Le Storie della Macchina della Morte

di PurpleStarDream
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Capitolo 3: Effetto farfalla.

 

 

Steve aprì la porta del bagno tenendo in equilibrio la bacinella d’acqua nella mano sinistra. Questa sciabordò contro la plastica e alcune gocce caddero sul pavimento; il panno al suo interno per poco non le raggiunse.

Vuotò il contenitore e aprì il rubinetto per riempirlo con nuova acqua gelata. Poi tornò in camera da letto, posò il tutto sul pavimento e si chinò per strizzare il panno e poggiarlo sulla fronte di Tony.

-Nooo…- si lamentò quest’ultimo dal letto, voltando la testa e scacciandolo con una mano, subito ritirata sotto le coperte. –E’ troppo freddo, mi fa male la testa.-

-Lo so- disse Steve, con un sorriso che capiva, -Ma dobbiamo abbassare la temperatura in qualche modo. Hai quaranta e mezzo, e non voglio farti fare un bagno gelato.- Gli bloccò il viso con il palmo di una mano, accarezzandogli la barba ispida per farlo calmare mentre gli posava sulla fronte il panno umido.

Il ragazzo venne scosso da un brivido e strizzò gli occhi: una fitta spaventosa alla testa lo attraversò.

Tony cercò di girarsi su un fianco senza far cadere la pezza bagnata. Aveva indosso solo i boxer perché stava grondando sudore, ma era avvolto fino al collo nelle coperte, perché nonostante la febbre aveva freddo. I brividi lo coglievano ogni volta che una parte del suo corpo emergeva da quel mare di piumini in cui si era immerso. Gli girava la testa, e gli facevano male le ossa, sicuramente il dolore peggiore, perché era l’unico da cui non riusciva a distrarsi. Aveva seguito i consigli di Steve e preso degli antiinfluenzali, ma la temperatura saliva e saliva; ieri sera era a trentanove, oggi superava i quaranta.

-Se continui a scottare così ti porto in ospedale- decise Steve, mentre si strofinava le mani e si agitava sulla sedia accanto al loro letto. Era una brutta influenza quella a cui Tony stava andando incontro. Con il sistema immunitario devastato c’era da aspettarsi che si ammalasse con più frequenza degli altri, ma questa volta era proprio brutta.

Dalle labbra screpolate di Tony uscì un ansito doloroso. -Non voglio andare in ospedale, Steve. Non farmi morire là.-

Il ragazzo biondo si morse le labbra; i polmoni si stringevano e si svuotavano rapidamente mentre sbuffava dalle narici tutta la sua frustrazione: odiava sentirsi così impotente di fronte al suo ragazzo che soffriva di un dolore da cui lui non poteva difenderlo.

-Non morirai, credimi.-

Gli occhi lucidi di febbre di Tony si socchiusero brillando: sembravano persino più grandi del solito ora che non erano del tutto aperti, come se volessero mostrare un’ultima scintilla di vita prima di chiudersi.

-Sento che questo è il momento. Non sono mai stato così male.-

Il suo labbro inferiore era gommoso e sprigionava il sapore rugginoso del sangue mentre lo masticava. Steve allungò una mano e la infilò sotto le coperte, raggiungendo quella bollente del suo ragazzo che si nascondeva dai brividi di freddo che solo lui riusciva a sentire. La strinse forte.

-Tu non morirai adesso, Tony. Non è questo il tuo momento, ne sono sicuro.- Poi, sottovoce, aggiunse: -Non è possibile…-

Non poteva essere vero, pensò il biondino. Se Tony fosse morto quel giorno lui si sarebbe dato da fare in tutti i modi per non vedere l’alba di domani. Sarebbe andato contro il volere della Macchina della Morte; lui doveva morire di AIDS, insieme a Tony.

Poi il cervello di Steve processò un pensiero a cui non aveva mai fatto caso prima. E se la Macchina avesse voluto quello? Se il suo fosse stato destinato ad essere, dopotutto, un suicidio?

Affondò i denti nella ferita aperta sulle labbra, allargandola e facendo scorrere il sangue tra i denti. Lui ormai era pronto a rinunciare alla sua vita, davvero; quello per cui non era preparato era lasciar andare Tony, assistere alla sua morte.

“E’ troppo presto” pensò Steve, mentre la sua lingua mescolava il sangue con la saliva. “Non ancora… Non puoi andartene ancora…”

Sentì che la sua mano veniva stretta, e sul volto madido di sudore di Tony scivolarono due lacrime, che descrissero un arco perfetto dai suoi occhi stretti fino al cuscino.

-Steve…- sussurrò, il pomo d’Adamo che andava su e giù, impazzito, per impedirsi di piangere. Gli occhi si spalancarono, come a volersi mostrare dignitosi dopo che quelle due lacrime erano così indecentemente sfuggite. -Ho paura di morire…-

Senza lasciare la sua mano Steve si avvicinò per asciugargli le lacrime. Mentre lo faceva, Tony si voltò di scatto; il panno bagnato gli scivolò via dalla fronte, e lui sollevò un braccio per coprirsi la faccia: incurante dei brividi e del freddo voleva solo nascondere lo spettacolo che stava dando di sé.

-Dio, sono patetico!- gemette, lasciando andare il ragazzo e affondando il viso nel cuscino perché assorbisse le lacrime che non riusciva a trattenere. 

Da sopra le coperte Steve accarezzò la sua schiena scossa dai singhiozzi.

-No, non lo sei- lo rassicurò, lottando contro i pensieri negativi che gli stavano invadendo la mente. –E non morirai, non oggi.-

Dentro il cuscino scoppiò una risata. Tony voltò la testa e cominciò a ridere più forte, senza che ci fosse nessuna felicità in quel gesto che riempiva il suo viso accaldato e umido.

-E il peggio è che me lo sono meritato. Insomma, se ci pensi tutto questo ha un ché di ironico.- Si sollevò tremando sui gomiti per guardare meglio il suo fidanzato. –Non mi sarebbe successo nulla se non fossi stato tanto stupido da voler sapere come sarei morto. E adesso che lo so ho una paura folle che quel momento arrivi prima di quanto mi aspettassi. Me la sono voluta, e adesso non ho neppure le palle di accettare la realtà, voglio a tutti i costi rimandare.-

La sua risata strana strappò a Steve un piccolo sorriso. Sapeva che quel sarcasmo avrebbe avuto vita breve, ma voleva fargli sapere che capiva. Spinse Tony a sdraiarsi di nuovo, stavolta prono, con la testa piegata da un lato.

Il moretto aveva smesso di ridere, ma i suoi occhi erano ancora vitrei, venati di capillari scoppiati e socchiusi dalla pesantezza della febbre. –Non andartene…- sussurrò a Steve. –So che è egoista da parte mia, se fossi in te non vorrei assistere a una cosa del genere, ma se questo è il mio momento voglio che tu resti. Io… Non te l’ho mai detto, ma ho una paura fottuta di morire da solo.-

Con la lingua Steve spinse per riaprire il taglio sul labbro. Aveva bisogno che un qualunque tipo di dolore fisico lo mantenesse sulla terra, altrimenti non era sicuro che sarebbe riuscito a trattenersi. Si avvicinò al viso dell’altro e gli leccò le labbra screpolate, calde come una terra rimasta troppo a lungo senza pioggia, quindi gli lasciò un bacio leggero. Decise di infilarsi nel letto con lui, per farlo stare più tranquillo, si disse, ma sapeva bene che questo serviva più a lui che a Tony: stringendolo voleva illudersi che sarebbe riuscito a trattenerlo, se veramente per lui fosse arrivata l’ora di morire.

-Stai tranquillo, non ti lascio. E’ solo influenza, passerà presto. Per adesso cerca di dormire.-

Nonostante il calore assurdo che si provava sotto quelle coperte stabilì che non sarebbe uscito dal letto per togliersi la maglietta o i pantaloni. Sentiva gocce di sudore cominciare a colargli lungo la schiena, ma il corpo di Tony tremava di freddo. Lo avvolse con le braccia e se lo tirò vicino, in modo che il viso del moro affondasse nell’incavo del suo collo.

-Non voglio dormire. Se lo faccio potrei non svegliarmi più.-

Steve gli accarezzò la nuca, dove i capelli bagnati incontravano la pelle viscida del collo, lasciando che il suo respiro bollente gli dilatasse la giugulare che pulsando forte tradiva la sua preoccupazione.

-Allora parlami. Raccontami qualcosa, qualcosa di bello.-

Sapeva che prima o poi Tony si sarebbe stancato e si sarebbe addormentato per sfinimento, Quindi lo incoraggiò, dicendogli che poteva parlare di qualsiasi cosa, preferibilmente qualcosa di allegro. Certo, se ne avesse avuto bisogno lo avrebbe anche consolato dalle sue paure, ma Steve aveva necessità di sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene. Si sentì inutile, e aumentò la frequenza delle sue carezze; avrebbe dovuto essere lui a consolare Tony, e invece stava lasciando che il suo ragazzo terrorizzato e malato gli facesse da supporto nel momento del bisogno. Bel fidanzato che era.

Non si accorse del momento in cui Tony smise di parlare. Il suo cuore perse un battito, ma poi si concentrò sul respiro dell’altro: era pesante e affannoso, ma regolare.

Stette sveglio tutta la notte, inzuppando il materasso, senza osare spostarsi per non perdere neanche uno dei suoi respiri, contando i secondi in cui Tony decideva di non arrendersi.

 

Il mattino dopo Steve si svegliò di soprassalto, quando una lama di luce attraversò le pesanti tende della camera da letto e gli si piantò in faccia. Doveva essersi addormentato, ad un certo punto tra le cinque e le sei di mattina.

Per prima cosa osservò Tony: piegò la testa per guardarlo, incurante della sensazione appiccicosa che provava ogni volta che il suo corpo si muoveva nella maglietta fradicia. Il ragazzo dormiva coricato su un fianco, l’aria tranquilla, i capelli scuri incollati alla fronte. Respirava.

Steve gli scostò le ciocche castane e sentì la temperatura: era ancora caldo, ma non come ieri sera, probabilmente gli antiinfluenzali stavano cominciando a fare effetto.

Sospirò di sollievo.

Si alzò dal letto facendo attenzione a non svegliare Tony e se ne andò in bagno, certo che una doccia rinvigorente avrebbe lavato via tutto il sudore freddo e la paura della sera prima. Non gli era mai passato per la mente che il suo cartellino potesse significare per lui una morte molto distante da quella del suo ragazzo, questa era la prima volta che ci pensava. Doveva ammettere che, non conoscendo la data del suo futuro decesso, aveva sperato di poter controllare meglio il proprio destino, aveva dato per scontato di poter morire insieme a Tony; o, nel peggiore dei casi, in tempi strettamente ravvicinati.

Ma quella Macchina era una bastarda patentata, e Steve per la prima volta dovette ammettere che un oggetto inanimato avrebbe potuto fargli lo sgambetto mentre era intento all’attuazione del suo piano perfetto. Come se fosse stata viva e lo osservasse, pronta a dire la sua.

Una volta finita la doccia questo pensiero si era un po’ attenuato, ma non era scomparso: la sua ombra si allungava e lo seguiva quando tornò in camera.   

Trovò Tony supino sul materasso, che guardava il soffitto. Aveva un’aria stravolta e il viso sparuto di un reduce da una guerra interna combattuta tra malattia e globuli bianchi deboli. Gli rivolse comunque un sorriso, tutto occhi e pochi muscoli del viso.

-Ehi.-

-Ehi anche a te- salutò Steve, sollevato. Tony non l’avrebbe mai ammesso, ma solo il conforto che aveva provato nell’essersi svegliato ancora una volta lo rinvigoriva più di ogni medicina. –Sembri stare meglio. Misurati la temperatura, per sicurezza.-

Gli porse il termometro e questo venne risucchiato sotto le coperte dopo che Tony lo aveva afferrato. Steve si mise a preparare un misurino dello sciroppo antiinfluenzale che aveva lasciato sul comodino.

Il termometro elettronico fece bip.

-Trentotto e due, va decisamente molto meglio- decretò Steve. –Bevi questo.-

Tony si tirò a sedere contro la spalliera del letto, storcendo il naso come un bambino piccolo. –Questa roba mi fa schifo.-

-Oltre a questa particolarità mi hanno assicurato che faccia anche bene- sorrise il biondo, ficcandogliela quasi in bocca, finché lui non la prese e la mandò giù. –Riesci ad alzarti? Ti farebbe bene fare una doccia, così intanto cambio le lenzuola.-

Il moretto scivolò fuori dal letto tirandosi dietro tutte le lenzuola e avvolgendosele intorno. Barcollava leggermente, ma adesso appariva lucido.

-Ok, adesso mi dici cosa c’è che non va.-

Steve sollevò le sopracciglia sorpreso. –Perché pensi che ci sia qualcosa che non va?-

-Perché sai quanto odio che mi si tratti come un malato. Tu sei una mamma chioccia per natura, ma hai sempre saputo essere discreto e lasciarmi i miei spazi. Non hai bisogno di farmi sapere quanto ti sbatti per me, né di farmi da infermiere. Comincio a pensare che in questi giorni tu sia un po’ troppo disponibile, ed ecco che mi viene spontaneo porti questa domanda: ti senti in colpa per qualcosa?- chiese Tony, guardandolo con due occhi scuri e penetranti sopra le occhiaie violacee.

Lo sguardo di Steve precipitò sul pavimento. A volte dimenticava che Tony, nonostante la sua crudezza e il suo egoismo, riusciva a leggergli dentro bene quanto lui. Vedere quegli occhi stanchi che indagavano e si sforzavano di capire quando invece avrebbero dovuto riposarsi gli fece male. Si sentiva orribile a nascondere la verità a un moribondo.

-Ecco, io…-

-Sei andato a letto con qualcun altro- buttò fuori Tony. Lo disse in modo meccanico, ma si strinse la coperta attorno al corpo. –E’ ok, se lo hai fatto- aggiunse in fretta. –Cioè… So quanto deve essere frustrante stare con uno come me, tra il mio carattere e la malattia... Cristo, ti dai da fare come un matto quando stiamo insieme, perciò non posso proprio biasimarti se lo hai fatto…-

Stava torcendo la stoffa delle lenzuola nei pugni chiusi, vicini alle sue labbra come se l’avesse voluta mordere, o nasconderci il viso dentro. Steve gli afferrò le mani fasciate dalle coperte.

-Non sono andato a letto con nessuno.-

Tony cominciava a indispettirsi. Gli dava fastidio non riuscire a capire il perché del comportamento altrui, e spesso, proprio per questo, restava fedele alla prima ipotesi.

-Senti, non ce l’ho con te. Anche se si è trattato di una volta sola…-

-Ma non è quello!- gridò Steve, facendo sussultare l’altro. Forse aveva alzato un pochino troppo la voce. Il tono gli divenne basso basso per compensare.

-Tony io… Devo dirti una cosa; una cosa brutta… Insomma, dipende dai punti di vista, ma credo che tu la considereresti brutta.-

Vide qualcosa rompersi negli occhi del suo ragazzo, così si affrettò ad aggiungere: -Non voglio lasciarti o cose del genere, non ha nulla a che fare con te. Diciamo piuttosto che sono io il problema.-

Tony lo guardava senza capire. Preferì non dire niente, considerando che Steve sembrava più agitato di lui.

-Senti… ora vai a farti una doccia, prendi le tue medicine, così poi torni qui e ne parliamo con calma- consigliò il biondo. Tony andò verso il bagno in un fruscio di coperte senza dire una parola. Appena sentì l’acqua della doccia scorrere, Steve cominciò a pensare che ormai era fatta, glielo avrebbe dovuto dire.

Non che non si fosse figurato mille volte quello scenario nella testa, ma era un po’ come la morte: quando ci arrivavi davvero vicino non eri mai del tutto preparato. 

Cambiò il letto e vi posò sopra una coperta nuova, facendo la piega che lasciava scoperto il coprimaterasso, nel caso Tony avesse voluto ancora riposare.

-Steve…-

Il ragazzo venne strappato dai suoi pensieri e si girò. Non si aspettava che Tony facesse così in fretta, la doccia sarà durata meno di dieci minuti.

Se lo trovò di fronte con i capelli ancora umidicci, vestito con una tuta da ginnastica, le mani posate sui fianchi. –Allora, mi vuoi dire che cosa c’è che non va?-

Cercò di prendere tempo.

-Dovresti dormire ancora un po’.-

Il moro piegò le sopracciglia in modo che sul suo viso sciupato nascesse un’occhiataccia.

-Sto bene, Steve. Per stare ancora meglio avrei solo bisogno che tu parlassi con me. Anche se qualunque cosa sia non ha a che fare con me personalmente, hai detto che riguarda te, e quindi per estensione anche me che sono il tuo fidanzato.-

Steve si sedette sul letto senza dire niente.

-Insomma!- sbottò il ragazzo. –Di solito sono io quello che non vuole sputare i suoi segreti, mi confonde questo improvviso scambio di ruoli.-

Ancora silenzio.

-Avanti Stebe- disse allora Tony, avvicinandosi. –Tenersi tutto dentro è qualcosa che ti fa ammalare, ed io sono un esperto, quindi puoi credermi…-

Gli occhi azzurri si sollevarono su di lui, speranzosi ma coscienti di quello che sarebbe arrivato dopo la sua confessione. Batté il palmo sul materasso per indicargli di sederglisi accanto.  –Non credo che ti piacerà quello che ho da dire.-

Tony si lasciò cadere con uno sbuffo affaticato.

-In questi giorni ne sono successe di cose che non mi piacciono…-

Per un istante gli era venuta l’idea di buttare fuori tutto in un colpo solo, lasciando che la sua confessione avesse l’effetto di una cannonata troppo scioccante perché Tony riuscisse a fare qualcosa. Ma ad ogni grande azione corrisponde una grande reazione, e quindi lasciò perdere, optando piuttosto per una spiegazione graduale.

Steve decise di prenderla alla larga. -Per prima cosa… Ti ricordi come ho reagito quando ho saputo che avevi l’AIDS?-

Tony mise le mani a coppa e ci poggiò il viso, ricordando. –All’inizio sembrava che ti avessero ammazzato il gatto. Poi ti sei un po’ ripreso.-

Neppure Steve lo stava guardando; decise che Tony lo avrebbe sentito anche se avesse deciso di parlare al pavimento. -All’inizio non volevo credere a quello che avevo sentito. La nostra storia non era perfetta nel senso canonico del termine, certo, ma lo era per me. Credevo che saremmo invecchiati insieme, che avremmo vissuto insieme fino alla fine condividendo tutto.-

Tony si lasciò cadere di schiena sul materasso. Aspirò l’odore fresco di sapone delle lenzuola pulite, provando un senso di nostalgia per i tempi in cui tutto andava bene.

-Ne abbiamo già parlato, Steve. Possiamo condividere ogni cosa e fare tutto quello che ci pare, ma se vuoi vivere con me dovrai accontentarti di qualche anno. Non dirmi che non hai ancora superato questa fase?-

Il biondo si morse il labbro: sembrava che il taglio della sera prima non dovesse chiudersi mai, il sangue infetto sgorgava come la linfa da un albero ferito.

-Ho odiato la Macchina della Morte in quel momento. E ho capito che dovevo fare qualcosa, non potevo lasciare che ti portasse via così; se tu non potevi essere curato allora mi sarei dovuto ammalare io. Passare il resto della mia vita da solo e vivere solo qualche anno con te non mi bastava.-

Improvvisamente Tony si levò a sedere. Era ancora pallido, ma stavolta sembrava che il colore gli fosse stato risucchiato dalle guance da una forza più potente dell’influenza.

-Steve, che cosa hai fatto?- La voce gli tremava di un tono duro e profondo, le iridi brillavano di una luce pericolosa. Tutta la sua anima arrabbiata sembrava uscire da quegli occhi e da quella gola.

Steve prese un bel respiro, come se si stesse fisicamente preparando a ricevere un ceffone più o meno metaforico.

-Quando facevamo l’amore… Certe volte insistevo perché tu fossi attivo, e allora bucavo il preservativo con un ago. Volevo che tu mi contagiassi, così mi sarei ammalato anch’io. E alla fine è successo; adesso sono sieropositivo come te.-

Tony non rispose, sembrava una statua di marmo in cui un cuore impazzito batteva a mille.

-Magari ti senti in colpa per avermi contagiato. Non volevo questo, ma non sapevo in che altro modo ammalarmi senza tradirti. Io ti amo, Tony, se proprio non era possibile vivere con te volevo almeno morire con te, capisci?-

Nella stanza non si sentiva volare una mosca. Tony abbassò gli occhi e socchiuse le labbra, boccheggiando in silenzio.

-Ti prego dì qualco…-

Il ragazzo si alzò in piedi con uno scatto e caricò il braccio. Gli mollò un diritto niente male per uno indebolito dall’influenza. Sotto il peso del pugno Steve voltò la faccia, e sentì lo zigomo gonfiarsi spingendo l’occhio in fuori. Non fece in tempo a processare il dolore che ne ricevette subito un altro sull’altra guancia.

-Come hai potuto?! Come cazzo hai potuto farmi questo?!- gridò Tony, fuori di sé, la fronte che nello sforzo ricominciava a brillare di un velo di sudore, le mani che saettavano da tutte le parti.

Steve decise di alzarsi anche lui e cercare di parare i colpi. –A te non ho fatto niente. Cerca di calmarti…-

Due occhi color ambra si spalancarono vomitando fuori un misto di orrore e sorpresa e rabbia. -Non mi hai fatto niente?! E’ questo che pensi, brutto bastardo che non sei altro? Tu hai fatto in modo che io, IO, ti uccidessi!-

Lo spinse con forza contro il petto, scuotendolo ma non riuscendo a fargli fare passi indietro; Steve era troppo in forma, e per questo lo odiò ancora di più.

-Hai lasciato che ti ammazzassi, razza di coglione! Ti sei servito di me per la tua personale crociata contro le Macchine della Morte. Come credi che mi sarei sentito una volta saputo quello che avevo fatto, eh? Eh?!-

Steve gli agguantò i polsi e strinse forte. Il dolore improvviso spinse gli occhi scintillanti di rabbia di Tony a fissarsi in quel bagno gelato di dichiarazioni che erano quelli di Steve.

-Non l’ho fatto per andare contro alle Macchine, l’ho fatto per restare con te. Io non ti voglio perdere.-

-Mi perderai comunque!- urlò Tony, fregandosene se dagli altri appartamenti lo avessero sentito. –E per colpa tua adesso io perderò te! Dovrò vivere il resto dei miei giorni con la consapevolezza di averti ucciso. Spero sarai contento!-

Abbassò la testa abbattuto, sentendo il capogiro e il senso di nausea tornare a salirgli. Non aveva ancora recuperato le forze per una litigata del genere. Steve gli lasciò andare i polsi, e il ragazzo si ravviò i capelli per riordinare le idee.

-Io vado via.-

-Via dove?- chiese Steve preoccupato.

Tony si inginocchiò a terra per calzare un paio di scarpe da tennis. Scrollò le spalle mentre si infilava un giubbotto di jeans. –Non ti riguarda. Tanto ti ho già infettato, no? Hai raggiunto il tuo scopo, che bisogno hai ancora di me?-

-Tony non puoi uscire, hai ancora la febbre.-

-Fanculo la febbre! Non mi interessa.-

Fece per prendere la porta, ma Steve lo afferrò per un braccio e lo tirò con forza verso di sé, facendolo cadere di schiena sul materasso. Gli si mise sopra intrappolandolo in una gabbia umana, inchiodandolo sul letto con uno sguardo duro.

-A me sì, invece! Tu non ti muovi di qui finché non starai meglio. E smettila di reagire così, la stai facendo molto più grossa di quanto non sia. Mi hai contagiato tu, questo è vero, ma non voglio che ti senta in colpa. E’ stata una decisione solo mia, e voglio che tu l’accetti, perché anche se ancora non lo capisci l’ho fatto solo per te. Voglio condividere tutto quello che posso con te. Io…-   

Con tutta la forza che riuscì a trovare Tony gli tirò un calcio proprio in mezzo alle gambe. Un po’ per il dolore un po’ per la sorpresa inaspettata, Steve mollò la presa, e si accasciò su un fianco.

Tony si rimise in piedi e gli lanciò uno sguardo furioso.

-Voglio, voglio, voglio… Ci sei solo tu in questa relazione, vero? Ci sono tante cose che vuoi, ma ti dico io che cosa vuoi veramente: tu non vuoi sentirti solo. Non sei abbastanza forte per sopravvivere quando io non ci sarò più, e per non vedere quel giorno hai deciso di morire prima. I miei interessi vengono proprio all’ultimo posto per te. Non ti importava come mi sarei sentito io, sapendo che ti ho fatto l’unica cosa che non avrei mai voluto farti. Io ti avrei dato tutto, l’unica cosa che non volevo per te era una fine come la mia. Ma tu te ne sei fregato, perché sei troppo debole per affrontare il mondo senza di me!-

-Va bene, sono debole!- gridò Steve, piegato in due con metà del viso schiacciata sul materasso. Gli occhi avevano cominciato a lacrimare fuori sentimenti che non riusciva più a trattenere. –E’ così sbagliato, cazzo?! Lo sapevi quando mi hai conosciuto, lo so che lo sapevi! Se non ti stava bene avresti dovuto trovarti un fidanzato più forte di me, perché io non ce la faccio! Non posso accettare di vederti morire e restare solo, e so che neanche tu ci saresti riuscito; al posto mio avresti fatto esattamente la stessa cosa, perché sei debole anche tu. Te la prendi con me, ma ci meritiamo a vicenda.-

Dall’angolo dell’occhio vedeva Tony sotto forma di una macchia umida di colore che lo fissava.

-Sei incazzato perché non ho potuto essere forte come volevi, perché non sono riuscito a non sbarellare sapendo che saresti morto. Beh, mi dispiace di averti distrutto questo mito. So che tu hai un perverso desiderio che la gente se ne freghi di te, ma ti dico una cosa: io ho bisogno di te! Mi preoccupo quando stai male, sono triste quando sei giù di morale, do di matto al pensiero che un giorno non ti vedrò mai più. Vado in pezzi perché mi importa troppo, e faccio cose stupide perché ho bisogno di te! E’ così sbagliato?!-

La vista gli si schiarì quando una lacrima scivolò lungo la sua guancia, e Tony non era più lì. La porta di ingresso sbatté.

-E’ così sbagliato…?-

 

___________________________________   

 

 

Dopo quello sfogo Steve non era riuscito a riprendersi per un po’.

Quando si alzò si rese conto di avere aspettato troppo. Tony stava ancora male, e le giornate erano ancora troppo fredde perché lui se ne andasse in giro in quelle condizioni.

La testa gli pulsava mentre girava per le strade guardandosi attorno. Certi passanti lo fissavano, e quando si rendevano conto che anche lui riusciva a vederli nonostante l’occhio mezzo chiuso voltavano in fretta la testa imbarazzati. Doveva essere proprio conciato male.

Era stata una botta tremenda per entrambi, questo se lo aspettava. Anche la reazione di Tony se l’aspettava. Quello che non si aspettava era la sua ammissione di debolezza. Alla fine forse tutti gli innamorati sono egoisti, vogliono fare qualcosa dicendo di agire per il bene dell’amato, ma in realtà vogliono solo stare meglio loro.

Sono deboli.

Ma siamo tutti deboli, pensò Steve, depresso.

Come siamo tutti umani, ed è nella natura umana evitare il dolore.

Però non avrebbe voluto che Tony soffrisse tanto. Non lo avrebbe voluto ma aveva lo stesso permesso che succedesse. Sperava di essere perdonato, comunque.

Ma prima doveva trovare il suo fidanzato.

Aveva già chiamato tutti i loro amici, Bruce, il suo collega di laboratorio al centro ricerche, aveva chiamato Clint e Phil…

Pensò di andare alla stazione di polizia. Magari si era messo in testa di demolire un paio di Macchine della Morte, giusto per attenuare l’incazzatura, e adesso lo avevano risbattuto dentro e stavano riempiendo un blocchetto intero di multe. Steve sarebbe stato ben felice di pagarle tutte pur di rivederlo e chiedergli scusa.

Non sentiva proprio di avere fatto qualcosa di sbagliato, ma voleva lo stesso il suo perdono, perché aveva bisogno di sentirsi dire che tutto era tornato come prima. Magari meglio di prima, ora che non avevano più segreti.

Si diresse alla Stazione di Polizia per chiedere a Bucky e Rumlow se lo avevano visto.

 

Sulla scalinata fuori dalla Centrale c’era un gran fermento: poliziotti in quantità, dimostranti che alzavano al cielo cartelli e striscioni, ragazzi con megafoni che urlavano. Da qualche parte al centro di quella folla dovevano essersi mischiate le carte, perché c’erano poliziotti che gridavano alzando cartelloni di protesta.

Steve passò oltre tutta quella gente ed entrò.

L’atrio non era molto meglio, sembrava di essere in un manicomio in cui avessero aperto le gabbie dei matti.

Adocchiò Bucky che marciava velocemente portando un plico di cartelline plastificate.

-Buck!- chiamò, agitando una mano per attirare l’attenzione.

Il ragazzo sollevò la testa e lo vide, sbirciando da sotto la visiera del berretto da sbirro. Gli si avvicinò e indicò con un cenno il suo viso.

-Steve, ma che cazzo ti è successo?- Poi aggiunse, senza aspettare una risposta: -Senti, oggi è davvero una giornata di merda. Ti dispiacerebbe ripassare un’altra volta?-

Fu tentato di chiedere perché, ma le sue priorità erano altre.

-Volevo solo chiederti se per caso avete arrestato Tony, o anche solo se lo avete visto. E’ sparito da almeno un’ora.-

Bucky sospirò e ci pensò su, stringendo le cartelline.

-Non si è fatto vivo, ma anche se avesse distrutto qualcosa dubito che qualcuno avrebbe trovato il tempo di arrestarlo. L’altro ieri è passata una mozione secondo cui tutti i membri attivi delle forze dell’ordine dovessero obbligatoriamente fare il test della Macchina della Morte. Ne è scoppiato un gran macello. Alcuni sono stati licenziati una volta saputo come moriranno.-

Steve strabuzzò gli occhi.

-Cioè… Vi hanno costretto a fare il test? Ma è legale?-

James si strinse nelle spalle.

-Evidentemente ora lo è.-

-Tu hai fatto il test?-

-Steve, adesso dovresti davvero andartene…-

Dal fondo di un corridoio nacque in crescendo uno scroscio di risate, seguito da una fila infinita di imprecazioni.

-Andatevene tutti quanti a fare in culo!- gridò una voce che conosceva fin troppo bene.

Brock Rumlow sbucò fuori da uno sciame di poliziotti che lo ricoprivano di risate e gli lanciavano ogni tanto, a quel che sembrava, delle merendine. Rumlow saltò addosso a uno di loro, e tutti si buttarono nella mischia.

-Ma che diamine succede?- chiese Steve.

Bucky lo tirò in un angolo, per lasciare che sbirri col pieno controllo delle loro facoltà mentali sedassero la rissa.

-E’ per via del suo cartellino. Lui sperava che preannunciasse una morte dignitosa, eroica… Sai che Brock è uno che non si tira mai indietro quando si tratta di compiti pericolosi da svolgere…-

-E invece come morirà?-

Il viso di Bucky non sembrava propriamente felice, ma le labbra gli si incresparono in un risolino.

-SOFFOCATO DA UNA BRIOCHE. Da ieri gliele fanno trovare dappertutto per il puro gusto di vederlo sbroccare. Gliele hanno messe persino nell’armadietto.-

Steve aveva tante e troppe cose per la testa, e si lasciò sopraffare dall’assurdità della situazione: non capì più come avrebbe dovuto reagire, e si bloccò.

-SOFFOCATO DA UNA BRIOCHE?- ripeté, come se non fosse stato sicuro di avere capito bene.

-Esatto. Non ne è stato molto contento, ma il test lo abbiamo rifatto quattro volte, e non sbaglia.-

-Tu come muori?- chiese il biondino. Non riusciva a non levarselo dalla testa: Bucky era il suo migliore amico.

-Steve, no…-

-Come?-

Sospirò. –OVERDOSE.-

-Ma è ridicolo, tu non ti droghi- protestò Steve, indignato, come se il suo amico fosse stato vittima di un grave errore del sistema. Bucky non disse niente. –Non ti droghi vero?-

-Probabilmente mi licenzieranno, che io lo faccia o no.-

-Ascolta…- gli mise le mani sulle spalle. Stava accadendo tutto troppo in fretta. Aveva problemi seri, immediati, non doveva lasciarsi contagiare da previsioni che si sarebbero potute avverare chissà quando in chissà quale modo. –Tony è andato via di casa e non riesco a trovarlo. Non è che potresti fare qualcosa, che ne so… Dare una sua descrizione agli agenti di pattuglia e chiedere se lo hanno visto…-

Brock Rumlow fece volare una sedia sopra le teste dei suoi colleghi. Si abbassò qualche manganello.

-Steve, siamo nei casini fino al collo. Dammi retta, chiama quelli che conosci e chiedi a loro. Avete litigato altre volte, Tony non può essere andato molto lontano.-

Lo diceva tanto per dire, non sapeva quanto vantaggio avesse Tony su di lui.

Steve lo vide allontanarsi e non darsi pena per la rissa, ci avrebbe pensato qualcun altro.

Decise di uscire e allontanarsi prudentemente dalla Stazione di Polizia.

Sconsolato, tirò fuori il cellulare.

Aveva chiamato quasi tutti, l’unica che restava era Pepper, una vecchia amica di Tony, che lo conosceva fin dalle superiori.

Fece il numero.

-Pronto?-

-Pepper? Ciao, sono Steve.-

-Steve! Come stai? Hai bisogno di qualcosa?- la sua voce era squillante e tranquilla, Pepper Potts aveva classe anche quando salutava qualcuno al telefono.

-Volevo chiederti se… se per caso avessi visto Tony, oggi. E’ andato via di casa e lo sto cercando.-

-Avete litigato?- chiese lei. Nel suo tono non c’erano accuse, forse un briciolo di rimprovero, come quello di una madre verso due figli litigiosi. Probabilmente aveva incrociato le braccia al petto.  

-Ho fatto una cazzata- ammise Steve. –Avevo le mie ragioni, certo, ma ho fatto una cazzata lo stesso. Volevo trovare Tony per chiedergli scusa; in realtà avremmo dovuto parlarne prima che lui scappasse via, ma le cose mi sono sfuggite di mano e abbiamo…-

-Avete litigato, insomma.-

-Abbiamo discusso- precisò Steve. –La conversazione però ha preso una brutta piega.- Stava divagando. Era già confuso di suo, non voleva parlare di quelle cose con Pepper, voleva solo chiarirsi con Tony.

-Senti, se lo vedi puoi dirgli di tornare a casa? Anzi, no. Cerca di trattenerlo. Sta male, in questi due giorni ha avuto la febbre altissima. Cerca di farlo restare in casa e digli che gli devo chiedere scusa, e che voglio parlargli con calma, spiegargli meglio perché… perché ho fatto quello che ho fatto.-

-Se lo vedo sarà la prima cosa che gli dirò.-

-Grazie Pepper.-

-E non preoccuparti, Steve. Sono sicura che tu non abbia fatto nulla di imperdonabile. Lasciagli tempo e vedrai che gli si raffredderanno i bollenti spiriti.-

Steve abbassò la testa, stringendo il cellulare come fosse l’unica sua ancora rimasta in un mondo che stava andando in pezzi.

-Non so se questa volta mi perdona, Pepper.-

Lei rise. –Di solito è lui che combina guai.-

Uno sbuffo, sconfitto. –Sai cosa si dice dei tipi tranquilli… Quando la fanno, la fanno troppo grossa perché ci si possa passare sopra.-

 

 

N.d.A.

 

 

Uhhh, qui alterniamo capitoli scemi a capitoli seri, a quanto pare.

Vabbé, tra una cosa e l’altra è già tanto essere riuscita a finirlo in tempo. Dicono che d’estate uno abbia tanto tempo libero ma è un grande imbroglio; e poi ci sono sempre i viaggi mentali, piacevoli e non piacevoli, ma sempre istruttivi, io credo. 

Cercherò di impegnarmi di più, voglio risollevarmi e trovare motivazione. Altrimenti, come insegna Sherlock Holmes, senza stimoli il cervello va in pappa del tutto.

Ma veniamo a noi: eccoci con la confessione del secolo. E’ egoistico quello che ha fatto Steve, ma penso che chiunque abbia una vena egoistica quando ama qualcuno. E’ il principio di salvare la vita alla gente: veder morire chi amiamo ci farebbe troppo male, perciò li salviamo, anche se sacrificando la nostra vita sarebbero tristi loro.

E’ un circolo vizioso di amore ed individualismo dove non c’è una scelta giusta, alla fine qualcuno ci rimette sempre… che razza di scherzo della vita.

La fine di Brock Rumlow l’avevo già decisa da un pezzo; che ne pensate? A me piace, ma avrete occasione di ragionarci ancora verso la fine, quando rivelerò il futuro di tutti.

Anche quella di Bucky ha uno scopo preciso, ma per questo bisognerà aspettare ancora un pochino.

A presto gente!





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