente:
- Lasciaci soli un
momento.-
Sakura non
replicò e lo lasciò passare.
Lui aprì la porta e l’espressione seria e
concentrata che aveva di solito in
viso si tramutò in un piacevole sorriso non appena vide sua
figlia.
- Ehi, piccolina!-
esclamò,
avvicinandosi. - Tranquilla, in un attimo sarai di nuovo in forma.-
Terumi mosse la testa
e spalancò gli
occhi con felicità, dicendo:
- Ciao,
papà. Non vedo l’ora di
allenarmi con Shuichi-nii-san!-
Sasuke si sedette
accanto a lei e le
accarezzò i capelli. Quella bambina era il suo orgoglio.
Lottava, lottava e
ogni giorno usciva vincitrice dalla sua battaglia con la malattia. Non
si
arrendeva mai, proprio come le aveva insegnato lui.
- Questo mi fa
davvero piacere … -
commentò, mentre Terumi si godeva le carezze affettuose del
papà.
Perdendosi nella sua
solita miriade di
pensieri, dopo un po’ Sasuke smise di accarezzarla e la
osservò con severità,
domandandole:
- Ricordati, che cosa
ti ho detto
riguardo all’uso del chakra?-
Dapprima stupita, la
piccola tacque, ma
poi rispose, cantilenando:
- Di non usarlo per
guarire più in
fretta.-
Il padre aveva
dedotto che Terumi, quando
prima non riusciva a vedere bene, aveva sentito la tentazione di
attivare lo
Sharingan per evitare di avere ancora la vista appannata. Tuttavia,
nelle sue
condizioni, la bambina non poteva permettersi l’uso
ricorrente della sua
abilità innata, per via del grande consumo di chakra e di
energia che lo
Sharingan necessitava.
Soddisfatto della
risposta della figlia,
Sasuke fece per rialzarsi in piedi.
- Bravissima.-
commentò intanto. - Risparmialo
per il tuo allenamento, mi raccomando!-
Terumi
acconsentì con un lieve cenno
della testa e un piccolo sorriso, poi, catturata dalla stanchezza,
abbassò le
palpebre per un breve sonnellino. Rivolgendole un’occhiata
apprensiva, il padre
chiuse cautamente la porta e trovò Sakura ad aspettarlo con
un’espressione rassicurante,
che però nascondeva la solita preoccupazione.
- Sakura, pensi che
Terumi migliorerà?-
chiese lui, avvicinandosi alla donna amata.
Prendendogli le mani
in un tentativo di
conforto, lei sospirò:
- Non ne ho la
certezza, purtroppo. Sono
preoccupata anch’io, lo sai … e sai anche quanto
mi sto impegnando per trovarle
una cura definitiva. Naruto mi ha dato la sua completa
disponibilità per
qualsiasi cosa che possa aiutarmi allo scopo.-
- Bene.-
annuì il ninja. - Spero che
Terumi resista il più possibile.-
- Non ti preoccupare,
Sasuke. Terumi è
forte.- affermò poi Sakura con convinzione, ricevendo un
lieve sorriso di
approvazione.
Non lo diceva tanto
per dire e non si
riferiva solamente al fatto che la loro figlia non si arrendeva mai:
anche
quando si parlava di talento come ninja, Terumi era un fenomeno.
Era già
stato eccezionale che
sviluppasse lo Sharingan a soli tre anni, ma era altrettanto
straordinaria la
disinvoltura con la quale Terumi lo padroneggiava così bene.
In pochissimo
tempo aveva imparato a sfruttare il chakra nel modo giusto,
concentrandolo
negli occhi, e si rivelò subito un vero portento per quanto
riguardava le arti
illusorie, al punto che inizialmente ipnotizzava le persone senza
nemmeno farlo
apposta. Quando un avversario cadeva vittima di una sua illusione, i
tomoe che
si irradiavano dal centro delle sue pupille parevano persino ruotare. E
non
c’era alcuna via di scampo.
Considerate le
abilità della piccola
Terumi, Sasuke fu il primo a dimenticare le difficoltà della
malattia e il peso
che questa potesse rappresentare per la famiglia. Se tutti quei
sacrifici
avevano portato ad un risultato del genere, allora ne era valsa la
pena; ciò
pensava lui e a seguire la moglie e il figlio maggiore.
Dopo aver
delicatamente baciato il
marito su una guancia, Sakura si congedò dicendo:
- Vado ad occuparmi
della cena … -
L’altro
annuì, più sereno. Aveva già
dimenticato la sua apprensione verso Terumi, quando una figura
familiare piombò
nel corridoio e fece per allontanarsi a passo veloce.
- Fermati un attimo,
tu!- esclamò
Sasuke, risoluto come solo lui sapeva essere.
Quell’ombra
si bloccò di scatto. Due grandi
occhi, verdi e tremanti come le foglie di Konoha, osservarono Sasuke.
- …
Sì, papà?-
Shuichi Uchiha, il
primogenito della
famiglia, si girò completamente verso il padre, scuotendo
l’abbondante chioma
di capelli neri che aveva.
Il ninja si mise a
braccia conserte e
domandò, come se stesse iniziando la prima fase di un lungo
interrogatorio:
- Che stai facendo?-
Il bambino
passò distrattamente una mano
tra i capelli ed esitò prima di rispondere.
- Oh, niente
… - divagò con imbarazzo. -
Stavo solo andando fuori.-
- Mmh.- fece Sasuke
con sguardo
inquisitorio, mentre il figlio lo fissava con soggezione, poi
proseguì: - Dove
sei stato oggi?-
Il piccolo
cominciò ad avvertire il
sudore freddo sulle tempie e balbettò:
- Ecco, son-sono
stato in giro … Mi sono
arrampicato un po’ sugli alberi … -
Sasuke
sospirò a bocca chiusa, immobile
e rigido come una roccia. La sua espressione severa non accennava a
cambiare.
Shuichi lo sapeva bene e si limitò a tacere, attendendo una
risposta con il
cuore in gola.
Aveva sempre provato
una certa
soggezione nei confronti del padre. Ogni volta che lo vedeva, non
poteva non
pensare alle voci che circolavano sul suo conto, sul suo passato
tormentato,
sul ruolo autoritario che aveva ora nel villaggio. Più lo
guardava, più si
paragonava a lui, sentendosi sempre più minuscolo. Quando
Sasuke attivava lo
Sharingan, poi, la soggezione si tramutava in vero e proprio terrore.
Qualche istante
più tardi, il padre
sentenziò:
- Domani, quando
torno, ci alleniamo
sugli shuriken. Non vorrei che ti fossi già arrugginito.-
-
D’accordo.- mormorò l’altro, tornando
finalmente a respirare.
Il bambino si stava
già girando per
andarsene, ma la voce del papà lo fece sobbalzare e gli
bloccò ogni movimento.
- Ah,
un’altra cosa.-
Il battito cardiaco
accelerò. Con gli
occhi sbarrati dalla paura, il piccolo si voltò lentamente,
tremando. Non ebbe
nemmeno il coraggio di guardarlo nei suoi potenti occhi.
- Hai promesso a tua
sorella che dopo la
sua guarigione vi sareste allenati insieme … Cerca di non
dimenticartelo.-
Queste parole si
fissarono ben bene
nella mente di Shuichi, che annuì flebilmente e rispose a
bassa voce:
- Certo,
papà.-
Sapendo che Sasuke
non l’avrebbe più
ripreso, si allontanò sospirando di sollievo, avvertendo
però ancora quello
sguardo che in silenzio l’osservava. Il piccolo Uchiha
uscì e percorse il
vialetto di casa con passi piccoli e lenti, quasi barcollando. Quando
giunse al
muretto che dava direttamente sulla strada, spiccò un salto
e ci si sedette,
raccogliendo le ginocchia al petto come per nascondere il viso in mezzo
ai
tanti capelli neri che aveva.
“E’
colpa mia”,
pensava
sempre.
Per quanto si
sforzasse, non riusciva a
ricordare molto bene il sorriso del papà. Non ricordava che
gli avesse mai
detto “ti voglio bene” o “sono fiero di
te”. I piccoli trionfi da bambino che
Shuichi voleva condividere con lui non gli bastavano per ottenere da
lui un po’
di vero affetto. Aveva la sensazione che tutto quello che
già faceva non fosse
mai abbastanza. Sasuke voleva di più.
Tuttavia, Shuichi non
si sarebbe mai
permesso di pensare che suo padre pretendesse troppo. Naturalmente, da
fratello
maggiore, era costretto a dare il meglio di sé per Terumi,
aiutarla e
proteggerla. Ma oltre a dover essere un fratellone premuroso, lui era
il
primogenito del clan Uchiha. Era d’obbligo essere il
migliore, proprio come il
papà lo era stato anni prima.
Shuichi sapeva di
avere un cognome
famoso, per un motivo o per l’altro. Tutti dovevano portare
un gran rispetto
per gli Uchiha, secondo Sasuke, e ciò non sarebbe stato
possibile se un membro
del clan non fosse stato degno di chiamarsi tale. Il piccolo ce la
metteva
tutta, eppure suo padre continuava a sentirsi quasi offeso, ogni volta
che
pensava al figlio e al fatto che ancora non aveva risvegliato lo
Sharingan,
mentre la sua sorellina di tre anni già lo sapeva
utilizzare. Non aveva ancora
svelato un talento particolare, non aveva nulla che avessero i suoi
antenati. Sasuke
era ansioso di far rivivere il clan, ridandogli la gloria di un tempo,
onorando
la memoria dei grandi Uchiha del passato come il fratello Itachi
… e invece,
con un figlio del genere, sapeva di non poterci riuscire. Trovava
sempre
qualcosa da rimproverargli, non era mai soddisfatto.
Ma a lui, al piccolo
Shuichi, andava
bene così.
In fondo, cosa poteva
volere di più un
bambino, se non la felicità dei genitori? Ogni cosa che
faceva era una sfida,
un pretesto, un’occasione per dimostrare il suo valore e
rendere Sasuke
orgoglioso di lui. Eppure, di solito, falliva. La ragione non era poi
così
difficile: il piccolo Shuichi era di indole pacifica e non avrebbe
fatto del
male a una mosca. La sua infinità bontà e lo
splendore del suo cuore lo
rendevano diverso da tutti gli Uchiha che lo avevano preceduto e
dall’oscurità
che aveva caratterizzato la storia del suo clan. Non era il figlio che
Sasuke
avrebbe voluto, non era nato all’altezza delle sue
aspettative.
E proprio quando,
poco prima che
iniziasse a frequentare l’Accademia Ninja, Shuichi stava per
incupire il suo
carattere e tirare fuori l’aggressività e la forza
che secondo suo padre lo
avrebbero probabilmente reso degno di essere un Uchiha … un
incontro del tutto
casuale, senza che lui se ne rendesse conto, gli avrebbe di
lì a poco cambiato
la vita.
Persa nei suoi
pensieri, la piccola non
si accorse subito di lui.
Teneva la mano ad
entrambi i genitori,
felice come una pasqua. Non vedeva l’ora di arrivare a casa e
farsi una bella
scorpacciata di ramen; fortuna che la mamma aveva promesso di cucinarlo!
Le strade erano quasi
vuote e tutta
Konoha si avvicinava al suo riposo notturno. Eri iniziò a
guardarsi in giro,
stupita di come il villaggio potesse ammutolirsi così tanto.
Lo sguardo le si
posò su un bambino accucciato su un muretto,
dall’enorme chioma di capelli neri
e gli occhi insolitamente chiari per un tipo del genere.
No, non erano dei
semplici occhi più
chiari del normale. Erano gli occhi più tristi che Eri
avesse mai visto.
La bambina non
riuscì nemmeno a definire
lo stato d’animo che quel ragazzino potesse avere. Pareva
tristezza, ma forse
non era esattamente così. Forse, forse c’era
qualcos’altro.
Quegli occhi miravano
a terra, su un
punto impreciso della strada, eppure sembravano dover esplodere da un
momento
all’altro, da quanto aiuto chiedevano. E l’unica ad
essersene accorta era lei,
Eri, che si soffermò a fissare quell’espressione
sconsolata nonostante dovesse
continuare a camminare.
La sua
curiosità la portò a porsi mille
domande senza risposta. I pochi attimi in cui poté vedere
chiaramente gli occhi
di quel bambino furono interminabili. Qualcosa la colpì,
dritto in fondo al
cuore. Uno strano impulso, una sensazione che d’istinto la
fece fermare sul
posto.
Naruto e Hinata,
stupiti, restarono a
guardare la figlia. Stavano per chiederle spiegazioni, ma videro una
scintilla
particolare nel suo sguardo e sul momento non seppero cosa dire.
- Potreste aspettarmi
qui un minuto?-
mormorò Eri, supplicandoli e avvicinando le mani al cuore.
Non conoscendo
ragioni per dissentire, i
due annuirono e la osservarono sorridere e poi cominciare a correre
verso quel
bambino, che ancora non avevano notato.
Shuichi non si era
accorto di lei, o
meglio, non ci aveva fatto molto caso. Solo quando Eri smise di correre
e gli
si impalò di fronte, sollevò la testa per capire
cosa stesse succedendo.
Una graziosa, anzi,
meravigliosa bambina
dai lunghi riccioli d’oro e due splendidi occhi celesti gli
stava sorridendo,
tenendo le mani dietro la schiena.
“Chi
è questa ragazzina così bella?” si
ritrovò a chiedersi lui, diventando leggermente rosso.
Soddisfatta di aver
ottenuto la sua
attenzione, Eri si decise a fargli la sua domanda:
- Ciao!
Perché te ne stai qui tutto
solo?-
Shuichi voleva
risponderle, ma si limitò
a sbattere le palpebre, meravigliato. Gli risultava ancora difficile
credere a
ciò che gli stava accadendo.
Lei non
badò molto alla sua reazione e
amichevolmente proseguì:
- Il mio nome
è Eri Uzumaki … e tu come
ti chiami?-
Ripresosi dallo shock
iniziale, l’altro
scosse la testa e allo stesso tempo gli esagerati capelli.
- Io … mi
chiamo Shuichi Uchiha.- disse
poi, incuriosito.
- Uchiha?-
Eri smise di
sorridere e, sorpresa di
sentire quel cognome non esattamente nuovo, lo guardò
sbigottita. Il cambio di
espressione fece preoccupare il piccolo Shuichi, che temette di fare
brutta
figura come al solito, solo perché il clan Uchiha era
conosciuto da molti come
un clan maledetto e martoriato da tragedie su tragedie.
- Ma allora il tuo
papà è amico del mio!-
esclamò poco dopo lei, ricordando di aver sentito quel
cognome proprio dal
padre. - Forse anche tu ed io potremmo essere amici.-
Ancora più
meravigliato, Shuichi
balbettò:
- Cosa? D-Dici
davvero?-
- Sì!-
confermò Eri con un sorriso
smagliante.
Che piacevole calore
nel cuore sentiva
ora il piccolo Shuichi!
Non aveva mai
ricevuto tanti sorrisi e
tanta attenzione incondizionata da qualcuno che non fosse un familiare.
Durante
le sue giornate se ne stava da solo a gironzolare per il villaggio e
per la
foresta circostante; gli alberi e le facce degli Hokage scolpite nella
pietra
parevano le sole cose che davano ascolto ai pensieri del bambino.
Almeno fino a quel
momento.
Gli occhioni verdi
gli si illuminarono e
un sorriso enorme si dipinse sul suo volto.
- Va bene.- disse,
alzandosi in piedi. -
Da adesso in poi, saremo amici!-
Aveva pronunciato
quella frase con una
felicità immensa. Eri era la sua prima vera amica e senza
che lui se ne fosse
accorto, poiché era ancora piccolo, gli aveva appena salvato
la vita.
Ormai il cielo era
violaceo e le prime
piccole stelle arrivarono ad anticipare la notte, ma le risate dei due
bambini
splendevano come il sole. I due ancora non riuscivano a credere di aver
fatto
amicizia così facilmente.
Forse era proprio
destino.
*
Rieccomi
qua per
l'immagine del capitolo, sempre una fanart! Appena l'ho vista ho subito
identificato nel
neonato il piccolo Shuichi, non trovate anche voi? *-*
Benissimo.
Spero di avervi messo ancora curiosità tanto da spingervi ad
attendere e poi leggere il prossimo capitolo... Aspetto le vostre
recensioni!
Arigatou minna <3
Eliot
;D
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