HenryGrace
magic is
funny {and I believe in it}
Regina non sapeva precisamente cosa fosse successo. Una scaramuccia da Granny,
l'aveva avvertita Emma al telefono, con una sorta d'imbarazzo nella
voce, niente
di grave, però Henry si è precipitato fuori dal
locale, e
sembrava molto arrabbiato. Se viene da te, forse si fermerà
a
cena e a dormire, è un problema? Regina,
per buona
misura, cominciò a preparare l'impasto della torta di mele.
In
effetti, mezz'ora dopo Henry aveva bussato alla porta. La madre aveva
fatto finta di niente, tastando però il terreno per intuire
il
suo stato d'animo: sorprendentemente, lui non sembrava adirato
nè nervoso. Salutò Regina con un discreto bacio
sulla
guancia, saggiando con le labbra la profumata vischiosità
della
sua costosa crema detergente, e tessè le lodi dell'aroma del
dolce che si gonfiava nel forno. Si mostrava calmo, forse estenuato
dal litigio, senza dare troppo a vedere quel che provava -giocherellava
i pollici, tamburellava ritmi scoordinati con le suole delle scarpe sul
pavimento, si guardava intorno con la placida padronanza di
chi sente il tepore di un luogo sicuro dalle intemperie esterne.
Regina non osò chiedere delucidazioni, anche
se era sorpresa, visto che Emma e suo figlio di solito andavano d'amore
e d'accordo. Non appena ebbero finito di consumare una cena leggera a
base di bacon, uova e insalata, per finire con una bella fetta di
torta, Henry assunse d'un tratto un'espressione grave e
intrecciò le dita sulla superficie del tavolo, scrutando il
volto di Regina, come se valutasse in anticipo la sua reazione rispetto
a ciò che stava per dirle.
-Credo di essere pronto per imparare.-
La sua fronte s'increspò. -Cosa intendi?-
-Lo hai detto tu, alcuni anni fa, no? Che potevi insegnarmela. La
magia.- le ricordò Henry.
Regina prese tempo, sfregandosi le labbra con un tovagliolo, poi
tirò un sospiro. -Vedi, è più
complicato di come
sembra. È vero, ho detto così, ma... non funziona
proprio
in questo modo. Non basta volerlo con molta intensità. La
magia
è quanto ci sia di più simile ad un percorso
interiore,
un... viaggio per scoprire se stessi. Bisogna essere sufficientemente
consapevoli e maturi per affrontarlo...-
-Mi è già successo.- disse Henry,
imperscrutabile. -Se mi
concentro e chiudo gli occhi, riesco a spegnere la luce della mia
camera e a farla tornare quando li riapro. E un'ora fa ho fatto
scoppiare un bicchiere da Granny. Io non voglio reprimere i miei poteri
mamma,
voglio solo imparare a controllarli.-
Regina lasciò calare fra loro una lunga pausa e lo
fissò, incerta.
-Che c'è? È una cosa strana?-
s'informò Henry.
-No, non molto.- mentì la donna, riflettendo rapidamente
che,
comunque, quel ragazzino discendeva dalla magia nera e dalla magia
bianca, per non parlare del fatto che era cresciuto assuefatto da un
maleficio -quindi era piuttosto naturale che avesse delle doti a sua
volta. Però, delle manifestazioni così
turbolente... e
così presto.
L'eccezionalità dell'albero genealogico di Henry rendeva lui
stesso un'eccezione vivente, a quanto pare.
-Mi aiuterai?- Suo figlio la stava guardando. Le stava chiedendo aiuto.
A lei. Non
a Emma.
-Sì, Henry.- Regina piegò le labbra in un sorriso
vermiglio. -Ti sei rivolto alla persona giusta, perchè ti
posso aiutare.-
Il giorno dopo Rumpelstiltskin, serafico, incartava con cura un grosso
tomo di magia dalla copertina usurata.
-Quasi mi dispiace separarmene. Ci hanno studiato tre allieve, sai? Lo
devi trattare bene.-
Regina aveva fretta di concludere l'acquisto. -È ovvio che
lo
so, dato che una delle allieve ero io e le altre erano mia madre e mia
sorella.-
Il signor Gold le tese il libro, senza trattenere un commento caustico.
-E quindi il giovane Henry inizia le sue lezioni di magia. Una
decisione un po' incauta, se posso esprimere la mia opinione.-
-Si astenga, che è meglio.- tagliò corto la
donna, bruscamente. -E comunque, dureranno solo quanto basta per
insegnargli a
gestire i
poteri.-
Rumpelstiltskin la osservò uscire, giulivo.
-Dimentichi una lezione molto importante, dearie. Con la magia, sai
quando inizi ma non sai quando finirai...- Lo sguardo cadde sul flauto
di legno che gli era riuscito di recuperare l'ultima volta che era
stato a Neverland, visto che il suo proprietario di certo non sarebbe
venuto a reclamarlo. -Se
finirai, beninteso.-
***
Emma l'aveva scoperto per caso. Si era trattato di un nonnulla, un
bicchiere di Coca Cola che si svuotava e ricolmava quando lei
distoglieva lo sguardo. Allibita, aveva dovuto arrendersi all'evidenza.
-Henry, sei stato tu?-
Suo figlio aveva sorriso in quella maniera storta e discola, che era la
versione quattordicenne della sua paffuta e tonda espressione colpevole.
-Come hai fatto?-
-Magia.- aveva risposto lui, con un pizzico d'ironia. Emma aveva
avvertito una stretta allo stomaco -non era stata avvertita di
ciò. Come
mai non era stata avvertita di ciò?
Ma i nervi le erano saltati anche dopo, nel momento in cui
aveva
visto la macchina di Regina fermarsi presso il marciapiede per far
montare Henry a bordo, ed il ragazzo affacciarsi subito al finestrino
per mostrarle quanto era diventato bravo nel cambiare il colore della
giacca.
-Pensavo che gli avessi solo insegnato un trucco, non che volessi
addestrarlo per mandarlo ad Hogwarts!-
Regina aveva assunto la tipica espressione accigliata da smettila-di-metterti-in-mezzo-fra-me-e-mio-figlio.
-Che cosa c'è di male, Emma? I poteri sono sempre stati
parte di
lui. Adesso si sono destati. Anzi, è molto meglio se impara
a
dominarli, piuttosto che subirli ed esserne dominato, e continuare a
spaccare bicchieri per sbaglio. È un alunno estremamente
talentuoso.- Aveva rivolto un sorriso deliziato a Henry, prima di
scoccare un'ultima frecciata: -E poi ti ricordo che, quando ne hai
avuto bisogno, non hai esitato a farti dare lezioni tu stessa.-
-Quella era una situazione di emergenza. Non appena il pericolo
è passato, non li ho più usati.-
sottolineò Emma.
Ma Henry era già saltato in macchina, e nessuno dei due la
stava
ascoltando. Durante quel periodo, capitava che trascorresse un'intera
settimana da Regina senza mai fare un salto da lei. Emma ne soffriva,
anche se taceva per non rischiare di risultare opprimente. Era
quell'età in cui i figli hanno bisogno dei loro spazi, no?
Avrebbe aspettato che questa ossessione per la magia scemasse, come era
accaduto con i succhi al pompelmo, la Playstation e la liquirizia di
prima mattina. Era solo questione di tempo.
La storia, naturalmente, prometteva di finire meno presto di quanto lei
desiderasse. Circa due mesi dopo
l'inizio dell'apprendistato di Regina, Mary Margaret parlò
con
Emma in privato a proposito di Henry -a scuola era costantemente
disattento, e più di una volta aveva cominciato a far
levitare
gli oggetti per noia. Un giorno era entrata in classe a ricreazione e
l'aveva sorpreso nell'atto di scrivere alla lavagna a tre metri di
distanza da essa, muovendo il gessetto con la magia, acclamato da un
coro di compagni eccitati. L'ultima volta aveva compilato un
questionario in elfico.
Oh, Emma aveva provato a sgridarlo, ma non ne aveva cavato un ragno dal
buco. Era come se suo figlio fosse diventato di vetro, una creatura di
un altro universo che l'ascoltava ed annuiva senza comprendere una sola
parola. L'adolescenza,
si ripeteva nervosamente la madre, è
l'adolescenza.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso giunse di sabato. Emma
aveva organizzato una specie di cena di famiglia da Granny,
così
lei, Hook, Regina, Mary Margaret insieme a David e Rumpelstiltskin con
Belle sedevano attorno ad un tavolo trangugiando hamburger e bevendo
roba rigorosamente analcolica. Henry e Hook, com'era loro abitudine,
giocavano a braccio di ferro, dilettandosi in partite in cui il pirata
agitava mollemente la mano buona per consegnare all'avversario una
felice vittoria. Ad un certo punto Henry, nel bel mezzo di una di esse,
saltò fuori con un: -Ho imparato un sacco di trucchetti con
la
magia, sai?-
-Trucchetti per vincere la mia forza erculea?- Hook inarcò
un sopracciglio, divertito.
Henry sorrise. La sua mano s'arroventò
all'improvviso, e
stringerla equivaleva a premere la carne contro una piastra. Hook
tossicchiò qualche commento
spiritoso, ma Henry strinse la presa. Emma fu distratta dalla sua
conversazione e si voltò:
realizzò che, anche se l'uomo avesse voluto liberarsi, non
ci
sarebbe riuscito. Il calore aumentava sempre di più e ormai
Hook
faticava a celare una smorfia di dolore, così come a
sdrammatizzare.
-D'accordo, Henry, adesso basta.- borbottò Emma. Gli occhi
di
suo figlio erano rivelati dalle luci a neon, intenti a fissare qualcosa
di lontano, come una stella, abbagliati dal fascino di quel potere
incomprensibile che scorreva nelle sue vene, accelerandogli il respiro
ed il battito cardiaco: Emma non poteva sapere fin dove
arrivasse
la curiosità e a che punto cominciasse la frenesia. Le sue
dita
si contrassero
ancora, e Hook piegò il collo, con un'imprecazione.
-Ho detto smettila!-
Emma si rese conto dopo
di
essersi alzata in piedi ed avere sbattuto il palmo
contro il tavolo. Le era parso di scorgere un bagliore avido nello
sguardo di Henry, e si avvide con rammarico del fatto che non
sarebbe mai riuscita a convincersi di averlo immaginato. Suo figlio
scoppiò a ridere.
-Serviva agitarsi così, ma'? Cosa vuoi che sia. Era solo uno
scherzo.-
-Solo uno scherzo...-
Emma si trovò senza parole. Hook stemperò la
tensione con qualcosa tipo devi
compiere almeno vent'anni prima di riuscire a farmi la pelle. Regina,
che aveva assistito alla scena, commentò con un ghigno
crudelmente allegro. Conosceva quel che il figlio stava provando, molto
meglio di quanto potesse farlo la
salvatrice.
-Cosa vuoi che sia.- ripetè Henry, prima di addentare il suo
panino. Emma notò che aveva ancora quell'espressione
distante,
mille miglia oltre Storybrooke, mille miglia oltre il bambino di
quattro anni prima.
***
Regina tornò nella cripta con un vassoio fra le braccia:
c'erano
tramezzini, bicchieri di limonata e qualche barretta energetica.
Lanciò un'occhiata critica a Henry, che, abbandonato su un
piccolo divano di stoffa comparso per l'occasione, riprendeva fiato a
braccia spalancate, inalando respiri lunghi e lenti, passando in
rassegna le ampolle variopinte degli ingredienti per le pozioni.
-Se vuoi, possiamo fermarci un attimo.- suggerì sua madre,
poggiando il vassoio.
-Oh, no. Sto benissimo, adesso.- replicò subito Henry,
rivolgendo uno sguardo cupido ai tramezzini. -Qual è il
prossimo
step?-
Regina esitò: aveva riflettuto a lungo, la sera prima, se
era il
caso d'insegnare quell'incantesimo al figlio oppure no. Anche lei si
era accorta ch'egli tendeva a prendere la magia come un gioco
divertente, senza essere forse pronto per affrontarne i meandri
più erti e dirupati. Però c'era anche da dire che
era
spesso in pericolo, preda della propria stessa debolezza, ed imparare a
difendersi gli sarebbe potuto tornare decisamente utile.
-Vedi, fino a qualche anno fa Emma aveva il problema opposto al tuo: i
poteri c'erano, ma non riusciva ad esprimerli.- premise Regina,
sedendosi accanto a lui.
-Questo perchè non ci credeva fino in fondo.- aggiunse Henry.
-Sì, è così.- confermò lei.
-La magia
è istinto, fondamentalmente. Per sfogarne il pieno
potenziale,
bisogna sollecitare l'istinto più primigenio: quello di
sopravvivenza.-
Il figlio inclinò la testa in modo curioso. -Intendi farmi
penzolare sopra un pozzo?-
-Ma Henry, che dici!- esclamò Regina, fra il serio e il
faceto.
-Ti stavo solo spiegando il meccanismo. Per innescarlo, non
è
necessario che il diretto interessato si trovi sul serio in pericolo:
basta che si senta
in condizione di doversi proteggere. Questo vale sia sul piano fisico,
che semplicemente emotivo. Capisci?-
-Suppergiù.- annuì Henry. -Quindi,
quest'incantesimo mi permetterà di difendermi?-
-Esatto. In qualsiasi modo la situazione lo richieda, con qualsiasi
mezzo, in qualsiasi espressione. Con fuoco, acqua, qualsiasi
cosa
ci sia a disposizione o tu abbia l'energia di evocare in quel preciso
momento. Una specie di sistema di sicurezza.- spiegò Regina.
-È un incantesimo basilare, che non richiede particolare
sforzo
o impegno, visto che nella maggior parte dei casi si esprime
spontaneamente, però è bene attivarlo in modo
artefatto,
all'inizio, così che poi risulti più semplice in
futuro
controllarlo.-
Henry si colpì le ginocchia con le mani. -Bene. Possiamo
provare?-
Si alzarono in piedi. Regina frappose un po' di distanza fra loro,
almeno una decina di passi.
-Adesso devi pensare a qualcosa che ti fa davvero arrabbiare.- lo
istruì. -Concentrati. La cosa che in assoluto ti fa
più
arrab-
Poi avvertì solo l'onda d'urto di un'intensa corrente di
potere
colpirla in pieno, prima che potesse avere il tempo di arginarla: la
sbalzò fino alla parete della stanza, travolgendo alcune
mensole
e facendo cadere un corredo di ampolle blu, che se non fossero state
protette da un incantesimo avrebbero combinato un bel disastro. Regina
si puntellò su un braccio per rialzarsi, immediatamente
soccorsa
da Henry.
-Scusami.- implorò il ragazzino, stringendole la mano ed
aiutandola a sollevarsi. Aveva un'espressione turbata. -Non so
cos'è successo, io ho fatto come hai detto tu e...-
-Non preoccuparti, tesoro, stai tranquillo. Non l'hai fatto apposta.-
lo rassicurò Regina, con un sorriso flebile. Cosa vuoi che sia?
Non potè
fare a meno di provare uno strano presentimento. Quanto stramaledetto potere
sopito doveva esserci dentro di lui? Per quel giorno, la
sessione magia venne rimpiazzata senza rimpianti da quella
film-e-popcorn.
Da quando aveva cominciato a dedicarsi alla magia, Henry appena sveglio
balzava giù dal letto con singolare impazienza. Infatti alle
otto meno dieci, nel cortile dentro i cancelli della scuola, poteva
mostrare quello che mano a mano imparava con Regina a Gretel.
Da
bambina scaltra e assennata qual era stata, era diventata una fanciulla
piuttosto introversa, ma con un'argentea risata capace di diffondere il
buonumore, che dispensava soltanto in presenza di coloro ch'erano
riusciti nell'ardua impresa di conquistare la sua amicizia. Era di
temperamento schivo, seppur non scostante. Non si truccava mai, eccetto
che per un velo di burrocacao che le evitava il supplizio delle labbra
screpolate in inverno. Henry la trovava molto graziosa, anche se lo
aveva ammesso solo con Emma, perchè girava voce che suo
fratello
Hansel fosse terribilmente geloso e, per quanto sembrasse quieto e
timido, azzannava
quanto si
trattava di Gretel e i suoi pretendenti. Non che lei, portandoselo
sempre appresso a braccetto, facilitasse gli incontri.
-Oh, Henry, è molto carino.- sorrise la ragazza anche quel
giorno, stringendosi nel cappotto bianco, quando lui sollevò
all'altezza del suo viso un ciclamino, che schiuse e riserrò
i
suoi petali a comando. -Però ti consiglio di lasciar
perdere.-
Henry studiò il disagio sul suo volto, che sotto la luce
obliqua
del primo mattino appariva tempestato di chiare efelidi dorate.
-E per quale motivo?-
Gretel scrollò le spalle, tentennante. -Per quel che ne so
io,
la magia rovina sempre tutto. Non vorrei che succedesse anche a te.- La
franchezza disegnò un sorriso stanco sulla sua bocca. -La
tua
vita è così perfetta che sarebbe un crimine
volerla
cambiare.-
Henry osservò il fiore scendere sul palmo di lei,
senza
fretta, avvizzire su se stesso, quasi si vergognasse del proprio
deperimento, e morire annerito.
-Lo dici perchè hai paura di me?- Impossibile decifrare il
suo contegno.
Gretel indugiò, tormentando l'estremità della sua
florida treccia bionda. -Lo dico perchè ti voglio bene.-
La tensione dei lineamenti del ragazzo s'ammorbidì, e fu
come se
tutto il resto della conversazione fosse stata dimenticava. Fu
illuminato da un pensiero repentino.
-Senti, pensavo...- si lambiccò, spostando il peso da un
piede all'altro.
Gli occhi di lei, che con il riflesso del loro baluginìo
ceruleo attribuivano qualcosa di
azzurro a tutta la sua figura, sbattevano ripetutamente le
palpebre, facendo frullare come ali di colibrì le ciglia
trasparenti.
-Sì?-
Henry cercò di appiattire tutte le parole in un sol fiato.
-Che
potremmo andare a bere qualcosa in caffetteria, un pomeriggio di
questi, magari...-
La mano di Hansel calò rapace come l'artiglio di un'aquila
sul braccio esile della gemella.
-Andiamo, Gretel, non hai sentito la campanella?- domandò,
petulante, riservando a Henry un'occhiataccia carica d'avversione, che
rese inevitabilmente manifesti i suoi intenti.
Lei annuì, completamente all'oscuro del loro silenzioso
scambio,
ed assestò la cartella sulla schiena. Salutò
l'amico
vivacemente e si avviò. Soltanto poco più tardi
si
accorse di avere stretto fra le dita il ciclamino, e, schiudendole, di
una cosa ancora più sbalorditiva: si era trasformato in una
caramella ai frutti di bosco. Sbirciò Henry da sopra la
spalla,
sorridendo perplessa, e lui le fece l'occhiolino. Cosa vuoi che sia.
Nel frattempo, dall'altra parte del cortile, una ragazzina osservava
Henry schermando la luce del sole con una mano. Dalla grande borsa che
indossava provenivano striduli miagolii di protesta, e una testolina
soffice, grigia e tigrata emerse: lei la ricacciò nel suo
cantuccio con un buffetto bonario.
-Sì, Cheshire. È proprio quello che stavo
pensando. Lui può aiutarci, ci scommetto.-
***
Quando Emma lo trovò, Henry stava creando una pozione per
ricordare i sogni. Era già abbastanza esperto da poterlo
fare
senza la supervisione di Regina; sapeva qual era il coltello migliore
per tagliare le radici e per quanto tempo andassero schiacciate con il
pestello le erbe aromatiche, così come quante gocce di acqua
diluissero il veleno dei funghi della Foresta Incantata. Lanciava
occhiate distratte alla pagina delle istruzioni, mentre affettava
quello che aveva tutta l'aria di essere un osso umano e controllava con
il movimento rotatorio dell'indice il mestolo, in un calderone, poco
lontano sul focolare. Emma avvertì qualcosa di simile al
panico.
La contaminazione era già giunta ad uno stadio
così
avanzato? Come aveva fatto l'Henry che conosceva a diventare... così?
-Henry, ascoltami.-
Il ragazzino sollevò lo sguardo, con qualche istante di
ritardo. -Oh, ciao. Non ti ho sentita arrivare. Tutto a posto?-
-No, non è tutto a posto.- Sua madre tentò di
esprimere
quel che provava, di esporgli la situazione e la surrealtà e
il
dolore, di fargli comprendere, ma notò che il prolungato
silenzio stava sortendo l'unico effetto di distogliere l'attenzione di
Henry. -Sono qui per vietarti la magia.- concluse Emma, infastidita.
Lui parve non averla ascoltata.
-Per vietarti
la magia.- ripetè la donna, a voce più alta.
Henry parve rifletterci un attimo. Non sembrava troppo preoccupato.
-Aspetta, perchè?-
-C'è bisogno di dirlo? Oggi hai trasformato Pongo in un
chihuahua.-
Lui gettò qualche zolletta non identificata nel calderone,
annoiato. -L'ho anche riportato alla sua forma normale, mi sembra di
ricordare.-
-Henry, la magia non è un sollazzo!- Emma cominciava ad
arrabbiarsi sul serio. -Non puoi abusarne ogni giorno per riderci su
con i tuoi compagni di classe!-
Finalmente il figlio si decise, dopo una pausa arresa ed un sospiro
stizzito, a poggiare mestoli e ingredienti per concentrarsi solo sulla
conversazione.
-Fintanto che si tratta di magia innocua, che problema c'è?
Non
faccio male a nessuno.- dichiarò, contrariato. Emma scosse
la
testa.
-Non si tratta di questo.-
-E allora di cosa si tratta?-
-La magia provoca dipendenza,
Henry.
Se continuerai a servirtene ogni giorno... ho paura che non riuscirai
più a farne a meno.- concluse Emma. Confessare i timore che
da
un pezzo la affliggevano la fece sentire più leggera. -Pensa
al
signor Gold... a tuo nonno. E suo padre prima di lui...-
Henry non parve gratificato dall'allusione. -Mi stai paragonando a quel
mostro?! Credi davvero che potrei diventare come lui?!-
Emma cercò di sottrarsi al lampo di ostilità nel
suo sguardo.
-Non stavo dicendo questo.- ribattè. -Però la
magia-
-Si può sapere perchè la odi così
tanto?!-
La madre spostò lo sguardo sul calderone, da cui proveniva
un
ruggito sommesso, poi sulle fialette colme di essenze vaporose, e
ancora ricordò l'espressione di Regina quanto le aveva
chiesto
come andava le lezioni. Lei si era morsa il labbro inferiore. Henry... non ha più
bisogno di lezioni. Fa da solo. Mi ha detto così. Emma,
nonostante la paura, cercò di far suonare la propria voce
più salda e autoritaria possibile.
-Non c'è niente di male nella magia in sè,-
obiettò, stringendo gli occhi, -ma credo che tu la stia
affrontando nel modo sbagliato.-
E a quel punto il suo universo si distorse, come in uno psichedelico
incubo in cui si piegano le pareti. Tutto quello che aveva
faticosamente conquistato si spezzò con il rumore secco di
un
tavoletta di cioccolata, la razionalità si staccò
e
gravitò nello smarrimento. Henry aprì la bocca e,
quando
parlò, distrusse.
-Cosa ne sai tu, di me? Non te ne sei interessata per i
primi dieci anni della mia vita, e avresti continuato a fregartene
beatamente per altri dieci, o per altri venti.-
Emma rimase quasi intontita dall'impatto di quelle parole. Poco dopo
essere arrivata a Storybrooke, aveva spesso temuto che il bambino
potesse rivolgergliele e farle simili domande, che fosse troppo giovane
per capire le sue ragioni, che non l'avrebbe mai perdonata. La sua
comprensione l'aveva sinceramente rincuorata. Ormai quella era una
storia chiusa. Lei non ci pensava nemmeno più. I falsi
ricordi
di Regina contribuivano a darle l'impressione di non aver mai
abbandonato il fianco di Henry. Emma deglutì.
-Credevo che io e te avessimo già chiarito questo... questo
discorso.-
-Le scuse
non ti autorizzano
a dirmi cosa devo fare della mia vita.- Henry strinse i pugni. Emma
vide una singolare luce rossa sprigionarsi dalle sue dita serrate. -E, per
la cronaca, io non morirò com'è
successo a mio padre.-
Sua madre non riuscì a collegare consequenzialmente i due
avvenimenti, ma dopo aver detto così Henry cadde sulle
ginocchia, colpito da qualcosa d'inindovinabile. Soltanto incrociando
lo sguardo ferito del figlio capì di essere stata lei a respingerlo.
Henry rimase a terra, senza rialzarsi. Prima che Emma potesse
preoccuparsi,
-Mi sgridi perchè trasformo i dalmata in chihuahua, e
poi
attacchi il tuo stesso figlio con la magia?!- La sua voce echeggiava
distorta, come se ci fossero delle interferenze fra le sue corde vocali
e l'aria. Il dolore sul suo volto era una punizione che Emma non
sarebbe riuscita a sopportare oltre. -Non ti è bastato
abbandonarmi... Vuoi proprio liberarti di me a tutti i costi, eh?
Magari non avresti nemmeno voluto essere trovata. Magari quella sera,
quando mi hai visto davanti alla tua porta, hai desiderato soltanto
chiudermela in faccia.- Le parole s'incrinarono.
Emma si chinò di fianco a lui, scoprendo terrorizzata di
avere gli occhi lucidi.
-Henry, che diavolo stai dicendo?! È solo che credevo che tu
stessi per...-
Nemmeno lei sapeva cosa avesse creduto. Aveva intravisto quella luce
rossa, poi aveva sentito mio
padre, e morire...
aveva perso completamente la testa. Forse il potere che aveva
inavvertitamente rilasciato era l'equivalente magico di uno schiaffo.
Allungò una mano per aiutare Henry, ma lui la respinse con
una
smorfia.
-Non toccarmi, Emma. Vattene.- In quattro anni di vita insieme, non era
mai stato così freddo con lei. Il suo sguardo esprimeva il
medesimo distacco. -Per un attimo mi stavo dimenticando che tu non hai
alcun diritto di vietarmi qualcosa.-
Assaporando sulla pelle come una lama il rancore di suo figlio, Emma
presentì che da quel giorno niente sarebbe più
stato come
l'aveva conosciuto. Quando venne per riconciliarsi con lui, il giorno
dopo, tutto quel che ottenne furono un'assente occhiata apatica e
qualche neutra parola di congedo. Henry sfumava via della sua vita con
la lenta inesorabilità di un tramonto che si converte in
buio, e Regina non poteva fare altro che guardare con inquietudine la
sottile linea di luce che rimaneva nitida sul pavimento tutta la notte,
davanti alla porta della sua camera da letto, mentre nella casa s'udiva
l'unico sussurro delle pagine sfogliate. Cosa vuoi che sia, cosa vuoi che
sia...
***
Dlindlindlin,
fece il sonaglio
a prova di magia quando Henry spinse contro la maniglia ed
entrò
nel banco dei pegni di Rumpelstiltskin. Le tenebre che premevano contro
i vecchi vetri, confondendosi con la polvere, sapevano vagamente di
muffa e si arrotolavano ovunque, attorno agli espositori di liuti
d'argento e tiare stregate -Henry non aveva avuto molto interesse di
entrarci, da bambino, ma negli ultimi mesi non avrebbe chiesto che un
pretesto per poter dare un'occhiata. Eppure, in quel momento, era
lì per un motivo preciso. Bighellonò con le mani
affondate nelle tasche, valutando con sguardo impassibile intere
armature di cavaliere e un fischietto con incise rune intraducibili.
Sopra un piccolo cuscino di velluto rosso, c'era persino una palla
completamente forgiata d'oro. Allungò una mano per sfiorare
una
spilla d'antracite a forma di ragno, con due rubini fiammeggianti al
posto degli occhi, ma una voce lo fermò.
-Io non lo farei, se fossi in te.-
Henry completò il gesto passandosi le dita fra i capelli,
con
disinvoltura. Poi si voltò. Il signor Gold, le mani giunte
sul
pomello del proprio bastone, lo osservava senza discrezione
nè
meraviglia, con cipiglio quasi condiscendente.
-In quanto padrone del negozio, ho l'obbligo professionale di chiederti
se cerchi qualcosa in particolare.-
Henry scandagliò la sua espressione, alla ricerca di scherno
e
derisione, ma evidentemente non ne trovò, perchè
disse:
-Dammelo.-
-Mi sembra di essere stato piuttosto eloquente, l'ultima volta.-
ribattè Gold. -Non-hai-ancora-abbastanza-potere.-
Il ragazzino sollevò l'indice, come un avvocato che
sorprenda un cavillo nel contratto. -Questo valeva l'ultima volta.-
Rumpelstiltskin riflettè senza premura, mentre Henry
guardava se
stesso dentro un piccolo specchio dal manico di corno e, per qualche
oscura ragione, ridacchiava. La vita di Storybrooke e dei suoi abitanti
sarebbe stata messa a soqquadro da un suo sì
-così come
da un suo no. Persino tentare di scandagliare il futuro
risultava
nebuloso. Per qualche istante sospeso, gli sembrò
addirittura
che fosse Henry stesso
ad offuscare le visioni. Quando formulò questo pensiero, il
ragazzo si voltò e gli sorrise con innocenza.
-A che cosa ti serve?- domandò Gold. Henry
schioccò la
lingua, trionfante, ticchettando l'unghia su una campanella di
cristallo.
-Diciamo, una festa di Halloween... ma puoi rassicurare Regina, non
c'entra nulla con il voyeurismo. Accetti?-
L'uomo alzò le spalle, garbatamente spiacente. -Sai come
funziona in questo negozio.-
Lui sospirò e si mise a braccia conserte. -Allora dimmi cosa
vuoi.-
-Una risposta. Chi hai intenzione di controllare?-
Henry rimase zitto per diversi secondi, valutando quanto fosse
conveniente dirglielo.
-Ho il tuo silenzio?-
-Non scherziamo, ragazzino. Hai solo l'oggetto che sei venuto qui a
cercare.-
Lui sospirò, esasperato. -Benissimo. Voglio verificare dove
si
trova una donna di nome Alice Kingsley. E poi tenere d'occhio Emma,
così che non mi venga fra i piedi.-
Rumpelstiltskin realizzò. -Stai per viaggiare fra un mondo e
l'altro, non è così? A quale scopo?-
-Tu hai già una risposta, mentre io non ho
nessun oggetto.- s'infastidì Henry.
L'altro si rassegnò. Si spostò dietro il banco,
aprì uno fra la ventina di sottili cassetti
pressochè
invisibili che si succedevano e ne trasse qualcosa, che posò
sul
palmo del nipote. Non era altro che un cellulare a conchiglia, grigio,
decisamente passato di moda, senza neanche la fotocamera. Henry
l'aprì e guardò i tasti, lo schermo squadrato.
-Vi compare la figura della persona di cui viene digitato il nome,
giusto?-
-Il limite è proprio questo. Puoi verificare le condizioni
di una persona in tempo reale, ma esclusivamente lei compare
nell'obiettivo, quindi ci possono essere soltanto degli indizi per
esplicitare il luogo in cui si trova.- precisò Gold.
Henry sollevò lo sguardo. -Questo non è un
problema. E se la persona è morta?-
-In quel caso, non comparirà nulla. Lo so che sembra
un'affermazione abusata, ma quell'affare è molto pericoloso.-
-Ma pensa. A me sembrava così insospettabile.-
scherzò Henry, rigirando il cellulare fra le dita.
Rumpelstiltskin rimase serio. -È l'oggetto magico
più impregnato di magia nera che tu abbia mai affrontato.-
Il ragazzo s'adombrò. -È tutto okay. Posso
gestirla.-
garantì, seccato. Infilò in tasca il telefono,
girò i tacchi e si diresse verso la porta. Aveva
già la
mano sulla maniglia, quando il signor Gold parlò ancora.
-A che gioco stai giocando, ragazzino?-
Di spalle, Henry sorrise.
-Un gioco più pericoloso del solito, presumo.-
Suo nonno fece qualche passo in avanti, fissandolo come se sperasse di
riuscire ad estirpare i suoi pensieri.
-Che ne è stato del vero credente, Henry? Ha perso la fede?-
Il ragazzo si voltò un'ultima volta. -La domanda giusta non
è se credo ancora o no. È in che cosa credo.-
Quando il dlindlindlin
e il tonfo della porta assicurarono che se n'era andato, Belle
uscì allo scoperto da dietro la tenda del magazzino.
-Non avresti dovuto farlo, Rumple. Sei impazzito? È troppo
giovane per viaggiare fra i mondi, e... ti sei già
dimenticato
della profezia?-
Rumpelstiltskin rigirò il pomello del bastone fra le mani.
-No,- rispose, tranquillo, -ma assecondarlo mi sembrava rischioso e
imprevedibile. E se non sono io, in questa città, a fare
qualcosa di rischioso ed imprevedibile... beh, dearie, chi
sarà a farlo?-
***
-Tesoro, sei sveglia?-
Grace rinvenne da una catasta di cuscini arancioni, rigirando sulla
lingua un sapore amarognolo di sonnellino pomeridiano e pescando una
manciata di popcorn gialli da una terrina di plastica.
-Sì, credo di sì.- sbadigliò
indolente, tirando inavvertitamente un calcio al telecomando.
-C'è quello.
È tornato a trovarti.- La voce di Jefferson, dal piano di
sotto, era
evidentemente scocciata. -Ma sei sicura che non sia il tuo moroso?-
Grace trattenne un sospiro, scagliando la testa con tutta la chioma
sotto il letto per recuperare il telecomando. -Fallo entrare,
papà.-
Quando sentì la porta aprirsi e Henry proferire un ciao
disinvolto, interruppe un episodio di Doctor Who, scacciò
via
dall'asola un bottone della camicetta e appese al collo un auricolare
rosa fosforescente.
-Hey,- lo salutò briosamente, annodando le gambe in una
posizione comoda, -non ti aspettavo.-
Henry sorrise di fronte al mascara che le colava semiliquido
dall'occhio destro, la stesura dello smalto lasciata a metà
per
pigrizia -la boccetta seccava svitata un po' più in
là- e
l'impronta del guanciale stampata come un taglio verticale su uno
zigomo. Era davvero l'unica sedicenne a mondo che riusciva a rimanere
sexy, in qualsiasi situazione fosse sorpresa.
-Mi dispiace, ma non è colpa mia se il tuo telefono
è ancora nell'acquaio.- ribattè.
Grace inarcò le sopracciglia, stupita. -Ah, sì?
Davvero?-
-Non avevo tempo che te ne accorgessi.- tagliò corto Henry,
impaziente. -Dovevo mostrarti una cosa.-
-Cosa?-
-Basta che non ti spaventi.-
All'inizio Grace non capì, poi Henry allungò la
mano. La
prima cosa che lei pensò fu: vuole baciarmi. La seconda fu:
no,
vuole uccidermi.
Avvertì la sua mano penetrarle nel petto, come un rampino si
fa
strada nel ghiaccio, ma a salvarla dal dolore fu l'indignazione
frastornata dello sconcerto, e sentì le sue dita
attorno al
cuore, e poi tirare.
Sarebbe
caduta per terra, in avanti, se Henry non l'avesse sostenuta con
l'altro braccio: per qualche secondo, Grace dimenticò cosa
fosse
l'equilibrio. Guardò il proprio cuore pulsare orribilmente
sul
palmo del ragazzo, ma fu assalita da un conato di disgusto e dovette
chiudere gli occhi. Le pareva di riuscire a trattenere respiri troppo
brevi.
Henry taceva, assorto in qualche pensiero strano ed alienante, con
una calma portentosa. La sua mano non tremava, e non tremò
nemmeno quando -con una spinta decisa ma trattenuta- premette il cuore
contro la sua gabbia toracica fino a che Grace non percepì
il
battito dentro di sè ed emise un gemito soffocato, un po' di
sofferenza e un po' di sollievo. Infine, dopo una pausa inorridita,
scoppiò a ridere eccitata.
Anche Henry distese le labbra in un sorriso, più
rilassato. Sbuffò la propria ansia rumorosamente. La ragazza
gli
saltò al collo, affondando il naso nell'incavo della gola.
-Ce l'hai fatta.- sussurrò.
-Ce l'ho fatta.- confermò Henry.
-Sei fantastico.- cinguettò, guidando la mano di lui attorno
ai propri fianchi. Una consapevolezza
ardente esplose fino a riverberarsi alle punte dei suoi polpastrelli.
Quello era il segnale: adesso avrebbero potuto aprire un portale,
cercare sua madre a Wonderland, riportarla da suo padre. E fare tutto
ciò che Henry aveva in progetto per loro, ovviamente. Il
ragazzo
aveva ancora un'espressione assente, come se la magia lo catturasse in
una bruma impalpabile di ragnatela.
-Ce l'hai?-
Grace battè le mani sottili in un gesto fluido di
stravagante grazia. -Certo.-
Quando emerse dal grande armadio dalle ante spalancate, stringeva fra
le braccia un'enorme cappelliera ovale a righe bianche e rosa. La
posò sul letto, schiacciando inavvertitamente qualche
popcorn
incrostato di smalto rosa. Vi tamburellò le dita, animata da
un'allegria spettrale.
-Quando incominciamo?-
-Subito.- dichiarò Henry, con fermezza, prima di sistemarsi
fra le sue cosce e baciarla con impeto.
***
Gretel non sentiva più niente. Il mondo era diventato
rumore. Le
immagini si frantumavano e stridevano cozzando in una tempesta
elettrica,
impedendo di formulare un quadro d'insieme; la terra sussultava sotto i
suoi palmi scorticati, un ringhio nasceva fra germogli di fiamme. Poi
colse qualcosa, una certezza dritta nelle orecchie che andò
a
colpire la mente con puntualità, seppur schermata dallo
smarrimento: Hansel stava gridando. Provò il suo stesso
dolore,
nella morsa del panico. Cercò di trascinarsi sulla
nuda
terra,
poi ansimò e socchiuse le labbra, inspirando sposmodicamente
una
boccata d'aria asciutta e rovente, come alito di lava.
Sputò,
disgustata, e cercò di alzare la testa per guardare oltre la
caligine sulfurea degli incendi.
Henry si stagliava là, irradiato d'un dolce bagliore
ambrato,
che faceva intendere due cose -che era immune dal fuoco e che lui l'aveva
appiccato. Portava una lunga giacca nera, dallo strascico logoro, che
non gli aveva mai visto indosso. Contemplava la scena con sguardo
cogitabondo, meditativo, quasi indifferente. Gretel avrebbe voluto
protendere la mano, gridare, fermarlo: poi Hansel gemette di nuovo, e
la sua lucidità cadde in pezzi.
-Devi scegliere.- Henry era fra le fiamme, la guardava dall'alto, senza
alterigia. Il suo tono tradiva quella sordida speranza. -Vieni con me.
Lascia perdere tutto questo. Altri mondi, altre
possibilità...
Permettimi di mostrarti cosa possiamo diventare insieme.-
Insieme. Quanti mesi -giorni- prima aveva ancora
l'abitudine di
alzarsi dal letto, al mattino, immaginando che suono avrebbe avuto la
parola insieme fra
le labbra di Henry? Quanti giorni -ore- prima esisteva
quell'entità utopica, lieta e distante, quell'insieme da
realizzare? Gretel morse la cenere. Un sapore di bile le aveva invaso
il palato. Si sentiva contagiata dall'agonia senza voce dei corpi che
bruciavano. La lieve mitezza del fuoco cancellava il mondo.
Allungò il collo fino ad incrociare lo sguardo di Henry. Non
riusciva a vederlo bene: le prudevano gli occhi, percepiva le scintille
arderle le ciglia. Ma non aveva bisogno di guardarlo per sapere
com'era: nella sua mente sarebbe apparso nitido e fulgido anche ad
occhi chiusi, sulla parete rossa delle palpebre. Era in bianco e nero,
come un ritratto a carboncino, i capelli gli invadevano la fronte e la
nuca, gli occhi erano profondi recessi sconosciuti in cui tante volte
aveva sbirciato senza mai trovare una risposta.
Gretel si puntellò sui gomiti: la treccia bionda
urtò la schiena.
-No, Henry.- rispose, consapevole che l'avrebbe sentita a dispetto del
frastuono. -Non a queste condizioni, non così. Non posso...
non possiamo
permetterci di seguirti, là dove vuoi andare.-
Il ragazzo non parve sorpreso. L'espressione s'irrigidì, e
uno
spasmo di dolore mosse la linea delle sue labbra. Hansel la chiamava
nel buio, e Gretel ebbe la riprova di aver fatto la cosa migliore.
-Molto bene.- disse Henry. -Se è lui che scegli.-
-Scelgo ciò che mi sembra più giusto. Come ho
sempre fatto.-
Per quanto possa fare
male, pensò. Per quanto possa fare male
ammettere che tu non sei la cosa più giusta.
Henry combattè con i suoi occhi ancora per
qualche
istante, poi vi lesse una triste ostinazione che lo fece desistere. La
magia ha sempre un prezzo, e lui aveva appena scoperto qual era il suo.
Il sospiro fu così lieve che a malapena
arricciò una
lingua di fuoco. Henry,
ti prego...
-Andiamocene. Lascia questa bimba a pettinare le sue bambole.-
intervenne una ragazza alta e smilza, vestita di troppi colori, con una
gonna di tulle e calze a pois, la fronte ombreggiata dalla falda larga
di un vecchio cilindro smesso, dal quale scivolava una cortina di lisci
capelli biondi, striati di ciocche rosa e verdi ormai stinte; Gretel la
riconobbe a fatica come Grace. Poi, la ragazza si tolse il cappello, lo
fece roteare e lo lanciò a terra, dove si sgranò
una
vorticosa voragine argentea, che pareva avvilupparsi all'infinito.
Camminò fino ad immergercisi dentro con un passo, con la
spontaneità di un gesto abituale; la noia e l'esaltazione si
avvicendavano distrattamente sulle sue labbra piene. Henry la
seguì.
L'ultima cosa che Gretel percepì fu il suo sguardo crudo
d'amarezza -tornerò
a prenderti, e quella volta farai la scelta giusta- e la
presa tremante di Hansel sul suo braccio. Sentiva il cuore duro come un
sasso.
Dopo un po', percepì il trambusto dei soccorsi attorno a
sè. Un brusio agitato rompeva il silenzio doloroso dei
feriti,
il fuoco era stato progressivamente inaridito in cumuli di cenere e
torri di fumo. Un paio di grossi stivali di gomma si fermarono vicino a
lei, e Gretel trovò la forza di sussurrare mio fratello...
-L'abbiamo già portato in salvo.- la
tranquillizzò una
voce familiare, a cui non riuscì per via dello stordimento a
dare un volto. -È sotto shock, ma le ferite sono di poco
conto.
Adesso ti portiamo in ambulatorio, e se ne sarai in condizione ti
riaccompagneremo a casa. Ascolta, Gretel, è importante: hai
visto che cosa Henry ha bruciato?-
Emma dovette ripeterle la domanda un paio di volte, prima che la
ragazzina, piangendo lacrime in silenzio, raccogliesse dalle macerie un
pezzo di carta arricciato dalle fiamme e glie lo porgesse, senza
parlare. Emma lo esaminò. Quando riconobbe le parole,
impallidì.
-Cosa?- Regina era accanto a lei.
-Il libro.- balbettò Emma. Once upon a time. -Ha
bruciato il libro.-
La verità non trovò spazio nel vuoto. Gretel, non
appena venne sorretta per
sollevarsi, ricadde esanime. Jefferson il cappellaio, qualche metro
più in là, tastava basito la terra lì
dove il
portale s'era richiuso. Regina si portò una mano alla bocca,
inorridita.
-Sembra grottesco doverlo dire,- bisbigliò Emma, -ma dobbiamo fermare Henry.-
Note dell'Autrice: Sì, anch'io sono spaventata,
ma gli headcanon sono pur sempre headcanon, e ti tormentano
finchè non li butti giù. u.u E Grace come
co-antagonista non poteva mancare. Perdonate il finale apertissimo, ma
questo era ciò che è passato nella mia mente e
non ho la forza di dedicarmi a cose più lunghe ed elaborate,
come una long. In teoria, una continuazione c'è, ma non ho
nessuna intenzione di stare a scriverla per pura pigrizia. XD Quel che
volevo esprimere l'ho espresso. L'aggiunta di Alice (non la Alice di
OUAT in Wonderland... per carità! o.O) ci voleva per
spiegare il motivo per cui Grace decide di fare la villain con Henry a parte la sua futura
ed innegabile sexyness e perchè la shippo tanto
con Jefferson <3
Grazie per avere letto questa robina, mi piacerebbe sapere cosa ne
pensate. ^-^
Lucy
|