Vieni
a cena da me; ti faccio conoscere i miei amici. Vedrai che ti piacerà. Un po’
di nuove conoscenze le devi fare, e tanto vale se inizi con quelle che ti
presento io, no?
Questo le aveva detto Elena quando, quel mattino, le aveva telefonato invitandola
a cena nel suo nuovo appartamento. Sofia Carboni era
stata tentata di dire di no, e per molti motivi. Il primo, che non vedeva
l’adesso Ispettore Elena Argenti da quasi una vita, da quando,
cioè, Elena aveva finito il corso di specializzazione a Quantico – corso che
pure lei aveva seguito, e non solo perché si sentiva attratta dalla materia –
secondo, perché a Roma, non sapeva ancora bene perché, si sentiva ancora un po’
a disagio – forse che l’aver passato tutti quegli anni tra Quantico e nEw York
iniziasse a pesare? – terzo, detestava quando qualcuno
si metteva a giocare a Cupido con lei, e l’impressione che il tono di voce di
Elena le aveva dato – e magari pure tutti quei
discorsi che le aveva fatto, che doveva piantarla di piangere, guardare
avanti, ecc ecc, le avevano fatto sorgere il sospetto
– era che Elena volesse effettivamente giocare a Cupido con lei…. Mah, chissà, magari mi diverto davvero… sì,
do retta ad Elena per stavolta!
“Non è che abbia tutta ‘sta voglia di divertirmi, Elena, mi fermo
giusto un attimo e poi vado…” Elena stava ancora apparecchiando la tavola quando Alessandro Berti, più semplicemente “Ale”,
suonò al campanello, e quella fu la sua prima frase. L’ispettore aveva l’aria
cupa che aveva assunto da quando, anni prima, aveva
stretto tra le braccia il cadavere di Irene, al donna che amava, e parte della
sua vita si era spenta con quella di lei. Ma, ad appena 35 anni, Alessandro
stava sprecando la sua vita, e Elena lo sapeva bene,
come lo sapeva tutto il X Tuscolano; da quando Irene era morta, due anni prima,
Ale aveva smesso di essere la persona gioiosa che era sempre stata, aveva perso
il sorriso, la voglia di vivere. Vederlo uscire era una rarità, e questo faceva
già di per sé felice Elena, che, essendo stata la migliore amica di Irene, aveva preso un po’ la responsabilità di far andare
avanti l’uomo, ma il vero problema non era quello. Due anni, e lui non aveva
più avuto una storia. Donne,quelle sì, ne aveva avuta
qualcuno, anzi, forse pure qualcuna in più, Elena sapeva che lui era stato
famoso, in passato, come uno “sciupafemmine”, ma
storie, quelle no, non ne aveva più avute, usciva un paio di volte con una
ragazza, ci passava la notte, e basta. Nessuna poteva essere alla pari di Irene. O forse pensava che,
dovunque l’ex compagna fosse, lo avrebbe criticato per le scelte? Elena,
nonostante fosse esperta di psicologia, non lo aveva ancora capito. Ma sapeva che era ora che Alessandro la piantasse di
piangere, e riprendesse la sua vita nelle mani, perciò, volente o nolente, quella
sera sarebbe rimasto con loro, e si sarebbe divertito.
“No, senti, non se ne parla
nemmeno. Tu adesso entri, mi dai la giacca, e ti vai a sedere al tuo posto
senza fare grane. Non fare casini pure tu, Ale, che sono già abbastanza incazzata per colpa di quell’idiota
di mio fratello, perciò, almeno tu, stattene qui buono e fai come ti dico, io.
Fammi contenta almeno tu, d’accordo?”. Alessandro le porse la giacca, sbuffando
e alzando gli occhi al cielo; quando Elena iniziava a parlare di suo fratello,
si poteva fare ben poco, e bisognava per forza compiacerla.
“Ma, senti, a ‘sta cena ci sono
solo io o c’è pure qualcun altro, giusto per sapere che cosa devo affrontare,
sai.” Stava facendo del leggero sarcasmo. Ok, meglio che niente, pensò la ragazza.
“No, solo che tu sei l’unico
ritardatario cronico” dall’altra stanza sentì la ben familiare voce del
commissario Benvenuto; entrato in sala, Ale vide che non solo lui, ma anche
Anna era già arrivata.
“Di tutto il distretto, noi 4
ci stiamo. E a sentire Elena, doveva esserci tanta di quella gente….” Anna fece un gesto
con la mano, per enfatizzare la frase, ridendo e scherzando.
“Come se fosse colpa mia se
tutti mi danno buca. Ugo deve stare a casa perché il
bambino sta mettendo i denti e ha le coliche, Ingargiaola
e Vittoria sono in crociera,Parmesan e sua moglie
avevano già preso un impegno. E comunque – sottolineò
guardando l’orologio – sappiate che non ci siete solo voi.”
“E
quanti altri mancano?” le chiese Luca, non potendo contenere la risata che si
stava scatenando in lui, euforico.
Elena stava per dirgli
qualcosa, quando, finalmente, il campanello suonò: L’ultimo ospite era
arrivato, e Luca adesso poteva pure piantarla di prenderla per i fondelli come
aveva fatto fino a quel momento; e così, mentre Ale prendeva posto a Tavola,
nuovamente Elena sparì, nascosta alla loro vista ma abbastanza facilmente
udibile. La situazione era, tuttavia, non delle più facili: trovare un
argomento di cui parlare con Ale, che non fosse lavoro, era diventato praticamente impossibile, e così i tre rimasero in un assai
non confortevole silenzio finché non
udirono rumori di passi che si avvicinavano alla stanza e il fresco suono di
calorose risate e di un acuto chiacchiericcio: una delle due voci era quella di
Elena, ma l’altra, l’altra nessuno dei tre la conosceva.
“Ragazzi, lei è la mia amica
Sofia, eravamo insieme a Quantico, lei studiava da profiler e mediatore. Non intavolate conversazione con lei,
perché tanto è inutile, è una secchiona pallosa da
morire e morireste di noia nel giro di un minuto.” Nella voce di Elena c’era divertimento e scherno, e questo Sofia lo
sapeva bene, per questo, quando l’ex compagna si allontanò per posare il suo
cappotto di velluto vede scuro, indicandolo con un veloce gesto della mano
quale fosse il suo posto, la ragazza dai capelli castani e dagli occhi nocciola
non se la prese per nulla. Anzi, ridere le avrebbe fatto bene, ne era certa.
“Ma la
sentite? Ma se lo sappiamo tutti che più secchiona
di te non c’è nessuno!”
“Perché non conoscevate ancora
lei – disse Ele ritornando in sala, con, tra le mani,
una terrina di coccio con delle bruschette – sì, allora, dalla vostra destra
Sofia Carboni ex FBI, l’ispettore Alessandro Berti, il commissario Luca
Benvenuto,l’ispettore Anna Gori.Adesso
che vi siete presentati, potete anche iniziare a magiare o fare conversazione.”
Ti
divertirai certo, come no, si
stava divertendo davvero. Quand’era stata l’ultima
volta che si era sentita così a disagio? Sofia manco se lo ricordava…
“Cioè, fammi capire, sei americana al
25%, e al 75% italiana, perché tuo padre era mezzo italiano, e tua madre,
invece, era romana?”
“Già.”
“ E
difatti mi sembrava che avessi poco o nulla l’accento inglese. E come mai hai
lasciato l’FBI?” era quasi l’una di notte, e Anna,
Elena e Sofia erano sul balcone dell’appartamento al secondo piano,
chiacchierando, quando, proprio Anna, pose la questione. Ad Elena raggelò il
sangue per un attimo, sapeva che l’argomento FBI era piuttosto delicato per
l’amica, perciò, quando Sofia, sorseggiando un bicchiere di vino roso, rispose
con totale nonchalance, rimase piuttosto colpita.
“Avevo voglia di cambiare. O forse dovevo cambiare, manco io ne sono certa. Però era stufa del mio lavoro, e allora sono tornata qua. Ho
ancora qualche parente a Roma, perciò non è che sia
poi così difficile andare avanti. Saranno 4 gatti, ma è
pur sempre gente che conosco…”
“E hai
già trovato lavoro?”
“Guarda Anna, se non trova
lavoro lei, non so chi lo trova.”
“Se,
ma intanto sono finita a fare il consulente per la procura. Tanto valeva che me
ne stessi a New York all’FBI.”
“Si, ma intanto, primo, adesso
magari finiamo a lavorare insieme su qualche caso, anzi, ne sono certa, e poi
non ti saresti potuta allontanare da…” Sofia la congelò con lo sguardo, anche
se tuttavia fu inutile, perché quella frase, Elena, non poté in ogni caso
finirla, fermata da Alessandro, che fece capolino dalla porta di vetro che
dalla sala dava sul balcone.
“ Ragazze, io devo andare. ci vediamo domani mattina in ufficio, e grazie per la
serata, Ele.” Come
no, pensò Ele, ha passato la serata in un angolo in silenzio e mogio come un cane
bastonato, e mi dice grazie. Ma adesso lo sistemo io.
“Senti Ale,
ti spiace dare un passaggio a Sofia? Casa sua sta di strada, e non mi va
che se ne vada in giro per Roma in piena notte da
sola.”
“Cosa?
No, davvero, non è il caso. Insomma, posso chiamarlo un taxi, e poi scusa, non
è che non me la sappia cavare da sola…” Sofia stava ancora litigando con Ele, ma l’amica le aveva già messo in mano il cappotto, e
stava spingendo i due giovani fuori dalla porta, porta
che i due, o almeno Sofia, si ritrovarono a fissare a bocca aperta, mentre Ale
sembrava più propenso a ridere. Era da tanto che non lo faceva, ma vedere la
reazione dell’amica di Ele
lo stava facendo davvero impazzire… ma durò poco, e anche Sofia se ne accorse:
il pensiero di Ilaria lo colpì, come una stretta al cuore, e il sorriso e la
risata sparirono nel nulla.
“sì, allora, l’indirizzo
preciso… dov’è che stai?” e Ale non disse nulla per il resto della sera.
**********
“Io ho finito; ci vediamo
domani. – uscendo dall’ufficio al commissariato, Elena fece per andare verso
l’uscita, ma si fermò un attimo, sapendo fin troppo bene che aveva promesso
all’amica, lì per lavoro, che l’avrebbe aspettata, e difatti, dall’ufficio denuncie,
Sofia apparve, accompagnata da Valeria, poco dopo – Sofia, ti vuoi muovere o no? È già tardi…”
“Elena, quel rapporto lo hai
già finito?” Ele si volse in direzione della voce – e
dei passi- che aveva udito: dall’ufficio del commissario, erano usciti Luca e
Alessandro, carichi di cartellette gialle: qualcuno si sarebbe fermato fino a tardi quella sera a lavorare…
“Già fatto. Guarda, dovrebbe
essere sulla tua scrivania…credo che sia tra quelli
che ti ha portato Ugo stasera.”
“Vorrà dire che dopo controllo
pure quello, dovevo solo verificare un punto… non
importa, lo farò dopo. Tu che fai, già finito? Vai a casa?”
“No, stasera sono a cena da…”
“Sofia, tutto bene?” Elena non
aveva potuto finire la frase, al suo posto, a farlo, era stato Ale, che aveva
visto la poco più che trentenne avvicinarsi all’amica,
amica che non tardò a notare un paio di cose: la prima era che Ale stava
sorridendo…
“Sì…ecco… infatti…è…è a cena da
me, giusto. Sì, comunque, sto, sto bene, grazie.” La
seconda era che Sofia stava quasi balbettando, e aveva problemi ad articolare
le frasi, e questo, pensò mentre sul suo viso appariva
un sorriso di sfida e compiacimento, poteva significare una cosa sola…
“Bene, mi fa piacere, allora ci
vediamo, a presto ragazze.”
Erano passate due settimane
circa dalla cena, e quel giorno, la procura aveva mandato Sofia al X Tuscolano per un caso; Elena aveva fatto una “perizia”
su un tipo che avevano arrestato, e il magistrato le aveva chiesto di
confermarla, tanto per scrupolo. Adesso, finiti di firmare tutta una serie di
documenti e i rapporti, le due ragazze stavano uscendo dal portone dello
stabile, a braccetto, come due vecchie amiche di cui una deve
tirare su di morale l’altra, e stavano facendo progetti per la serata, quando
ad un certo punto Elena fece un’espressione maliziosa e la guardò dritta negli
occhi.
“Allora… l’altra sera, con Ale,
com’è andata?”
Sofia cascava dalle nuvole. O forse fingeva di cascare dalle nuvole, chissà. “No, scusa,
perché, secondo te cosa ci sarebbe da raccontare, esattamente?”
“Non so, i particolari
piccanti? - Elena stava di nuovo scherzando, e Sofia lo sapeva, ma la cosa la
seccava, e tanto, e non sapeva esattamente perché – eddai
Sofia, guarda che ho visto gli sguardi languidi che gli
lanciavi a cena. E soprattutto, ho visto che eri in
imbarazzo, prima, quando vi siete incontrati in corridoio e lui ti ha salutato,
eri rossa come un peperone e senza parole, beh, quasi senza parole. Tu sei
sempre in imbarazzo quando ti piace un ragazzo, come
se non ti conoscessi abbastanza. E poi… non so, Ale
sembra diverso. Allora, me lo dici o no cosa è successo tra te e il bel
tenebroso?”
“Cosa vuoi
che ti dica che è successo, che è salito su da me e mi ha strappato i vestiti
di dosso? Ele, mi ha accompagnata
a casa, gli ho chiesto se voleva un caffè, o bere qualcosa per sdebitarmi della
gentilezza, ci siamo salutati, l’ho ringraziato e non ci siamo più visti fino
ad oggi. Fine della storia. E tanto per la cronaca, ammesso e non concesso che
io lo possa trovare attraente, e non ho detto che lo trovo attraente, è solo
un’ipotesi, lui non sembrerebbe ricambiare il sentimento, perciò sarebbe comunque un capitolo chiuso, ergo tu non potresti né
dovresti giocare a fare cupido.”
…”Vabbè, ho capito, me ne starò qui buona buona a guardare due single che passano il loro
tempo a lamentarsi del fatto che sono single e non farò nulla…” Già, peccato che siate troppo carini
insieme, e che vi serva decisamente una spintarella nella giusta direzione…
ma state tranquilli, che a tempo debito
intervengo io.
“Guarda che non mi sono mia
lamentata che sono single, anzi.”
Vabbè, nemmeno Ale se è per questo, ma mica potete passare il resto delle vostre vite a piangere sul
passato, no? Prima o poi vi dovrete dare una
svegliata… o un giorno vi accorgerete che lo avete fatto troppo tardi.”Va
bene, te l’ho detto, starò buona…però domani andiamo
al cinese? Dai, come quando avevamo il fine settimana libero, e da quantico
prendevamo l’aereo Per New York e ci passavamo il weekend, e andavamo sempre in
quel ristorante cinese… c’è ne uno qui, a due passi
dal commissariato… visto? Proprio qui, dietro l’angolo…”
“sai, a volte sembra passata
una vita, a volte sembra ieri che studiavamo
all’accademia insieme…”
“Adesso quant’è
che abbiamo fatto quel corso? Sette anni quasi? sono
capitate tante di quelle cose, in sette anni…l’avresti mai detto?”
“ci sono parecchie cose che non
avrei mai detto, credimi…” e così dicendo, le due
amiche scoppiarono a ridere.
*******
La sera successiva, Sofia era
al ristorante, ed aspettava Elena. Si erano date appuntamento lì, e la
poliziotta era in ritardo, in clamoroso ritardo. Tipico di Elena, ma
soprattutto tipico di un poliziotto. Sofia aveva fatto un lavoro simile lei
stessa, per parecchio, perciò, nonostante tutto, riusciva a mantenere un briciolo
di pazienza; pazienza che si sbriciolò quando la vide.
Elena stava entrando nel ristorante, ma non era sola: la seguivano due uomini.
Uno non lo conosceva, ma l’altro sapeva benissimo chi era. Quale parte di “non sono interessata al tuo collega e lui non lo è a
me” non avrà capito, esattamente? Cos’è, ho perso la
capacità di parlare italiano?
“Scusa il ritardo, dovevo
finire un rapporto, e poi è arrivato un amico mio e di Ale,
e abbiamo pensato di usc… - si corresse
immediatamente – di cenare tutti insieme, spero non ti spiaccia.”
“Ciao” sbiascicò Alessandro guardandola poco o per nulla, posando la
giacca sulla sedia accanto a quella di lei.
“Ispettore Raffaele Marchetti, piacere, lavoravo con
Alessandro e Elena. Tu sei l’americana, vero?” l’uomo, sui 45, le strinse la
mano, sedendosi davanti a lei, tra Elena e Ale, che stava
già leggendo il menù, senza pensare ad altro.
“Sofia Carboni, piacere. Ma sai che Elena mi ha raccontato un sacco di storie su di
te? Dice che sei il prozac fatto persona!”
“Addirittura un antidepressivo,
adesso! No, scherzi a parte, mi piace tener su la gente… ma
sai che hai proprio un bell’accento? Non sembri
americana! Stai qui da tanto?”
“Sta qui da un mesetto, Raffaè, ed i suoi erano italiani,
quindi ha l’accento italiano. Ora, vogliamo ordinare o abbiamo intenzione di
starcene qua fino a domani?”
Ale
è rimasto seccato dal fatto che Raffaele stesse flirtando
con lei… beh, è un buon segno. Magari l’attrazione è reciproca…
“Grazie per avermi fatto
risparmiare fiato, ma saprei parlare anch’io, quindi, se una persona mi fa una
domanda, gradirei rispondere personalmente…”
Oh
oh, non è esattamente come
immaginavo che le cose sarebbero andate….
“Allora, tesoro, la prossima
volta, datti una mossa, che non abbiamo tutti tempo da
perdere, vuoi?”
“Scusa, come mi hai chiamato?”
Ahi.
Ancora peggio.mi sa che forse avevo
torto su ‘sti due…e pensare che ieri sembrava
una tale buona idea, ed ero pure riuscita a convincere Raffaele a darmi una
mano, all’ultimo minuto… “Oh, guardate, un cameriere. Allora,
ordiniamo?”
***************
“Ma si può sapere che cazzo credevi di fare? Sai che per
merito tuo e delle tue idiozie adesso il bastardo è
fuori, libero di fare quello che vuole, libero di fare ancora male? Allora, te
ne rendi conto oppure no? Giusto per sapere quanto sei cretina!” gli ultimi
mesi erano stai parecchio duri, per Elena, se non dal punto di vista
lavorativo, almeno da quello delle amicizie. Dalla sera della cena al cinese,
le cose non erano andate esattamente bene… e con “cose non andate bene”, Ele intendeva le cose tra Ale e Sofia. Si era convinta che
tra loro potesse esserci alchimia, che potesse nascere
qualcosa, non importava cosa, ma bastava che fosse qualcosa, anche solo sesso,
ma, evidentemente, si era sbagliata. Quasi tre mesi, ed il 90% delle volte in
cui si incontravano, fosse al distretto o fosse fuori,
litigavano, o rimanevano in silenzio, o erano acidi. Certo, c’era ancora quel
10% di volte in cui si comportavano da persone mature e civili,e sembrava quasi che flirtassero, quelle volte, ma poteva
bastare? Certo, bisogna dire che secondo
alcune correnti di pensiero, questo potrebbe essere anche solo il modo in cui
ognuno di loro tenta di attirare l’attenzione dell’altro, ma non è detto…
come adesso. Adesso stavano litigando come due pazzi furiosi, perché Sofia
aveva stillato un profilo criminale che non coincideva con quello
dell’arrestato, e così, l’avvocato del presunto colpevole aveva avuto un’arma
in più a suo vantaggio per convincere le autorità a rilasciare il suo cliente. Perfino Luca non sapeva più che pesci
pigliare, con loro due che si insultavano a vicenda
urlando come se ci fossero venti forza sette; l’unico risultato che aveva
ottenuto era che si era messo ad urlare pure lui, sotto gli occhi increduli del
resto degli uomini del X Tuscolano.
“E
adesso sarebbe colpa mia? Voi siete venuti da me a chiedermi una conferma, non
è colpa mia se il profilo non coincide!”
“Magari se la qui presente miss
perfezione si fosse preso il disturbo di fare un po’ meglio il suo lavoro…”
Stava oltrepassando il limite,
e questo a Sofia non piaceva; si avvicinò all’uomo, puntandogli un dito in
direzione del viso, furiosa come mai prima di allora.
“Vuoi dirmi che sono una stronza, e che faccio delle cazzate?
Va bene, dimmelo pure, non me ne frega un accidenti! Ma non ti permettere di
dirmi che non si fare il mio lavoro, o che non mi impegno
abbastanza! Se
sei un frustrato represso che è arrabbiato con il mondo perché la vita è stata
ingiusta, io non ne posso niente, perciò fammi il favore di andare a cercare
qualcun altro con cui prendertela!”
“Non permetterti tu mai più –
fece une breve pausa, mimando le azioni che aveva
fatto prima la donna – non ti permettere mai più di sparare giudizi su di me, o
di comportatati come se mi conoscessi o mi capissi. Tu non ne sai niente,
capito? Cosa ne sa il perfetto ex agente FBI, il negoziatore e “profiler”, cosa ne sa lei di cosa significa perdere chi si
ama, stringere tra le braccia il cadavere della persona al cui fianco si vuole passare la vita? Allora, me lo dici che ne
sai? Tu non ne sai niente, ecco che ne sai!”
Ci fu attimo di
interminabile silenzio, poi Alessandro le vide. Vide le lacrime che
rigavano il suo viso, i solchi del mascara che si stava sciogliendo, i denti
stretti, stretti come i pugni. Le bastò guardarla per
capire che stava trattenendo a forza i singhiozzi: aveva passato il limite.
Stava per scusarsi, o per dire semplicemente qualcos’altro, quando lo sentì:
non sapeva bene cosa fosse giunto prima, se il suono o il bruciore, nel punto
in cui lei gli aveva dato uno schiaffo, subito prima di voltarsi e afferrare la
giacca di pelle di renna e la borsa, per fondarsi, senza altro
aggiungere, senza più voltarsi, verso l’uscita.
“Gesù,
Ale, ma tenere la bocca chiusa, tu proprio non puoi farlo, vero? Più che
sparare cazzate, tu non fai…”
“Sì, va bene Elena, lo ammetto,
avrò pure esagerato, ma lei pure, cosa sta a dire come
se…”
“è venuta qua
quando è morto il marito”
“No, scusa, cos’è che hai
detto?”
“T’ho
detto che, anche se tu l’accusi di non capire un accidenti di niente, lei ti
capisce, eccome, perché mio intelligentone, come ho
già detto, lei è vedova – scandì maggiormente le ultime tre parole, di fronte
ad Ale – un po’ meno di due anni fa, il marito, un federale, è morto in un
conflitto a fuoco. Lei è andata avanti per un po’, poi però
non ce la faceva più, e così ha deciso di cambiare aria. Ma lo sai quanto tempo
ci avevamo messa per farla sorridere di nuovo? Adesso,
merito tuo, sta di nuovo male.”
“Senti Ele,
mi spiace, ma mi spieghi come potevo sapere che….”
“Vedi? È questo il problema! –
tuonò, bloccandolo – tu credi di essere l’unico a
stare male, ti comporti come se il resto del mondo dovesse sentirsi in colpa
verso di te perché credi che tutti gli altri stiano bene! Ma
porca miseria ale, quand’è che crescerai? Che la smetterai di
essere stronzo con tutti, come se le tue
disgrazie fossero causa nostra?”
Nemmeno Ale sapeva chi dei due
stava andando oltre, sapeva solo che voleva ribattere, e quando uscì dal
commissariato, non lo aveva fatto.
“Sofia, lo so che sei qui, aprimi.” Molte ore, e anche almeno un
paio di bionde medie dopo, Ale stava citofonando a Sofia, nel suo appartamento.
Aveva esagerato, lo sapeva, e voleva scusarsi, non tanto di quello che aveva
detto, perché in nessun modo lui poteva sapere del suo passato, ma per come lo
aveva detto: stava arrivando l’anniversario della morte d’Irene, e questo lo
rendeva più che mai furioso verso il mondo intero, e lui se
l’era presa con la prima venuta. Comodo, considerato
soprattutto che lei era anche l’ultima venuta. Si era già voltato, e se
ne stava andando, quando udì il rumore elettrico di
una serratura che stava scattando; si voltò, e non si lasciò ripetere l’invito
due volte: in men che non si dica, era davanti alla
porta già aperta del di lei appartamento; entrò, chiudendo il pesante battente
alle proprie spalle, e vide che Sofia era sul divano, rammigolata,
piangente, con una vecchia maglietta delle maniche corte dell’FBI, di almeno 5 o 6 taglie in più e paio di
pantaloncino sgualciti. La raggiunse, e si sedette vicino a lei, cingendole le
spalle con le braccia, lasciando che lei si gettasse sul suo petto, che le di
lei lacrime finissero sulla sua camicia azzurra, che i di lei pugni chiusi picchiassero delicatamente contro le sue spalle. E permise che le sue stesse labbra si posassero sulla fronte
della donna, mentre i suoi sensi si perdevano, inebriati dal profumo di fiori
che sentiva annusandole i capelli. E mentre posava il mento sulla fronte di lei, che stava nascondendo il volto ancora solcato
dalle lacrime sotto il collo dell’uomo, mentre le sussurrava dolci parole,
cercando di tranquillizzarla, mentre le
sue labbra abbandonavano la fronte, per dedicarsi, sempre più insistenti, al
suo collo prima e alle sue labbra poi, mentre le sue mani lasciavano le spalle
della giovane per esplorare – anzi, assaporare attraverso il tatto, sì, sapeva
che era questo che stava facendo, la stava assaporando – la morbida pelle nuda
sotto la maglietta, sempre più bramose, desiderose di qualcosa di più che un
semplice pezzo di pelle, sapeva che forse
stava per commetter un errore, lo sapevano tutti e due, ma non gli
importava più di tanto.
******
Ad un certo punto della notte,
erano migrati dal salotto alla camera da letto dell’appartamento di Sofia, dove
al momento, quasi le 4 di mattina, si trovavano ancora. Sdraiata sul fianco
destro, ancora senza vestiti, Sofia guardava Alessandro, e tentava di capire
cosa esattamente avesse portato agli avvenimenti della
nottata precedente- e delle prime ore del nuovo giorno che aveva seguito, per
quel che poteva contare. Perché aveva passato la notte
con lei, esattamente? Senso di colpa, solitudine? O era effettivamente attratto
da lei, e Elena, quando le diceva che quello era il
suo modo di attirare l’attenzione, aveva ragione? Che lui fosse attratto da lei
come lei lo era da lui? No, non poteva essere così.
Aveva visto le donne a cui normalmente Alessandro si accompagnava – loro erano
la Venere di Botticelli, e lei la brutta copia della
più brutta imitazione del più brutto quadro
immaginabile. Non c’era paragone, non c’era speranza
di vittoria per lei. Ma lei, la vittoria, la voleva, o
la notte passata con lui l’aveva soddisfatta pienamente, togliendole ogni
capriccio? No, ammise dentro di sé, sorridendo timidamente
mentre lo guardava dormire nudo, coperto dallo stesso lenzuolo che la
copriva, alla sua destra, un braccio disteso lungo un fianco e l’altro piegato dietro
alla testa, lui non era un capriccio. Non lo era stato, fin dal principio. E allora perché si sentiva come se fosse tutto sbagliato,
mentre lo osservava dormire, sorridente? All’improvviso, anche lui si mise su
un fianco, ma ancora addormentato, ed il sorriso sparì, mentre iniziò a parlare
nel sonno. Sofia non capì nulla, se non la prima parola, quella che le aveva
fatto cadere il mondo addosso: “Irene….”
Stringendo i denti come aveva
fatto la sera prima, si coricò nuovamente, ma stavolta dandogli la schiena,
impedendo all’uomo di vedere che era ancora sveglia. Non sapeva cosa stesse accadendo nella mente di Alessandro, e
francamente, non le importava più, sapeva solo una cosa: che lui aveva fatto
sesso con lei, che il suo corpo era con lei, ma non il suo spirito. Come poteva
sperare di competere con il suo defunto grande amore, con qualcuno che lui aveva
idealizzato a tal punto? Non poteva, ecco la risposta. Aveva perso la partita
in partenza, senza averla nemmeno giocata. Anzi, proprio non avrebbe dovuto
giocarla. Lui non era stato un capriccio, ma lei? Cos’era stata lei per lui?
Poco dopo, si svegliò anche lui. Coricato su di un fianco, i
suoi occhi erano diretti verso la schiena nuda di Sofia. La osservò, in
silenzio, per interminabili minuti, minuti che parevano ore, poi decise. Si
alzò, in cerca dei suoi abiti, e se ne andò, senza
aver detto o aggiunto altro, senza sapere che qualcosa lo aveva effettivamente
fatto.
******
“Sofia come sta? È da un po’
che non la sento” Era in auto con Ele,
a controllare un casolare abbandonato. Erano passati due mesi da quella notte,
e lui non riusciva a togliersela di mente, anche perché Sofia era divenuta
sfuggente; lui aveva tentato di parlarle, di spiegarle perché si fosse
comportato così, ma era stato tutto inutile: lei non voleva fargli spiegare. Le
prime settimane, tutto sommato, era stato tutto
abbastanza normale. Si erano ancora incontrati, sia per lavoro che tramite
Elena,anche se ora la compagnia era sempre più
numerosa, ma lei lo aveva sempre evitato, come pure aveva evitato di guardarlo.
Che si vergognasse di aver passato un a notte con lui,
di essersi concessa così facilmente, senza troppi preamboli? O si vergognava di
essersi concessa ad un uomo che non aveva avuto nemmeno il coraggio di
affrontarla al mattino seguente, sgattaiolando fuori
casa alle 4 di notte? E adesso faceva che non farsi vedere, e basta…
“Mi ha detto che doveva tornare
a New York per una certa faccenda, non è stata molto chiara, mi ha telefonato
dall’aeroporto, m’ha detto che era una cosa urgente,
piuttosto seria. Manco sa se e quando torna… doveva essere piuttosto grave
perché sembrava così strana al telefono… la cosa strana
è che mi ha detto che mi avrebbe telefonato, ma non si è fatta più sentire…”
Se
e quando? Cosa significa se e quando? Esattamente,
quanto era stato stupido?
*******
I close both eyes
below the windows, I close both blinds and turn away.
Sometimes goodbye’s the only reason, sometimes goodbye’s the only way…. And the
sun will set for you, the sun will set for you. And
the shadow of the day will embrace the world in grey, and the sun will set for
you…
“e
così alla nostra Ele piacciono i Linkin
Park. Ma sai che non lo avrei mai detto? Ero convinto
che ti piacesse Beethoven e che avessi, non so, la nona sinfonia come suoneria, non una canzone dei Linkin Park… ” Elena
e Ale erano di pattuglia insieme, cosa accadeva il 90% delle volte, e stavano
tornando al commissariato, dopo aver accompagnato a casa una donna che era
stata rapita e ritrovata. Elena era piuttosto stanca e scocciata, suo
fratello, anche se ancora in carcere, ultimamente le aveva dato altri problemi,
e le sfrecciatine di Alessandro non erano esattamente quello di cui aveva
bisogno…
“Tu pensa a guidare, intanto, e
non distrarti pensando alla musica che ascolto. La mio
telefono ci penso già io – fece una breve pausa, mentre prelevava dalla
tasca interna della giacca nera un piccolo cellulare nokia,
minuscolo, constatando che non veniva visualizzato l’identificativo del
chiamante, ma solo un numero – Ispettore Elena Argenti, con chi parlo?... sì,
sono io….. sì, infatti… cosa…. Ma sta scherzando,
vero? Dove…? Sì, mi scusi, me lo ha già detto, può
solo…. Sì, la ringrazio, arrivo subito.”
Mentre
riponeva il cellulare, Elena si fece pallida, e iniziò a singhiozzare. Come se
il suo tono non avesse già spaventato abbastanza Alessandro…
“Elena… che cavolo hai? Marco ha combinato qualche altra stronzata?
Sta male? Ele, dai, rispondimi… che hai?” Mentre le
parlava, e tentava di guardare la a allo stesso tempo, cercando di
evitare di andare a finire in qualche fosso o campo, la voce della ragazza era divenuta un
singhiozzo incontrollabile, il suo pianto, quasi isterico. Il
viso appoggiata tra le mani, tentò di ricomporsi, se non altro per dire
ciò che doveva all’uomo.
“devo andare al
Gemelli, subito.”
“Al Gemelli?
Marco…”
“Marco sta in galera e sta pure bene, Ale! Non è lui che sta male, dannazione, Ale,
mi ci vuoi accompagnare sì o no?” interrotte dal pianto, le parole della donna erano divenute un urlo straziante, ricolmo di dolore e di
incertezza, un urlo di preoccupazione, ma, forse, anche di delusione.
“Chi diavolo ci sta al Gemelli, Elena,
me lo vuoi dire?” Erano finalmente arrivati in ospedale, e Alessandro stava
seguendo Elena su per le scale, cercando di starle dietro, senza sapere dove
stesse andando. Si sentiva a disagio, odiava gli ospedali, da dopo la morte di Irene, e soprattutto odiava essere tagliato fuori.
L’aveva quasi raggiunta, quando la vide avvicinarsi ad un medico, alto e moro,
che le indicò una stanza, circondata da due pareti di vetro, e ad esso la accompagnò, parlandole dolcemente, mettendole una mano
su una spalla, come a rassicurarla di qualcosa, però, non per consolarla: lo
poteva cogliere dal suo sguardo, dal suo fare.
“Elena, si può sapere che sta succe…. - E si bloccò, guardando la stessa scena che il
medico ed Elena, che stava ancora singhiozzando, ma un po’ meno, stavano
osservando: al centro della stanza, collegata a diversi macchinari, a delle flebo, ad una busta di sangue, c’era una donna. C’era
Sofia, incosciente, ancora viva. Ma per quanto? – che diavolo…”
“il mio collega, l’ispettore Alessandro
Berti lui e Sofia erano…
sono amici. Senta dottore, per favore, dato che io ero nella
lista delle persone da avvertire, mi vuole dire che è
successo?”
“Senta, se vuole che me ne
vada, io posso benissimo tornare dopo e…”
“La signorina Carboni aveva già
avuto un principio di aborto spontaneo, e il suo
medico l’aveva avvertita di stare tranquilla,ma a quanto apre, non è bastato…
alcuni giorni fa, ha avuto un altro principio, ma stavolta per fermarlo, e
salvare la vita a lei e alla bambina
abbiamo dovuto effettuare un cesareo d’emergenza. Il suo corpo era però già
debilitato dallo stress e dalle minacce d’aborto, e dopo l’emorragia che si è
venuta a creare, abbiamo dovuto indurre il coma farmacologico, che tuttavia
riteniamo di poter sospendere in pochi giorni…”
Partorito?
Sofia era incinta, e non mi ha detto nulla? Ma è la
mia migliore amica! Che cosa le è venuto in mente? Perché diavolo mi ha mentito?
“Sette mesi? Sofia… la
signorina Carboni era incinta di sette mesi quando è
nata la bambina?”
“Sì ispettore Berti, proprio
così,ora, se volete seguirmi, vi accompagno dalla
piccola Lisa Carboni…immagino vogliate vederla. È anche lei a questo piano. –
l’uomo fece loro strada fino ad una stanza, e li fece cambiare prima di
entrarvi. All’interno, diverse incubatrici facevano
bella mostra di sé, e dei loro già vitali ospiti. - sta bene,a
che se è ancora piccola, ma è molto forte. Si riprendere in un battibaleno, e comunque sette mesi sono più che adeguati, la speranza di
vita è già tra le più alte… e lei ha già superato la fase critica, anche perché
era già abbastanza in avanti con lo sviluppo, e non eccessivamente sottopeso.
Al massimo un paio di settimane e sarà fuori di qui, ora, se mi volete scusare,
devo proprio andare.”
“Possiamo…
possiamo… non so, accarezzarla? Questo genere di cose?” Ale si voltò
verso un’infermiera, che stava accudendo altri bambini, che gli si avvicinò, e
mostrò loro come fare. Elena continuava a sorriderle e dirle di fare ciao a
zia, mentre Ale, era sul punto di piangere, mentre le teneva le manine
minuscole e le accarezzava i piedini, il pancino e
tutto il minuscolo corpo.
“Elena, Sofia… lei non… non
andrebbe mai a letto con un uomo mentre sta con un
altro, vero?” le chiese, un po’ titubante, ma già certo della riposta.
“Sofia? Sofia è la correttezza
fatta persona! Oddio, mi ha mentito sul trasloco, però, in linea di massima…”
“né dormirebbe con un uomo mentre è incinta di un altro…”
“In linea di principio, no, ma
non è mai rimasta incinta prima, quindi non potrei
giurare…”
“e a meno che lui non fosse uno
stronzo abissale, del tipo che al
mattino se ne va prima che lei si svegli per evitare di parlare e poi la evita, lei glie lo direbbe che sta
per avere un figlio da lui, vero?”
“Se
lui è il tipo di stronzo che hai descritto, manco
morta glielo direbbe, considerato i precedenti, avrebbe troppa paura che il
bambino rimanesse ferito. Quando i suoi hanno
divorziato e suo padre se n’è lavato le mani, lei è andata a Quantico, dove
faceva l’istruttore, per avere la sua attenzione…”
“Che stronzo…”
Il giorno dopo, Ale era al distretto, ma la
sua mentre era altrove, in quel letto d’ospedale, in quella culla. Ci
aveva pensato e ripensato. Aveva fatto tutti i calcoli, più e più volte. E la soluzione era una e una solamente… e non riusciva a reggere
il pensiero da solo. Doveva dirlo a qualcuno. E chi
meglio del suo migliore amico, Luca? “Anna, ti spiace se ti rubo il capo un
attimo? Gli dovrei parlare un attimo da solo.” Gli disse, avvicinandosi alla
guardiola di Ugo dove i due stavano controllando
alcuni dati appena forniti da Palmesan.
“Tanto io lode sopportare 24
ore su 24, se te lo becchi un po’ tu, non mi dispiace affetto, anzi…” e così
dicendo, allo stesso tempo, i due uomini andarono in direzione dell’ufficio del
commissario, e Anna in quella opposta.
“Elena t’ha
detto di Sofia?” esordì immediatamente senza mezzi termini Alessandro, prima
ancora che uno dei due potesse sedersi.
“me l’ha
detto sì, lo sa tutto il distretto. Ma mi dici
come si fa a mollare una bambina? Elena è furiosa, se le dovesse
capitare il bastardo sotto mano…”
“Sono io il bastardo, Luca;
Cristina è mia figlia. Almeno credo. Spero. ”
“Cioè,
scusa, che vuol dire, credi, e speri? Non ne sei certo? E
perché Cristina?”
“Cristina Berti suona molto bene, non credi?”
“Ale, per favore, che cavolo hai combinato? Me lo vuoi spiegare una
volta per tutte?“
“Sette mesi fa circa, sono
stato così stronzo e bastardo da andarmene vie nel
cuore della notte, senza svegliarla, dalla casa di Sofia, dopo che avevamo
fatto l’amore. Ed ecco che , dopo aver tagliato fuori
dalla vita tutti quelli che conoscono non solo lei, ma pure me, sette mesi dopo
lei dà alla luce una bambina. Ora, non so tu, però io un po’ di sospetti li
avrei.”
“E se
è davvero tua, che conti di fare?”
“Ciò che devo.
Non mollerò mia figlia in mezzo ad una strada, Luca, né lo farò a Sofia.”
******
Una settimana dopo, Sofia era fuori dal coma. Per essere più precisi,
lo era già da almeno un paio di giorni, ma le ci era voluto un po’ di tempo per
riabituarsi a muoversi, e soprattutto ci era voluto un po’ di tempo affinché
Ale la potesse finalmente beccare senza Elena. Dovevano parlare, e dovevano farlo da soli.
“Dì, bell’addormentata, ti ricordi ancora di me?” si staccò dallo stipite della porta a cui era
appoggiato, e si diresse verso il letto, su cui lei era seduta, ponendole un
mazzo di fiori – bianchi, Elena aveva detto che erano i suoi preferiti – e un
bacio sulla fronte, subito prima di sedersi accanto a lei, e cingere con le sue
braccia le spalle dell’ancora convalescente, che, come la prima volta, pianse
sulla sua camicia, a denti stretti. Ma, stavolta,
silenziosamente.
“Non voglio perdere tempo in
chiacchiere inutili, né in spiegazioni. Non me ne importa niente, Sofia. Voglio
solo sapere, è mia?” le sue lacrime, i suoi singhiozzi,il
suo silenzio gli dettero la risposta che voleva.
“E’ stato un errore,
Alessandro. Quella notte… lo sai pure tu. Anzi, sei stato tu a farmelo capire.
Sei stato – gli disse allentandosi da lui, ed evitando il suo sguardo – molto
chiaro al riguardo.”
“So che non avrei
dovuto andarmene, ma quando ti ho vista lì, addormentata vicino a me,
non ho potuto fare a meno di pensare al passato. Mi sono –
fece una breve pausa, deglutendo – mi sono spaventato, Sofia. Ho capito
che non eri come le altre, che volevo qualcosa di più, e ho avuto pura di
perderti, come avevo perso Irene, sapevo che se ti fosse successo qualcosa sarei impazzito…”
“L’hai chiamata nel sonno, Ale.
Avevi appena fatto l’amore con me, e l’hai chiamata
nel sonno. E poi te ne sei andato. Hai idea di come mi
sono sentita? Mi sono sentita la cretina che si lascia portare a letto dal
primo tizio dal bel faccino che le fa un po’ di moine!”
“Non dico che non me lo sono
meritato, anzi. Ma ora che so che ho una figlia, ora
che ho una figlia, è tutto diverso, capisci? Non si tratta di
noi, si tratta di lei. Dammi la possibilità di farle
da padre, ti prego. Ti dimostrerò che ne vale la pena.”
Quando, dieci giorni dopo, uscì dall’ospedale insieme alla
bambina( a cui i medici, dietro consiglio di Elena, che
aveva parlato con Ale, Luca e Anna, avevano effettivamente dato il nome
Cristina, anche se il sui cognome era ancora quella madre), Sofia non trovò
Elena ad aspettarla, come sperava, ma Ale. La cosa non la stupì, però, più di
tanto: dalla nascita di Cristina, era sempre stato molto presente, e si
prendeva cura di entrambe. Sofia sapeva che voleva essere perdonato, ma non
sapeva se lei era pronta a farlo.
“Casa mia è dalla parte
opposta…” gli disse quando girarono ad un incrocio.
“Stiamo andando in un altro
posto, prima. C’è una cosa che voglio farti vedere, prima. -
Dieci minuti dopo, stavano parcheggiando sotto un condominio, attraverso cui
lui le fece strada, fino ad un appartamento, in cui fece accomodare tutti
quanti – benvenute a casa mia. Allora, alla mia
Cristina piace la casa di papà?”
“Ale, senti, apprezzo, ma non
possiamo, qui non hai nulla per…” entrando nella stanza in cui lui, poco prima,
era entrato con la piccola in
braccio, Sofia rimase a bocca aperta, senza parole: Ale aveva
preparato una stanza per la bambina, e non mancava nulla!
“Nella camera da letto ci sono
le tue cose, almeno, una parte di esse. Fino a che
starai qui, quella stanza è il tuo regno, e il mio… è il divano.”
“Ale, io non posso…”
“Non accetto un
no come risposta, davvero. Voi due starete qui, con me, almeno per ora.” E speriamo che tu decida di voler stare qui
con me per sempre, poi.
******
Erano passati diversi mesi, dall’inizio della convivenza
“forzata” a tre tra Ale, Sofia e Cristina, e per mesi Sofia era stata testimone
di che tipo d’uomo il ragazzo fosse. Aveva creduto che
fosse un verme, un approfittatore, un poco di buono, ma aveva capito che era
solo un uomo che non riusciva ad andare avanti con la sua vita perché aveva
sofferto troppo. Come me. Ci saremo
incontrati per questo? Per far smettere di far
soffrire l’altro? Si chiedeva mentre, nel cuore
della notte, si era alzata, e stava osservando Ale nella stanza di Cristina,
intento cambiarla e darle il biberon. Era davvero dolcissimo, non aveva mai
visto niente del genere, le faceva sobbalzare il cuore. Anzi, un sobbalzo così
lo aveva già avuto: la notte che si era svegliata con a
fianco Ale, dopo la nottata di passione, e quando, alzatasi dal letto, lo
trovava a dormire sul divano, e se ne stava lì, a guardarlo, senza dire una
parola. E sapeva che anche lui faceva lo stesso, e
aveva capito benissimo il motivo: provavano entrambi la stessa cosa, si erano
ritrovati a vivere come una famiglia, ridendo, scherzando, condividendo ogni
cosa, dai piccoli gesti (come lei che lo aiutava a farsi il nodo alla cravatta,
quando la doveva mettere, il sapere cosa piacesse e cosa no a ciascuno dei due)
alle grandi difficoltà. E attraverso questo processo,
e grazie a Cristina, si erano scoperti innamorati. Forse di nuovo, o, forse, chissà,
per la prima volta. Sofia lo guardò per un bel po’, cullare la piccola sul
dondolo, e poi, una volta che l’aveva messa nel lettino, stette lì, aspettando
che lui si avvicinasse, e quando lo fece, le sorrise,
col più dolce dei sorrisi che avesse mai riservato ad una donna.
“Ehi, torna a letto, qui ci
penso io, ok? Tutto a posto?” e le diede un bacio
sulla fronte, come faceva spesso ormai, e, cingendole le spalle con un braccio,
la accompagnò in camera da letto.
“Vado a letto solo se ci vieni
anche tu, Ale.”
“Nessun problema, torno subito
al divano” ma lei lo fermò, afferrandolo per un braccio.
“Ho detto letto, Ale, non
“divano”. – lesse
incertezza nei suoi occhi, la stessa che, lo sapeva, aveva pure lei – Ale,
tutta questa storia, non ha senso. O facciamo le cose
per bene, o non le facciamo. – silenzio - Ale, so cosa pensi. Ma più rapidi di cosi? Abbiamo pure già una figlia! Cos’abbiamo da perdere?”
“tutto?”
“Io
voglio rischiare. Sono disposta anche a bruciarmi, ma voglio provarci, a stare
con te. Viviamo come una coppia sposata da anni, miseria,
tanto vale provarci per davvero, a stare insieme, no?”
Ale
non le rispose, si limitò a sorriderle, e, avvicinandosi, la baciò sulle
labbra, ripentendo quei gesti che oltre un anno prima
avevano portato al concepimento della loro bambina; ma stavolta, nessuno dei
due pianse, nè lui pensava ad un’altra donna, viva o
morta che fosse: stavolta erano insieme, nello stesso luogo e nello stesso
momento, come pure lo furono ore dopo, quando, nel cuore della notte, Sofia si
svegliò, e si ritrovò che Alessandro non le stava accanto, ma la stava
abbracciando nel sonno, mento sopra la sua fronte, mentre lei pure lo
abbracciava, con il viso appoggiata nel suo petto; ciò che la stupì di più fu
però constatare che lui non stava dormendo, era sveglio, e la stava guardando,
e inalava a profondi respiri il suo profumo.
“Domani
dobbiamo andare in comune. Cristina porta ancora il mio cognome. Sei suo padre,
le vuoi bene, la vuoi riconoscere. È giusto che porti
il tuo cognome, anche se non siamo sposati.”
“Non
ancora, almeno. Ma magari presto diventerai la signora
Berti… e poi chissà, l’ultima volta che abbiamo fatto una cosa del genere, è
nata Cristina. Adesso potrebbe essere il momento buono per darle un fratellino…
e non credo che sposarti col pancione sia un problema,
no?”
“tu
che ne sai che stanotte sono rimasta incinta, scusa? E poi cosa sarebbe, questa, una proposta?” Sorridendole, la baciò
nuovamente, e Sofia in quel bacio lesse tutto quello di cui aveva bisogno,
tutte le risposte che cercava. Sì, era una proposta, sì, desiderava darle
nuovamente un figlio al più presto, e condividere con lei tutti i momenti clou
della gravidanza, e sì, lei lo avrebbe sposato. La
sofferenza era un rischio calcolato, certo, ma non obbligatorio. E sapevano
entrambi che era un rischio che valeva la pena di
correre.