TAMING THE MONKEY
TAMING THE MONKEY
*
Lo strano bar, sospeso tra
le nuvole di uno stravagante color giallo era gremito all’inverosimile, quel
giorno. Creature dall’aspetto mostruoso, quasi terrificanti, sorseggiavano le
loro bevande, o si cibavano dei loro pasti immersi in conversazioni bizzarre con
altri esseri altrettanto strampalati. L’impatto iniziale, d’inquietudine, veniva
subito rimpiazzato da un sentimento di curiosità.
Osservare una mummia che,
centellinando dal suo bicchiere, era immerso in una conversazione quasi seria
con una specie di lupo mannaro, suscitava un leggero divertimento sulle labbra
di chi non era abituato a mettere piede in un luogo tanto singolare.
E se vedere un licantropo
discorrere con un cadavere imbalsamato suscitava una sonora risata, che dire di
quella specie di uomo con due teste che allegramente canticchiava uno strano
motivetto? Nel frattempo, uno dei suoi capi era intento a mangiare un boccone
appena servitogli da un singolare cameriere fantasma. Suscitando, peraltro, una
notevole discussione tra la prima testa e la seconda.
Che dire invece del
cassiere? Che di testa ne aveva una sola, ma sembrava spesso sul punto di
perderla; e questo non era solo un modo di dire. Il singolare personaggio pareva
più interessato a tenere appiccicato il capo sul proprio collo che a occuparsi
di restituire il resto corretto ai suoi mostruosi clienti.
Tra i tanti tipi di
individui vi erano anche particolari demoni forniti di corna. Per gli Oni(*),
infatti, quello era il luogo di svago dopo il lavoro, duro e massacrante,
causato dal gravoso compito di tenere a bada l’intero regno dell’aldilà. Anche
loro, prima di tornare a casa, si fermavano spesso a chiacchierare con i così
detti amici del bar; incontrando, di tanto in tanto, anche qualche anima defunta
che giungeva in quei luoghi per avere notizie sul mondo sottostante.
Un posto singolare, questo
piccolo locale; nel quale forme di vita, per modo di dire, di ogni specie
pervenivano per i più svariati motivi. Oltre a quelli già accennati, di svago e
d’informazione, qualcuno sopraggiungeva al semplice scopo di cambiare aria di
tanto in tanto. Unicamente con l’intento di non essere disturbati da amicizie o
seccatori che interferivano con i proprio pensieri. Peccato, però, che conoscere
entrambi i mondi, quello dei vivi e quello dei morti, impediva di raggiungere la
quiete in un luogo simile.
Dopo anni, anzi secoli di
viavai continuo tra i due mondi le persone conosciute da entrambe le parti erano
ormai alla pari. Qualcuno era, a questo punto diventato una garanzia per
l’aldilà quanto per il suo pianeta, la Terra.
Era dunque inutile
nascondere il capo sotto quel particolare copricapo nero dalla strana forma
appuntita. Chi aveva idea dell’identità di quella buffa vecchiettina, dal volto
coperto dalle rughe di secoli, non faceva nessuna fatica a riconoscerla in mezzo
all’intera cagnara.
L’angolo buio dov’era
solita sedersi era sempre il primo punto in cui gli occhi dei viandanti si
posavano, specie se in cerca di una veggente dall’esperienza secolare.
La sibilla del mondo
terreno, l’anziana Baba, se ne stava per conto suo sorseggiando con la più
assoluta tranquillità il suo tè al limone, immersa nei propri pensieri e in
cerca di armonia; lontana dai problemi che erano soliti sorgere sul suo pianeta.
Fortunatamente, la Terra
era in pace da diversi anni ormai, ma il pericolo viene quando meno te lo
aspetti.
Baba non era una
sprovveduta, né una stupida. Aveva vissuto per più di cinquecento anni ormai, e
di tutti i secoli vissuti l’ultimo era sicuramente stato il più movimentato.
Colpa del popolo animalesco
e guerriero che, ormai quarantasette anni fa, aveva messo piede sul pianeta
azzurro?
Primo fra tutti quel
piccolo bambino, appena nato, di nome Kakaroth.
Forse era una delle cause,
ma sembrava essere diventato solo un lontano ricordo. Non c’era più bisogno di
crucciarsi per questi dettagli.
Eppure, qualcuno, sentiva
ancora il bisogno di udire la voce dal suo pianeta d’origine al solo scopo di
conoscerne le attuali condizioni.
Quando mise piede nella
locanda, il misterioso visitatore, volse direttamente lo sguardo verso
quell’angolo scuro con la consapevolezza di trovare l’anziana donna armata di
sfera di cristallo, grande il doppio di lei. Fu felice nel constatare che, come
da programma, Baba era seduta a quel tavolo, reggendo tra le grinzose mani una
vecchia tazza.
L’uomo si fece largo tra le
varie creature, evitando la discussione animata tra le due teste dello stesso
individuo o ignorando la vivace, quanto pacifica conversazione tra il licantropo
e la mummia. Si fermò solo ad un passo da quel piccolo tavolino, costringendo la
sibilla ad alzare il capo verso di lui. Quel che bastava per mostrare al nuovo
venuto il piccolo viso ricoperto dalla vecchiaia.
“Ciao, Baba” la salutò
cordiale il viandante, “E’ da anni che non ti vedo” continuò attendendo una
risposta dalla singolare vecchietta.
L’anziana sogghignò,
riconoscendo l’individuo; i suoi vecchi occhi si posarono sulla sua tazza, “Sì,
è da tanto” confermò.
*
“Ancora mamma, ancora!”
urlò la bimba dai capelli di un inconsueto colore azzurro, seduta sulle
ginocchia materne. “Fallo ancora” esultò agitandosi, affinché la donna
continuasse il gioco che stava facendo.
La madre, dopo un sonoro
sbuffo, osservò la piccolina negli occhioni dello stesso colore dei capelli. Lo
sguardo angelico della bambina sembrò intenerire la madre, che afferrò le
piccole e paffute mani della figlia, “Questa è l’ultima volta, Bra” acconsentì
infine. Bulma cominciò a dondolare la bimba con un movimento regolare ed
oscillatorio delle proprie gambe. Nel frattempo, la piccola Bra, viaggiò con la
fantasia, immaginandosi su un meraviglioso cavallo bianco, galoppando sui prati
verdi in compagnia di un magnifico principe. Infondo lei era una principessa.
“Più veloce, più veloce”
ordinò all’immaginario cavallo che nitrì contrariato.
Bulma, che nella realtà si
era limitata a sbuffare esausta, decise d’interrompere definitivamente il gioco.
Non aveva più trent’anni, quando questi giochi li faceva con il figlio maggiore,
e l’energia di una bambina tutto pepe di soli cinque anni la spossava
facilmente.
“Adesso basta, Bra. Sono
stanca, inizio a non sentire più le gambe” si lamentò afferrando la figlia per i
fianchi, costringendola a scendere. Quando i suoi piedini toccarono il suolo,
l’angioletto di casa, assunse un’espressione abbattuta appoggiandosi un dito
sulle labbra. Lo sguardo supplichevole che rivolse alla madre divenne in pochi
istanti l’ennesima richiesta di gioco.
Bulma le rivolse
un’occhiata di sbieco osservando la bimba e il suo sguardo ammaliatore.
Sfortunatamente per la bambina, sua madre non era tipo da cadere in simili
tranelli.
La fase del “faccio la
parte del piccolo agnellino indifeso, ma in realtà sono una iena” l’aveva
passato anche lei, quando a suo tempo implorava i genitori con lo stesso metodo.
Viso d’angelo, contornato da piccole ciocche di capelli azzurri e occhi color
del mare, erano l’arma vincente per ottenere sempre quello che si voleva.
Tuttavia, chi lo stesso
metodo l’aveva usato e collaudato a sua volta diversi anni prima non cadeva
facilmente nella trappola. “Non insistere tesoro. Sarà per un’altra volta” fu
l’inflessibile risposta che la madre diede alla richiesta silenziosa della
figlia.
Fu il citofono che impedì
l’ennesima replica della piccola; appena aprì bocca, infatti, venne interrotta
dal suono sordo del campanello.
Bulma si alzò dal divano,
appoggiò una mano sul capo della figlia e si allontanò, lasciando la piccola Bra
in preda alle sue lamentele.
Prossima alle lacrime
osservò la figura della madre allontanarsi, lasciandola quindi da sola in balia
dei suoi isterismi. Inservibili, peraltro, data l’assenza della persona con la
quale si sarebbe dovuta lamentare.
Quando si convinse di non
avere più alcuna possibilità di gioco, le sue orecchie captarono il suono della
televisione, acceso a pochi passi da lei. Si voltò con lentezza, scrutando
l’enorme schermo al plasma che imperava sull’intero salotto. I suoi occhi color
del cielo si scostarono sulla figura accomodata sul divano, accanto alla tv. Lo
sguardo decisamente annoiato e il telecomando saldamente tra le dita, mentre con
gesta quasi automatiche si accingeva a cambiare canale a intervalli all'incirca
regolari. Tempo di conoscere la natura dell’immondizia televisiva prima di
passare ad un nuovo programma.
Bra saltellò allegramente,
avendo appena trovato una nuova preda da addestrare per i suoi giochi. Le sue
scarpette picchiettarono il parquet, mentre la piccola si avvicinò con aria
innocente verso l’inconsapevole famigliare che stava per andare in pasto
all’agnellino meno incolpevole di tutto il pianeta Terra.
Si fermò a pochi passi dal
sofà, giunse le manine dietro la schiena ed osservò l’uomo che, a sua volta, le
rivolse l’attenzione focalizzandosi sul suo atteggiamento. Che il piccolo
diavolo avesse in mente qualcosa gli giunse fin troppo chiaro alla prima
occhiata, pertanto un secco “No” giunse ancor prima che la piccola potesse porre
la sua richiesta.
“Ma, papà!” si lagnò il
cucciolo osservando il leone immobile nella sua indolenza. Vegeta rivolse la sua
attenzione allo schermo televisivo, totalmente disinteressato alle suppliche che
la figlia gli avrebbe ben presto rivolto. Si limitò a cambiare canale con la
stessa noncuranza di un predatore sazio ed appagato che guarda una preda già
martoriata, “Certi giochetti puoi farli con tua madre, non con me” si premurò di
ricordarle.
La iena osservò per alcuni
istanti la sua preda, e benché il re della giungla le incutesse un po’ di timore
non poté fare a meno di attuare il suo piano. Così come una belva ride di fronte
al suo avversario, Bra recitò la parte dell’agnellino di fronte ad un felino che
non riusciva comunque a sottrarsi da un lauto pasto.
La manina si posò
supplichevole sulle sue piccole labbra, mentre i suoi occhi fissarono il
genitore con l’espressione di chi sta per versare un fiume di lacrime da un
momento all’altro. Il guaio di Vegeta era, fondamentalmente, il non essere
abituato ad affrontare certi sguardi.
Al contrario della
compagna, uno sguardo supplichevole non era mai stato il suo forte. Lui che di
espressioni ne aveva lanciate solo cariche d’odio, cadde come preda
dell’incantesimo ammaliatore della figlia, che come sempre conosceva il punto
debole del grande predatore.
“Vegeta, c’è una visita per
te” proclamò Bulma salvando il consorte da una personale disfatta.
Vegeta alzò lo sguardo
sulla donna, ringraziandola mentalmente per averlo sottratto da un crudele
destino. Non si pose domande, riguardo al misterioso visitatore, ringraziò solo
di essere riuscito a non soccombere sotto gli attacchi di un animale meno fiero
ed imperiale, ma ugualmente molto pericoloso.
*
Vegeta si guardò attorno
osservando l’ambiente circostante nel quale non aveva mai messo piede. I suoi
occhi si scostarono da una parte all’altra, scrutando il singolare luogo.
La persona che lo
precedeva, sospesa sulla sua sfera di cristallo, gli fece strada portandolo ad
oltrepassare uno strano campo di battaglia costruito su una specie di lago. Baba
continuò il suo percorso, mentre il Saiyan fu investito da una sequela di strane
sensazioni appena sfiorò quel piccolo ring.
Estremamente misero e
dall’aspetto logoro e vecchio, come se mille battaglie si fossero svolte proprio
su quella piattaforma dalla forma sferica. In realtà, Vegeta ne aveva visti di
campi di battaglia e mai aveva esitato, ma questo sembrò trasmettergli uno
strano senso di nostalgia che non riusciva a spiegarsi. Si costrinse dunque a
fermarsi al centro di esso osservando le mattonelle, colto da qualche strano
pensiero che nemmeno lui era in grado di percepire.
“Anche Goku ha combattuto
su quel ring” spiegò la vecchia Baba all’indirizzo del suo ospite che sembrava
rapito da quelle comunissime piastrelle. Vegeta alzò gli occhi verso l’anziana,
in attesa di altri dettagli che, visto il suo sguardo, la vecchia non tardò a
rivelare, “Doveva avere sì e no tredici anni, quando si è battuto contro i miei
cinque guerrieri” aggiunse ridendo sotto i baffi al ricordo di quel buffo
ragazzino con la coda.
Il Principe dei Saiyan
tornò, per un attimo, a volgere la sua attenzione alle mattonelle; poi riprese
il cammino, anticipato dalla vecchia sibilla, senza aggiungere nulla.
Baba condusse l’uomo tra le
stanze della sua dimora, fino a quando, superato anche il Water Diabolico, si
trovò in un’ampia stanza. Spoglia di tutto, tranne che di un’enorme sfera,
simile a quella sulla quale l’anziana viaggiava. Essa dominava la camera immersa
nel buio delle tenebre.
Vegeta varcò la soglia
guardandosi nuovamente attorno, intersecò le braccia ed osservò l’anziana con la
coda dell’occhio, “Ehi, vecchia strega, si può sapere perché diavolo mi hai
portato fino a qui?” brontolò innervosito. Non gli piaceva non sapere le cose, e
soprattutto non amava essere tenuto all’oscuro.
La sfera sulla quale la
sibilla era seduta fluttuò fino a raggiungere la sommità dalla palla più grossa,
“Un attimo di pazienza, ora lo scoprirai” annunciò agitando le sue grinzose
mani. I movimenti concentrici che la donna stava compiendo furono accompagnati
da una specie di formula magica pronunciata dall’anziana allo scopo di
utilizzare quell’enorme palla di vetro.
“Questa sfera mi permette
di comunicare direttamente con il regno dell’aldilà” spiegò una volta compiuto
il rito e tornando a volteggiare all’altezza dell’ospite. Un’immagine comparve
sulla sfera, facendosi via via sempre più nitida e chiara.
Vegeta restò a fissare una
sagoma che, lentamente, comparve dinnanzi a lui. Un anziano uomo dai lunghi
baffi bianchi comparve riflesso sulla superficie.
L’uomo dal sorriso
cordiale, e dallo stravagante vestito arancione e giallo, s’inchinò appena vide
l’immagine del Principe. L’aureola sopra la sua testa era chiaramente indice
che, il misterioso individuo, era già passato a miglior vita.
“Il mio nome è Son Gohan…”
si presentò l’anziano, sorridendo bonariamente all’indirizzo del Saiyan che,
nell’udire quel nome, inarcò perplesso un sopracciglio, “…sono il nonno adottivo
di Son Goku” spiegò.
Lo sguardo di Vegeta
divenne ancor più impensierito. Scrutò con attenzione l’anziano domandandosi se
incolparlo di aver tramutato un guerriero Saiyan in una scimmia ammaestrata o se
ringrazialo per averlo cresciuto come un terrestre che, le scimmie, era in grado
di domarle.
*
“E così il mio nipotino
viene da un altro pianeta” bofonchiò l’anziano Son Gohan osservando la donna
seduta davanti a sé. Baba sorseggiò la sua bevanda scrutando l’altro da sotto il
suo buffo copricapo a punta, “Non dirmi che la cosa ti stupisce?” mormorò,
ricordandogli le peculiarità del piccolo selvaggio addestrato dal vecchio amico.
Gohan rise sotto i
lunghi baffi, “No di certo, Goku è sempre stato un bambino molto stravagante”
rammentò. Osservando, mentalmente il sorriso genuino di quel bimbo che aveva
lasciato in una notte di luna piena. “Molto stravagante? Più che altro direi,
piuttosto singolare” lo corresse l’anziana sibilla tornando a occuparsi del suo
tè.
“Hai ragione” confermò
in un secondo momento l’uomo, “Ammetto che Goku è assolutamente unico” concordò
ridendo.
Cadde il silenzio, nel
quale le due anziane figure s’immersero in profondi pensieri legati al soggetto
della loro conversazione. E se Son Gohan immaginò quel ragazzino vestito con una
tutta arancione e dalla coda scimmiesca, sulla strada per diventare un grande
guerriero. Baba non poté fare a meno di pensare all’uomo che con un coraggio da
leone aveva affrontato e sconfitto uno dopo l’altro tutti gli avversari che si
erano trovati sulla sua strada salvando, di fatto, più volte l’intero globo
terrestre.
“Cosa si sa di questi
Saiyan?” volle sapere il defunto, accarezzandosi la punta dei baffi con due
dita. La vecchia sembrò riflettere sulla domanda, l’effettiva risposta risultò
più difficile del previsto. “Sappiamo che erano dei guerrieri spietati. Con ogni
probabilità non ne troverai nessuno in Paradiso, se è ciò che stai pensando” si
premurò di specificare subito, precedendo la prossima domanda del suo
interlocutore.
Son Gohan sembrò
visibilmente dispiaciuto dall’ultima notizia. Pensieroso chinò il capo intento a
porsi svariati interrogativi. “Quindi non c’è nessuna possibilità di conoscere
la cultura del suo popolo. Dico bene?” s’informò l’anima tornando a volgere i
piccoli occhi verso la sibilla. Ancora una volta, Baba, sembrò immersa in
riflessioni causate da una risposta piuttosto complicata.
“A dire la verità c’è
una probabilità…” annunciò, suscitando il vivo interesse dell’uomo, “Oltre a
Goku esiste solo un altro Saiyan nato sul loro pianeta d’origine. E vive ormai
da anni sulla Terra” spiegò, forse un po’ a disagio.
Gli occhi di Gohan
s’illuminarono di speranza, attendendo di conoscere altri particolari.
*
Baba osservò lo sguardo del
Principe, nel tentativo d’individuare in lui una qualsiasi emozione; ma Vegeta,
imperturbabile come sempre, restò a fissare l’anziano al di là della sfera senza
permettere a nessuno di contemplare i suoi pensieri. Gli occhi dal Saiyan,
infatti, restarono immobili scrutando con attenzione la figura del defunto che
aveva davanti.
Agli occhi del predatore,
quel piccolo uomo, parve come una vecchia scimmia che si crogiolava nella
consapevolezza, forse errata, di essere al sicuro sulle fronde del suo albero.
Il leone esaminò con attenzione la sua inconsapevole preda, attendendo il
momento adatto per attaccare.
“Tu sei il terrestre che ha
reso Kakaroth un essere umano, dunque” proclamò il guerriero senza muovere un
solo muscolo. “Kakaroth? E così è questo il suo nome alieno?” domandò l’anziano
Gohan nella speranza di conoscere le origini del suo amato nipotino.
Vegeta ringhiò, mostrando
al defunto un pugno ben serrato, “Le domande le faccio io, vecchio!” dichiarò
inferocito, senza una reale ragione. Il felino ruggì mostrando gli artigli.
La mente di Gohan gli
ricordò, razionalmente, di essere al sicuro dietro il vetro, per non dire in un
altro mondo. Nonostante ciò, l’improvvisa reazione dell’uomo lo colse alla
sprovvista, facendolo sussultare. Baba lo aveva avvertito, che il guerriero in
questione era un tipo altamente iracondo.
“Che cosa vuoi da me?”
tornò a tranquillizzarsi il Saiyan, intersecando le braccia. Riacquistando
compostezza dopo la sua sfuriata di pochi istanti prima.
Son Gohan riuscì,
finalmente, ad osservare con attenzione l’uomo che aveva di fronte. Come per
istinto i suoi occhi andarono a ricercare qualcosa che, per anni, aveva ritenuto
solo una peculiarità del suo nipotino. Restò un po’ deluso nel constatare che,
ciò che cercava, non era presente sull’altro individuo. “Chiedo scusa…” s’impose
di chiedere, “…per quale ragione non hai la coda? È forse solo una
caratteristica di Goku?” chiese, peccando forse d’ingenuità.
Vegeta, che della sua
preziosa estremità non si era mai dimenticato, osservò il vecchietto con una
notevole ostilità. Non voleva che questo particolare gli venisse ricordato.
Il Principe dei Saiyan
senza la sua coda era come un leone senza criniera.
La particolare cicatrice
concentrica, situata appena sopra le sue natiche sembrò avvampare per diversi
istanti. Come se quelle parole avessero rievocato diverse bruciature.
“Mi è stata tagliata” si
limitò a dire il guerriero, apparentemente impassibile. L’anziano scimmiotto
sembrò valutare attentamente la risposta del predatore, mentre nella sua testa
riemersero le raccomandazioni fatte dall’anziano gufo. Non innervosire mai un
giovane leone ferito.
Son Gohan stabilì che
potesse essere più prudente non porre troppe domande su quello che sembrava un
profondo sfregio. “Il motivo per il quale ti ho chiesto di venire è perché
vorrei apprendere qualcosa su voi… Saiyan” spiegò l’attempato defunto, nel
tentativo di placare gli animi di quello che sembrava un felino pronto a
lacerare la carne della sua preda.
Vegeta, infatti, parve
tranquillizzarsi leggermente assumendo una postura più rilassata. Intersecò le
braccia ed attese, in silenzio, di conoscere gli ulteriori quesiti che la
vecchia scimmia gli avrebbe riservato. “Due domande” deliberò il re della
giungla riponendo momentaneamente gli artigli.
Gohan annuì, concorde con
il compromesso concessogli, “Prima domanda, perché avete mandato Goku sulla
Terra?” fu la prima questione posta dopo attente valutazioni mentali.
Lo sguardo del Principe
subì, per la prima volta, un cambiamento sostanziale. Dall’imperturbabilità che
lo aveva contraddistinto fino a quel momento, Vegeta, passò a un’espressione
maligna e divertita, “Per sterminare la vostra razza” ruggì, come un leone che
deve ricordare agli altri animali, e a se stesso, il proprio ruolo.
Son Gohan avrebbe preferito
porre ulteriori domande al suo singolare interlocutore, ma la consapevolezza di
non avere più molte altre possibilità gli impedì di sprecare preziosi
interrogativi. Dovette valutare bene prima di scegliere il secondo quesito. Fu
solo dopo attente riflessioni che decise a porre la domanda che, forse più di
qualunque altra, lo aveva impensierito fin da quella notte. “Perdete sempre il
controllo una volta trasformati in gigantesche scimmie?” domandò, facendo ben
attenzione a formulare la frase.
Vegeta sembrò riflettere
attentamente alla sua risposta, osservò il vetro per qualche secondo, socchiuse
gli occhi. Sorrise ai suoi stessi pensieri, “Succede solo alle scimmie
addestrate male” stabilì enigmatico.
Per la prima volta il leone
sembrò quasi un gatto dal portamento regale.
I suoi occhi tornarono a
scrutare l’anziana figura oltre il vetro. Lasciò cadere le braccia sui fianchi
e, con notevole calma, roteò su se stesso in direzione della porta.
Gohan osservò la sua figura
allontanarsi, ma prima che il Principe potesse sparire completamente non riuscì
a trattenere l’ennesima domanda. “Se odi così tanto i terrestri, perché vivi
sulla Terra?” si ritrovò a chiedere piuttosto incuriosito.
Contrariamente alle
aspettative, Vegeta ascoltò la domanda. Tuttavia non rivolse la sua attenzione
al vecchietto, si limitò a fermarsi sul posto. Restò immobile per diversi
secondi, immerso in chissà quali riflessioni. Sorrise nuovamente, senza essere
visto e riprese il suo intercedere, “Il tempo delle domande è finito” stabilì
misterioso. Mentre, nei suoi pensieri, si ricordò che il re della giungla aveva
il compito di difendere il proprio branco.
Quando l’immagine del
Principe svanì degli occhi dei due anziani, Baba fluttuò sulla sua sfera,
accostandosi al vecchio amico. “Allora, Son Gohan, come ti sembra?” s’informò la
sibilla, guardando con la coda dell’occhio l’uomo dai lunghi baffi bianchi.
Gohan rise divertito, “Mi
sento come… un domatore di scimmie” costatò enigmatico.
*
FINE
*
*
(*) Demoni delle leggende
giapponesi, in Dragon Ball sono gli assistenti di Re Enma (Re Yammer)
*
Un ringraziamento
particolare alla sibilla che mi ha proposto questa storia XD
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