Mi chiamo Angela Brown, ho 33 anni e sono una
docente di lettere classiche all'università di Edimburgo.
Questa è la mia storia.
Era una rovente giornata di fine luglio: 42°C sotto il sole, 37°C
all'ombra, 26°C in un luogo chiuso (con l'aria condizionata impostata su 18°C),
4l di acqua minerale naturale nella borsa termica, crema solare e crema
dopo-sole rispettivamente nella tasca destra e sinistra dei jeans, fotocamera
digitale sempre alla mano e cellulare Nokia, modello "a conchiglia",
fuori moda nella taschina della cinghia sinistra del mio zaino.
Un clima così torrido non è anormale in Grecia, comunque, ho sempre
preferito temperature un po' più miti.
Io e Max ci sentivamo la coppia più felice del mondo...
Di frasi del genere, deduco, se ne sentono spesso. Ogni coppia, prima o
poi, dice la sua.
A lui piaceva visitare musei archeologici (in particolare, quelli con
l'aria condizionata), io preferivo scattare foto alla natura, o meglio, usare
la natura come sfondo per i miei autoscatti. Era un mio piccolo hobby.
Ogni volta che andavamo in vacanza o in un posto dove non ero mai
stata, approfittavo dell'occasione per scattarmi un mucchio di foto.
Incredibile, quanti album ho riempito con quelle foto e quanti ho dovuto
comprarne.
Ci trovavamo in uno di quei siti archeologici "da non
perdere" e io avevo gia fatto una decina di
autoscatti.
Avevamo percorso tutto il sito, finendo il giro in prossimità del
"punto panoramico".
Il posto era bellissimo, la vista superba...
Erano più o meno le 10 e mezza. A quell'ora non c'era quasi più
nessuno.
L'afa era tremenda. Ci sembrava di soffocare.
All'improvviso, Max si avvicinò e chiese se poteva scattarmi una foto.
Naturalmente, io acconsentii e gli domandai dove dovevo mettermi.
Senza esitare, lui rispose indicandomi il "punto panoramico".
Gli diedi la mia fotocamera e, zaino in spalla, mi diressi verso il
punto indicatomi.
Mi fermai a circa 20cm dal bordo. Non soffrivo di vertigini,
sfortunatamente.
Fu lì che accadde, fu lì che scoprii chi era veramente mio marito...
Ebbi appena il tempo di girarmi verso Max, con un sorriso gia pronto per lo scatto, che me lo trovai davanti.
Il mio sorriso svanì più in fretta di quanto il cervello ci mise per
comprendere la situazione.
Non riuscii a reagire abbastanza velocemente da graffiarlo o
respingerlo.
Mi diede un fortissimo spintone con entrambe le mani, colpendomi sulle
spalle.
Si dice che, quando uno sta per morire, tutta la vita gli passi davanti
agli occhi.
Beh, non è esattamente vero...
Prima di schiantarmi con violenza al suolo, l'unica ed ultima cosa che
ho pensato da viva è stata: perché l'hai fatto?
Poi, il buio più totale.
A tutt'oggi non ho ancora una risposta, ma, in fin dei conti, a che
servirebbe averla, ormai?
Una cosa la so, però: mio marito si è preso l'ergastolo per quello che
mi ha fatto e ne sono felice.
Come lo hanno incastrato? Diciamo che si è trattato di uno strano
scherzo del destino.
Ricordate il mio cellulare? Quel Nokia fuori moda nella taschina sulla
cinghia sinistra del mio zaino.
Non me ne ero assolutamente accorta e, probabilmente, neanche Max.
Lo spintone, quello che mi diede e che mi fece volare di sotto, lo
colpì su uno dei tasti laterali.
Proprio su quello che accendeva la videocamera integrata.
Certo, l'impatto lo ruppe, ma prima di ciò, riprese tutta la caduta...
Compresa la faccia del mio caro maritino, fermo ad osservare la caduta
e la mia morte.