Capitolo 1
Tremò e si strinse nel cappotto
uscendo sulla terrazza dell'ultimo piano.
Il vento le accoltellò il viso e
lei sbatté più volte le palpebre per abituarsi alla
luce soffusa del tramonto che contrastava con l'ombra che
accompagnava le nuvole alle sue spalle.
Si tolse il medaglione che teneva al
collo e lo rigirò tra le dita con una stretta al cuore: in
quel momento sapeva di essere nient'altro che una codarda.
Ma non poteva fare altrimenti. No,
aveva lottato inutilmente abbastanza ormai.
Lei non era un'eroina, non avrebbe mai
dovuto prendersi sulle spalle quella missione: era ora di passare il
testimone.
Prese coraggio e con gli occhi scuri
umidi di lacrime lanciò lontano tra gli alberi il medaglione:
ecco, ora non avrebbe più potuto tornare indietro.
Forse avrebbe dovuto dirlo a Finn, ma
non voleva deluderlo: forse era davvero meglio sparire e basta.
Fece qualche passo stentato fino al
cornicione del tetto: i capelli neri sfuggiti dal cappuccio che le
incorniciavano il viso pallido, gli occhi impauriti, e le persone
piccolissime sotto di lei.
* * *
Andrea spinse i pedali della
bicicletta: se solo avesse fatto il patentino le sarebbe stato più
facile spostarsi.
Seguì il sentiero tra gli alberi
che si addentrava nel boschetto fischiettando.
Le aveva insegnato suo padre a
fischiare quando era ancora piccola e da allora si era sempre detta
che essendo troppo pigra per imparare uno strumento si sarebbe
accontentata di quello.
Ad un tratto frenò: le era
sembrato di vedere luccicare qualcosa tra le foglie a terra.
Lasciò cadere la bici e si
avvicinò al luccichio, scostò le foglie e trovò
un piccolo oggetto d'oro sporco di fango.
“E questa poi...” borbottò.
Lo prese tra le mani scrutandolo
indecisa: di chi poteva essere?
Probabilmente ormai non era più
di nessuno.
Se lo infilò al collo perché
non aveva con sé nessuna borsa in cui metterlo e perché
aveva ovviamente deciso di portarlo a casa.
Si scostò i boccoli biondi da
davanti agli occhi e rimontò allegra sulla bicicletta.
Sì, purtroppo aveva dei
bellissimi capelli biondi e riconosco che questo può renderla
a molti insopportabile.
In effetti Andrea era insopportabile
per molti versi: occhi azzurri, nasino perfetto, magra, pigra,
intelligente, e saccente.
Per qualche minuto pedalò
tranquilla evitando le pozzanghere, poi vide qualcosa di scuro
muoversi a pochi metri da lei.
Era un'ombra: cupa, ghignate, con un
cappuccio in testa.
Ok: doveva essere impazzita.
Eppure era così reale....
Fu presa dal panico e cercò di
aumentare velocità: ma le ombre aumentavano e sembrava davvero
che seguissero lei.
Sterzò con il cuore in gola e
fece per attraversare il ponticello di legno che segnava la fine
della foresta, ma un'ombra più grossa delle altre le si parò
davanti come a volerla inghiottire.
Frenò all'improvviso e perse il
controllo della bici che si rovesciò su un lato e
catapultandola in acqua.
Dimenò a caso piedi e braccia e
riuscì a riemergere annaspando.
Si aggrappò ad un sasso e fece
per nuotare fino a riva, quando si accorse di essere in realtà
seduta in un rigagnolo d'acqua al centro di una strada.
Com'era possibile?
Semplice: era tutto un sogno di quella
stupida testa che si ritrovava.
Doveva solo aspettare di svegliarsi.
Quasi che la cosa cominciava a
divertirla.
Si alzò da terra e strizzò
l'orlo della gonna nera, quello della maglietta bianca e per finire i
capelli che legò in una coda con l'elastico che aveva al
polso.
Fu solo allora che si diede la briga di
guardarsi intorno: alcune persone la stavano fissando interdette,
altre camminavano spedite senza averla in nota; fatto sta che tutte
erano vestite in modo strano...come se lei avesse fatto un salto
indietro di duecento anni.
Ma che strano sogno stava facendo!
“Ehi!” esclamò
salutando un vecchietto.
Quello storse la bocca e si allontanò
immediatamente.
Ma che simpaticone...
Tanto valeva approfittarne e esplorare
i dintorni prima che il sogno finisse.
Si ritrovò a camminare rasente
ai muri scontrandosi contro le troppe persone che affollavano il
marciapiede, e rimase scioccata dagli sguardi inorriditi che le
persone lanciavano alla sua gonna evidentemente ritenuta troppo
corta.
Cominciava a sentire male ai piedi e
freddo per la sera che avanzava: era meglio che quel sogno si
decidesse a finire.
Ormai le ombre della sera si
allungavano contro le pareti delle case e gli ultimi raggi del
tramonto cominciavano a fare spazio alla notte.
Snervata si diede un pizzicotto.
Dai svegliati!
Niente: quel posto era ancora più
presente e reale che mai.
Non poteva essere vero...si diede un
altro pizzicotto.
Adesso sentiva la paura fin dentro le
ossa e l'assalì la nausea: cosa poteva fare?
Quello era di sicuro un sogno, ne era
certa, ma lo avrebbe annoverato tra i peggiori incubi una volta
svegliata.
La pancia le brontolò e cominciò
a battere i denti.
Si accasciò all'angolo della
strada e stringendosi le ginocchia al petto cominciò a
piangere.
“Alzati. Vuoi forse farti
ammazzare?”
Alzò lo sguardo e tra le lacrime
vide un ragazzo guardarla scocciato.
“Come?” la sua voce roca
risultò appena udibile.
Lui l'afferrò per un braccio:
“Su forza alzati e seguimi.”
Lei lo fissò interdetta, senza
riuscire a muoversi: e quello da dove spuntava?
I suoi occhi scuri la perforarono
indignati: “Ma sei sorda o..” la sua voce così
decisa gli morì in gola quando vide il medaglione che Andrea
portava al collo.
“Tu...dove..?”
“Nel bosco. Chi sei?”
rispose Andrea stupita dall'interesse del ragazzo nei suoi confronti.
“Seguimi. Ti hanno vista?”
“Chi?” chiese lei senza
capire.
Lui aveva cominciato a camminare a
passo spedito e la stava trascinando con sé.
“Gli incappucciati.”
“Emm...credo di no...”
rispose lei con il fiatone, e chi erano poi questi tipi?
“Chi sei?” le richiese lui.
“Andrea.”
“Un'umana.?”
“Ahah ma no! Sono un lupo
mannaro.” lo prese in giro lei, forse non era il momento di
fare del sarcasmo.
Lui si fermò di botto e lei non
preparata gli andò a sbattere contro: “Cos'è che
saresti??”
“Scherzavo, scherzavo! Sono
l'essere più umano che tu abbia mai incontrato giuro!”
Lui riprese a camminare senza
rivolgerle più la parola.
Andrea lo seguiva arrancando e facendo
rumore con i tacchetti delle ballerine: si sentiva stanca affamata e
sporca.
“Vuoi smetterla di fare quel
rumore?” disse lui irritato facendo un cenno alle sue scarpe.
“Credo di no.” sbottò
lei. Dove diamine la stava portando?
Arrivarono ad un alto palazzo con la
facciata scrostata e almeno otto piani di appartamenti.
“Entra.” le ordinò
lui facendo girare la chiave nella serratura e aprendo la porta.
Salirono un'interminabile scala, fino a
raggiungere la porta numero dodici: lui tirò di nuovo fuori la
chiave ed entrarono.
Era una stanza non troppo grande, con
libri accatastati negli angoli e gli oggetti più strani alla
rinfusa sulle pareti o sul pavimento.
“Non combinare guai. Per stasera
ti fermerai qui, domani ti spiegherò tutto.”
“Eh?” fece Andrea
interdetta.
“Ti ripeterò il concetto:
questa è casa mia, forse sei abituata a spazi più
grandi, ma ti dovrai adattare. Ti sto praticamente salvando la vita e
sarebbe il caso che mi ringraziassi.”
“Grazie.” disse lei con un
filo di voce, forse era ancora sicura che fosse un brutto sogno.
Lui si passò una mano tra i
capelli castani spettinati e sbuffò fissandola come se si
trovasse davanti ad un caso clinico: “Comunque io sono Finn,
piacere.”
|