Joyce is dead
Decidemmo
di voltarci un’ultima volta insieme verso la strada, dopodiché ognuno sarebbe
andato per la sua strada, almeno per un’oretta.
Una
fitta nube nera si alzò ad un solo isolato da noi, levandosi sui palazzi e
sulle macchine come un terribile presagio. Vedemmo la gente che, nonostante
l’ora fosse tarda, si accalcava lentamente intorno alla sorgente di quel nero
miasma. Nel preciso momento in cui ci incamminammo insieme verso quel luogo
ancora poco definito sapevo perfettamente che quello sarebbe stato il suo
ennesimo tentativo di seguirmi, di non lasciarmi solo quella notte, anche se
sarebbe stato per una sola ora. Una sola ora di una sola notte nell’arco di
alcuni mesi di vita. Camminava al mio fianco e non parlava, assoggettato alla mia
ostinazione e alla nube torbida che si alzava sempre più alta. Non capivamo ancora da dove precisamente si
alzasse. Istintivamente l’odore lattiginoso del disastro mi suggerì l’immagine
di un autoveicolo ribaltato ed agonizzante sul nero asfalto; ed in effetti
quella non era l’unica spiegazione plausibile. Si poteva trattare anche di un
locale in preda ad una violenta emorragia gassosa.
Quando
fummo a pochi passi dalla sorgente di quella secrezione volatile fu tutto più
chiaro. Sebbene avessimo tacitamente deciso di non attraversare la strada per
andare a controllare di persona cosa fosse accaduto, si scorgeva chiaramente la
porta di un locale straziata dalle fiamme. Era aperta come una bocca in preda
ad una tortura, e perdeva fumo nero. Intorno a questa cornucopia del torbido
miasma, angeli con borsette, zainetti e altri strumenti attingevano dolore e lo
distribuivano ai piani più bassi della fetida rosa.
Il
mio sguardo doveva essere perentorio, poiché quando fummo tornati sui nostri
passi la sua resistenza si era fatta più tenue, e intravidi chiaramente la
realtà di un’ora di solitudine in quelle cloache meravigliose.
Pochi
passi, e sparì dietro quella porta con una scia di lacrime silenziose, in preda
al terrore di aver fatto la scelta sbagliata, di aver mancato ad un impegno
importante, di non aver atteso a quello che agli occhi di chiunque sarebbe
stato il suo dovere. Io non la pensavo
così, ero convinto dell’importanza del mio gesto, cosciente della possibilità
di fornire un campo di esistenza a tutte le idee di me.
Avendo
già dedicato troppo tempo agli ultimi sguardi, decisi di incamminarmi lungo
quelle vene sporche.
Scorrendo
anonimo e labile, insieme al flusso di carta, polvere, nubi nere e ansie
mortifere non coglievo improvvisamente la differenza tra me e tutto l’anonimo
dolore che sembrava pervadere le strade di Londra. No, non c’era un briciolo di
compassione per me in quelle impressioni. C’era una verità scritta a lettere
putride su tonnellate di pagine consumate e unte. Non c’era una sola parte di
me che si potesse salvare, dopo la sua dipartita, dalle esalazioni che
provenivano da ogni parte della mia anima.
La
notte possedeva gran parte delle persone nel mondo, mentre mi apprestavo alla
discesa nell’Averno di quei soffi spenti. Non c’era la volontà di riconoscersi
il minimo merito in quella severa nottata, c’era terreno per il disprezzo della
mia condotta e della mia persona. Non una parte di me riusciva a non
mimetizzarsi alla perfezione con l’aspetto meschino e corrotto di quelle vie polverose.
Non c’era assolutamente nessuna possibilità che la mia torpida presenza potesse
destare lo stupore di quelle quattro mura bigie, non c’erano gli elementi a che
io rappresentassi la bianca luce che si staglia con grande contrasto e
scintille contro la barriere del grigio. La sporca barriera del grigio.
Assolutamente nessuna possibilità, assolutamente nessuna scappatoia. Le
scorciatoie, poi, erano qualcosa di assolutamente impensabile. Non c’era nesso
logico che mi rendesse padrone del flusso della mia riflessione.
Nascita
morte dignità si stagliano con ardore sul piano esterno dell’anima mentre
coraggio e sofferenza creano un violento contrasto sul piano etico-sociale
Proseguire la strada verso la dignità significa accettare la propria
appartenenza al mondo sporco e rinnegare tutto ciò che si è o si è voluto
diventare non c’è riposo per una mente stremata che desidera intraprendere il
cammino nella vie sporche e affollate della coscienza infelice dove nascono le
convinzioni di gloria e veridicità nello stesso avvengono complicati processi
gnoseologici che conducono l’anima all’affermazione totale della propria
onniscienza malata Non c’è speranza di uscire indenni da un contrasto interno
etico tra coraggio e dignità da una parte e gloria pensata e poco autostima
dall’altra benché talvolta si riscontrino casi di sopravvivenza si finisce
quasi sempre per preferire la morte Se non la prima morte che sembra allora
sempre in ritardo rimane sempre la morte dell’anima la seconda morte temuta da
Dante poiché tutti ci troviamo oggi nella selva oscura e la retta via credetemi
è sempre stata smarrita per quanto si possa credere abbiamo sempre tentato di
rinvenirla da qualche parte tra idea di bene e idea di giustizia Non si
riscontrano casi di morte dell’anima manifesta ma solo situazioni di bilico
intellettuale risolvibili con lenti pellegrinaggi dove il sole arriva meno
filtrato dove l’autocoscienza si guarda allo specchio rischiarata dai raggi di
un sole che vede solo la verità delle cose l’onestà intellettuale è difficile
da conquistare.
Quella,
tuttavia, doveva essere la mia serata. Le mie caratteristiche mi avevano
imposto una secessione rapida e non indolore dal gruppo, ma ero fermamente
intenzionato a perdermi in quella dolorosa speculazione, forte del fatto che la
lontananza da casa, si sa, è per siffatte questioni il miglior analgesico.
L’eccitazione
che al solo pensiero mi pervadeva si dimostrò non essere una semplice fantasia
della mia mente. Essa mi prese realmente man mano che i miei piedi si
sporcavano di quel peccato enorme. La rinuncia allo stato di angelo, incorrotto
e privo di quella colpa terribile che è la vita, impose al mio ventricolo
destro l’entrata in una macina. Insanguinato, tuttavia, scelsi di uscirne per
continuare il mio tragitto. Non poteva esserci, in quella tremenda condizione
di frustrata indegnità, una rapida risoluzione. Tuttavia, la visione dei
palazzi grigi che si stagliavano nella notte mi ricordò che
Io
non differisco molto da Joyce ha strappato per sempre il romanzo tradizionale
gettandolo in pasto alle certezze del lettore che venivano meno in un’epoca di
grande dubbio e di grande incredulità di fronte a sconvolgimenti sociali
politici religiosi economici Io strappo le pagine del certo romanzo della mia
vita un finale prestabilito non si adatta ai mondi delle cloache e dei miasmi
che sporcano una vita pura al massimo delle sue potenzialità che può essere ciò
che vuole mentre là fuori imperversa il flusso di uomini di carta persone che
si sono inquadrate nel proprio mondo e sono state capaci di trovare un posto che le rendesse soddisfatte
e cariche di entusiasmo Io non sono così io strapperò le pagine del mio romanzo
quando il finale sarà troppo chiaro io sono poco convenzionale io sono un
flusso io sono Joyce io sono divino io sono il più grande io sono quello che
nessun altro può aspirare ad essere io ho ottenuto il dono della comprensione
io comprendo i destini io capisco io mi relaziono all’ambiente io mi tramuto in
Joyce in libro in coltello in sangue in
casa in drammatico miasma nell’idea
Di
me.
Ma
Dublino è lontana…
E
Joyce…
Joyce
è morto.