La bayadère

di Padme92
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"[...] Libertà va cercando,
ch' 
é si cara come sa chi
per lei 
vita rifiuta."

 

Sapevo di non poter sfuggire alla terribile morsa del serpente. Ballavo fino allo stremo, il veleno che mi inondava il corpo, confondendo il rosso del mio sangue con il fiele amaro di una creatura tanto viscida quanto crudele. Ma non avevo rimpianti. Ballavo con foga a mancanza di grazia, per realizzarmi in quegli ultimi istanti di estrema libertà. Ogni mio passo era un solco attraverso il muro d'aria che mi circondava, ogni mossa, attentamente esaminata, seppur veementemente rincarata, era una sfida lanciata alla gravità: come se i jambés non fossero semplici salti, ma elevazioni del mio spirito che si spingeva puro oltre le ombre di un oscuro futuro. Non mi succhiai via il veleno nel tentativo di salvarmi, né permisi ad alcuno di avvicinarsi a me: nella mia agonia avevo trovato la forza di ballare come non mai, di esplodere di piacere e sprizzare come una scintilla, una cometa infuocata nel cielo. Destra, sinistra, in circolo, non importava dove facevo rotta: ovunque occhi inquieti mi scrutavano senza capire la tale naturalezza di una morte non tanto voluta quanto invocata. Il cuore bruciava di ardente passione per l'ultima volta, consapevole di non avere che qualche battito in più da fornirmi per dedicare il mio svolazzare forsennato ai respiri affannati. Danzavo. Danzavo per dimenticare, eppure imprimere il sigillo di un giuramento di amore eterno spezzato. Ero da troppo incatenata alla morsa dell'innamoramento infelicemente tradito, e non potevo che andare oltre la sofferenza e ribellarmi al destino esprimendo tutto il mio cordoglio che, senza che quasi ne fossi consapevole, si trasformava in un vortice di emozioni che mi salivano dallo stomaco fin sulla testa come bollicine di champagne. Incosciente, mi libravo sopra il male del mondo, oltrepassando la mia stessa vita, per giungere ad una morte desiderata più del malefico impulso voluttuoso che mi aveva legato a lui. Rimasi fedele fino alla fine, non rinnegai il mio amore, ma lo osannai ballando fino allo stremo delle forze scagliandolo nel cielo con fouettés troppo frenetiche. Chi mi guardava rimaneva interdetto, sdegnato se non spaventato. D'improvviso la bile che avevo in corpo risalì forzatamente, acidula nel suo retrogusto vomitevole, e capii che non c'era più tempo. Che avevo dato al mondo tutta me stessa prima di sparire nei meandri dei ricordi fatui che sarebbero restati ai presenti. Fiocamente illuminata da una luna crescente che come una falce veniva a tagliarmi il filo della vita, caddi a terra prima in ginocchio, poi riversa su un fianco, e spirai l'ultimo fatale guizzo di libertà.





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