Fronte Cancro e Fronte
Ariete:
piccola guerra domestica senza riserve
Normalmente Shintarou
avrebbe
rifiutato un incarico simile e, a dire il vero, fino a pochi giorni
prima non aveva neppure mai preso in considerazione l'idea di finire
a fare da baby-sitter a un bambino.
L'impensabile
si era
concretizzato quando, ricevendo una telefonata di suo padre,
Shintarou non era riuscito a frenare la sua frenetica parlantina e si
era ritrovato ad ascoltare passivamente tutto ciò che aveva
da
dirgli: i suoi zii avevano organizzato da tempo un pic-nic e i suoi
genitori avevano promesso che si sarebbero occupati del bambino, ma
proprio quella mattina, poche ore prima che il nipotino arrivasse a
casa Midorima, suo padre aveva scoperto che era il giorno degli
straordinari e sua madre era stata avvertita all'ultimo minuto di un
convegno alla galleria d'arte, quindi aveva cominciato a pregarlo e
supplicarlo di occuparsi del marmocchio al posto loro.
Ad
esclusione di Sachiko - la sua
sorellina -, Shintarou non aveva mai dimostrato particolare amore per
i bambini: quando li aveva intorno si irrigidiva, lo mettevano in
imbarazzo, soprattutto i più piccoli - pieni di microbi e
detentori
di una lingua sconosciuta -.
Dopo essere
rimasto incollato al
cellulare per almeno cinque minuti, Midorima aveva accettato le
suppliche di suo padre per un motivo ben preciso: non avrebbe potuto
fare diversamente, perché altrimenti avrebbe stravolto i
programmi
degli zii o, peggio ancora, costretto i genitori a violare i loro
doveri.
Suo nipote
si chiamava Akira,
aveva cinque anni e non era esattamente uno di quei bambini calmi,
timidi e riservati, anzi, a pensarci bene, era l'anti-angelo in
persona.
Ancor prima
che i suoi zii
suonassero alla sua porta per affidargli il nipote, Shintarou poteva
già udire, per chissà quale scherzo crudele
dell'immaginazione, gli
strilli acuti e capricciosi risuonare nella camera, e poi il suono
cristallino e vibrante di un vetro rotto, il pianto infinito di un
bambino viziato.
Era da un
po' che non vedeva suo
nipote - quanto? Quasi un anno, più o meno -,
perché, dopotutto,
aveva sempre cercato di stargli alla larga, e si augurò che
fosse
cambiato, ma si accorse di essersi illuso non appena rimasero soli.
Akira era
entrato senza salutare,
e lui, di contro, era rimasto sulla porta per scambiare due parole
con gli zii; appena rientrato aveva visto suo nipote frugare in una
borsa quasi più grande di lui, immergerci la testa e
sospirare
spazientito: probabilmente stava cercando qualcosa che non riusciva a
trovare, ma non aveva ancora cominciato ad urlare e lagnarsi, per cui
Midorima si permise un sospiro di sollievo e cominciò a
raccogliere
le prime, flebili tracce di speranza.
Speranza
che se n'era andata non
appena suo nipote, con urla trionfanti, aveva estratto dalla borsa
una pistola di plastica e gli aveva spruzzato in faccia dell'acqua
gelida.
Dopo la
pistola ad acqua, che era
riuscito a strappargli di mano dopo una corsa frenetica, Akira era
andato in bagno e aveva deciso di confiscare il rotolo di
carta iigenica, per poi srotolarlo lungo il corridoio e in cucina.
Shintarou
non ci sapeva fare con
i bambini: Akira non lo metteva in imbarazzo come gli altri - lo
faceva diventare matto, piuttosto -, e il problema principale era che
non sapeva negoziare.
Dopo aver
chiuso a chiave il
bagno e aver spostato alcuni soprammobili sulle mensole che si
trovavano più in alto, Shintarou si ritrovò a
fissare il cellulare
e a rigirarselo fra le mani, indeciso sul da farsi.
Odiava
chiedere aiuto, ma quella
era una situazione disperata: il Cancro era all'ultimo posto, quel
giorno, e Akira era una maledetta Ariete, la sua nemesi in persona.
Serviva
assolutamente uno
Scorpione che venisse in aiuto al Cancro e mediasse quella guerra,
frenasse almeno in parte le angherie dell'Ariete.
Non aveva
mai avuto occasione di
vedere Takao all'opera con un bambino, ma sapeva che lui di nipotini
ne aveva due e che badava spesso a loro e non si era mai lamentato.
Certo, non era da escludere la possibilità che i nipoti di
Takao
fossero due angeli, ma era comunque l'unica soluzione possibile,
l'ultima spiaggia.
«Devo tenere
d'occhio mio
nipote.»
Un sms che, almeno
all'apparenza,
non pretendeva alcuna risposta in cambio: Takao doveva capire da solo
cosa voleva Midorima, perché lui non si sarebbe mai
abbassato a
chiedere aiuto.
«Buona
fortuna! ◡‿◡»
Nonostante la risposta
immediata,
Takao non aveva capito nulla e Midorima si ritrovò a
sbuffare
indispettito contro lo screensaver del cellulare.
«Cosa
fai?» e come se non fosse
abbastanza, il diavoletto era lì ai suoi piedi, che lo
fissava con
un ghigno dispettoso dipinto sulle labbra.
«Niente.»
Midorima avvicinò il
cellulare al viso, quasi a volerlo allontanare dal nipote: quegli
occhietti lo fissavano così intensamente che gli sembrava
stesse
violando completamente la sua privacy - era peggio di Kuroko -.
«Con
chi parli?»
«Adesso
arrivo, va a giocare.»
anche se avesse risposto alla sua domanda, non avrebbe capito.
Per fortuna
la parola
giocare fu abbastanza invitante per
Akira, che
sgambettò via in tutta fretta.
«Non so come
fare.»
«Ti serve
aiuto~?»
Avrebbe
voluto mandarlo a quel
paese: Takao ci godeva a metterlo in difficoltà, a fargli
dire - o
meglio scrivere - certe cose.
«Portati una
saliera, ne avrai
bisogno.»
«Ti sei
rincitrullito,
Shin-chan? Cosa c'entra una saliera con un bambino? *≗*»
«Non è
per il bambino, idiota.
È il tuo oggetto fortunato.»
Un po' innervosito dallo
sproloquio di Takao, Shintarou inviò immediatamente il
messaggio e
fece per mettere via il cellulare, ma decise di scriverne un altro
per comunicargli anche ciò che aveva omesso.
«Cerca di essere qui
fra
un'ora.»
Fece appena in tempo ad
inviare
il messaggio, prima di udire il suono improvviso di qualcosa che si
schiantava a terra e si rompeva in mille pezzi.
Rimase
immobile per qualche
attimo, il tempo di battere le palpebre e accettare la dura
realtà:
Akira era riuscito ad arrivare anche alle mensole più alte,
e quindi
ai soprammobili che aveva spostato poco prima.
«Oh-!»
a Takao tremarono le
labbra e riuscì a trattenere a fatica una risata: non si
aspettava
proprio di trovare Midorima in quello stato, non lo aveva
mai visto in quello stato.
«Questo
bambino deve essere
proprio una peste per ridurti così, Shin-chan!»
Midorima
raddrizzò gli occhiali
e cercò di sistemare i ciuffi di capelli fuori posto con le
dita,
mentre Takao varcava la soglia avanzando cautamente.
«Akira,
giusto?»
«Sì.»
«E
dov'è?»
«Sta
...» Midorima sospirò
pesantemente «sta costruendo una barricata.»
Takao
aggrottò la fronte e si
voltò verso di lui con aria stupita.
«Cosa?»
Midorima
notò le sue labbra
incresparsi in un piccolo sorriso e arricciò il naso.
«Non
pensare di metterti a fare
baldoria con lui.» ci mancava solo che lo Scorpione lo
tradisse con
l'Ariete.
«Beh,
io ho portato le carte–»
«Non
serviranno. Akira è il
diavolo, non puoi negoziare con delle carte.» Midorima fece
una
piccola pausa e si soffermò sulle tasche della giacca
«la saliera?»
«Non
l'ho portata.»
Un affronto
bello e buono! Come
poteva pensare, Takao, di sconfiggere il primo segno dell'oroscopo
senza l'oggetto fortunato del giorno?
Kazunari,
comunque, non sembrava
preoccupato: si tolse la giacca e la appese con estrema calma
all'appendiabiti, poi si diresse in cucina.
«Cosa
fai?» ormai Takao
conosceva a memoria quella casa e a Midorima non dava più
tanto
fastidio vederlo aprire il frigo, un cassetto piuttosto che un altro
o le credenze - anzi, gli dava l'impressione che Kazunari si sapesse
orientare così bene perché vivevano insieme, ed
era una fantasia
che sotto sotto gli piaceva -.
«Controllavo.»
Takao sospirò
rassegnato e chiuse il frigo «non hai dolci?»
«No,
e se stai pensando di
corromperlo col cibo, non funziona neppure quello.»
Takao
strabuzzò gli occhi,
incredulo: un bambino che non si corrompeva con i dolci era ...
incorruttibile.
Kazunari
sollevò l'indice in
alto e prese una grande boccata d'aria, afferrando con la mano libera
quella di Midorima, che istintivamente cercò subito di
divincolarsi.
«Allora
costruiremo anche noi
una barricata!»
«T-Takao!»
«E
vinceremo la guerra!»
«Ma
sei impazzito?»
«Ma
prima ...» giusto: Takao
non gli aveva ancora dato il buongiorno e non lo aveva ancora privato
dell'aria come faceva sempre.
Kazunari lo
abbracciò e strusciò
la guancia contro il suo petto come un gatto in cerca di fusa, per
poi alzarsi in punta di piedi e dargli un bacio sulle labbra, che
però Shintarou non poté ricambiare al meglio per
paura che suo
nipote spuntasse da un momento all'altro.
Midorima
diede un'occhiata ai
quattro cuscini rossi in fondo al corridoio, poi ai quattro verdi
dietro i quali si nascondevano lui e Takao, e piazzò fra di
loro una
statuina di un kappa e una saliera recuperata dalla cucina.
«E
questa roba?»
«I
nostri oggetti fortunati.»
si pronunciò con risolutezza, inforcando gli occhiali
«Akira ne è
sprovvisto, quindi adesso abbiamo buone probabilità di
vincere.»
Takao
rimase ad osservarlo in
silenzio, poi sorrise.
«La
stai prendendo sul serio,
Shin-chan!»
Troppo sul
serio, ma Midorima se
ne rese conto solo quando l'altro glielo fece notare e
arrossì
appena, sbuffando nervosamente: che idea sciocca chiamare Takao per
farsi aiutare con un bambino! Era logico che Takao sarebbe diventato
bambino a sua volta, e a lui non rimaneva altro che unirsi al coro -
dopotutto come si dice? Se
non puoi sconfiggerli,
alleati -.
«Ehi
Shin-chan, che munizioni
potrebbe avere, il piccoletto?»
«Avevo
intravisto dei pupazzi
nella sua borsa.»
«Ho
capito, allora uno di noi
dovrà sottrargliela.»
«Due
contro uno? Non è valido!»
Akira non aveva interesse di conoscere l'identità del nemico
che
faceva da spalla a Shintarou, ma voleva combattere, voleva esortarli
a muoversi.
Midorima
avrebbe voluto dirgli
che lui era il primo dell'oroscopo e che quindi non aveva bisogno di
una mano, ma poi pensò che da brava Ariete qual era si
sarebbe
montato la testa e lasciò perdere.
D'un
tratto, qualcosa fendette
l'aria e la barriera di cuscini verdi tremò.
«Un
orsacchiotto di pezza ci ha
colpiti! Passiamo al contrattacco!» Takao ci aveva
già preso gusto,
e poi avevano a disposizione una scatola piena dei vecchi oggetti
fortunati di Midorima, quindi avevano una scorta di munizioni esigua
e molto varia.
«Shin-chan,
controlla la
situazione!»
Shintarou
si era arreso
all'evidenza e spiò dalla minuscola fessura fra due cuscini.
«Non
registro alcun movimento
sospetto.»
Takao
afferrò un coniglietto di
gomma e lo osservò con decisione, determinato, come se quel
tiro ne
valesse della loro vita.
«I
tiri li lascio a te,
Shin-chan.»
«D'accordo,
tu cerca di
intercettare l'arrivo dei pupazzi.»
Non avevano
paura: loro erano la
luce e l'ombra della Shutoku, ormai conoscevano i segreti del lavoro
in squadra.
Come
previsto, il primo tiro andò
a segno e colpì la barricata rossa, ma l'unico risultato
concreto fu
il mugolio pieno di disappunto di Akira, ancora al sicuro al di
là
dei cuscini.
«Adesso
vi faccio vedere io!»
«Ne
arrivano due!»
Anche
Midorima vide quei due
pupazzi in avvicinamento e pensò che sarebbe stato umiliante
essere
sconfitto da uno scoiattolo di peluche, ma erano così vicini
che
sembrava già tutto perduto: Akira era un ottimo tiratore,
anche se
non se ne rendeva ancora conto.
Midorima
chiuse gli occhi e si
appiattì contro il pavimento, ma un suono improvviso,
rassomigliante
allo sbattere d'ali di una colomba, attirò la sua attenzione
e lo
invitò a sollevare le palpebre: Takao aveva trovato un
ombrello ed
era riuscito ad aprirlo in tempo per usarlo come scudo.
«Non
è valido!» Akira si
lamentò di nuovo.
«Ognuno
si arrangia con quello
che può! Siamo in guerra!» e Takao rispose, per
poi sollevare il
viso e dare un occhiata al telaio verde acqua dell'ombrello.
«Ti
ricordi, Shin-chan?» senza
scostare gli occhi dal telaio, sorrise.
Midorima
sentì le guance
pizzicare e si mise a frugare nella grossa scatola: certo che se lo
ricordava, come poteva dimenticarlo? E Takao, dal canto suo, lo
capì
e non disse altro, ma si limitò a sorridergli: si erano dati
il
primo bacio, sotto quell'ombrello.
Shintarou
strinse fra le mani uno
di quegli stupidi giocattoli gelatinosi e colorati, segnalando al
compagno che era pronto a tirare, ma evidentemente quell'ombrello li
aveva distratti così tanto da fargli dimenticare che c'era
qualcun
altro oltre a loro, così, quando Kazunari lo
scostò, un'ondata
d'acqua fredda colpì entrambi in pieno viso e la risata
satanica di
Akira gli ruppe i timpani.
«Akira!»
Shintarou sbottò
immediatamente e cercò di afferrarlo, mancandolo
completamente a
causa degli occhiali zuppi e, quindi, della vista nulla; Takao,
invece, sembrò prenderla con più spirito e rise,
riuscendo ad
acchiappare il bambino senza neppure troppi sforzi.
«Ognuno
si arrangia con quello
che può, giusto?»
«Ma
sei sicuro di avere cinque
anni? Sei un genio del male o cosa?»
Akira rise,
forse a causa
dell'elogio, forse grazie all'euforia di averli colti alla sprovvista
o forse perché Takao aveva deciso di infliggergli una
punizione
facendogli il solletico ai fianchi.
Forse
Kazunari era così bravo
con i bambini perché era un po' bambino anche lui, e
Midorima, dal
canto suo, pensò che sarebbe stato meglio tornare adulto,
che
sarebbe stato meglio prendersi cura di quei due e, soprattutto,
procurarsi un phon, in modo che Takao non prendesse il raffreddore.
Dopo aver
passato il pomeriggio a
giocare a carte - a quanto pareva Takao era riuscito a fargliele
apprezzare - e aver divorato la cena, Akira era crollato davanti al
televisore.
«Tuo
nipote è davvero una
peste, Shin-chan.» Takao sussurrò appena contro il
petto del
compagno, rivolgendo una rapida occhiata al bambino addormentato
accanto a loro.
«Però
è simpatico.» gli si
chiudevano gli occhi: non si era mai impegnato tanto per tenere a
bada un bambino.
«Non
pensavo te la cavassi così
bene con i bambini.» anche Shintarou era stanco, e aveva
finito per
sussurrare, con la testa aderente a quella di Takao e la schiena
sprofondata nella morbidezza del divano.
«Mi
piacciono i bambini, sono
così ... spensierati e felici.» quando
sentì l'altro rafforzare un
poco di più la stretta, Kazunari chiuse gli occhi e sorrise,
pensando che dopotuto anche lui e Shintarou erano spensierati e
felici e che vederlo tornare bambino, anche se solo per pochi minuti,
era stata una delle cose più belle che gli fosse mai
capitata.
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