Le lenzuola sono calde e umide, bagnate delle sue lacrime. Ha pianto
talmente tanto, povera creatura, che pare sia andata a dormire dopo il
bagno senza essersi asciugata i capelli. Le ciocche le stanno attaccate
alle guance rosse, ora rilassate nel momento che precede il sonno.
Peccato che il momento del sonno non è mai giunto durante la
notte per la piccola Hachi. Ha continuato a rigirarsi, nervosa, in
lacrime, disperata, abbracciandomi forte o dandomi calci per
la frustrazione, ma non si è mai veramente addormentata.
Passerà anche la giornata di domani nello stesso stato
pietoso, e probabilmente anche quella dopo e quella dopo ancora.
È fatta così la mia Hachiko, troppo sensibile per
sopportare una cosa del genere. Del resto neanche io saprei farlo.
Mi rigirai nel letto, attenta a non fare movimenti bruschi che
potessero darle fastidio, ma lei dovette rendersi conto del fatto che
mi stavo allontanando, perché mi attirò di nuovo
a sé, con forza. Aveva paura che la lasciassi, che me ne
andassi anche io. Le carezzai i capelli teneramente, e le braccia che
si erano strette attorno al mio corpo in una morsa di ferro si
rilassarono permettendomi la circolazione. Povera piccola Hachi, non
meritava tutto questo.
“Shoji…” la sentì mormorare
nell’incoscienza, chiamarlo ancora e ancora come aveva fatto
per tutto il tempo. Continuava ad invocare il suo nome come uno scudo,
una preghiera. Sicuramente lo sognava anche. Ed ecco le lacrime
scendere di nuovo, bagnare il cuscino e la mia stessa pelle mentre la
abbracciavo stretta. Non me ne vado, volevo dirle, ma non ero in grado
di far uscire quelle parole di conforto che tanto a lungo la mia
compagna di appartamento aveva desiderato. Tutto quello che ero stata
in grado di fare era trasmetterle un senso di disprezzo per non aver
saputo riprendersi il suo uomo. Ma Hachi non gliene faceva una colpa,
non le faceva mai pesare nulla, le permetteva tutto. Era una
coinquilina ideale da quel punto di vista, servizievole e amabile.
Le carezzai ancora i capelli e pian piano le lacrime
scemarono fino a fermarsi del tutto. Poteva sentire il suo calore
cercare di raggiungerla? Poteva percepire con quanto affetto si era
infilata nel suo letto quella sera, con quanta preoccupazione le aveva
stretto la mano?
Era come un cucciolo indifeso. Avevo sempre desiderato un cucciolo da
coccolare nelle fredde notti quando mi rannicchiavo sotto la coperta
senza riuscire a dormire, ma la nonna non me l'ha mai permesso. Gli
animali sono infidi, diceva, ti stanno accanto perché hanno
bisogno di te, non appena si presenta qualcuno di più utile
non ci pensano due volte ad abbandonarti. Del resto sono
così anche gli esseri umani. Lo capiva da come la guardava.
Somigliava troppo a sua madre perché la nonna non facesse
paragoni.
Hachi era un cucciolo, era il suo animaletto domestico. Ma non era
affatto infido. Era debole e bisognoso di cure. Povera piccola, troppo
ingenua per il mondo attorno a lei, avrebbe continuato a soffrire in
eterno senza riuscire a reagire, senza possibilità di fuga.
Una cagnolina in trappola.
Continuai a carezzarla senza nemmeno rendermene conto, come se stessi
in effetti carezzando un cane, mentre riflettevo su come avrei potuto
aiutarla. Ma poi perché avrei dovuto aiutarla? In fondo la
conoscevo da poco, e lei aveva la mia stessa età. Non
c’era ragione di essere così apprensiva, lei
stessa aveva rinunciato a lottare per lui. Eppure c’era quel
calore di fondo, quell’istinto di protezione che non credeva
di essere in grado di provare per una ragazzina a prima vista
superficiale come la sua Hachi. Le posò un bacio leggero
sulla fronte e la vide abbozzare un sorriso. Il suo cucciolo la
riconosceva anche in quelle condizioni. Ma subito dopo al sorriso si
sostituì di nuovo il pianto, e la voce debole e dolorante
della sua amica si fece di nuovo sentire.
“Shoji…!”.
Era un lamento continuo. No, non poteva abbandonarla, ma doveva
lavorare. Non era ancora in grado di sdoppiarsi.
Alzandomi dal letto pensai che in fondo non c’era nulla di
male a lasciarla da sola se continuava a stare sdraiata in quelle
condizioni. Certo, non avrebbe più sentito il suo calore, ma
i cuccioli devono crescere prima o poi. Lei era cresciuta da sola e ce
l’aveva fatta, non c’era ragione per cui non
potesse farcela anche Hachi. In fondo si trattava solo di un giorno,
continuai a ripetermi mentre andavo in camera mia a prepararmi per il
lavoro. Dovevo guadagnare il denaro necessario a mantenere me e il mio
cucciolo.
Se fossi stata una cantante famosa, non avrei avuto bisogno di
lasciarla, sarei rimasta al suo fianco, accoccolate accanto ad un
caminetto acceso, perché avrebbe avuto un mucchio di soldi.
Avrebbe realizzato i desideri del suo animaletto schioccando le dita.
“Shoji…!” sentii chiamare ancora dalla
camera di Nana, ma non poteva farci nulla. Il suo cucciolo doveva
imparare a cavarsela da sola. Avrebbe fatto come gli animali infidi che
diceva la nonna, l’avrebbe lasciata sola a imparare a
sopravvivere. Ma già mentre aprivo la porta
d’ingresso per uscire, il mio senso di colpa cresceva
esponenzialmente. Anche sua madre si era sentita così a
lasciarla o aveva provato solo sollievo? Mi voltai un’ultima
volta a guardare la porta socchiusa della camera del mio animaletto
domestico e abbozzai un sorriso.
“Tornerò presto, aspettami…!”
sussurrai nel buio, mentre uscivo di casa all’alba.
Scesi le sette rampe continuando a sentire i suoi richiami nelle
orecchie, ma quando l’aria fredda del mattino mi
carezzò il volto, quel senso di calore nel mio petto si
attenuò e cominciai a pensare che ero una stupida a
preoccuparmi così tanto. Cosa mai poteva accadere in un
giorno? Mi allontanai senza nemmeno guardare la finestra
dell’appartamento mentre mi accendevo una sigaretta. Non mi
sarei mai abituata a quegli strani sentimenti.
Nelle mie orecchie continuò a lungo a rimbombare il doloroso
suono del suo pianto.
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