Appena rimaneggiata, provo a riproporla. Poco più lunga di una drabble :) Le
recensioni sono, come al solito, gradite.
Non sapeva bene quando
avesse smesso di essere una ragazza ed era diventata una donna.
Era stato un processo
graduale, talmente lento da risultare quasi esasperato. Toccò lo
specchio con la punta delle dita, tracciando una linea circolare che
partiva dagli occhi del suo riflesso e che terminava all‘altezza del
ventre.
Si schiarì la gola
con un colpo di tosse quando sentì che stava diventando troppo
secca, e annaspò nel tentativo di cercare aria, la stessa di cui
i suoi polmoni sembravano essere privati.
E non era mai abbastanza.
Come se
avesse un buco all’altezza della trachea, come se tutta l’aria fluisse
lontano prima di raggiungere i polmoni.
Non si accorse che la sua
presa sul vetro si era fatta più forte fino a che quello non le
si spezzò fra le mani, incrinato sotto il suo tocco. La Ragazza
Nello Specchio si frantumò insieme a quello, il riflesso
distorto che cadeva a pezzi, slittando sulla superficie liscia del
legno del cassettone fino a toccare terra, distruggendosi ancora.
Le schegge di vetro
schizzarono in tutte le direzioni, senza risparmiare i suoi piedi.
Mille
aghi ghiacciati che le penetravano nella carne, e non era ancora
abbastanza per riscuotere il suo corpo dal torpore che stava lentamente
calando su di lei.
Ancora.
Per un attimo, un breve
istante sospeso fra il dolore e l’incomprensione, si sentì viva
di nuovo. Ritirò le mani, attraversate da sottili strisce rosse.
Deglutì a vuoto scoprendo di non avere più saliva e
guardò quello che restava del suo riflesso, scomposto sullo
specchio screziato.
Quand’è
che i suoi fianchi erano diventati così tondi e i suoi lunghi
capelli avevano assunto quel tono così opaco?
Chiuse gli occhi per
un’istante, il tempo di un battito di ciglia, ma il riflesso non se
n’era andato. La Ragazza Nello Specchio le rivolse un’occhiata da sotto
le ciglia socchiuse, e sembrava quasi che le stesse dicendo non credere
che basti fare finta che io non esista, perché ti vedo, ti vedo,
ti vedo e non passerà molto tempo prima che sia tu a rimanere
intrappolata al mio posto - non penserai sul serio di essere più
reale di me?
Pansy trattenne un
singhiozzo fra le labbra serrate.
Poi
colpì lo specchio di nuovo.
***
Non era certa dopo quanto
tempo avesse aperto di nuovo gli occhi. Ad un certo punto aveva anche
creduto di essere morta, lo aveva creduto sul serio. Forse aveva perso
tanto sangue, troppo.
Sicuramente non avrebbe mai
più potuto alzarsi o aprire gli occhi, no?
Dopo, ad un certo punto, ci
aveva provato.
Per indolenza.
Aveva sollevato lentamente
la palpebra sinistra e il pavimento di legno dalle assi scomposte era
diventato reale sotto il peso del suo corpo disteso.
La bottiglia di gin era
nell’angolo, e non era riuscita a raggiungerla con così tanta
facilità. Ci aveva messo ore intere, forse
addirittura dei giorni,
tanti piccoli movimenti frammentati ed esitanti prima di richiudere le
mani ferite sul collo della bottiglia. Si era trascinata verso un
bicchiere sbreccato, in quell’angolo da non più di otto giorni,
e, puntellandosi con i gomiti per terra, l’aveva riempito attentamente.
Forse un po’ troppo,
considerò quando il liquido trasparente superò gli argini
del bicchiere, spalmandosi sul pavimento polveroso. Ma non si
fermò, non subito, quasi incapace di riuscire a staccare gli
occhi dal gin che si infilava nelle fessure fra le assi.
Il primo sorso fu amaro.
Per il secondo trattenne il fiato, il terzo fu accettabile e del quarto
non sentì il sapore. Al quinto la sua testa smise di girare.
Sei.
Draco.
Il suo migliore amico, l’infatuazione dell’adolescenza. Non avrebbe mai
dimenticato il sorriso che aveva stampato sul viso mentre beveva dal
calice di cristallo nella mano del suo carnefice. I lunghi capelli
biondi cadevano dritti ai lati del suo viso, nascondendo gli occhi alla
vista di Pansy. L’espressione divertita ed ironica sul suo volto.
Era
morto senza dire una parola.
Sette.
I
lunghi graffi sulla schiena di Blaise erano il ricordo più
vivido che aveva della cella polverosa dove aveva trascorso quarantatre
stanghette incise sul muro con un temperino nascosto nella scarpa.
Ricordava con precisione che l’unico colore diverso dal grigio delle
sbarre e delle pareti era il rosso del sangue ardente dell’amico, che
scorreva rovente. Piccoli grumi color rosso scuro sul pavimento, la sua
carne che bruciava.
Gli
occhi del ragazzo, che un tempo erano stati di un meraviglioso colore
sui toni del blu, erano rotolati ai suoi piedi, simili a palline di
vetro vuote, e si era appoggiata al muro per non cadere. Si era imposta
di non guardare le orbite vuote scavate sul suo teschio, ed aveva
trattenuto il conato di vomito nel momento in cui non ce l’aveva
semplicemente più fatta a non alzare la testa verso di lui, il
corpo avvolto dalle fiamme, il viso sconvolto in una maschera di carne
e sangue.
Otto.
La
vanità di Daphne strappata da lei insieme alla sua lingua.
Nemmeno lei aveva parlato prima di morire, ma aveva protestato. Si era
ribellata, aveva pianto, promesso, implorato, urlato. L’avevano
sbattuta con forza contro il muro del casolare di campagna, ed aveva
puntato i suoi grandi occhi azzurri in quelli di Pansy l’istante
precedente al primo strattone della corda.
Aveva
guardato il suo viso perdere gradualmente colore mentre il cappio si
stringeva attorno al suo collo, il corpo che penzolava, sbattendo sulla
parete ad ogni movimento del vento.
Non
avevano neanche chiuso la porta.
Nove, dieci, undici,
dodici. Tredici, diciotto, ventisette. Ad un certo punto la bottiglia
sfuggì dalla sua mano, rotolando sul legno per alcuni metri
prima di infrangersi contro la parete annerita.
Le sue palpebre diventarono
pesanti e non capì se stesse annegando davvero.
L’unica cosa che
percepì prima di cadere in una dolorsa stasi, le sue costole che
sembravano volerle trafiggere il petto, fu la porta dell’ingresso che
sbatteva e passi rumorosi nella sua direzione.
E’
troppo tardi,
pensò.
L’acqua di quel panico
intollerabile si richiuse sopra di lei
***
Quando aprì gli
occhi di nuovo, non c’era più acqua.
Era il
fuoco che aveva preso il suo posto, danzando sulla chioma della ragazza
china su di lei. Fiamme che incorniciavano la sua testa, intrappolata
in lunghi fili ramati che davano un’impressione di incosistenza ancora
più del colore della sua pelle, così simile alla
porcellana, un bianco tanto abbagliante da risultare quasi doloroso per
i suoi occhi che per così tanto tempo non avevano visto altro
che buio.
- Sei una testa di cazzo. -
disse la ragazza, la voce spezzata da un singhiozzo che non era
riuscita a fermare in tempo.
Pansy sbattè le
palpebre due volte, ma il dolore non se n’era andato.
Sorrise. - Buon Natale,
Weasley.
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