Solo grazie a te

di Usagi Kou
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bella vampire

Ero seduta in quell’angolino da chissà quanto tempo, ormai.
Rannicchiata su me stessa, le ginocchia al petto, cinte dalle braccia candide; la schiena mi doleva per la posizione scomoda, ma non ci badavo.
Meritavo quel dolore. Meritavo di trovarmi rinchiusa lì.
Lo meritavo perché ero un mostro.
Chiusi gli occhi cercando di ricacciare indietro le lacrime, ma non ci riuscii.
Posai la testa sulle ginocchia con un singhiozzo, lasciando che le lacrime sgorgassero senza freno dai miei occhi.
Ero un mostro, lo sapevo benissimo. Sia per la gente normale sia... per gli altri, come me.
Nessuno mi avrebbe più aiutata; nessuno mi avrebbe più ascoltata; nessuno mi avrebbe più amata.
Non avrei mai conosciuto gli affetti di una casa, di una famiglia, di una persona da amare.
Ma del resto, come potevo io, un esperimento curioso, una creatura unica nella storia, ambire a mete così alte?
No. No, io meritavo solo la morte. Ma non mi era concessa neanche quella.
Al mondo, mi avevano detto, non esiste altra creatura come te.
Allora sono uno sbaglio
, avevo risposto, non dovrei esistere. Per favore, per favore, uccidimi! Ti prego!
Ah, ah, ah, ah! Mia cara, ma cosa dici!
mi avevano risposto divertiti Tu sei speciale, davvero speciale, e noi dobbiamo conoscerti meglio!
Voi... mi tenete qui... per studiarmi?!
avevo chiesto tra i singhiozzi, incredula
Loro avevano riso freddamente, per poi tornare a fissarmi con crudeltà.
Perché, altrimenti?

Mi svegliai con un grido, spaventata, tirandomi su a sedere di scatto.
Guardandomi intorno, riconobbi le mura di rossi mattoni della mia prigione, a Volterra.
Un altro singhiozzo mi scappò dal petto, e una risata maligna mi costrinse a voltarmi.
Felix mi fissava attraverso le sbarre, ridendo sguaiatamente, i suoi orribili occhi rossi che mi trafiggevano da parte a parte.
“Ancora incubi, Bells?” mi chiese, perfidamente divertito “Altre lacrime inutili?”
Lo fissai sprezzante, alzandomi e spazzolandomi i vestiti.
“Non sono affari tuoi, Felix” ribattei “Cerca di fare il tuo lavoro, invece di perdere tempo con me. Non vorrai essere rimproverato ancora, vero?”
In un attimo, mi ritrovai sbattuta con violenza al muro, una mano candida ma dalla forza erculea premuta sulla gola.
Felix mi guardò senza più la minima traccia di divertimento. Strinse le sue dita intorno alla mia gola con più forza, ghignando.
“Non ti azzardare mai più a darmi ordini, Isabella” sputò con perfidia “Dopotutto, io sono decisamente più importante rispetto a te. Come può un esperimento mal riuscito sperare di competere con uno tipo come me? Quindi, in futuro, ricordati con chi parli, quando ti rivolgerai a me, e chissà, forse potrei ricompensarti a dovere...”
Con la mano libera mi accarezzò la gamba, lentamente.
“Potrei essere molto generoso, con te...” mormorò, prima di fiondarsi sulle mie labbra e baciarle con furia.
Mi dimenai con forza e riuscii ad allontanarlo.
Caddi in ginocchi, passandomi con forza la manica del vestito sulle labbra, schifata. Rise nuovamente, gli occhi scarlatti che mi fissavano con malizia.
“Porco!” gli urlai, con ferocia
“Ah, ma insomma, possibile che dobbiate sempre litigare come cane e gatto?”
Ci voltammo entrambi, al suono di quella voce.
Un uomo anziano ci fissava dalle sbarre con un sorriso sconsolato, scuotendo piano la testa.
Un lungo mantello nero gli copriva interamente il corpo, lasciandogli scoperto solamente il capo, ricoperto da lunghi capelli neri. Il viso era, in una certa maniera, più bello e più terribile di ogni altro della nostra razza. Candido, dai tratti perfetti, aveva però una consistenza strana, che gli faceva apparire la pelle quasi trasparente, come le bucce di cipolla; gli occhi rossi, con una strana sfumatura lattiginosa, ci fissavano gioiosi e allegri.
Dietro di lui, una ragazzina dalla bellezza incantevole ci fissava sorridendo.
Felix s’inchinò, rispettoso, mentre io iniziai a guardare quel vampiro con terrore crescente negli occhi.
“Felix, mio caro, quando imparerai a non essere precipitoso?” chiese gioviale Aro, sorridendo “Non puoi fare sempre come ti pare. Devi aspettare che Bella sia almeno un po’ attratta da te”
Felix ghignò. “Sono un tipo impulsivo” rispose
“Eh, e questo è un tuo grande pregio, ma anche il tuo maggior difetto” sospirò Aro “Jane, mia diletta...”
“Si, mio signore” rispose la ragazza alle sue spalle, facendosi avanti. Porse ad Aro un pacco bianco con un fiocco rosso in cima.
“Grazie” disse Aro “Ora accompagna Felix da Marcus. Io devo fare quattro chiacchiere con la nostra Bella”
Io mi immobilizzai, terrorizzata. Non volevo restare sola con Aro, non un’altra volta.
Felix si inchinò nuovamente, con un sorriso. Si voltò un’ultima volta verso di me e mi lanciò un baciò, poi, ridacchiando, uscì e affiancò Jane; i due scomparvero nel corridoio buoi, lasciando aperta la porta della mia prigione.
Aro mi guardò con amore, come si guarda un figlio o, meglio, un cagnolino.
Perché questo era quello che ero: il suo animale, il giocattolo preferito, suo e dei suoi fratelli.
Si fece avanti con un gran sorriso, leggero e aggraziato come un elfo, reggendo con una mano quell’enorme pacchetto; con l’altra, invece, richiuse la porta della prigione.
Io continuai a fissarlo atterrita, allontanandomi impercettibilmente verso il fondo della cella.
Aro rise. “Bella, mia adorata, non aver paura!” mi rassicurò con un sorriso cordiale “Non voglio farti nulla! Sono qui per scambiare due chiacchiere”
Si sedette sul mio letto con un sospiro, guardandomi con gli occhi scintillanti.
Io chinai il capo.
“Ah, ah, ah!” rise “Non c’è bisogno di inchinarsi! Tu sei speciale come me, ricordatelo!”
“A cosa devo l’onore, Aro?” chiesi con voce tremula “Cosa la porta da me?”
“Volevo solamente farti una visita, tutti qui” disse Aro gentilmente “E ho colto l’occasione per portarti un regalo”
Prese il pacco bianco e me lo porse con gioia, come un padre che donava un giocattolo alla figlia.
“Avanti! Non morde mica” rise lui.
Lo afferrai con mani tremanti, e lo posai sulle ginocchia, impaurita.
“Aprilo, forza!” mi incoraggiò
Scartai la carta lentamente, mentre Aro sorrideva, impaziente di vedere la mia espressione.
Sollevai il coperchio della scatola e restai di stucco.
“Bello, eh?”
Presi tra le mani con timore un magnifico vestito rosso scarlatto dalla scatola, fissandolo meravigliata. Era un vestito stupendo di seta leggera, con i bordi delle maniche, della gonna e della scollatura neri. La gonna era lunga e mi lasciava scoperte solamente le caviglie candide e i piedi; le maniche mi coprivano del tutto le braccia; la scollatura non era troppo provocante ma nemmeno troppo casta; solamente la schiena era quasi del tutto scoperta.
“Ti piace?” chiese Aro, allegro
“È... bellissimo” mormorai, accarezzando il tessuto
“Avanti! Provalo, provalo!” esclamò Aro facendo cenno di andare verso il bagno “Ti aspetto qui”
Lo fissai allibita, ma a un suo sorriso dovetti arrendermi e andare verso il bagno.
Mi spogliai in fretta e indossai quell’abito principesco con timore di romperlo.
Mi specchiai un secondo e poi tornai da Aro.
Il vecchio vampiro mi studiò estasiato.
“Meravigliosa! Sembri proprio una principessa, Bella!” mi adulò, battendo le mani
“Grazie, mio signore” risposi, inchinandomi “È davvero un regalo prezioso, ne sono onorata”
“In verità, mia cara, speravo che potessi indossarlo domani” disse Aro con un sorriso dolce
“Posso chiederle il motivo, signore?” domandai, mentre l’ansia tornava ad assalirmi
“Beh, volevo presentarti a un mio caro amico” mi spiegò lui “Ricordi? Carlisle. Carlisle Cullen”
Io annuii, composta: avevo sentito molte volte Aro parlare di Carlisle – quello strano vampiro che faceva il medico in America – con amore e rispetto.
“Sarei lieto di fartelo conoscere” continuò Aro
“Certamente, signore” risposi, chinando il capo
“Meraviglioso!” esclamò Aro battendo le mani “Allora, concediti un buon sonno, mia cara. Domani ci aspetta una lunga giornata!”
Si avvicinò a me e mi sfiorò la fronte con un bacio leggero, poi mi scompigliò affettuosamente i capelli e si avviò verso l’uscita.
“Ah, quello puoi considerarlo il tuo regalo di compleanno, Bella cara” disse poi, aprendo la porta della mia cella “Ormai è giunto il lieto giorno della tua nascita, Isabella. Rallegrati”
“Aro” lo chiamai “Quant’è che sono qui?”
Lui richiuse piano la porta, poi mi fissò intensamente.
“Ti prego” implorai
“Ormai sono tre anni, Bella” ammise dolcemente, prima di voltarsi e scomparire
Chinai il capo, svuotata di ogni energia.
Mi sedetti sul letto con un singhiozzo, prima di gettarmi sul cuscino e nasconderci la faccia.
Tre anni da quando mi avevano portato via da Phil e Renèe.
Tre anni da quando ero rinchiusa in quella maledetta prigione.
Tre anni da quando non ero più Isabella Swan, ma solamente un mostro crudele.
Tre anni, da quando mi ero risvegliata vampira.
Piansi fino ad esaurire le forze, poi mi addormentai.





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