Una vita intera con John Smith

di Christa Mason
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Caro Dottore, 
da quando te ne sei andato lasciandomi John Smith, le cose si sono fatte più semplici, lineari e per i primi mesi ho addirittura pensato di aver trovato uno stato permanente da difendere. Sai cosa intendo immagino, qualcosa che si avvicinasse a una famiglia, qualcosa che le persone normali non vogliono lasciare, un amore che fosse “tutto ciò che possiedo”. Oltre all’amore, abbiamo però un appartamento, io e John, con le nostre cose e il nostro gatto. Non so perché John abbia insistito a volerne uno, immagino sia perché gli piaccia l’idea di prendersi cura di qualcosa tutto il giorno, dal momento che risulta essere troppo smarrito e stravagante per trovarsi un lavoro. Mi piace l’idea che agli altri John risulti strano, averlo intorno e sentire lo sguardo degli altri su di noi, mi ricorda com’era essere a Londra con te, anche se John non è te.
L’ho baciato una prima volta, e mi sono sentita rassicurata dal fatto che mi fosse concessa una tua copia, per metà umana, senza le complicazioni di chi viaggia ai confini del tempo, senza l’incertezza di chi come te se ne va, forse senza più tornare. 
Ogni tanto John si addormenta sul divano: abbiamo un vecchio divano prossimo allo sfondamento che mia madre non sopporta, eppure nessuno ha mai seriamente pensato di liberarsene o di sostituirlo. E su quel divano John, mi sono accorta più volte, è un uomo come tanti altri, di quelli che si abbandonano ancora con i jeans addosso al sonno estivo, con quel suo ritmico e pesante respiro. Mi commuove, in particolare, quando John si lascia andare non riuscendo ad arrivare alla fine di un film. Ieri sera li avevo entrambi, il mio gatto e il mio uomo, su quel divano, entrambi addormentati, sollevandosi ritmicamente con il medesimo respiro. Ho capito che lo amo così tanto, perché ha il tuo aspetto, e perché mi ama, e all’amore reciproco ci si abitua. Ma più passano i giorni, più tremendamente si insinua dentro di me la convinzione che ciò che amavo più di te era il fatto che non fossi umano, per questo una tua copia umana potrebbe non essere abbastanza. John è l’uomo che sceglie di chiamare Einstein un gatto randagio e che mi abbraccia quando torno a casa, ma tu, amore mio, eri l’uomo che mi portava ai confini dell’universo. 
Rose. 
 




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