Do you want to build a
snowman?
(i doesn't have to be a snowman)
Il bambino più
piccolo sorride, eccitato, guardando il compagno di giochi intento a
fare una delle sue meravigliose magie.
Fra le sottili dita
scure i fiocchi di neve si addensano e vorticano velocemente su se
stessi, fino a formare una palla di neve grande quanto il palmo della
mano che la sorregge. Il suo creatore sbircia con circospezione lo
spettatore di tale prodigio, ritrovandosi poi a sorridere per
l'espressione di puro stupore e gioia che si riflette in quegli occhi
dorati come il sole estivo.
«Aominecchi,
facciamo un pupazzo di neve?» trilla, eccitato, sporgendosi
verso il più grande con occhi spalancati e un sorriso che va
da guancia a guancia, accentuando le adorabili fossette su quel visino
infantile.
Daiki esita un istante,
giusto uno, poi annuisce vivacemente e porge una manina fredda
all'amichetto che la stringe forte nella sua coperta da una piccola
manopola di un acceso giallo canarino. Ed è con una risata
scampanellante che lo trascina via con sé.
Gli occhi blu sono spalancati e
guardano con orrore il corpicino riverso a terra.
E' immobile, la sua
pelle troppo pallida e fredda come la neve che lo attornia e gli fa da
culla, ricoprendo il pavimento. Fra i capelli d'oro è
comparsa una ciocca bianca che non può fare a meno di
rimanere a fissare. Ha le labbra blu, una ragnatela di sottilissimi
fili di ghiaccio si arrampica sul petto, proprio sopra il cuore,
formando arabeschi ed eleganti ghirigori sulla stoffa che non lo
riscalda più.
«Ryouta-kun...
Ryouta!»
Sente la voce dei suoi
genitori chiamare l'amico, ma non riesce a distogliere da lui lo
sguardo neppure quando il padre lo prende fra le braccia e lo scrolla,
senza ottenere risposta.
«Daiki-chan, cosa hai fatto...?»
Solo quando le mani di
sua madre si poggiano con delicata disperazione sulle sue piccole
spalle riesce finalmente ad alzare su di lei lo sguardo. Ed accorgersi
di stare piangendo.
Kise ride, argentino, correndo
lungo la scalinata che porta al piano di sopra. Sembra che nulla sia
mai accaduto e, anche se adesso si ritrova con una strana ciocca bianca
fra i capelli, sembra la stessa irruente piccola peste di sempre. Fuori
nevica, finalmente, e non vede l'ora di andarlo a dire al suo amichetto
per correre fuori a giocare insieme.
E' da così
tanto tempo che non lo fanno più, e non capisce
perché. Non comprende proprio perché Daiki non
esca mai dalla sua stanza e non voglia più vederlo.
Ma lui ci prova,
proprio come ogni volta, non ha alcuna intenzione di demordere forte
della testardaggine che sembra in lui essere congenita al pari dei
luminosi occhi dorati che fissano con ansia e aspettativa la porta
della cameretta del più grande.
Rimane fermo per
qualche istante e poi, preso un piccolo respiro che gli gonfia le
guanciotte, si fa coraggio e bussa vivacemente contro il legno.
«Ehi,
Aominecchi? Sei già sveglio oppure dormi ancora? Giochiamo
insieme, dai!»
Solo il silenzio,
però, proviene dall'altra parte. Proprio come ogni altra
volta.
Il sorriso sul viso del
bimbo si ridimensiona, diventando una smorfia triste, e la manina si
apre appoggiandosi alla superficie di legno e scivolando piano verso il
basso in una carezza rassegnata, quasi sperasse che chi è
trincerato dietro di essa possa avvertirla.
«Da quando
non ti vedo più... io mi sento tanto triste. Mi manchi
molto, lo sai?» mormora, accucciandosi ai piedi della porta
ed appoggiandovi le esili spalle, rannicchiato su se stesso.
Non sa che, dall'altra
parte, il piccolo Aomine è seduto in una posizione speculare
alla sua e serra con forza gli occhi, premendosi le manine gelide
contro le orecchie per non sentirlo. Per evitare di venire trafitto
anche da quel dolore.
«Tu sei il
mio migliore amico! ...o forse no. Che cosa ti ho fatto?»
Suona tanto triste la
voce di Ryouta, mentre nasconde il viso fra le braccia e trattiene le
lacrime per non mostrarsi debole. Daiki gli sbotterebbe contro e di
sicuro vorrebbe vederlo ancor meno di adesso.
Però
è vero. Aominecchi è il suo miglior amico, non
può buttare la spugna in questo modo e non tentare il tutto
per tutto.
Allora il piccolo Kise
balza in piedi, in tutta l'altezza data dai suoi sei anni,
aggrappandosi con rinnovato vigore alla maniglia della porta e
strattonandola, sebbene sappia che sia chiusa a chiave da dentro.
«Se... se me
lo spieghi, poi possiamo fare un bel pupazzo insieme, che ne
dici?» trilla di nuovo, speranzoso, borbottando la domanda
contro la fessura della toppa che ne distorce la voce infantile.
Ma la speranza muore
presto nei suoi occhi, nel sentire finalmente un cenno di vita
dall'altra parte.
«Vai via,
Kise.»
La voce di Aomine suona
strana, soffocata, ma non per questo meno perentoria delle altre volte.
Kise lascia andare la maniglia ed abbassa il capino, abbassando
desolato le piccole spalle, prima di dare la schiena alla porta ed
andare via.
«Ok,
ciao.»
Il principino trattiene
il respiro fino a che i passi dell'amichetto sono abbastanza lontani.
Poi stringe forte le mani in pugni e le batte sul pavimento.
Piccoli fiocchi di neve
continuano a cadere, ricoprendo di bianco ogni cosa.
«Se indossi questi
andrà tutto bene» mormora con voce morbida e
rassicurante la Regina Madre, aiutando il figlio a indossare dei
piccoli guantini azzurri.
Stringe le manine del
suo bambino fra le sue, leggendo in quei profondi occhi blu tutta la
disperazione e la paura di un bambino di otto anni che non riesce a
capire cosa gli sta accadendo e perché proprio a lui.
«Celare,
domare, non mostrare.»
Sussurra in una litania
la donna.
Il bimbo prende un
respiro, annuendo e guardando con terrore il padre alle spalle della
donna che gli sorride, incitandolo ad essere coraggioso.
«Celare, domare, non mostrare.»
ripete, con voce tremante, per poi indietreggiare di scatto quando la
temperatura si abbassa di colpo e i muri della stanza si ricoprono di
un reticolo trasparente di ghiaccio.
Fissa i genitori come
un animale in gabbia, rintandosi in un angolino e stringendo forte le
mani inguantate fra di loro.
«No che non
andrà tutto bene, va sempre peggio!»
«Daiki-chan...»
«No! Non
avvicinatevi! Non... non voglio farvi del male!»
Il Re e la Regina si
guardano con apprensione. Nei loro occhi tutto il dolore per
l'infelicità di quel loro, unico, amato figlio.
Il ragazzino che sale le scale
a due a due non deve avere più di quattordici anni,
è alto e allampanato come tutti i ragazzi della sua
età che non hanno ancora smesso di crescere e non sanno di
preciso cosa diventeranno; certo è, che a guardarlo
già da ora, è più che chiaro a tutti
che il giovane principe delle Terre del Sud sia stato baciato nella
culla dalla Beltà in persona. Oltre ad essere un piccolo
tornado che non riesce mai a stare fermo per più di qualche
minuto.
Crescendo la sua voglia
di vivere non è diminuita, così come non
è scomparsa ma, anzi, aumentata la sua
caparbietà. Soprattutto nel continuare ad andare a bussare a
quella porta.
«Sei
già in piedi oppure dormi ancora, pelandrone? Ti va di fare
un giro insieme?»
Chiede, speranzoso come
tutte le volte precedenti, dopo aver bussato con foga contro il legno
che ha imparato a conoscere negli anni più dell'aspetto del
proprietario della stanza.
Quasi non ricorda
più com'è fatto il principe di Akita, nonostante
siano stati insieme sin da quando può rammentare.
Eppure, ad un certo
punto, qualcosa si è rotto. Non ha mai capito cosa sia
successo per provocare un tale allontanamento fra di loro, un frattura
che è sempre sembrata insanabile ma che non si è
mai arreso all'idea di non poter guarire.
Sospira, picchiando la
fronte contro la porta all'ennesimo silenzio di risposta. Non che si
aspetti altro, ma un po' ci sperava.
«Mi annoio
troppo, non ne posso più. Parlare alla servitù
non è poi un granché.» prova a fare
leva sui sensi di colpa, lagnandosi come tante altre volte ha fatto.
Ma, anche questo, non ottiene alcuna risposta. Nemmeno prendere in giro
i servi serve a qualcosa, anche se sono stati la sua unica compagnia in
ognuna delle visite al Regno dell'amico.
«Giochiamo
con la neve!» esclama, esasperato, battendo una manata contro
il legno. «O come vuoi... ma esci di lì, ti
prego.»
Solo e soltanto il
silenzio, spezzato dal sordo ticchettio del pendolo alle sue spalle.
Quella è stata la sua compagnia per otto, lunghi, anni
passati a bussare senza ottenere il minimo accenno di risposta.
Indietreggia, guardando
con tristezza quel muro che lo separa da chi è per lui tanto
importante, nonostante tutto.
Forse, però,
è arrivato il momento di arrendersi.
Avevano detto che sarebbero
tornati presto. Avevano detto che sarebbe andato tutto bene e che non
c'era nulla di cui preoccuparsi, anche se li aveva pregati di rimanere.
Di non lasciarlo solo.
«Bugiardi.»
Avevano mentito, come
del resto sempre si erano ritrovati a fare.
Ed ora che il pesante
velo nero viene calato sul ritratto dei Reali di Akita e nelle orecchie
non ha altro che il rumore del mare e le parole di conforto del prete
rivolte a due lapidi sulla scogliera bianca, comprende di essere
rimasto davvero solo.
Sebbene Kise sia
proprio lì, a qualche metro da lui, vestito a lutto e con lo
sguardo basso mentre i Consiglieri annunciano che presto
dovrà essere incoronato a nuovo Sovrano del Regno. ''Perché il popolo non
può rimanere senza una guida, Vostra Altezza''.
Un sogghigno amaro,
ferino, gli piega dopo anni le labbra che credeva essersi congelate
insieme alla sua pelle ed il suo cuore.
Ma lui, ovviamente,
sì.
Il ragazzo dai capelli dorati,
ormai giovane uomo, esita nel chiudere la mano in pugno e finisce per
poggiarla delicatamente contro la superficie lignea, ghiacciata
più di quanto lo sia mai stata. Fa male, brucia quasi la
pelle, ma non riesce a non cercare un minimo di contatto con colui che
sa essere trincerato dall'altra parte.
«Aominecchi...»
la sua voce suona rotta dai singhiozzi che si è sforzato di
trattenere fino a quel momento.
Non sono i suoi
genitori, ad essere morti, questo è vero. Ma il Re e la
Regina sono sempre stati molto buoni con lui, quasi fossero degli zii,
per il legame che ha da generazioni unito le due famiglie reali.
E può solo
immaginare il dolore che adesso deve provare il suo amico. Il futuro
regnante di Akita è rimasto del tutto solo, non ha
più nessuno al mondo e si ritrova con un peso troppo grande
per lui sulle spalle.
Lui, che non
è mai uscito da quella stanza. Come farà?
«...puoi
lasciarmi entrare? Prima eri sempre accanto a me. Vorrei capire
perché proprio tu, non mi vuoi più insieme a
te.»
Ci prova, ci prova per
l'ultima volta a cercare di capire. Di capirlo.
Tira piano su col naso,
chiudendo gli occhi da cui sgorgano calde lacrime che scivolano lungo
la pelle chiara e si infrangono sul pavimento. Vorrebbe abbracciarlo
perché, anche così, lo sente piangere insieme a
lui malgrado tenti di nasconderlo.
Lo desidera con tutto
se stesso, ma c'è quella dannata porta.
«Ed ora che
farai? Rimarrai chiuso lì dentro, da solo? Quale... quale
conforto potrai mai ricevere, se non-»
«Non voglio
alcun conforto! No-n... non desidero la tua pietà!»
La sua voce sembra il
ringhio di un animale selvaggio, arriva prepotente ed inaspettata e gli
fa sbarrare gli occhi e quasi indietreggiare per lo spavento.
«Aominecchi...
Daiki...» prova, appoggiando la mano sulla maniglia gelida.
«Va via Kise.
Non voglio vederti.»
Il principe singhiozza
ancora, cadendo seduto sulle ginocchia, appoggiando la fronte contro il
legno e con essa i palmi di entrambe le mani ai lati del capo.
Non lo sa, non lo sa
che la stanza a cui non può accedere è
completamente ghiacciata ed in balia di una tormenta di neve. Come non
sa che il giovane uomo dalla pelle scura che la abita da anni ha le
mani appoggiate proprio dove le tiene lui, e rimane ad ascoltare il suo
pianto mentre le piccole lacrime che sfuggono al suo controllo si
cristallizzano sulle guance brunite prima di riuscire a toccare il
suolo o le sue vesti.
«Ora tu mi manchi troppo...»
Trattiene il respiro,
avvertendo ancor più freddo mentre pronuncia quella singola
parola.
«Vattene.»
E, questa volta, sa che
Ryouta gli ha dato ascolto.
Ora è
realmente solo. Solo lui e il ghiaccio che gli scorre nelle vene. E il
destino di un intero Regno nelle sue mani capaci solo di portare freddo
e dolore.
Chiude gli occhi,
stringendosi con forza nelle braccia senza riuscire a sentire alcun
calore. Dietro le palpebre serrate può vedere ancora un
sorriso splendente come sole, inalterato nonostante sia passato troppo
tempo dall'ultima volta in cui l'ha potuto vedere e non solo percepire
attraverso una porta, ed è a questo che si aggrappa.
E' rimasto solo, e
questa sarà l'unica cosa che potrà donargli. La
certezza di una vita al sicuro.
E' rimasto
solo. Ma
è meglio così.
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Angolino
di Red: è
un male quando accade che le fissazioni ti si ripresentino a
tradimento. Sottoforma di versioni maschili di certe canzoni
adorabilmente tristi (anche se, ammetto, che Anna mi sta poco poco sulle
scatole...)
Questo
tentativo di crossover con Frozen non è niente di che, ma ho
provato comunque a buttarlo giù. Devo dire che, nonostante
le mie incertezze, non mi dispiace poi troppo com'è uscito.
Sono ancora triste per tutti e due, poveri cuccioli.
Specifico che Daiki e Ryouta non sono fratelli, ma amici d'infanzia.
Entrambi principi di due regni confinanti le cui famiglie reali sono
sempre state molto unite, per questo il nostro Kise era così
di sovente a rompere le scatole a casa dell'altro e ha partecipato ai
funerali del Re e della Regina. Daiki risulterà un po' OOC,
ma ho cercato di renderlo più coerente possibile con il suo
personaggio e il timore di un bambino costretto a nascondersi per non
essere chiamato mostro e non fare del male a nessuno.
Arh, non
riesco proprio a scrivere cose felici e allegre mannaggiame.
Se
avrò tempo, voglia, ispirazione, scazzo (soprattutto quello)
magari proverò a scrivere qualcos'altro. O anche no.
Adesso passo e
chiudo e torno a sciogliermi nella mia stanzetta - ci vorrebbero i
poteri di Aomine/Elsa, ogni tanto...
AoKi ora e
sempre, ricordate! Sì, sì, vado.
PisssandloveH
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