La
notizia scosse il villaggio come un temporale scuote le foglie di
un'enorme pianta.
Violento
e inesorabile.
Kakashi
Hatake... il grande Kakashi Hatake... l'eroe del ponte Kannabi,
l'allievo dello Yondaime Hokage, era ora nukenin.
E
con lui anche Itachi Uchiha.. anche se questo lo venni a sapere solo
in seguito.
Quello
che vidi io era solo mia madre, svenuta in terra, che venne poi
sollevata e portata in ospedale da zia Kushina e zia Tsunade.
Sembravano
agitate, ma erano entrambe stranamente taciturne. Pallide e silenti.
Il che fu preoccupante, data la vivacità che di solito aveva
Kushina.
Mi
colpì anche il mormorio della gente che aveva lungo la strada,
mentre passavamo.
Basso,
fievole, incredulo ma costante.
Fu
quello a farmi davvero realizzare che era successo davvero, non era
solo un brutto sogno.
Alla
fine giunse anche Minato, mi fecero domande, cosa era successo, come
e quando.
Risposi
meglio che potevo, dato che la mamma era ancora KO.
Rimasi
aggrappato a lei, tenendole una mano, fredda, e osservavo la pelle di
solito rosea che aveva invece ora un malsano colorito cinereo.
Secondo
Tsunade si sarebbe ripresa... era stato solo un colpo dovuto allo
shock, ma io ero preoccupato e spaesato.. non volevo lasciarla. Non
anche io.
Ero
piccolo e non comprendevo a pieno cosa stesse succedendo, ma ne
intuivo la gravità.
Ne
ero sconcertato.
Non
potevano essere la stessa persona, l'uomo che sino al mese prima era
mio padre e quello che si era presentato freddo e distante, quasi
crudele questa mattina.
Mio
padre era una persona calda e gentile, era quello che la sera,
arrivando da lavoro aveva ancor sempre la voglia e il tempo di
mettersi a gattoni con me sul pavimento a giocare, o che quando
crollavo di stanchezza mi prendeva in braccio per mettermi sotto le
coperte. Era quello che, quando uscivo da scuola appariva come
magicamente, di fronte l'uscita proprio quando quasi pensavo che non
si fosse ricordato o che gli impegni l'avessero trattenuto altrove.
Mio
padre era una figura sempre un po'... mistica nella mia vita.
Sapevo
poco di lui come persona, perché la mamma il più delle
volte mi diceva che le domande dovevo farle a lui, però c'era
poco, e molte cose erano sotto segreto per via del suo lavoro come
ANBU.
Papà
era una persona di cui ero orgoglioso. Una dei ninja più abili
del villaggio, più fidati e affidabili. La persona che volevo
essere da grande, quello che mi amava e mi proteggeva, anche se c'era
poco o vedevo poco.
Non
so come, non so il perché fosse successo ciò.
Ma
la cosa mi spaventava. Soprattutto non capivo il perché!
La
mamma si risvegliò solo il giorno dopo, ancora pallida, e
quando capì cosa era successo dopo un'iniziale smarrimento,
divenne immobile come una statua di granito, rimanendo a fissare il
soffitto dell'ospedale dove si trovava.
Le
rivolsero delle domande, ma lei non sembrò sentirli.
Rimase
in quello stato per più di un giorno intero, facendo
preoccupare parecchie persone, tra cui Tsunade, Kushina e Minato, e
anche molti dei colleghi e amici in comune di lei e di Kakashi.
Il
più a prendersela di tutti, o quanto meno a occhio fu Obito,
seguito a ruota a Gai, che non riusciva a giustificarsi come il 'suo
acerrimo rivale' avesse potuto fare una cosa simile.
E
nonostante che Minato proibì azioni avventate partirono alla
sua ricerca... senza risultati, tra l'altro.
Per
quante squadre furono mandate... né Itachi né Kakashi
furono mai trovati. Né quella settimana, né il mese
dopo.
La
mamma si riprese, o quanto meno decise di smuoversi dalla sua
immobilità.
La
sentii una notte, mentre le dormivo rannicchiato contro, dove mi
aveva preso nel piccolo letto dell'ospedale palare fitto in tono
sommesso con qualcuno... che dalla voce avrei detto fosse Minato.
In
quei giorni aveva un'espressione strana... un misto tra il furente e
il dolente... il sofferente e il rassegnato, lo spaventato e il
determinato.
E
io ero troppo piccolo per comprendere a pieno cosa stesse pensando in
quei momenti.
Però
vedevo i suoi occhi, di solito brillanti come perle, ora diventati
più scuri, tristi. Come se quelle stesse perle non fossero più
baciate dalla luce ma ora poste in un luogo oscuro. Erano anche
sempre un po' cerchiati di stanchezza, che accumulava giorno dopo
giorno.
Sembrava
anche più incerta ed esitante, come se avesse paura di cadere
ad ogni passo che faceva.
Io
non sapevo come fare per poterla aiutare.
Cercavo
di esserle vicino, e non lasciarla mai. Per lei, ma anche per me.
Volevo
capire... ma non arrivavano risposte. Volevo fare qualcosa, ma non
sapevo cosa fare.
Iniziai
ad arrabbiarmi. Perché papà se n'era andato? Perché?
Perché aveva causato tutto questo dolore? A me, alla mamma?
Inoltre,
appena passato qualche giorno, si sparse la voce che Fugaku Uchiha,
capo clan degli Uchiha era stato assassinato dai due... motivo per
cui se l'erano data a game.
E
io improvvisamente persi il nome.
La
gente che passava quando mi riconosceva non mi chiamava più
“Raimaru” o semplicemente “L'Hatake” no. Ora
ero “Il figlio del traditore”.
Mia
madre disse che la gente aveva la memoria corta, che era ingiusto che
si fosse dimenticata di quanto Kakashi avesse fatto per la foglia...
ma io non riuscii a non colpevolizzarlo. Perché aveva ucciso
Fugaku? Perché diventare traditore se non per loschi affari?
Perché mi aveva abbandonato?!
Persi
il conto delle lacrime che versai. Smisi di passare di fronte agli
specchi. Odiavo ogni superficie riflettente. Gli assomigliavo troppo
con quei capelli del colore dell'argento, che appena misi mano alle
forbici tagliai alla meno peggio... anche se mia madre poi mi sgridò
sonoramente per lo scempio compiuto.
Presi
anche ad allenarmi con ferocia e compilai, con l'aiuto che richiesi
di Genma ricattandolo con una promessa che mi aveva fatto qualche
tempo prima di non dire nulla riguardo a una cosa che gli avevo visto
fare, il modulo per entrare all'accademia ninja, dato che sin ora ero
andato solo alla scuola civile.
“Non
sarai mio figlio fino a quando non ti mostrerai degno di esserlo"
così aveva detto. Beh, io avevo anche le abilità di
mamma. Potevo superarlo, non solo essere 'degno'. Gli avrei mostrato
che potevo anche fare a meno di lui. Che potevo essere più
forte di lui, e che potevo badare alla mamma anche se lui non c'era!
Così
chiesi a Genma di prestarmi una bandana e ci nascosi i capelli sotto.
Quei
giorni sono piuttosto confusi e dolorosi, però ricordo ancora
che furono in molti a stringersi intorno alla mamma per cercare di
darle aiuto e tutto il sostegno possibile.
Ricordo
anche che la mamma aveva un aspetto poco sano, il volto segnato e un
po' scavato, l'aria debole e fragile.
Un
giorno, a qualche mese di distanza dalla... partenza di mio padre
provai a prepararle qualcosa da mangiare, con il risultato che
riempii la cucina di farina e le polpettine erano piuttosto sformate
e di grandezze diverse.
Avevo
compiuto cinque anni, e sebbene per l'età 'civile' fossero
pochi, ero piuttosto avanti con la mente, tanto che nella scuola dove
andavo prima mi avevano fatto avanzare di vari livelli di classe.
Però
presi il piatto e glie lo portati sino in camera dove dalla finestra
guardava fuori con occhi lontani, come se potesse vedere ben oltre
alle mura di Konoha o alla foresta che la circondava.
Aveva
una mano appoggiata sulla pancia, e con l'altra si sosteneva il capo,
le gambe ripiegate sotto il corpo e allungate da un lato.
“Raimaru
cos'hai fatto?” mi chiese vedendomi entrare.
“Ti
ho preparato da mangiare! Non mangi mai ultimamente”
Un
pallido sorriso le aprì il volto, come un sole che tenta di
far capolino dietro ad una nuvola.. anche se viene presto oscurato di
nuovo.
“Ah,
tesoro ti ringrazio non dovevi” mi disse carezzandomi i
capelli, e assaggiando una polpetta.
“Beh...
sono più commestibili di quelle che ha preparato Genma la
prima volta che l'abbiamo obbligato a cucinare... però la
prossima volta usa il sale e non lo zucchero...” mi disse lei
cercando di abbozzare un mezzo sorriso, o quanto meno tentando di
farlo.
“Forse
è meglio che mi insegni tu come fare...” dissi dopo
averne assaggiate un pezzetto.
Lei
mi abbracciò stringendomi a sé.
“Ah,
il mio ometto... stai crescendo bene sai...”
“...”
non potevo non essere che lusingato dalle parole della mamma. In
fondo non era una che si prodigava troppo in complimenti, neanche per
me.
Notai
per la prima volta che aveva un poco di pancia, cosa strana dato che
lei era snella e slanciata come un giunco, e ultimamente mi era
sembrata persino più magra del solito...
Ma
non ci badai più di tanto, e mi lasciai coccolare volentieri,
inspirando il profumo della mia mamma, che aveva toni che sembravano
avere il potere di rilassarmi.
“Raimaru...”
qualcosa del suo tono esitante mi mise un po' in allarme. E ora che
accadeva ancora?
“Si
mamma?”
“Aspetto
un bambino”
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